Dopo più di un anno di pandemia la psiche di tutti noi risulta profondamente provata. Sono aumentati di molto i disturbi delle mente, gravi e più o meno gravi. In aumento anche l’uso di sostanze tra gli adolescenti e l’istinto al suicidio, come purtroppo dimostrano alcuni fatti di cronaca, anche tra i più piccoli nella fascia pre-adolescenziale. L’isolamento dalla vita sociale, o comunque una vita sociale più che dimezzata, è una grave perdita non solo per gli adulti ma soprattutto per tutti i ragazzi e ragazze, e per tutti i bambini.
Obbligati a rimanere chiusi in casa o dovendo ridurre di molto i propri contatti sociali, costretti ad inventare nuove forme dell’esistenza, obbligati a condividere spazi a volte scomodi e ristretti in famiglia, le persone si trovano alle prese con una forte ‘emergenza emotiva’ a causa di un virus persistente e subdolo che non sembra permettere facili e veloci vie di fuga. È il caso di dire che la battaglia purtroppo non è ancora terminata, e questa esistenza nuova di reclusione involontaria e di contatti sociali limitati è il carico più difficile da sopportare.
L’impatto psicologico della crisi è pesante non solo sul fronte sanitario ma anche per le conseguenze economiche della pandemia, a causa delle quali milioni di persone si ritrovano senza lavoro o con un’attività depotenziata e martoriata.
In agguato l’apatia o l’inerzia. “Il ritiro dalla vita e nel peggiore dei casi l’inerzia psichica è il pericolo maggiore, più forte della paura di morire”, afferma la psichiatra Stefania Calapai, presidente dell’Associazione Angelo Azzurro Onlus e direttrice del progetto A-HEAD.
Il progetto A-HEAD, nasce nel 2017 dalla collaborazione tra Angelo Azzurro Onlus ed artisti e dj di respiro internazionale. Il progetto sostiene in maniera attiva l’Arte contemporanea e gli artisti che collaborano ai vari laboratori, che da anni l’associazione svolge accanto alle attività di psicoterapia più tradizionali. Nell’ottica del progetto A-HEAD l’Arte rappresenta un mezzo privilegiato per meglio interpretare le complesse strutture della mente, sviluppando un percorso ermeneutico e conoscitivo dei disturbi mentali attraverso l’Arte.
Tra gli artisti che partecipano al progetto vi sono anche artisti emergenti o in qualche modo indipendenti che avvalorano A-HEAD rendendo il progetto ancor più originale. Data la propria natura benefica, con A-HEAD la cultura, nell’accezione più ampia del termine, diviene un motore generatore di sanità, nella misura in cui i ricavati sono devoluti a favore di progetti riabilitativi della Onlus Angelo Azzurro, legati alla creatività intesa come caratteristica prettamente umana, fondamentale per lo sviluppo di una sana interiorità. Lo scopo globale del progetto è quello di aiutare i giovani che hanno attraversato un periodo di difficoltà a reintegrarsi a pieno nella società, attraverso lo sviluppo di nuove capacità lavorative e creative.
La lotta allo Stigma della Malattia mentale attraverso l’Arte è la missione di A-HEAD. “L’Arte ci ha aiutato a parlare di malattia mentale in un modo diverso e ci ha permesso di raggiungere più persone di diversa cultura ed estrazione sociale”, spiega la dottoressa Calapai.
L’interesse verso il progetto A-HEAD è cresciuto notevolmente anche se si tratta di un percorso arduo. “Se all’inizio c’era qualche forma di prevenzione ora credo che sia quasi sparita. La lotta allo Stigma, relativa alla malattia mentale, è lunga e sicuramente ha ancora bisogno di tanto lavoro ma sono certa che andrà avanti”, afferma la direttrice Stefania Calapai. Convegni, campagne di informazione, mostre d’Arte a sostegno del progetto A-HEAD hanno dato e continuano a dare risultati molto soddisfacenti. “Solo attraverso la conoscenza, la cultura, si può combattere la stigmatizzazione in ogni forma”, sottolinea Calapai. “Il nostro è un progetto in crescita e speriamo di avere sempre più interesse sia da parte del mondo dell’Arte sia dalla gente comune”.
A proposito di diffusione della cultura la Onlus romana ha avviato un’esperienza editoriale con Angelo Azzurro Edizioni guidata dal dottor Giuseppe Capparelli: “Una linea editoriale specializzata in pubblicazioni letterarie che si occupa dell’approfondimento di tematiche sociali connesse al teatro, alla letteratura, alla poesia e molto altro”, spiega Capparelli. La collana A-Head Edizioni si occuperà invece di produzioni legate all’Arte ed è coordinata dal dottor Piero Gagliardi, curatore e coordinatore delle mostre d’Arte dei vari artisti che aderiscono al progetto A-HEAD.
“Dopo ormai cinque anni di lavoro sinergico e di stima reciproca la comunione d’intenti è rimasta immutata”, afferma il dottore Piero Gagliardi, orgoglioso di essere il curatore dell’intero progetto A-HEAD il cui obiettivo fondamentale è “promuovere l’Arte contemporanea e combattere lo Stigma della malattia mentale”, ribadisce Gagliardi.
Da qualche mese ha aderito al progetto A-HEAD anche l’architetto Roberta Melasecca, art manager e curator di Interno 14 next, un “progetto di mecenatismo interdisciplinare diffuso che ha l’obiettivo di collegare vari operatori dell’Arte”. Nato nel 2013 nel cuore del quartiere Esquilino a Roma, partendo dall’architettura in pochi anni Interno 24 ha aperto le porte ad artisti emergenti e non, ospitando mostre ed eventi d’Arte, con l’obiettivo di far dialogare varie discipline artistiche e connettere vari operatori dell’Arte (curatori, artisti, galleristi, studiosi), superando i confini metropolitani e “per inserirsi in un meccanismo più europeo e internazionale”. Da qui la collaborazione con il progetto A-HEAD, con cui Interno 14 next condivide diversi orizzonti. Tra le collaborazioni internazionali vi è inoltre la dottoressa Veronica Arredondo del Messico, che con la sua opera di ricercatrice e di divulgatrice scientifica, attraverso vari organi di stampa, mira a diffondere i principi del progetto A-HEAD nel suo Paese: “Stiamo cercando di allargare il dibattito all’interno del mondo della cultura per parlare di certi temi cari anche ad A-HEAD, come poter aiutare persone in difficoltà attraverso l’Arte”, afferma la dottoressa Arredondo.
Effetti psicologici della crisi provocata dal Covid-19
La pandemia da Covid-19 ha provocato in tutto il mondo delle conseguenze sulla salute mentale così gravi da spingere anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad affermare che la tutela della Salute Mentale è una priorità.
Incertezza, preoccupazione, paura sono solo alcuni dei sentimenti generati dalla crisi provocata dal Coronavirus. Una crisi profonda che si è insinuata nella psiche di molte persone. Diversi disturbi mentali che sono venuti a galla in questo periodo “sono legati all’incertezza e alla paura dell’ignoto”, afferma la dottoressa Stefania Calapai.
Rinunciare alle proprie abitudini, alla propria libertà, ai propri obiettivi non è semplice, ma è necessario ‘adattarsi’ per non allargare il contagio.
In questa seconda (e terza) ondata della pandemia assistiamo in particolare a ciò che gli psichiatri definiscono una “psicopandemia”, ossia un rilevante aumento dei disturbi psichiatrici quali ad esempio “disturbi alimentari, disturbi del sonno, oppure disturbi collegati alle attività cognitive come disturbi dell’attenzione e della memoria, scarsa capacità di concentrazione”, come spiega la psichiatra Calapai.
I medici hanno messo in pratica, a loro volta, delle strategie di difesa che possono generare stati di negazione e di isolamento e, nel peggiore dei casi, anche disturbi psichiatrici più seri come l’ipocondria ossia la paura di ammalarsi, di contrarre il virus: “L’Altro visto come un pericolo” è un fattore che ha cambiato profondamente le relazioni umane e tra queste anche la relazione tra paziente e psicoterapeuta. Maggiori difficoltà sono anche collegate all’uso delle mascherine perché l’attività terapeutica si basa sulle emozioni, che molto spesso si rendono evidenti attraverso degli atteggiamenti e delle specifiche espressioni del volto, oltre che del corpo; se il volto è coperto per metà dalla mascherina molte emozioni rimangono come imprigionate, sono soffocate, e questo particolare – la mascherina rappresenta una barriera facciale – non aiuta il lavoro del terapeuta.
Si tratta di uno stress, quello provocato dalla pandemia, che ha messo a dura prova davvero tutti, compresi i medici e i psicoterapeuti, che sono stati quindi costretti ad esercitare la loro professione essendo anch’essi provati e ritrovandosi quindi a condividere la loro stessa sofferenza con i propri pazienti. Come affermava l’illustre psichiatra, psicoanalista, antropologo, filosofo e accademico svizzero, Carl Gustav Jung, “il guaritore ferito è colui che riesce a curare meglio l’Altro”, spiega la psichiatra Calapai. Jung è di certo tra le principali figure intellettuali del pensiero psicoanalitico di tutti i tempi; la sua famosa tecnica e teoria di analisi è denominata “psicologia analitica” o “psicologia del profondo”, più tecnicamente “psicologia complessa”.
Il cambiamento dello stile di vita quotidiano è stato radicale, lo smart working, ad esempio, ha rivoluzionato le giornate di molte famiglie e ha provocato, magari, dei danni a diverse persone. Tra i più colpiti da disturbi psichiatrici ci sono proprio coloro che a causa delle nuove normative legate alla diffusione del virus lavorano da casa. Costoro accusano disturbi del sonno dovuti, molto spesso, al maggior tempo trascorso davanti allo schermo di un pc, senza magari avere più il ritmo della pausa pranzo o della pausa caffè per socializzare con i colleghi. Stare molte ore di fronte ad un computer, inoltre, riduce di molto lo stimolo della dopamina e ciò ha comportato un aumento dei disturbi del sonno e di quelli legati alla depressione.
In generale giovani, donne, disoccupati, ma anche una parte non trascurabile dei lavoratori costretti a svolgere la propria attività in modalità smart working, sono le categorie che hanno accusato i disturbi psichiatrici più rilevanti. Per quanto riguarda il lavoro da casa sarà purtroppo così ancora per diversi mesi, almeno fino a quando il vaccino non avrà sviluppato una considerevole immunità tra la popolazione.
“Lo stare chiusi in casa, soprattutto per coloro che non sono abituati come ad esempio i ragazzi adolescenti, può generare ansia, stati depressivi, attacchi di panico, insonnia”, spiega la dott.ssa Calapai. “È inoltre essenziale una comunicazione chiara ed efficace da parte dei mezzi di informazione”. Molto spesso, inoltre, l’informazione è ricca di notizie negative che acuiscono gli stati di ansia rendendo l’isolamento in casa e il rastrellamento dei contatti sociali più difficile da sopportare.
Un’altra patologia psicologica collegata al tempo che stiamo vivendo è infatti l’infodemia, ossia l’ossessione, quasi, di informarsi continuamente anche a causa del bombardamento di informazioni provenienti da più media, on line e off line, appartenenti al mainstream oppure al mondo del web. Il rimbalzo di informazioni e molto spesso di fake news attraverso i social media provoca, ad esempio, un vero e proprio panico informativo con conseguenze molto spesso devastanti sulla mente degli individui più o meno giovani. In questo contesto l’informazione diventa essa stessa un’epidemia e invece di essere di aiuto alla comprensione dei fatti – nel caso specifico dei fatti legati al Coronavirus – si trasforma in una nuova forma di virus, altresì devastante.
In inglese infodemic è una parola d’autore coniata da David J. Rothkopf in un articolo comparso sul Washington Post già nel 2003, ed oggi la parola infodemic ricorre anche nei documenti ufficiali dell’Organizzazione mondiale della Sanità. In sostanza si definisce infodemia la “circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”.
In pratica occorre informarsi senza esagerare e senza cedere al panico. La mancanza di chiarezza, in particolare sui diversi livelli di rischio, può portare i soggetti a “temere il peggio”, come scrivono anche gli studiosi del King’s College di Londra.
‘Adattarsi’, invece, vuol dire ad esempio “pensare di fare qualcosa di bello, dedicarsi a delle passioni che avevamo relegato nel cassetto per mancanza di tempo”, come dice la psichiatra Calapai. In questo periodo così travagliato “è molto importante ascoltare le proprie emozioni”, cercando di razionalizzare i propri comportamenti.
“Lo stress perdurante a cui siamo stati sottoposti a causa della pandemia può essere uno stress individuale o comunitario – spiega Calapai – diverso sia dal disturbo post traumatico da stress che dallo stress dovuto a catastrofi naturali”. Si tratterebbe di “uno stress subacuto, persistente e perturbante che si è evoluto da acuto a cronico. Ognuno di noi ha reagito a questi eventi stressanti in maniera differente, ma tutto ciò ha certamente determinato un aumento dei disturbi, anche psichiatrici, in tutto il mondo, con prevalenza di disturbi depressivi, del sonno, alimentari, della libido; e negli adolescenti ha generato una vera e propria emergenza con tentati suicidi e autolesionismo”.
Tra i più giovani e gli adolescenti è aumentato anche l’uso di sostanze e l’abuso di alcool. L’isolamento e lo spegnersi o, comunque, il potere ridotto delle relazioni, portano soprattutto negli adolescenti all’emersione di disturbi psicologici rilevanti per la mente che si sommano alle normali difficoltà collegate all’età adolescenziale. “La nostra Onlus Angelo Azzurro – spiega la dottoressa Calapai – ha lavorato e continua a lavorare proprio in questo ambito, costruendo progetti per dare sostegno e assistenza alle persone e alle famiglie con malati psichiatrici, anche molto giovani, in difficoltà sia economiche, sia sociali, sia sanitarie”.
L’obbligo di stare chiusi e di distaccarsi in qualche maniera dagli altri ha in sostanza fatto venire a galla situazioni latenti, come stati depressivi in precedenza soppressi dalla quotidianità routinaria, quadri nevrotici tenuti sottocontrollo in balìa della vita ordinaria che nel corso della pandemia da latenti sono diventati evidenti. Oppure, semplicemente, la pandemia ci ha rivelato ciò che non andava dentro e fuori di noi.
In definitiva, lo stress da pandemia sembra avrebbe portato alla luce molte ombre (…), aiutandoci a liberarci da molte catene dalle quali ci facevamo imprigionare anche solo per convenzione e quieto vivere, per mera abitudine, condizionando la mente.
Pandemia psichiatrica
Constatato l’aumento di disturbi psichiatrici a causa della pandemia da Covid, gli psichiatri parlano quindi, a tutti gli effetti, di “pandemia psichiatrica” vera e propria. Dopo la prima ondata sembrava tutto superato ma con la seconda, e poi anche la terza ondata, il trauma è riemerso proprio perché si è riaperta una ferita.
Il “trauma” è un fenomeno molto complesso in psichiatria. Nello specifico “il trauma pandemico disarticola la linearità del tempo e dell’esperienza lasciandoci senza riferimenti”, come spiegano gli psichiatri. In pratica ognuno di noi è come una nave alla deriva che a mano a mano deve ritrovare degli attracchi interni ed esterni, “una forza o una motivazione interna, anche all’interno della propria casa per ricrearsi un proprio mondo, questo è un fattore molto importante nel trauma”, afferma la dottoressa Calapai, “perché nel trauma emergono anche angosce ancestrali che sono legate ad altri traumi vissuti in passato”. Quindi durante una situazione di emergenza le risposte che ognuno di noi mette in atto dipendono “sia dai traumi pregressi sia dalle modalità di reazione che abbiamo ereditato dal contesto familiare”. Per questo motivo ogni soggetto reagisce al trauma in maniera diversa. Susan Sontag nel suo libro “Malattia come metafora” afferma: “Come ogni situazione estrema, una malattia porta alla luce quanto di meglio e di peggio c’è in ciascun individuo”.
Si tratta in effetti di una situazione “estrema”, mai vista prima, la pandemia ha reso le persone molto più vulnerabili e le conseguenze per la salute mentale probabilmente resteranno per un tempo più lungo, rispetto al previsto o prevedibile. I giovani che ad esempio oggi hanno disturbi psichiatrici, tipo fenomeni di autolesionismo e tentato suicidio, è probabile che saranno dei pazienti psichiatrici anche nell’età adulta: “Sono soggetti che molto probabilmente avranno bisogno di aiuto durante tutto il periodo di crescita e non si sa come reagiranno quando la pandemia sarà finita, ed inoltre non ci sono strutture sanitarie idonee e sufficienti. Al Bambin Gesù, ad esempio, ci sono appena otto posti letto”, ammonisce la dottoressa Calapai. Sembra comunque molto probabile che tali ragazzi avranno bisogno di aiuto per un periodo piuttosto lungo, oltre il periodo pandemico, “non sappiamo come reagiranno alla riapertura dei canali sociali, se hanno sviluppato delle strategie da Covid per reagire al mondo esterno”, non è chiaro come reagiranno tornando ad una vita più o meno normale. Si parla in sostanza di “pandemia psichiatrica” perché c’è un’emergenza dovuta ai disturbi della mente a partire dall’adolescenza fino all’età adulta.
In definitiva, ad avere bisogno di aiuto per la mente non sono solo i più fragili, come gli anziani, i disabili e i soggetti con malattie croniche, ma anche persone e ragazzi normali, disoccupati che non riescono a recuperare il lavoro, donne che hanno dovuto interrompere la propria vita professionale o perché licenziate o per dedicarsi alla vita familiare travolta dal caos pandemico, anche sotto il profilo finanziario. Tutti fattori che secondo gli studiosi potrebbero aumentare il rischio di suicidio, come riporta anche la rivista The Lancet Psychiatry.
Dobbiamo restare molto ancorati ai fatti e alla quotidianità e provare a concentrarci su quelli che pensiamo essere i nostri punti di forza, gli “attracchi” interni ed esterni, ma soprattutto interni.
Questo periodo di radicale cambiamento dello stile di vita quotidiano potrebbe trasformarsi, in effetti, in un’opportunità per ripensare le proprie relazioni, il proprio lavoro, il rapporto con il cibo, in pratica tutta la propria vita. È molto importante non avere pensieri ruminativi riguardo alla situazione futura che noi in fondo non possiamo prevedere o conoscere a pieno.
Come testimoniano i dati il sostentamento materiale e quotidiano rimane comunque la principale fonte di angoscia per le persone senza un’occupazione. Tra le evidenze scientifiche risulta ad esempio che coloro che hanno livelli di reddito più bassi mostrano una necessità di supporto maggiore, sia economico che psicologico.
L’Italia è fra i Paesi più a rischio dal punto di vista economico e la rete di supporto psicologico dovrebbe quindi essere pronta ad assistere le persone che hanno ad esempio difficoltà lavorative. Si tratta di una rete preziosa ma che va potenziata, perché la salute mentale si sviluppa sul territorio e non tutte le persone dispongono di risorse economiche sufficienti per potersi rivolgere a dei professionisti privatamente. Da qui l’importanza dell’opera preziosa ed essenziale svolta sul territorio da Associazioni come Angelo Azzurro Onlus.