Dott. Mario Bentivegna,
Medico Specialista in Reumatologia,
Consigliere SIR (Società Italiana di Reumatologia),
ASP7 di Ragusa
Da alcuni anni nell’ambito della medicina è nato un nuovo paradigma del curare: la filosofia assistenziale delle cure palliative.
Queste ultime insegnano agli Operatori come il sereno e dignitoso accompagnamento al morire, sia caratterizzato dallo spostamento del focus dal concetto di “to cure”, a quello di “to care”, concentrando l’attenzione sulla consapevolezza della morte come evento naturale della vita.
Non si tratta di prolungare la vita della persona (quantità di vita), ma di renderla la migliore possibile (qualità di vita).
Palliativo non significa “inutile”, la sua definizione esatta deriva dalla parola latina “pallium”, che significa mantello, protezione.
Nelle Cure Palliative il controllo dei sintomi fisici e dei problemi psicologici, sociali e spirituali è di importanza fondamentale.
Le Cure Palliative sono state definite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “…un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicofisica e spirituale.”
Le Cure Palliative si rivolgono a pazienti, di ogni età, in fase avanzata e terminale di ogni malattia cronica ed evolutiva: in primo luogo malattie oncologiche, ma anche neurologiche, respiratorie, cardiologiche, reumo-artropatiche/connettivali, ed hanno lo scopo di dare alla persona malata la massima qualità di vita possibile, nel rispetto della sua volontà, aiutandola a vivere al meglio la fase più critica della malattia ed accompagnandola verso una morte dignitosa.
La fase avanzata e terminale è quella condizione, non più reversibile con le cure, caratterizzata da una progressiva perdita di autonomia e dal manifestarsi di numerosi sintomi fisici, primo fra tutti il dolore. Le Cure Palliative non possono prescindere da una Terapia del Dolore senza prendersi cura della persona che sta affrontando l’ultimo periodo della sua vita, utilizzando sia metodi farmacologici che non.
Lo scopo della tesi è quello di sostenere come l’ossigeno-ozonoterapia, valido supporto integrativo alle terapie già assunte, possa essere utile e fondamentale per il miglioramento della qualità di vita del paziente.
Le più recenti linee guida, alla luce dei dati recenti, suggeriscono di considerare precocemente l’integrazione delle Cure Palliative nel percorso del Trattamento Specifico per tutti i pazienti con malattia avanzata e/o con presenza di importanti sintomi correlati alla malattia.
Anche i pazienti anziani, (età ≥70 anni) che sono di per sé una popolazione, con frequente coesistenza di comorbidità e disabilità, hanno maggior bisogno di Cure Palliative per un miglioramento dello stato di salute globale.
La Medicina Palliativa – La storia
Nel 1967 al S. Christofer Hospice di Londra, una infermiera londinese, Cecily Saunders, con un lascito di 500 sterline, avute da un paziente sopravvissuto ad un campo di sterminio nazista, ma non al suo cancro allo stomaco, diede il via ad un movimento che avrebbe cambiato, nel mondo, il modo di assistere il malato terminale.
Alla Fine del Maggio 1978, una lezione magistrale della Saunders sulla “natura e trattamento del dolore nel paziente terminale e sul concetto di Hospice”, alla presenza del Prof. J.J. Bonica e del Cardinale Luciani, futuro Papa Giovanni Paolo I, segnò l’inizio del movimento Hospice, anche in Italia.
Questa Medicina Palliativa, che veniva proposta alla fine degli anni ’60, non era solo la ripresa di un’esperienza marginale nel campo della medicina, ma una vera rilettura e vivificazione dei principi fondamentali dell’assistenza in chiave moderna e con mentalità scientifica. Si trattava di una ricerca approfondita e del recupero di qualche cosa che nella medicina si era indubbiamente perso nei secoli. Perso in quanto i valori iniziali erano stati sepolti e sostituiti con altri che parevano più aderenti ai tempi. La medicina, diventava sempre più impegnata a “risolvere il proprio rompicapo”, sempre più affascinata dal “doppio cieco”, “dal chi quadro”, “dalla ricerca della validazione del riscontro statisticamente significativo (P<0,01)”.
In un processo durato secoli e pertanto quasi senza accorgersene, dall’ARS Medica si è passati alla Scienza Medica, dal tempo delle grandi-impotenze ci si affacciava al tempo delle grandi-speranze. Nuovi farmaci, nuove procedure chirurgiche, nuove possibilità terapeutiche, davano l’illusione di poter vincere, debellare, sradicare (questi erano i versi usati) le malattie, di sconfiggere “la malattia per antonomasia”.
Fu così che la medicina, tutta presa com’era dall’approccio biologico, poté giungere a dimenticarsi addirittura del dolore, dei “perdenti”, di quegli individui che impropriamente una parte della medicina definiva “terminali”.
Solo con l’arrivo ad un elevato grado di meccanicismo, e cioè alla possibilità di espiantare organi da cadaveri a “cuore battente”, di trapiantarli, di raggiungere la fecondazione in vitro, di definire il concetto di morte selettiva cerebrale, la medicina si rende drammaticamente conto di come fosse rimasta indietro sulla sua missione originaria.
Nelle decisioni mediche erano rientrate nuovamente ed in modo preponderante gli aspetti etici.
Il paziente che non ha prospettive di guarigione ha tuttavia diritti.
La Medicina Palliativa ricompone lo scollamento che era avvenuto tra il curare e l’assistere.
I primi servizi italiani di cure palliative si costituirono inizialmente ad opera di associazioni di volontariato/no-profit, avvalendosi di infermieri e medici, i cosiddetti pionieri, che diedero vita ad ambulatori dove venivano praticate terapie mirate per lo più al controllo del dolore, sviluppati prettamente in ambito sanitario e ospedaliero (Corli, 1988). Dapprima ci si orientò principalmente al trattamento e alla gestione del dolore.
Sono i professionisti del dolore che, abdicando al “lavoro istituzionale del Servizio”, scelgono di occuparsi di questa professione nascente: il medico palliativista.
Le cure palliative e la medicina palliativa non costituiscono negli anni ’80 una specialità medica: i professionisti coinvolti nell’assistenza sono spesso specialisti di altre discipline, “prestati” alle cure palliative dopo aver acquisito “il corpo di conoscenze” (Di Maggio, 2000), necessario contestualmente ai primi percorsi formativi, anch’essi pionieristici, esterni all’ambito universitario.
In Italia le cure palliative si sviluppano agli inizi degli anni Ottanta, su iniziativa del professor Vittorio Ventafridda, allora direttore del Servizio di Terapia del Dolore dell’Istituto Nazionale per la Ricerca e la Cura dei Tumori di Milano, dell’ingegnere Virgilio Floriani, fondatore dell’omonima associazione e di un’organizzazione di volontari, la sezione milanese della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori.
In queste prime esperienze prevalse il modello domiciliare anziché quello dell’assistenza residenziale.
L’hospice Virgilio Floriani, presso l’Istituto Nazionale Tumori di Milano, nacque infatti solo nel 2006, sempre grazie alla partnership con la Fondazione Floriani, nasce così il “modello Floriani” (Fondazione Floriani, 1997) che ha come base operativa l’ospedale, ma con l’obiettivo di espandersi sul territorio mediante l’attività di équipe domiciliari, creando un’integrazione tra ente pubblico e privato.
In contemporanea nel nostro paese nascevano realtà simili grazie all’attività di organizzazioni no-profit e la nascita delle prime unità di cure palliative, per garantire assistenza gratuita a domicilio ai pazienti in fase avanzata di malattia.
Nel nostro paese la lentezza del passaggio dalla fase “pioneristica”, centrata sulle cure domiciliari, alla progettazione degli hospice si spiega sulla base di elementi culturali, sociali ed economici. Un’attività matura di medicina palliativa necessita di strutture dedicate alla degenza piena che integrino, completandola, la fondamentale attività dell’assistenza domiciliare.
In passato infatti era la famiglia ad occuparsi del malato terminale, in quanto il Sistema Sanitario Nazionale non forniva prestazioni per questi tipi di malati.
Le prime risposte a questi bisogni si sono concretizzate nelle cure domiciliari.
L’assistenza domiciliare si è sviluppata gradualmente calibrando le forze disponibili, ripartendo il carico assistenziale tra l’equipe e la famiglia e utilizzando, con intelligenza e creatività le risorse del volontariato (Casale e Mastroianni, 2011).
Il progressivo processo di sensibilizzare le istituzioni sulla necessità di interventi di vasta portata socio-assistenziale e di cure specifiche, ha portato alla seconda metà degli anni Novanta, quando sono state emanate le prime normative regionali e nazionali per disciplinare la materia.
– È a partire dalla triennalità 1998-2000 che, tra gli obiettivi del Piano Sanitario Nazionale, per la prima volta in maniera esplicita, sono presenti iniziative atte a “migliorare l’assistenza erogata alle persone che affrontano la fase terminale della vita” (Ministero della Salute, Piano Sanitario Nazionale 1998 – 2000). Una risposta razionale e politicamente efficace ha condotto all’emanazione della legge 39/99, che ha delineato il quadro organizzativo delle cure palliative, avviando il processo di diffusione degli hospice in Italia (L. 39/1999).
– Altro momento fondamentale per lo sviluppo delle cure palliative in Italia è stato il riconoscimento che le cure palliative rientrano nei Livelli Essenziali di Assistenza (L.E.A), per cui lo Stato e le regioni a partire dal 2001 devono fornire, gratuitamente, alla popolazione un modello assistenziale in rete, garante della qualità di vita e della dignità della persona:
– DPCM 29 novembre 2001 Livelli Essenziali di Assistenza;
– 2017 rinnovo del riconoscimento delle Cure Palliative nei nuovi LEA, in corso di emanazione.
L’esperienza italiana ha trovato nell’assistenza domiciliare la principale sede di realizzazione delle cure palliative, a differenza di altri paesi dove sono stati creati numerosi hospice sul territorio, a causa di differenti condizioni economiche, organizzative e di cultura dei servizi sanitari (Casale, 1994).
In ogni caso, per garantire al malato un sistema di cure valido, efficiente e continuo sono necessari quattro luoghi:
– Il domicilio,
– I servizi ambulatoriali,
– La struttura residenziale (hospice)
– Day – hospice.
Ultimo elemento importante nelle storia italiana delle cure palliative è la legge 38/2010. Questa legge ha sancito il diritto per ogni cittadino all’accesso alle cure palliative ed alla cura del dolore considerato in tutte le sue forme. I diritti sanciti dalla legge in esame sono validi per tutte le persone e per tutti i luoghi per i quali è, inoltre, previsto un obbligo di monitoraggio, sia per le cure palliative che per la terapia del dolore (D.P.C.M. 29 novembre 2001).
Principi generali di terapia sintomatica
– Cure Palliative efficaci costituiscono un diritto per malati e familiari e per ogni operatore sanitario: l’accesso alla formazione, all’aggiornamento e ai servizi di cure palliative deve essere facilmente ed estesamente disponibile;
– Devono essere garantite nell’équipe, competenza, capacità, atteggiamenti e comunicazione adeguati: sia i singoli operatori, sia l’intera équipe, devono avere una minima e sufficiente capacità di comunicare e di formulare una diagnosi, unita alla conoscenza dei sintomi, dei loro effetti e del loro trattamento;
– Devono essere creati “luoghi protetti” per soffrire: non necessariamente devono essere degli edifici, è la corretta relazione che si crea tra malato e curante che permette al malato di sentirsi libero di esprimere la propria sofferenza;
– Si deve stabilire una collaborazione con il malato, il partner e la famiglia: il flusso di informazioni e le decisioni terapeutiche devono essere sotto il controllo del malato e devono essere concordanti con il partner e la famiglia;
– Non bisogna aspettare che sia il malato a lamentarsi. Bisogna chiedere e osservare: i pazienti gravemente sofferenti sono chiusi in se stessi, hanno disturbi del sonno e un’autosufficienza ridotta; gli effetti del dolore, a volte, si riversano sul partner e sui familiari e a questi ultimi chiedere e valutare le impressioni è spesso di grande aiuto;
– Va fatta un’accurata diagnosi della causa del problema: i problemi sono spesso complessi e raramente si presentano da soli, un singolo sintomo può avere diverse sfaccettature (es: diverse tipologie di dolore)
– Basarsi sui dati clinici per valutare l’intensità dei sintomi è estremamente aleatorio: una valutazione di tal genere è troppo soggettiva ed è sempre poco affidabile nella scelta dei trattamenti: una decisione clinica efficace richiede una precisa diagnosi, unita alla disponibilità di cambiare tipo di trattamento in funzione della risposta, al fine di poter stabilire terapie veramente “su misura”;
– Non va mai rimandato l’inizio della terapia: i sintomi vanno trattati tempestivamente, poiché il loro permanere ne rende più difficile il controllo;
– I farmaci devono essere somministrati con regolarità in dosi personalizzate, in modo che il sintomo non si presenti;
– Bisogna porsi obiettivi realistici: gli obiettivi del malato vanno accettati; una negoziazione degli obiettivi aiuta il malato ed i suoi cari a vedere una via d’uscita dalla propria sofferenza;
– Rivalutare spesso e con regolarità: un’accurata messa a punto della terapia richiede una frequente rivalutazione del malato;
Vanno trattati i sintomi concomitanti;
– Empatia, comprensione, “distrazione”, miglioramento dell’umore, (“terapie adiuvanti”) sono essenziali completamenti di ogni terapia: i farmaci sono soltanto una delle componenti di un intervento globale.
Principi sintomi nelle cure palliative
– Sintomi “maggiori”: dolore, dispnea, vomito, stipsi, fatigue;
– Sintomi “minori” e quindi sottovalutati: tenesmo, prurito, singhiozzo, ipercalcemia, febbre/infezioni, ascite;
– Sintomi “di fine vita”: occlusione intestinale, rantolo terminale, delirium.
Ansia / Depressione
– Reattiva;
– Secondaria a metastasi cerebrali;
– Iatrogena;
– Uso di farmaci (corticosteroidi, chemioterapici, antiipertensivi, etc… );
– Alterazioni elettrolitiche (ipokaliemia, ipercalcemia) ed endocrine.
Astenia – Fatigue
“Soggettiva sensazione di stanchezza, debolezza o mancanza di energia. La fatigue è generalmente riconosciuta come un costrutto multidimensionale, con una dimensione fisica, cognitiva, emotiva.”
– Fisica: Anche semplici attività fisiche possono essere svolte o portate a termine solo con grande sforzo. Cresce il bisogno di riposo, ma il riposo non migliora la situazione. Con il passare del tempo la persona colpita non intraprende più nessuna attività in quanto sa che non riuscirà a portarla a termine.
– Cognitiva: Le persone colpite hanno difficoltà a concentrarsi, a formulare pensieri complessi, a leggere un testo e a seguire a lungo una conversazione. La facoltà di memoria diminuisce.
– Emotiva: Si instaura un esaurimento emozionale, diminuisce la motivazione mentre aumenta l’umore depressivo. La progressiva perdita del ruolo compromette il senso di autostima, le relazioni sociali si modificano fino a portare all’isolamento.
La sensazione di stanchezza che può capitare a chi è sano, dopo lo svolgimento di una attività fisica, è molto diversa dalla stanchezza che prova una persona malata, non solo per intensità e durata, ma anche per l’insorgenza e le conseguenze.
La fatigue è un sintomo che può essere causato dalla malattia, dai suoi trattamenti o da altre patologie concomitanti. Nei pazienti con cancro che sono sottoposti a trattamenti oncologici (chemioterapia, radioterapia, trattamenti biologici, trapianti di midollo) la fatigue è presente nel 70-100% dei casi. La fatigue influisce profondamente sulla qualità della vita (QOL) dei pazienti e le delle loro famiglie, non solo dal lato fisico, ma anche per aspetti psicosociali e professionali – economici.
L’eziologia della fatigue è spesso multifattoriale. Le cause possono essere suddivise in tre gruppi:
1. Il tumore stesso produce sostanze che inducono la fatigue, come fattori lipolitici, prodotti di decomposizione del tumore;
2. Il tumore stimola le cellule del corpo a produrre citochine e sostanze come il TNF α, la PGE₂ , l’INF, l’ITN-6 e 1;
3. Il terzo gruppo é costituito da fattori concomitanti, come cachessia, infezioni, anemia, disidratazione, depressione, cause metaboliche, alterazioni neurologiche, effetti collaterali dei trattamenti oncologici.
La prima cosa da riconoscere è che la fatigue è un’esperienza soggettiva e multidimensionale che deve essere riconosciuta e sistematicamente valutata, attraverso l’esperienza del paziente.
Lo screening in cure palliative deve essere accurato, tale da permettere di non trascurare tutti gli aspetti della fatigue. L’utilizzo dell’ Edmond Symptom Assessment System (ESAS), è raccomandato per valutare l’intensità del sintomo. I pazienti con fatigue da moderata a severa (VAS > 5) richiedono una valutazione approfondita della storia clinica oltre ad un esame fisico per la ricerca di fattori causali potenzialmente reversibili o curabili. Per un ulteriore approfondimento nell’assessment della fatigue si può successivamente ricorrere all’utilizzo di questionari multidimensionali, quali per esempio, il Brief Fatigue Inventory usato per valutare l’impatto che l’astenia ha sulla qualità della vita.
Il trattamento della fatigue dovrebbe essere discusso in ambito multidisciplinare.
Anche se è riconosciuto che la fatigue correlata al cancro è più frequente durante i trattamenti attivi, bisogna considerare che un senso di stanchezza può persistere per mesi o anche anni dopo la fine delle terapie.
Delirio
Disturbo della coscienza e dell’attenzione, cambiamento nel livello cognitivo (disorientamento, disturbo della memoria recente, disturbi del linguaggio) e/o disturbo di percezione. Può presentarsi anche con disturbi del sonno, disinteresse e ipersensibilità all’ambiente circostante. Valutazione dello stato di coscienza e di eventuali alterazioni cognitive: esordio acuto ed andamento fluttuante. Può essere reversibile, di tipo ipo-attivo o iper-attivo.
Diarrea (non correlata alla chemioterapia)
– Farmaci (lassativi, antibiotici, antiacidi, antidepressivi SSRI). Malattie concomitanti (colon irritabile, malattie infiammatorie dell’intestino);
– Malassorbimento (neoplasie del pancreas, ostruzioni biliari, fistole, sindrome dell’intestino corto);
– Ostruzione intestinale (fecalomi, carcinosi peritoneale);
– Infezioni;
– Tumori neuroendocrini;
– Sindromi paraneoplastiche (epatocarcinoma, microcitoma, timoma);
– Enterite cronica post-attinica;
– Nutrizione enterale.
Dispnea
– Tumore primitivo o metastatico;
– Versamento pleurico;
– Anemia;
– Infezioni polmonari;
– Embolia polmonare;
– Polmonite attinica;
– Ascite;
– Farmaci;
– Malattie cardiache e respiratorie riacutizzate o di recente insorgenza.
Dolore
– Dolore correlato al cancro (60-80%):
• infiltrazione, distensione e compressione di strutture somatiche, viscerali nervose e vascolari;
• sindromi paraneoplastiche.
– Dolore correlato al trattamento (10-30%):
• effetto chimico;
• effetto fisico;
• effetto deafferentativo.
– Dolore indipendente dal cancro (3-10%).
Emesi (non correlata alla chemioterapia)
– Stipsi;
– Occlusione intestinale;
– Ipertensione endocranica (metastasi cerebrali, carcinosi meningea, neoplasie primitive);
– Metastasi epatiche;
– Squashed stomach sindrome;
– Ascite;
– Squilibri elettrolitici (iponatriemia, ipercalcemia, insufficienza renale);
– Farmaci;
– Sindrome vestibolare;
– Ansia.
Ipertensione endocranica
– Neoplasia primitiva o secondaria.
Malnutrizione e cachessia
– Neoplasia;
– Stadiazione;
– Localizzazione delle metastasi;
– Comorbidità;
– Trattamenti causali e di supporto (chemioterapia, radioterapia, farmaci biologici, endocrinoterapia, terapie antalgiche);
– Stato psichico del paziente.
Mucosite (non correlata alla chemioterapia)
– Candidasi orale;
– Herpes simplex;
– Presenza di patologie concomitanti (es. diabete) o famaci aggravanti (es. steroidi).
Occlusione intestinale
– Ileo meccanico;
– Ileo paralitico;
– Fecalomi;
– Ostruzioni localizzate;
– Alterazioni idroelettrolitiche;
– Utilizzo di farmaci che riducono la peristalsi (es. anticolinergici, oppioidi, anti 5HT3).
Prurito
– Dermatosi;
– Insufficienza renale,
– Insufficienza epatica;
– Anemia;
– Deficit di ferro;
– Disidratazione;
– Diabete;
– Uso di oppioidi;
– Malattie psichiatriche;
– Sindrome paraneoplastica;
– Reazione a farmaci;
– Colestasi da fenotiazine.
Singhiozzo
– Distensione gastrica;
– Reflusso gastro-esofageo;
– Irritazione del diaframma o del nervo frenico;
– Tumori del SNC;
– Ipocalcemia;
– Iperuricemia;
– Ipocapnia;
– Insufficienza renale;
– Farmaci, e in particolare Benzodiazepine (Midazolam, Lormetazepam e Lorazepam) e steroidi (Desametasone e Metilpredinisolone), ma anche barbiturici (Methohexital), progestinici, antibiotici (Azitromicina), fenotiazine (Perfenazina), oppioidi e alcol.
Stipsi
– Farmaci (oppioidi, benzodiazepine, neurolettici, antistaminici, chemioterapici, AEDS, etc…);
– Patologie concomitanti (insufficienza renale, insufficienza epatica, metastasi cerebrali, ipossia, disidratazione, etc…).
Sudorazione
– Alterazioni del sistema nervoso vegetativo;
– Febbre;
– Farmaci (oppioidi, tamoxifene, steroidi, tumori neuroendocrini, etc…).
Tosse
– Neoplasia;
– Flogosi;
– Asma/broncospasmo;
– Fistola esofago/tracheale;
– Terapia con ACE inibitori.
Xerostomia
– Patologie concomitanti;
– Disidratazione,
– Farmaci (oppioidi e/o anticolinergici);
– Chemioterapia; radioterapia;
– Chirurgia.
Infezioni apparato urogenitale
– Vaginiti e vulviti acute e croniche;
– HPV ed Herpes genitale (HSV 2);
– Dispareunia;
– Atrofia o distrofia vulvovaginale;
– Cistiti acute e croniche con urinocolture positive o negative, emorragiche, resistenti ai farmaci, post-operatorie, pazienti lungodegenti con catetere a dimora;
– Cistiti interstiziali;
– Prostatiti;
– Uretriti.
Lesioni Necrotico Gangrenose – Piaghe da decubito
Negli ultimi anni le conoscenze sulla fisiopatologia delle piaghe da decubito hanno fatto notevoli progressi: moltissimi sono i farmaci e i presidi tecnici per i pazienti a rischio o già piagati.
I malati in fase avanzata di malattia o di terminalità sono pazienti ad alto rischio infettivo, per la riduzione delle difese immunitarie, con estremo rallentamento della riparazione tissutale per carenza di substrati principali. Iponutrizione e disidratazione dominano un quadro clinico in cui il dolore e la sofferenza psichica la fanno da padroni.
Su queste basi si sviluppa il concetto di “cura palliativa della piaga”: prevenzione della colonizzazione batterica locale e della sepsi, attenuazione della sintomatologia dolorosa.
La mobilizzazione come intervento primario nella prevenzione e trattamento delle lesioni da pressione, diviene nel paziente terminale, un atto strettamente dipendente dalla sua compliance, in relazione al dolore dovuto alla patologia di base.
La medicazione locale viene eseguita scegliendo un antisettico a lento rilascio affinché possa rimanere in sede di lesione più tempo possibile, evitando il dolore da medicazione. In casi estremi e nelle ultime fasi della vita, la medicazione locale viene quasi completamente evitata.
L’antibioticoterapia, praticata esclusivamente per via sistemica, rappresenta un utile supporto, in termini di prevenzione, dello shock settico, evento tutt’altro che raro e che conduce rapidamente ad un decesso, cosa che certamente non rispetta quei parametri di dignità assunti come fondamento nell’approccio al malato terminale.
L’Ozono
L’Ozono è un gas fortemente instabile ha tre atomi di Ossigeno legati tra loro invece dei due classici dell’Ossigeno, dal caratteristico odore pungente; a basse concentrazioni è percepito come odore simile al fieno o al trifoglio appena tagliati mentre diventa agliaceo ed acido a concentrazioni maggiori.
In natura nella troposfera può formarsi Ozono durante i temporali per effetto delle scariche elettriche sull’Ossigeno.
Per uso medico la miscela di Ossigeno-Ozono viene prodotta da una apposita apparecchiatura costituita da tubi di ozonizzazione, Tubi di Siemens, di vetro in cui viene fatto fluire Ossigeno medicale erogato da una bombola. Grazie ad un trasformatore ad alta tensione collegato ai tubi, si forma Ozono. L’Ozono (O3) prodotto viene quindi miscelato con Ossigeno (O2) alla concentrazione desiderata; un distruttore catalitico consente di ritrasformare l’Ozono in eccesso in Ossigeno.
L’esperienza dimostra che non esiste una dose sicura ed efficace per tutti i pazienti in quanto vi è una significativa variabilità individuale: è verosimile che l’Ozono debba raggiungere una soglia d’attivazione per esplicare in modo multifattoriale la sua potente azione farmacologica (decontratturante muscolare, trofica, antalgica ed antinfiammatoria).
Per uso medico vengono utilizzate microdosi di Ossigeno-Ozono a basse concentrazioni; ad esempio nell’Ozonoterapia con tecnica intramuscolo (iniezioni bilaterali/simmetriche paravertebrali) lombare e sacrale è eseguita l’iniezione miscela O2-O3 (Ossigeno-Ozono) nella quantità di 5/8 ml per sito (in genere 6 o 4 siti) alla concentrazione 10/20 µg/ml.
L’Ozono è un vero e proprio farmaco con tutte le limitazioni dei farmaci: micro-dosi di miscela di Ossigeno-Ozono con iniezione lenta ed in sicurezza (adeguata asepsi, tecnica rigorosa), consentono di contenere gli effetti avversi con minimo rischio di complicanze e buona efficacia terapeutica.
Ad alte dosi l’Ozono è tossico per l’apparato respiratorio, inoltre può indurre formazione di radicali liberi (azione ossidante Ozono) tossici per le cellule; alle dosi terapeutiche in ambito medico i meccanismi di protezione anti-ossidativa sono più che sufficienti a controllare la produzione di radicali liberi, neutralizzandone l’azione nociva.
L’Ozono in medicina
L’azione farmacologica dell’Ozonoterapia si esplica in maniera multifattoriale:
– Decontratturante: migliore ossigenazione dei muscoli;
– Eutrofica: stimolazione di processi riparativi tissutali;
– Antiflogistica: risoluzione infiammazione con riduzione sintesi prostaglandine;
– Antalgica: diffusione miscela gassosa di Ossigeno-Ozono attraverso le strutture anatomiche responsabili del dolore;
– Neoangiogenetica: aumento della ossigenazione con miglioramento trasporto e cessione di Ossigeno a livello tissutale;
– Riflessoterapica: “agopuntura chimica” capace di interrompere la catena del dolore cronico attraverso meccanismi antalgici di tipo antinocicettivo e neuropatico;
– Attivante la circolazione sanguigna;
– Immunomodulante;
– Controlla lo stress ossidativo.
Da un punto di vista clinico la terapia con ossigeno ozono viene applicata in diversi condizioni cliniche.
– Patologie dolorose di natura somatica e neuropatica:
• Patologie meccano-compressive del rachide (es. ernie discali con o senza radicolopatia, stenosi del canale, sindrome delle faccette articolari);
• Artropatie degenerative artrosiche e/o infiammatorie;
• Entesopatie inserzionali da sovraccarico e/o dismetaboliche;
• Radicolopatie generative e/o compressive.
– Patologie dismetaboliche da deficit del microcircolo:
• Arteriopatie periferiche;
• Insufficienza venosa cronica;
• Ulcere e lesioni trofiche;
• Varici,
• Lipodistrofia e adiposità localizzata;
• Cefalea a grappolo;
• Maculopatia degeneratica.
– Patologie autoimmunitarie:
• Connettiviti:
• Indifferenziate
• LES
• Sclerodermia;
• Vasculiti;
• Poliartriti:
• Primarie: Artrite Reumatoide, Artropatia Psoriasica;
• Reattive: Spondilartriti Indifferenziate e/o associate alle patologie sistemiche (es. intestinali: rettocoliti, M. di Crohn).
– Patologie infettive:
• Virali:
• Epatite (A,B,C); Herpes simplex, zoster, labiale, genitale ricorrente; cytomegalovirus; papilloma virus;
• Batteriche:
• Stafilococco;
• Micotiche:
• Micosi fungoide.
– Patologie degenerative/involutive sistemiche:
• Sindrome da stanchezza cronica;
• Sindrome fibromialgica primaria;
• Vasculopatia cerebrale;
• Demenza senile.
Le vie di somministrazione
L’ozono è un gas instabile che si decompone facilmente ad una velocità che dipende dalla temperatura (a 25° C si degrada il 60% circa in 1 ora).
Somministrazione locale
Mediante applicazione di una campana di vetro o di un sacchetto di plastica reso opportunamente stagno, in cui viene fatto fluire l’O2-O3.
Questa metodica è utilizzata soprattutto in presenza di
– Ulcere da stasi venosa;
– Ulcere vasculiti arteriose;
– Piaghe da decubito;
– Lesioni trofiche mucosali, infiammatorie, post infettive (ginecologiche/anali).
Somministrazioni sistemiche
– Via intramuscolare
Questa tecnica viene prevalentemente utilizzata nel trattamento dell’ernia del disco e dei “conflitti disco-radicolari” in genere. L’infiltrazione viene effettuata nella muscolatura paravertebrale (cioè ai lati delle vertebre), circa 2 cm al lato delle spinose (sporgenze ossee posteriori delle vertebre), in corrispondenza della radice nervosa sofferente. La tecnica intramuscolare può essere anche associata a quella sottocutanea.
– Via sottocutanea
Via intradiscale viene effettuata sotto guida ecografica per le patologie discali.
– Via intrarticolare e peritendinea
– Via infusionale rettale
L’insufflazione rettale con miscela gassosa di ossigeno e ozono è uno dei trattamenti più importanti per numerosi problemi di salute. Molte autorità sanitarie, sono ormai convinte, che le malattie cominciano dal colon e che per essere in ottima salute l’intestino deve funzionare normalmente. La stipsi è uno dei motivi principali per cui le persone si sottopongono a questa forma di trattamento. Tutti coloro che soffrono di flatulenza, distensione addominale, meteorismo, mal di stomaco, colite, oltre, naturalmente ad altre patologie extra-intestinali, come cefalea, artrite, disturbi della pelle (acne, psoriasi, eczema ) ed altro.
Un altro gruppo di pazienti che può trarre beneficio dall’insufflazione rettale di ozono è quello dei pazienti affetti da tumore. È noto infatti, che questi soggetti hanno grandi problemi nella scomposizione e nell’assimilazione delle proteine, ma possono avere anche notevoli deficienze di vitamine, minerali e acidi grassi essenziali. La mucosa rettale beneficia notevolmente delle proprietà evidenziate, a cui si associa la notevole azione antisettica che garantisce una bonifica immediata della flora anaerobia e favorisce lo sviluppo della flora aerobia.
Ne beneficiano patologie infiammatorie acute e croniche dell’intestino crasso: Rettocolite ulcerosa; Morbo di Crohn; Diverticolosi/ite; Stipsi cronica; Iperammoniemia da cirrosi epatica scompensata. Inoltre, il drenaggio del sangue refluo dall’intestino attraverso i vasi mesenterici, garantisce un immediato trasporto dell’ozono legato ai globuli rossi, attraverso le vie portali al fegato, con notevole indicazione in: Patologie acute e croniche del fegato; Cirrosi epatica compensata e non.
Nelle insufflazioni rettali e vaginali, la quantità e la concentrazione del gas varieranno in funzione della patologia da trattare (via vaginale nei casi di vaginiti, via rettale nelle candidosi intestinali…).
– PAEI (Piccola Autoemo Infusione)
Prelievo di sangue con una siringa (circa 10 cc) in cui è presente una miscela di O2-O3; dopo aver agitato per circa 20 secondi, la soluzione viene iniettata per via intramuscolare.
– GAE (Autoemoinfusione)
Il sangue viene prelevato dal paziente (150-200 ml) e raccolto in un dispositivo medico certificato e destinato all’uso per autoemoterapia, viene quindi trattato con 150-200 ml di una miscela Ossigeno-Ozono e, dopo 10’ di dolce omogeneizzazione, viene re-infuso al paziente. L’ozono entro pochissimi minuti va incontro a una rapida trasformazione che porta alla produzione degli stessi composti di degradazione di molte reazioni metaboliche dell’organismo.
Questi composti vengono successivamente, rapidamente degradati dai vari sistemi antiossidanti fisiologici. Il forte stimolo dato dall’ozono causa una iper-attivazione di questi sistemi antiossidanti che aumentano così la loro efficacia anche nei confronti di tutti i radicali liberi dell’ossigeno che, in particolare, sono molto concentrati nelle prossimità delle piaghe e delle ulcere.
L’ozono presenta anche le seguenti azioni biochimiche:
– stimola la produzione di ossido nitrico delle pareti delle arterie e delle vene. Questa sostanza ha una marcata azione vaso-dilatante a livello capillare, favorendo l’ossigenazione dei tessuti ischemici;
– stimola la liberazione da parte delle piastrine di una serie di sostanze coinvolte nella produzione di tessuto di riparazione delle ferite;
– stimola la liberazione di fattori che favoriscono la crescita dei capillari, fase fondamentale nella rigenerazione dei tessuti;
– aumentando il 2-3 DPG favorisce la cessione di ossigeno da parte dell’emoglobina ai tessuti.
Tutte queste azioni favoriscono la crescita del tessuto nelle regioni sede di ulcere croniche, presenti anche da anni.
I risultati più clamorosi con questo tipo di terapia sono stati ottenuti in tutte le situazioni di: arteriopatie croniche ostruttive periferiche, piaghe ed ulcere da decubito sia in pazienti sani sia in pazienti affetti da patologie sistemiche.
Non vi sono controindicazioni in caso di insufficienza respiratoria o cardiaca, anzi il benefico effetto sull’ossigenazione tissutale può avere dei benefici anche su queste patologie.
È fondamentale sottolineare comunque che la grande autoemoterapia ozonizzata non è sostitutiva delle terapie mediche/chirurgiche già praticate, ma rappresenta un valido supporto integrativo e migliorativo.
L’indicazione principe della grande autoemoterapia si ha quando il danno è localizzato a livello del circolo capillare e quando non è possibile intervenire con altre tecniche.
Effetti biologici:
– Aumenta la produzione di energia incrementando il catabolismo degli acidi grassi;
– Regolarizza il ritmo cardiaco e la pressione arteriosa;
– Accelera la glicolisi;
– Aumenta la deformabilità dei globuli rossi e quindi facilita il loro passaggio all’interno dei piccoli capillari;
– Riduce la viscosità del sangue;
– Attiva la circolazione;
– Riduce i radicali liberi;
– Riduce la Ves;
– Riduce la Pcr;
– Aumenta la produzione di 2,3 DPG e, di conseguenza, la cessione di ossigeno ai tessuti da parte dell’emoglobina;
– Potenzia il sistema antiossidante mitocondriale;
– Attiva enzimi antiossidanti (catalasi, superossido dismutasi, glutatione);
– Riduce la produzione di TNF alfa (tumor necrosis factor);
– Riduce gli immunocomplessi circolanti nelle patologie autoimmunitarie;
– Azione battericida, fungicida e virustatica;
– Azione immunomodulante su linfociti e monociti;
– Azione analgesico-antiinfiammatoria;
– Azione rivitalizzante: miglioramento funzionale degli organi, azione antidepressiva, miglioramento delle quote di energia spendibile. Ossigenazione cellulare, riequilibrio ormonale, riduzione dei radicali liberi e prevenzione dell’invecchiamento;
– Azione rigenerante: si manifesta attraverso l’inversione della tendenza al catabolismo, nell’anziano, in anabolismo cellulare;
– Azione disintossicante: migliorando la funzionalità degli organi emuntori (reni, fegato, ecc.), favorisce l’eliminazione delle sostanza tossiche;
Controindicazioni
Favismo; ipertiroidismo; gravidanza.
Per quali patologie è utile:
– Reumatologia: Artrite Reumatoide; reumatismi articolari; malattie autoimmunitarie (AR, s. Sjogren, les, sclerodermia);
– Ortopedia: Osteoporosi, fibromialgia, artrosi;
– Oculistica: Maculopatia retinica (diabetica, ischemica, degenerativa senile), disturbi della vista; distacco retinico;
– Geriatria: Demenze, disturbi della senilità, morbo di Parkinson;
– Neurologia: Depressione, cefalea vasomotoria e a grappolo, patologie neuro-vascolari; sclerosi a placche;
– Dermatologia: Acne, foruncolosi, micosi, alopecia, herpes, psoriasi; afte;
– Medicina interna: Epatite virale, diabete mellito, stati dismetabolici; allergie; intolleranze alimentari;
– Angiologia: Arteriopatie, ulcere cutanee, arteriosclerosi, insufficienza venosa; morbo di Raynaud; morbo di Burger
Fine Parte 1 (La Parte 2 del presente lavoro, sarà pubblicato nel prossimo numero di Medic@live Magazine)