I meccanismi celebrali dei comportamenti altruistici selettivi
Ricerche molto recenti su modelli animali gettano luce sulle regioni del cervello che promuovono i comportamenti altruistici d’aiuto nei confronti di chi consideriamo “simili” a noi ma non verso chi riteniamo appartenenti ad un diverso gruppo sociale. Italian abstract La letteratura sta identificando alcuni specifici meccanismi attraverso i quali i comportamenti altruistici avvengono in maniera selettiva nei confronti del legame sociale e del senso di appartenenza (concetto di in-group) percepito rispetto conspecifici nel contesto in cui questi ultimi richiedono di essere supportati. Questi fattori possono essere più significativi dell’empatia provata dal soggetto che esprime il comportamento d’aiuto quindi i dati emersi recentemente sono particolarmente interessanti da considerare in funzione di promuovere maggiori comportamenti pro-sociali. English abstract Scientific literature is identifying some specific mechanisms through which altruistic behaviors occur selectively towards the social bond and sense of belonging (in-group concept) perceived concerning conspecificsin a context in which they require to be supported. These factors may be more significant than the empathy felt by the subject expressing the helping behavior, so the recently emerged data are particularly interesting to consider in order to promote greater prosocial behaviors. Autore Dott. Massimo Agnoletti – Psicologo, Dottore di ricerca esperto di Stress, Psicologia Positiva e Epigenetica. Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto, Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE). Un recente studio ha individuato nei topi le aree del cervello coinvolte nell’attuazione di comportamenti altruistici pro-sociali selettivi (cioè solo verso coloro che venivano percepiti come appartenenti allo stesso gruppo sociale) nei confronti di loro conspecifici che si trovavano nel contesto in cui questi ultimi avevano bisogno di aiuto. Questo meccanismo neurale che alcuni ricercatori definiscono “biasin-group” o “pregiudizio in-group” relativo la prosocialità deve ancora essere individuato nella specie umana anche se è del tutto probabile che sia una architettura condivisa da tutti i mammiferi, specie umana compresa. Già altre ricerche avevano in passato evidenziato il ruolo selettivo dei comportamenti altruistici prosociali in diversi modelli animali e nella specie umana (Olff et al., 2013) ma, a mio avviso, due studi in particolare hanno recentemente impreziosito di dettagli questa complessa dinamica sociale. Entrambi gli studi hanno evidenziato quanto il concetto riduzionistico relativo l’ossitocina quale ormone che promuove una prosocialità “tout court” (l’ossitocina come “ormone dell’amore”) sia profondamente errato quanto irrealistico se non potenzialmente pericoloso. Il primo studio, condotto dal prof. Carsten De Dreu e la sua equipe e pubblicato sulla rivista Science, ha infatti provato che, all’interno di un contesto in cui dovevano effettuare scelte finanziarie, le persone che assumevano ossitocina registravano un aumento dei comportamenti altruistici ma solo nei confronti degli altri membri del proprio gruppo di appartenenza sociale in-group mentre contemporaneamente veniva promosso un “atteggiamento difensivo” verso il gruppo considerato “esterno” out-group (De Dreu et al., 2010). Il secondo studio dal titolo, esplicito quanto provocatorio “Oxytocin promotes human ethnocentrism” (“L’ossitocina promuove l’etnocentrismo”) pubblicato dalla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (De Dreu et al., 2011) rappresenta, per la sua metodologia, ricchezza di informazioni ed implicazioni pratiche, una ricerca particolarmente illuminante molte dinamiche psicosociali umane. In questo studio sono stati pubblicati i risultati di cinque esperimenti dove volontari maschi olandesi, che avevano assunto ossitocina (o, in alternativa, un placebo per esigenze metodologiche), dovevano effettuare delle scelte morali (virtuali ma estreme) relativamente altre persone che corrispondevano a due gruppi: quello di appartenenza olandese, cioè l’in-group e l’altro di cui nutrivano un pregiudizio negativo tedeschi e musulmani, cioè l’out-group. Risulta importante far notare che sondaggi abbastanza recenti condotti nei Paesi Bassi hanno fatto emergere che circa metà della popolazione ha dichiarato di aver pregiudizi nei confronti dei musulmani e dei tedeschi. In seguito all’assunzione di ossitocina il processo decisionale relativo le scelte morali estreme dei soggetti olandesi (in cui dovevano decidere chi doveva morire tra una persona dell’in-group o, in alternativa, una persona dell’out-group) sacrificavano più facilmente tedeschi e musulmani rispetto gli olandesi. Il terzo studio che voglio discutere qui aggiunge un livello di analisi ulteriore particolarmente importante riguardo i meccanismi neurali di questa dinamica pro-sociale selettiva che, con tutta probabilità, ciascuno di noi possiede. La ricerca molto recente alla quale faccio riferimento ha individuato nei ratti le regioni del cervello coinvolte nel dare la priorità ai propri consimili che si trovano in difficoltà suggerendo che una logica simile relativa questo “bias neurale” può essere condivisa anche negli esseri umani (Ben-Ami Bartal et al., 2021). In questo studio i ratti hanno dimostrato di essere selettivi nei comportamenti altruistici aiutando i loro con specifici appartenenti al loro gruppo in-group percepito ma non i ratti di un gruppo considerato estraneo out-group, nel compito di liberarli da un dispositivo che li intrappolava. I ratti oggetto dell’indagine avevano naturalmente appreso perfettamente in precedenza la modalità attraverso la quale erano in grado di “liberare” i loro conspecifici dal dispositivo. Attraverso una metodologia molto sofisticata quale la quantificazione del gene c-Fos, il gruppo di ricerca capitanato dalla professoressa Ben-Ami Bartal ha identificato una rete neurale attiva in tutti i ratti oggetto dello studio indipendentemente dal gruppo di appartenenza percepita nei confronti dei ratti richiedenti aiuto. Questa rete neurale attiva condivisa dai topi che si trovavano nella situazione di poter aiutare un loro conspecifico, a prescindere dal gruppo di appartenenza dei topi potenzialmente assistiti, include la corteccia frontale e la corteccia insulare. Le aree del cervello attive esclusivamente nei confronti dei topolini che venivano percepiti come appartenenti allo stesso gruppo in-group erano invece il nucleo accumbens e lo striato. L’effettivo comportamento proso-ciale che si esprimeva nel “liberare” i topi conspecifici dal dispositivo che li stava intrappolando avveniva quando queste ultime aree cerebrali erano attive in combinazione con quelle precedentemente menzionate, attive invece a prescindere dalla percezione del gruppo di appartenenza del topo “assistito”. L’imaging microendoscopico in vivo del calcio ha evidenziato come l’attività del nucleo accumbens fosse maggiormente intensa quando i ratti si avvicinavano a un membro conspecifico in-group intrappolato che necessitava quindi di essere aiutato. Le aree cerebrali identificate nello studio dimostrano che le reti neurali della motivazione e della ricompensa sono connesse con il comportamento effettivo di
Medici no-vax e sospensione dall’attività lavorativa. La sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia
In un precedente contributo si è avuto modo di affrontare le prime questioni afferenti l’obbligatorietà della vaccinazione anti COVID-19, prevista e disciplinata dall’art. 4 del Decreto Legge n. 44/2021 per tutte le professioni e gli operatori del comparto sanitario e ciò, naturalmente, per la variegata compresenza di valori etici e giuridici, diffusamente (e sovente con argomentazioni affatto estranee al diritto) presente in tutti i settori della comunicazione. Autore Avv. Angelo Russo – Avvocato Cassazionista, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario, Catania. Non sarebbe stato difficile prevedere, peraltro, che i Tribunali si sarebbero trovati, ben presto, ad affrontare la problematica sollevata dai ricorsi con i quali, a vario titolo, settori del comparto sanitario avrebbero contestato la legittimità delle previsioni normative circa la vaccinazione. Ad un primo esame, la risposta della Magistratura Amministrativa (pur con i dovuti distinguo) sembra, pressoché univocamente, indirizzata nel ritenere la legittimità dei provvedimenti delle strutture sanitarie che hanno ordinato l’allontanamento dal luogo di lavoro e la sospensione della retribuzione per il personale privo del requisito essenziale per la prestazione dell’attività lavorativa rappresentato dalla mancata accettazione a sottoporsi alla vaccinazione Covid 19. Con la recentissima sentenza n. 261 del 10.9.2021 il T.A.R. Trieste (Friuli-Venezia Giulia) si è occupato, funditus, della questione. Per quanto attiene ai profili tecnico-scientifici delle censure (vale a dire le generali considerazioni sulla sicurezza e sull’efficacia dei vaccini contro il SARS-CoV-2), il Tribunale rileva che “non si può prendere in considerazione l’alluvionale quantità di documenti, della più varia natura, provenienza ed attendibilità (che spaziano da interviste ed opinioni di esperti, ad articoli di stampa ufficiale e non, fino a studi scientifici di decine e decine di pagine), depositati dalla ricorrente. Nell’ambito di una disciplina caratterizzata, per il suo stesso statuto epistemologico, da un ineliminabile margine di incertezza, il giudice non può essere chiamato a “pesare” e valutare ogni singola opinione o fonte informativa, né avrebbe il potere e la competenza per farlo, ma deve fondare il proprio convincimento sulle informazioni ufficiali, veicolate dalle competenti autorità pubbliche, nello specifico l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS).” Con la sottoposizione alla vaccinazione di gran parte della popolazione nazionale (39.072.107 persone, pari al 72,34% della popolazione di età superiore ai 12 anni, alla data dell’8.9.2021) – prosegue il Tar – nonché grazie alla diffusione capillare degli strumenti diagnostici “si è resa disponibile un’enorme mole di dati ed evidenze statistiche. Il livello di conoscenze acquisite quanto ai profili di efficacia e sicurezza dei vaccini contro il SARS-CoV-2 rende dunque la presente vicenda per nulla sovrapponibile a quella relativa all’uso terapeutico dell’idrossiclorochina (Cons. Stato, sez. III, 11 dicembre 2020, n. 7097), nell’ambito della quale il giudice, in un contesto di grande incertezza scientifica, aveva ritenuto non potersi applicare rigidamente i principi propri dell’evidence based medicine.” Con il primo motivo di ricorso, invero, si censura la disposizione applicata “sotto il profilo della carenza di oggetto e dell’impossibilità di raggiungimento dello scopo e ciò in quanto non potrebbe contestarsi una “inosservanza dell’obbligo vaccinale” (art. 4, comma 6 del d.l. 44 del 2001) in mancanza di sostanze propriamente efficaci contro l’infezione da SARS-CoV-2 e quindi idonee al perseguimento dello scopo sotteso all’obbligo. Di conseguenza, sarebbe impossibile rinvenire un interesse superindividuale e pubblicistico a supporto della misura legislativa.” Per il Giudice Amministrativo “è errato il presupposto fattuale di entrambi gli argomenti, cioè quello secondo cui i prodotti in uso nella campagna di vaccinazione sarebbero inefficaci nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, ma agirebbero solo sui relativi sintomi (quindi in chiave di prevenzione della malattia). Evidenze opposte emergono, infatti, dall’ultimo bollettino sull’andamento dell’epidemia prodotto dall’ISS, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, istituzionalmente investito – tra le altre – delle funzioni di ricerca e controllo in materia di salute pubblica (art. 1 del relativo Statuto, approvato con D.M. 24.10.2014).”. Il documento cui si fa riferimento è liberamente consultabile online presso il sito internet dell’ente (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_1-settembre-2021.pdf) e considera i dati relativi a tutti i casi di infezione da virus SARS-CoV-2 registrati nel periodo 4 aprile – 31 agosto 2021, confermati tramite positività ai test molecolari e antigenici. Esso conclude riconoscendo che “l’efficacia complessiva della vaccinazione incompleta nel prevenire l’infezione è pari al 63,2% (95%IC: 62,8%-63,5%), mentre quella della vaccinazione completa è pari al 78,1% (95%IC: 77,9%-78,3%). Questo risultato indica che nel gruppo dei vaccinati con ciclo completo il rischio di contrarre l’infezione si riduce del 78% rispetto a quello tra i non vaccinati“. Può affermarsi dunque – rileva il Tar – “con l’evidenza dei dati statistici, che la vaccinazione ha efficacia preventiva, oltre che dei sintomi della malattia, anche della trasmissione dell’infezione”, sottolineandosi, peraltro, che “il ragionamento della ricorrente non sarebbe comunque condivisibile laddove afferma che un’eventuale efficacia preventiva della sola malattia confinerebbe la scelta vaccinale del sanitario in una dimensione strettamente individuale e quindi in nessun modo coercibile.” L’interesse a prevenire lo sviluppo della malattia da Covid-19 in capo agli operatori sanitari, nel contesto dell’emergenza pandemica, assume – secondo il Giudice – un’indubbia valenza pubblicistica, giacché garantisce la continuità delle loro prestazioni professionali e, quindi, l’efficienza del servizio fondamentale cui presiedono e, sotto altro profilo, “è di valenza pubblicistica anche l’interesse a mitigare l’impatto sul SSN – in termini, soprattutto, di ricoveri e occupazione delle terapie intensive – che potrebbe comportare l’incontrollata diffusione della malattia da Covid-19 in capo a soggetti naturalmente esposti, in misura maggiore rispetto alla media, al rischio di contagio e che costituiscono un insieme numericamente considerevole della popolazione nazionale (dai dati ISTAT 2019 si contano nel nostro paese 241.945 medici, tra generici e specialisti, 51 954 odontoiatri, 17.253 ostetriche, 367.684 infermieri, 75.000 farmacisti, senza contare OSS, dipendenti di RSA e altri operatori di interesse sanitario).” Del pari privo di fondamento è il secondo motivo di ricorso col quale si afferma che “l’obbligo sancito dall’art. 4 del d.l. 44 del 2021, avendo ad oggetto un trattamento sanitario sperimentale, contrasterebbe con la Costituzione e con una serie di norme di fonte sovranazionale che tutelano la dignità umana e il diritto ad esprimere un consenso informato.” Anche in questo caso è
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