Dr. Roberto Urso
Dirigente Medico U.O. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Maggiore – Bologna
Il concetto di “Damage Control”, sviluppatosi inizialmente in ambito militare Nord Americano per contrastare i danni riportati da mezzi navali e truppe corazzate sui luoghi di scontri bellici, ha avuto la sua successiva evoluzione in campo medico-chirurgico.
Per i militari americani il concetto su cui si basa il Damage Control è quello di limitare i danni sul mezzo danneggiato, organizzare in un tempo minimo la strategia per il recupero del mezzo, tamponare la situazione di criticità e rientrare alla base per riparare immediatamente il danno.
Nel settore medico-chirurgico militare, l’applicazione di tale concetto è stato esteso anche ai danni riportati dalle truppe e in seguito, ulteriormente esportata per intervenire con emergenza-urgenza in occasione di quei gravi danni traumatologici a cui assistiamo giornalmente, siano essi di tipo veicolare che lavorativo o catastrofico.
Le percentuali di decesso dei traumatizzati del passato, sono oggi più basse grazie a una nuova organizzazione basata su limitazione e arginamento del danno subìto.
Il Damage Control ha cambiato radicalmente il modo di vedere e gestire il trauma, nonché la metodica interventistica, creando, nel tempo, ospedali attrezzati.
Il Damage Control in campo medico è distinto in 2 tipologie specifiche:
– chirurgico, Damage Control Surgery (DCS) viene applicato ai politraumi ad alta complessità che coinvolgono uno o più organi (detti “organi solidi”), quali milza, fegato, pancreas, reni, spesso in concomitanza con lesioni toraciche e lesioni osteo-articolari;
– ortopedico, Damage Control Orthopaedics (DCO) che interviene sulle lesioni osteo-articolari
Recenti studi e casistiche effettuate a livello mondiale ci dicono che le lesioni traumatiche gravi rappresentano la principale causa di morte nei pazienti di età inferiore a 45 anni, contando circa 5,8 milioni di decessi all’anno. La traumatologia più numerosa, quella della strada, conta 1,2 milioni di morti all’anno.
Sulla base di queste informazioni e l’elaborazione di una serie di dati, sono stati creati modelli organizzativi e gestionali per il trattamento del politraumatizzato.
Sono, quindi, nati i SIAT (Sistemi Integrati di Assistenza ai Traumi) e realizzati i TRAUMA CENTER (centro HUB), per la centralizzazione del grave traumatizzato in strutture adeguate e in grado di accogliere tali situazioni. La modifica e preparazione degli ospedali più piccoli (centri SPOKE) per la prima gestione nonché l’organizzazione per l’immediato trasferimento del paziente in un centro HUB. La velocità dei mezzi di soccorso in uso quotidiano, quale l’elicottero e l’organizzazione del Trauma Center, permettono di intervenire in tempi estremamente brevi sulle situazione più critiche.
Il team d’intervento
Il Trauma Team gestisce il paziente critico e come prima attuazione vi è la sopravvivenza del paziente. Il paziente critico con grave emorragia in corso, può dare inizio a quella concatenazione di eventi che possono portare alla morte, pertanto la prima valutazione è relativa alle lesioni al controllo dell’emorragia. Sono gli stessi rianimatori e chirurghi che definiscono universalmente la “Triade Letale”, cioè l’instaurarsi, in seguito al grave fattore emorragico, della successiva ipotermia, acidosi e coagulopatia con conseguente exitus.
La priorità è rappresentata dalla perfusione del traumatizzato e la stabilizzazione della emodinamica, ma la cura di un paziente traumatizzato con multiple lesioni agli arti, può complicare la gestione delle priorità.
L’interventistica dell’ortopedico è dipendente, spesso, dalla gestione delle lesioni interne. Il blocco dell’emorragia, sia per organi interni che per le fratture dei grossi segmenti viene eseguita nell’immediato.
La sopravvivenza è determinata dalla veloce applicazione di metodiche chirurgiche che adempiono a questa funzione.
Riconoscendo universalmente che la frattura di un grande segmento osseo quale il femore o il bacino, determina una perdita ematica grave, sia con frattura esposta che con frattura chiusa, e se nel contempo vi è una lesione interna, il chirurgo generale attua un veloce packing laparotomico in urgenza, che tampona un eventuale sanguinamento interno e l’ortopedico può, in tempi molto brevi, stabilizzare una frattura con un sistema di fissazione esterna.
L’uso della fissazione esterna nel DCO è elemento fondamentale per la stabilizzazione veloce delle fratture del politraumatizzato; sistema, questo, che si contrappone con la stabilizzazione definitiva (vedi chiodi endomidollari) riconosciuta da molti, in un recente passato, come soluzione migliore per la stabilizzazione del malato (ETC early total care).
La criticità che interviene in questa soluzione è la doppia risposta infiammatoria al trauma. Nell’immediato si potrebbe avere una SIRS, Sindrome di Risposta Infiammatoria Sistemica che, se associata a una chirurgia immediata verrebbe interpretata come un secondo insulto e provocare una seconda cumulativa risposta infiammatoria che, combinando i livelli alterati dei mediatori dell’infiammazione, porteranno al cosidetto “fallimento del sistema multi-organo”.
Nel grave trauma insorgono i mediatori primari dell’infiammazione e, fra questi, si alzano sensibilmente i valori dell’interleukina 6 e 8. Una chirurgia immediata porterebbe a un rialzo eccessivo della IL6 e IL8 determinando il fallimento multi-organo. Da qui la necessità di eseguire una stabilizzazione, cosiddetta provvisoria, in attesa che i suddetti valori rientrino in un range accettabile (il range di rientro di tali valori va dai 5 giorni in poi) e per diminuire i rischi di ulteriore danno tissutale e di sindromi compartimentali.
La stabilizzazione
La stabilizzazione della frattura inizia, in modo temporaneo, sul luogo dell’evento accidentale. Le moderne ambulanze e gli elicotteri del 118 sono dotati di stecche di immobilizzazione provvisorie per gli arti (immobilizzatore o stecco-benda), di cinture pelviche e di immobilizzatori per il rachide. Tutto questo perfettamente adatto ad un immediata temporanea stabilizzazione del malato sul luogo dell’evento traumatico.
Il trasporto avviene nel luogo di accoglienza più vicino, preferibilmente un Trauma-Center (HUB) ma, nel caso di non immediata disponibilità di tale struttura, il paziente viene deviato in un centro minore (SPOKE), ma adibito ad accogliere i politraumi e a portare le cure primarie atte alla sopravvivenza del paziente.
Eventuali veloci spostamenti dai centri Spoke ai centri Hub avvengono con l’uso dell’Eli-Soccorso.
I moderni Trauma-Center sono abilitati all’accoglienza del politrauma e a fornire tutte le metodologie sanitarie adatte per agire nell’ambito della sopravvivenza del grave politraumatizzato.
Al raggiungimento di un Centro HUB inizia il percorso clinico, laboratoristico e radiologico del paziente politraumatizzato.
Gli specialisti allertati svolgeranno le dovute valutazioni e i relativi esami strumentali e laboratoristici.
Viene stabilito l’ISS (Injury Severity Score), cioè il punteggio globale di gravità basato sugli aspetti anatomici e che classifica ogni lesione presente in una determinata regione del corpo a seconda della sua gravità relativa ad una scala ordinale. Solitamente in un politraumatizzato è sempre uguale o superiore a 15.
Nella eventualità di lesioni con danno prevalentemente ortopedico, la priorità è nella gestione delle fratture. Grandi segmenti ossei, quali femore e bacino, portano una importante anemizzazione del paziente. La valutazione clinica e radiologica deve essere rapida, per permettere ai vari operatori una rapida stabilizzazione delle fratture. Al contempo, tali fratture, vengono inquadrate come tipo e classificate. Senza mai perdere d’occhio la classificazione AO, la più universalmente conosciuta, la classificazione di Gustilo-Anderson rimane ancora la più usata nell’ambito delle fratture delle ossa lunghe, soprattutto agli arti inferiori.
Tutorizzazioni o trazioni tran-scheletriche atte a stabilizzare determinate fratture, in attesa di intervento, in queste situazioni di gravità non sono accettabili.
La stabilizzazione più veloce e immediata è la fissazione esterna, ma è solitamente, una fissazione temporanea.
La fissazione definitiva con inchiodamenti endomidollari, nelle fratture delle ossa lunghe quali il femore, tibia ed eventualmente l’omero, è l’alternativa più idonea, ma spesso non eseguita se il paziente risulta instabile dal punto di vista emodinamico.
La stabilizzazione delle fratture
Nel politrauma gli eventi di chirurgia ortopedica che possono susseguirsi sono innumerevoli:
Paziente sufficientemente stabile dal punto di vista emodinamico: stabilizzazione immediata definitiva, spesso con chiodi endomidollari a livello di femore e gamba,
Paziente con stabilità border-line: Stabilizzazione con fissazione esterna.
Paziente instabile dal punto di vista emodinamico: stabilizzazione con fissazione esterna, T-Pod provvisorio se presenti lesioni del bacino, Packing nella eventualità di lesioni interne.
Successiva definitiva stabilizzazione da valutare in periodo che varia dai 5 giorni e fino al 14° giorno, a seconda della stabilità emodinamica e alla diminuzione del valore delle interleukine. Tale periodo è quello che viene definito il “periodo finestra delle opportunità”, in cui si deciderà la definitiva stabilizzazione del paziente, cioè la conversione della fissazione esterna in una fissazione definitiva, solitamente di tipo endomidollare per le ossa lunghe e di placche per altri segmenti.
La decisione di stabilizzare definitivamente le fratture non dipende solo dal momento emodinamico, ma è legato anche ad eventuali danni dei tessuti molli. Una grave lesione tegumentaria può ulteriormente procrastinare la decisione di convertire la fissazione esterna in fissazione interna.
La stabilizzazione definitiva, attuata in concomitanza con gravi lesioni tegumentarie, ha una elevatissima probabilità di fallimento data dall’infezione secondaria che si verrebbe ad instaurare. Il periodo finestra per eseguire quella che viene chiamata “conversione”, va dai 10 ai 21 giorni circa. Ed è comunque variabile.
Nell’ambito della gestione del politraumatizzato, dopo una stabilizzazione chirurgica ortopedica provvisoria, quale la fissazione esterna, la figura dell’Anestesista-Rianimatore riveste un ruolo di importanza totale: il mantenimento dei parametri del paziente, la correzione dell’emodinamica alterata, il controllo dell’eventuale infezione che si potrebbe instaurare durante il “periodo finestra”.
In questo contesto di globalizzazione clinico-terapeutica che circonda un grave politraumatizzato vi è anche la importante presenza del terapista della riabilitazione. Non bisogna mai dimenticare che, la immobilizzazione data dall’allettamento prolungato di questi pazienti, porta ad una rigidità articolare che spesso diventa difficilmente correggibile, se non trattata. La riattivazione articolare e la terapia linfodrenante sono fondamentali.
Questi pazienti, in centri ad alta specializzazione, durante la loro permanenza nel Reparto di Rianimazione e Terapia Intensiva o nello stesso Reparto di Ortopedia ad Alta Intensità, vengono supportati, oltre che dai vari presidi quali letti antidecubito e ad inclinazioni variabili, calze graduate antitromboemboliche, anche dalle esperte mani di terapisti riabilitativi che, manualmente, stimolano la motilità degli arti meno danneggiati e/o di quelli comunque già stabilizzati. La stessa fissazione esterna temporanea permette, per la sua duttilità, di eseguire manovre al paziente altrimenti non eseguibili se condizionati da una trazione transcheletrica o da una semplice stecca.
DCO: Quale trattamento?
In questa sessione si prende in analisi la gestione di un caso clinico di grave trauma ad alta energia, scheletrico ed internistico.
Incidente stradale – trauma maggiore
Trauma cranico commotivo, trauma toracico, versamento pleurico, fratture 5°,6° e 9° costola di sinistra, frattura acetabolare destra con lussazione posteriore della testa femorale (fig.1,4,5), frattura scomposta al 3° medio della diafisi femorale destra (frattura non esposta, tipo III A secondo la classificazione di Gustilo-Anderson, fig.3), frattura gravemente comminuta della rotula destra con esposizione 3° grado e grave contaminazione (fig.2).
La tipologia del trauma porta ad eseguire nell’immediato una stabilizzazione emodinamica e chirurgica del paziente.
Danno: Emotorace massivo sinistro dato da fratture costali multiple.
Controllo: intervento in urgenza del Chirurgo toracico che interviene con drenaggio toracico. Stabilizzazione emodinamica con trasfusioni (gruppo O-subito e in base alla tempistica di analisi dei laboratori).
Immediatamente dopo, diagnostica d’urgenza, con RX dei segmenti scheletrici palesemente lesionati e TAC Encefalo + Total-Body.
Dopo esecuzione in urgenza della diagnostica, si rientra in sala operatoria e, come prima indicazione, si prepara la stabilizzazione del femore e del bacino. Tali lesioni provocano sanguinamenti elevati e il rischio di ulteriore anemizzazione. Ci si trova di fronte ad una situazione di instabilità totale, la lussazione della testa femorale destra, irriducibile, su una frattura comminuta dell’acetabolo e la frattura della diafisi femorale dallo stesso lato. Come poter ridurre una lussazione d’anca e renderla stabile quando tale lesione è instabile e allo stesso tempo non si può eseguire trazione all’arto inferiore in quanto il femore è a sua volta fratturato?
Damage Control Orthopaedics: trattamento
Step 1: Immediata e veloce stabilizzazione della frattura del femore con fissatore esterno (fig 6). La frattura, resa stabile, permette manovre di riduzione della lussazione. Ma la lussazione, purtroppo, rimane instabile.
Step 2: Come poter mantenere la centrazione della riduzione della articolazione coxo-femorale? Ricordando che la lussazione della coxo-femorale è sempre causante un danno circolatorio alla irrorazione della testa del femore, con elevazione del rischio di necrosi secondaria della stessa.
Fissatore esterno di bacino, riduzione della lussazione, mantenimento della riduzione con fissazione a ponte femore-bacino (fig.7).
Step 3: Successivo approccio chirurgico alla rotula, con detersione dei tessuti lesionati, ampio debridement chirurgico della contaminazione, ricostruzione della rotula tramite osteosintesi con cerchiaggio metallico secondo la tecnica di Weber (fig.8,9).
Nel post-chirurgico il paziente viene trasferito in Rianimazione, ove stazionerà, sotto osservazione intensiva, per 8 giorni. Nel momento in cui i parametri risulteranno rientrati nei range e gli indici di flogosi saranno normalizzati il paziente, definito “stabilizzato” dal punto di vista internistico, viene sottoposto alla “osteosintesi definitiva”.
Previa asportazione della fissazione esterna, fu eseguita osteosintesi ricostruttiva con placche, dell’acetabolo destro e osteosintesi con chiodo bloccato al femore. Avrà un decorso operatorio normale. La ripresa della mobilizzazione passiva assistita nell’arco di breve tempo. Il carico diretto all’arto inferiore destro non sarà concesso prima di 60-90 giorni, sempre in base al decorso evolutivo radiografico.
Nell’ambito della riabilitazione del ginocchio, che inizia in maniera assistita, verso la 3° settimana, si può avere la rottura dei fili di acciaio del cerchiaggio metallico. Normale evoluzione di tale ostesintesi. Se il cerchiaggio dovesse risultare fastidioso a livello del sottocute, potrà essere asportato chirurgicamente.
Nelle successive radiografie si può vedere il risultato immediato (fig.10,11) e il risultato a distanza di 2 anni, di tale trattamento (fig.12,13,14), e cioè la guarigione con callo osseo riparativo al femore, al bacino e alla rotula, che può essere definito ottimale. La testa del femore, a 24 mesi dal trauma, non mostra segni di necrosi.
Conclusioni
Il Damage Control Orthopaedics può essere definito a pieno titolo il salvataggio in urgenza del paziente. I dettami clinico-organizzativi che tale pratica ci ha fornito, derivata inizialmente dalla gestione in campo bellico, sono fondamentali e vanno applicati in maniera rigorosa, con gestione e organizzazione capillare a livello regionale. La velocità di trasferimento, diagnosi e trattamento, sempre e comunque eseguito da mani esperte del settore, porta, se assolutamente ben eseguito, a risultati decisamente confortanti.
Tutto ciò in un ambito puramente ortopedico che, nei tempi attuali, sta diventando sempre più “traumatologico”, perché la modernità, la meccanizzazione, i veloci e stressanti ritmi a cui giornalmente la civiltà del 3° millennio è sottoposta, porta ad un aumento del margine di errore umano, con conseguenze definite un tempo irreparabili ma che oggi, invece, se gestite nel modo migliore e con preparazione tecnica e chirurgica corretta, hanno aumentato il cosidetto termine “a lieto fine”. La figura 18 e 19 ne sono la testimonianza pura.