Medicalive

Dott.ssa Paola Montoro e dott.ssa Sisti

I disturbi dell’alimentazione nell’autismo (asd) nel passaggio dal DSM-IV al DSM-5.

Dott.ssa Paola Montoro
Associazione Paroleincerchio
Logopedista e Counselor
Catania

 
Dott.ssa Raffaella Sisti
Logopedista – Studio di Logopedia – Associazione Paroleincerchio – Catania

 
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Una proposta di classificazione e di adeguamento della terminologia

L’autismo colpisce la competenza più preziosa che l’essere umano possiede: la capacità di comunicare con l’altro. Questa condizione ha un forte impatto, sia per la persona colpita e i suoi familiari che per le figure coinvolte nella presa in carico e nell’intervento educativo. La prima descrizione della sindrome ad opera di Leo Kanner, ricercatoreche nel 1943 parlò di una “reazione psicologica di chiusura verso il mondo esterno”, ha lasciato il posto – soprattutto nel corso degli ultimi 20 anni – a una rivisitazione di concetti e idee sulla patologia. Grazie ai contributi di operatori provenienti da diverse discipline, dai lavori pionieristici di Autori come Lorna Wing, Michael Rutter, Eric Schoplerfino alle più recenti acquisizioni di Simon Baron Cohen, hanno gradualmente costruito una nuova cultura dell’autismo, fino a giungere a una ridefinizione di nuove strategie di intervento.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) attraverso l’ICD-10, versione più aggiornata dell’International Classification of Diseases e l’Associazione degli Psichiatri Americani (APA, American PsichiatricAssociation) attraverso il DSM, manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali, definiscono l’autismo utilizzando diversa nomenclatura e differenti codici di riferimento. L’ICD-10 identifica l’Autismo infantile con il codice F84.0, mentre la denominazione adottata dal DSM con lo stesso codice 299.00 si è modificata da una versione all’altra: dal 1995 al 2000 il DSM-IV TR (Text Revision) definiva Disturbo Autistico quello che, nella più recente edizione nel 2013-14 diventa Disturbo dello Spettro dell’Autismo.
La commissione di esperti nominata dall’APA per la stesura del DSM-IV TR collocava il disturbo autistico tra i disturbi pervasivi dello sviluppo, nell’ambito dei disturbi diagnosticati nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza, nella cornice dei disturbi mentali.Tale classificazione sottolineava la cosiddetta “triade”
 
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sintomatologica, ovvero la presenza di tre gruppi di sintomi con diversi gradienti di compromissione relativi a: interazione sociale, comunicazione e repertorio di interessi.
Interazione sociale:
A. marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee, e i gesti che regolano l’interazione sociale;
B. incapacità di sviluppare interazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo;
C. mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per esempio non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse);
D. mancanza di reciprocità sociale o emotiva.
Comunicazione:
A. ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica);
B. in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;
C. uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;
D. mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo.
Repertorio di interessi:
A. dedizione assorbente a uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione;
B. sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici;
C. manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo);
D. persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti.
 
I criteri diagnostici richiedevano un esordio prima dei tre anni e la presenza di almeno sei criteri, di cui due per l’interazione sociale, uno per la comunicazione e uno per il repertorio di interessi.
Molti e sostanziali i cambiamenti nella più recente versione, il DSM-5, che possono essere sintetizzati come segue:
1) Si attua l’eliminazione delle sottocategorie diagnostiche dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo.
Non sono più presenti, infatti, le diagnosi di: Disturbo Autistico, Sindrome di Asperger, Disturbo Disintegrativo, Disturbo Pervasivo dello Sviluppo NAS; si realizza invece la loro unificazione nella definizione di “spettro autistico”.
2) Il così definito Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) viene inquadrato nell’ambito dei Disordini del Neurosviluppo.
3) Si parla di “diade” invece che di “triade”, in quanto i gruppi sintomatologici sociale e comunicativo sono riuniti in un unico criterio socio-comunicativo.
4) Si introduce per la prima volta l’aspetto sensoriale.
5) Vengono previste anche variabili qualitative, legate all’età di insorgenza, in base alle quali “i sintomi devono essere presenti nel primo periodo di sviluppo (ma possono non essere pienamente evidenti fino a quando le richieste sociali non eccedano le loro capacità deficitarie della persona, o possono essere mascherati da strategie apprese in fasi successive della vita)”.
6) Si introducono specifiche per il funzionamento intellettivo (con o senza deficit intellettivo), il funzionamento linguistico (con o senza deficit del linguaggio), l’associazione con condizione medica, genetica o ambientale conosciuta; l’associazione con altra condizione del neurosviluppo, mentale o comportamentale; l’associazione con catatonia.
 
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7) Vengono introdotte al contempo nuove categorie di diagnosi differenziale: con la sindrome di Rett, il mutismo selettivo, il disordine da movimenti stereotipati, la schizofrenia ma anche con altri disturbi del neuro sviluppo come il disturbo del linguaggio e della comunicazione sociale, la disabilità intellettiva senza autismo, il disordine da deficit di Attenzione /Iperattività (DDAI).
8) Vengono infine definiti tre livelli di gravità e di bisogno di supporto (lieve, moderato e forte) nelle due grandi aree, della comunicazione sociale e dei comportamenti ripetitivi.
Non si esagera, dunque, nell’asserire che nel DSM-5 si respira aria di grande variabilità in riferimento a:
– caratteristiche intellettive, linguistiche, mediche, di comorbidità;
 
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– età: dal bambino piccolo, al bambino in età scolare, all’adolescente, all’adulto, all’anziano;
– livelli di funzionamento e quindi necessità di supporto.
 
Nello stesso tempo si tende nella nuova edizione del DSM a una maggiore precisione nel definire i comportamenti edil profilo cognitivo, nonché ad un maggior rigore nella definizione delle caratteristiche del linguaggio:
– “la comprensione del profilo intellettivo, spesso irregolare, di un soggetto in età evolutiva o adultacon ASD è necessaria per interpretare le caratteristiche diagnostiche”;
– “sono necessarie stime separate delle abilità verbali e non verbali, usando ad esempio test non verbali, non a tempo per valutare le abilità potenziali in soggetti con linguaggio limitato”;
– “si dovrebbe valutare e descrivere il reale livello di funzionamento verbale. (..) Le due abilità di comprensione e produzione dovrebbero essere valutate separatamente”.
Si osservano infine un più approfondito riferimento alle condizioni senza deficit intellettivo e/o deficit del linguaggio e una maggiore attenzione verso la sofferenza soggettiva, ma anche all’interazione fra le caratteristiche della persona e l’ambiente.
 
In particolare in questa cornice teorica si colloca un’altra rilevante novità del DSM-5, cui si è già accennato, ovvero l’introduzione dell’aspetto sensoriale, inteso come “iper o iporeattività agli input sensoriali o interesse inusuale verso aspetti sensoriali dell’ambiente (ad esempio, apparente indifferenza al dolore/alla temperatura, risposta avversa a suoni o consistenze specifiche, eccessivo odorare o toccare degli oggetti, affascinazione visiva di luci o movimenti)”.
Le atipie del processamento sensoriale e l’iperselettività degli stimoli sono tra gli aspetti secondari o associati al Disturbo dello Spettro Autistico – divenuti negli ultimi decenni oggetto di massimo interesse da parte della ricerca e della pratica clinica,soprattutto per quanto concerne la selettività alimentare, che rappresenta uno dei comportamenti problematici di maggior incidenza e di maggior rilevanza nei soggetti affetti da questa condizione.
I disturbi alimentari nei bambini dello spettro autistico sono stati e sono oggetto di numerosi studi, che riportano in modo quasi unanime una prevalenza del 90% per questa popolazione.
Un recente studio su pazienti adulti con autismo riporta invece un rangecompreso tra il 6% e il 17% per i disturbi alimentari. Secondo Goldschmidt (2018), questi dati, in realtà, sono notevolmente influenzati dalle modalità con cui il DSM-5 ha stabilito i nuovi criteri diagnostici. Secondo il DSM, se un disordine alimentare è compresente in un disturbo mentale quale l’autismo, allora non è possibilela diagnosi di disturbo secondario tranne che in determinate circostanze, ad esempio in caso di presenza di pica, laddove i punteggi siano di grado sufficientemente severo.Le conseguenze di questa formulazione sono non indifferenti, in quanto impediscono ai ricercatori nel campo dell’autismo di determinare i tassi di prevalenza reali; a sua volta essarisulta di ostacolo alla discussione scientifica sulle modalità con cui i disturbi alimentari dovrebbero essere classificati, valutati, diagnosticati o trattati per questa e altre popolazioni con disabilità.
Non è dunque errato affermare che gli studi sull’autismo, per i succitati motivi, muovono ancora i primi passi nella comprensione di questi comportamenti. Goldschmidt (2015) osserva che gli studi sull’autismo si concentrano principalmente sull’età evolutiva, nonostante la maggior parte dei pazienti dello spettro sia in età adulta; di conseguenza, la ricerca si sta ora sempre più di frequente orientando verso studi di coorte sugli adulti, da tempo trascurati, allo scopo di fornire una comprensione più approfondita delle caratteristiche correlate allo stato di salute degli individui in età adulta, inclusi i disturbi dell’alimentazione.
Di questa autrice presentiamo un interessante contributo (2018), che prende in esame le manifestazioni dei disturbi del comportamento alimentarecon un approccio ad ampio raggio,ne presenta la classificazione in quattro tipologie di disturbo e infine propone un adeguamento della terminologia del DSM-5 ai fini della definizione dei criteri applicabili per l’ASD.
Riportiamo a seguire la suddetta classificazione, che considera manifestazioni, significatività clinica e opzioni di trattamento a oggi disponibili.
 
Classificazione in quattro categorie dei disturbi dell’alimentazione nello spettro autistico
 
1. Rigidità comportamentale. La rigidità comportamentale è una caratteristica di numerose psicopatologie,autismo incluso. Definibile come una difficoltà nel passare da un ambiente all’altro, da un’attività all’altra, oppure da una faseall’altranell’ambito della stessaattività, la rigidità comportamentale riflette spesso un deficit nell’autoregolazione.
La prima categoria di disturbi del comportamento alimentare si riferisce a questo tipo di comportamento nel contesto del cibo e del suo consumo.I comportamenti di bambini con disturbo dello
 
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spettro autistico che ricadono in questa categoria comprendono: rifiuto del cibo, craving verso il cibo e, in modo particolare, forti limitazioni nella dieta.Tali limitazioni possono essere caratterizzate sia dalla tendenza ad assumere soltanto un numero ristretto di cibi specifici che dalla tendenza ad assumere esclusivamente cibi che fanno parte di una classe particolare, ad esempio i carboidrati raffinati. Dal momento che questi comportamenti variegati non sono spinti da preoccupazioni relative né alla forma fisica né al peso, essi possono essere considerati assimilabili al cosiddetto disturbo evitante/restrittivodell’assunzione di cibo (ARFID), piuttosto che essere considerati come disordini del comportamento alimentare veri e propri.L’alimentazione ristretta nello spettro è stata più diffusamente studiata nei bambini e in età evolutiva è considerata una delle turbe legate all’alimentazione più diffuse in questa patologia. Il trattamento per la rigidità nei comportamenti alimentari si basa principalmente su tecniche comportamentiste, in particolare l’estinzione del comportamento non desiderato, in base alla qualeil cibo rifiutato viene presentato con frequenza continua fino ad arrivare alla sua accettazione. I risultati degli studi in letteratura, tuttavia, hanno mostrato che incrementare l’assunzione di cibo non desiderato ha avuto più successo in ambito terapeutico piuttosto che come mezzo per aumentare l’effettiva varietà della dieta quotidiana.
 
2. Anomalie del processamentosensoriale. La seconda categoria di disturbi del comportamento alimentare nell’autismo comprende le anomalie del processamentosensoriale a carico dell’udito, della vista, del tatto e dell’odorato. Le atipie nel funzionamento sensoriale di tutti questi sistemi con ogni probabilità contribuiscono in modo significativo alle patologie alimentari, benché in questo ambito la ricerca sia ancora scarsa. Come nella maggior parte degli studi sull’autismo, la ricerca si è concentrata sulle popolazioni in età evolutiva che in associazione alle anomalie sensoriali mostravano selettività alimentare e difficoltà nella motricità orobuccale. Solo in un piccolo studio la capacità di discriminare gusti differenti è stata valutata in individui adulti con autismo ad alto funzionamento. Benché il campione preso in esamesia risultato essere meno preciso nell’identificazione dell’amaro, del dolce e dell’aspro rispetto al controllo, nell’identificazione del salato le prestazioni erano pressoché equivalenti.
 
Uno studio sull’olfatto negli individui con ASD ha riscontrato un “possibile coinvolgimento”del deficit nei sistemi sensoriali in questi pazienti, suggerendo l’opportunità di ulteriori ricerche in questa direzione. Alcuni AA. ritengono che l’ipersensibilità tattile in età precoce possa contribuire allo sviluppo di preferenze per cibi specifici.
 
E’ possibile approfondire questa tematica in un’ottica qualitativa leggendo le autobiografie e i diari di soggetti autistici ad alto funzionamento. Stephen Shore, ad esempio, ora ricercatore e sostenitore della ricerca sull’autismo, rievoca così la sua esperienza nel corso dello sviluppo: “Non c’era verso di assumere alimenti di colore scuro, marrone o nero, poiché ero convinto che fossero velenosi. Gli asparagi in scatola, per la loro consistenza viscida, erano intollerabili, e non ho mangiato pomodori per un anno dopo che un pomodoro ciliegino mi era “scoppiato” in bocca mentre lo stavo mangiando. La stimolazione sensoriale che l’esplosione di quel piccolo ortaggio nella mia bocca aveva prodotto era troppo oltre i miei limiti di sopportazione e volevo evitare in tutti i modi che potesse verificarsi di nuovo. Ancora oggi non riesco a sopportarele carote nell’insalata verde e il sedano nell’insalata di tonno, perché è troppo forte il contrasto tra le consistenze del sedano o della carota da un lato e delle foglie di insalata o del tonno dall’altro. Le carotine e il sedano da soli, invece, mi piacciono molto. Spesso da bambino, più di quanto non mi accada ora, ero solito assumere cibi in serie, passando da un alimento all’altro nel mio piatto soltanto dopo che avevo terminato di mangiare il primo”.
 
La possibilità per i soggetti autistici adulti di raccontare e condividere le loro regole interiori ha contribuito ad una migliore comprensione di come le diverse caratteristiche di un cibo (comprese le dimensioni del boccone, la consistenza, l’aroma, il colore e la forma) possano influire sul comportamento alimentare in questi pazienti.
 
3. Comportamenti ad alto rischio per la salute. La terza categoria di disturbi del comportamento alimentare nello spettro autisticoricomprende un gruppo variegato di comportamenti
 
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che – a causa dell’alto livello di rischio correlato alla salute – richiedono una gestione complessa, con la mobilitazione di risorse consistenti e uno staff educativo di supporto. Fanno parte di questo gruppo la pica, la ruminazione e i comportamenti dirompenti nel corso dei pasti. Nonostante la gravità di questi disturbi, a oggi non sono disponibili linee guida cliniche, né per la valutazione né per il trattamento.
 
Pica. La pica, o assunzione di sostanze non nutritive, si manifesta nella popolazione come un comportamento specifico che tipicamente coinvolge una classe isolata di sostanze, ad esempio l’assunzione di argilla da parte delle donne gravide. Nei soggetti dello spettro autistico, tuttavia, questo comportamento si esprime solitamente in schemi aspecifici di consumo che tendono a incrementare le condizioni favorenti il comportamento stesso.
 
L’ingestione di sigarette viene riportata in letteratura come la pica con l’incidenza più alta in questa popolazione, nonostante i tassi di nicotina, caffeina e abuso di farmaci siano attualmente molto bassi. La tipologia di sostanze ingerite da soggetti con disabilità intellettiva o ASD è estremamente varia e include: polvere, gesso, sigarette, plastica, gommapiuma, corda, carta, graffette, elastici, vestiti o stoffa, erba, metallo, bottoni, capelli, feci, vomito, sassi, vetro, lampadine rotte, insetti, frammenti di vernice, matite, spazzatura, cosmetici, prodotti per la pulizia, aghi da cucito, catrame, guanti di vinile o di lattice, tappeti, imbottitura per poltrone o divani, deodoranti per il WC, cibo avariato, naftalina, tubi di plastica, bustine di tè, chiavi, pastelli, ramoscelli, batterie alcaline, sapone, involucri di merendine, frammenti di legno, gioielli, polistirolo, fondi di caffè, dopobarba, acqua del gabinetto, decorazioni natalizie e animali morti.
 
I tassi più alti di pica nello spettro autistico, tra il 26% e il 65% sono stati documentati in pazienti istituzionalizzati. I tassi sono significativamente più bassi nelle comunità riabilitative, strutture residenziali dove la stimolazione sociale ha un peso maggiore: i dati qui oscillano tra lo 0,2% e il 4%. Tuttavia, così tante sono le diverse metodologie usate e le definizioni di pica adottate che è difficile un’analisi accurata in questo campo.
 
Il trattamento dei pazienti con disturbo dello spettro autistico tipicamente approccia la pica o come un comportamento-problema o come una psicopatologia. I comportamenti-problema possono essere definiti come azioni anormali per la cultura di appartenenza, che possono porre l’individuo (o chi lo circonda) in una condizione di rischio, o che sono tanto dirompenti da limitare l’accesso dell’individuo stesso alla comunità di appartenenza. Nella misura in cui condizionano negativamente la qualità della vita, limitano l’autonomia e creano isolamento sociale, i comportamenti-problema sono tra gli aspetti dell’ASD più studiati e meno socialmente accettabili.
 
Gli approcci basati sull’apprendimento sono comunemente usati per il trattamento dei comportamenti-problema, e includono: l’AppliedBehaviour Analysis (analisi applicata del comportamento) o ABA, le tecniche comportamentali, i trainingdi gruppo sulle abilità sociali, i modelli di rinforzo e letoken economy.
 
La visione della pica come psicopatologia tipicamente si fonda sulle interpretazioni psicologiche dell’autismo. Benché sia difficile la diagnosi differenziale tra disturbi come ansia, depressione o persino psicosi , in una popolazione che per il 40% è non verbale, i sintomi psichiatrici sono altamente prevalenti, con tassi di comorbidità compresi tra il 36% e l’81%. Gli approcci farmacologici per il trattamento della pica prevedono l’uso di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), di frequente la fluoxetina, grazie alle sue proprietà ansiolitiche e alla sua efficacia nel disturbo ossessivo-compulsivo. Con varia efficacia, sono stati utilizzati nel trattamento anche antipsicotici ed antipsicotici atipici.
 
Se da un latola terapia medica è probabilmente la modalità di trattamento più comune per tutte le forme di comportamento-problema, soprattutto negli adulti, dall’altro sono state studiate le sue correlazioni con l’etiologia della pica stessa. Per quanto concerne le cause sottostanti alla pica, infatti, la ricerca ha riscontrato che è possibile stabilire una correlazione significativa tra farmaci psicotropi e anticonvulsivanti in individui con disabilità intellettiva che mostrano questo disturbo. Si ritiene che esista una correlazione anche tra farmaci neurolettici e pica, possibilmente dovuta al blocco dei recettori dopaminici postsinaptici, il che può comportare un peggioramento del comportamento.
 
Al di là delle varie teorie, il trattamento di elezione della pica al di fuori dell’ambito di ricerca semplicemente consiste nel mettere in sicurezza l’ambiente del paziente, rendendolo “a prova di pica”. In ambito terapeutico, ciò di solito implica l’utilizzo di un numero supplementare di operatori, al fine di prevenire la ricerca in una stanza – da parte del soggetto stesso – di possibili sostanze o oggetti a rischio e di ridurre al minimo le condizioni favorenti la pica all’interno di una comunità più ampia.
 
Ruminazione. Anche la ruminazione è descritta nei soggetti dello spettro, benché la sua prevalenza non sia del tutto chiaramente quantificabile a causa delle difficoltà di identificazione di questa condizione nelle popolazioni non verbali. I tassi della ruminazione negli individui con autismo e disabilità intellettiva vengono stimati in un range compreso tra 6% e 10%. Implicando un rischio immediato di aspirazione, la ruminazione contribuisce in modo significativo ad incrementare i tassi di mortalità, così come le problematiche a lungo termine connesse alla disidratazione, alla malnutrizione e alle emorragie gastrointestinali. A causa della natura silente di questa turba, a fronte di esiti significativi, l’identificazione della ruminazione richiede un percorso di valutazione clinica molto dettagliato.
 
Gli approcci per il trattamento della ruminazione nei soggetti dello spettro autistico si focalizzano su: alimentazione supplementare per rompere il ciclo del rigurgito, uso di stimoli preferiti ed enfasi sulla stimolazione globale aumentatao alternativa.
 
Comportamenti alimentari voraci. L’ultimo gruppo di turbe del comportamento alimentare osservate nello spettro autistico include una serie di comportamenti alimentari voraci che sono sovrapponibili al cosiddetto BingeEatingDisorder (BED), ovvero al Disturbo da Alimentazione Incontrollata.Tale disturbo è documentato negli adulti con disabilità intellettiva istituzionalizzati con tassi molto variabili, tra il 3% e il 42%; tassi molto inferiori (1% – 19%) sono riportati negli adulti che vivono nelle comunità residenziali. Esiste un numero sufficiente di testimonianze dirette, suffragate da alcuni studi, a dimostrazione dell’elevata prevalenza dei comportamenti voraci nello spettro autistico; le evidenze sono ancora più forti per i soggetti affetti da disturbi dello sviluppo intellettivo (o disabilità intellettiva secondo il DSM-5).
 
Tradizionalmente i comportamenti alimentari voraci vengono correlatiin primo luogo al rischio di aspirazione, di soffocamento e di aumento di peso per via dell’annullamento del senso di sazietà. Nei soggetti autistici, è probabile che essi contribuiscano non solo ad indigestioni, ma anche ad accentuare l’isolamento sociale già presente. Le più recenti ricerche sull’argomento documentano una correlazione tra indice di grasso corporeo elevato e comportamenti voraci, ipotizzando che la relazione sia dovuta all’insulino-resistenza.
 
Nel mettere a punto i piani di trattamento per tutte le popolazioni di pazienti che mostrano voracità nei comportamenti alimentari, la difficoltà risiede nella necessità di superare il fatto cheil cibo di scelta è di per se stesso un rinforzo.
 
Così, minore è il tempo in cui un soggetto assume un cibo, più in fretta avviene l’ingestione, e in questo modo si modella il comportamento vorace. Le strategie utilizzate per il trattamento nei pazienti dello spettro spesso prevedono il coinvolgimento di operatori di supporto, al fine di ottenere una riduzione della velocità di assunzione dei bocconi. Altre strategie di recente concezione, più innovative, hanno introdotto ausili tecnologici come l’uso di avvisatori elettrici a sistema vibrante per fissare intervalli regolari e prefissati per l’ingestione. Questo approccio è risultato efficace per la diminuzione della velocità di ingestione nei pazienti teenagerdello spettro, e indiversi studi di caso negli adolescenti, ma attualmente non è molto usato.
 
Il comportamento alimentare vorace,così come si manifesta nel BED, ovvero nel disturbo da alimentazione incontrollata, è stato per la prima volta incluso nel DSM-5, e ora rappresenta la turba del comportamento alimentare più diffusa negli Stati Uniti. Ai fini della diagnosi clinica, il BED è considerato una patologia idiopatica, che si definisce in assenza di comportamenti di compenso in associazione, come ad esempio l’anoressia nervosa (AN) o la bulimia nervosa (BN).
 
I criteri diagnostici per la diagnosi clinica di BED dimostrano le difficoltà di applicazione della terminologia del DSM-5 ai soggetti con autismo, anche quando il comportamento è altamente prevalente. A causa dei deficit di comunicazione e dell’alessitimia (incapacità di esprimere verbalmente le emozioni), l’applicazione dei criteri fissati per la diagnosi di BED richiederebbe la trasformazione di sintomi soggettivi in segni obiettivi. Mediante un adeguamento dei suddetti criteri (cfr. Tabella 1), diventa possibile l’applicazione di standard adeguati per l’inquadramentodei comportamenti che si osservano più di frequente nei soggetti affetti da autismo.L’unica eccezione è l’identificazione di “disgusto, depressione o colpa”, che sarebbe di impossibile individuazione per molti individui dello spettro. Analogamente, per molti soggetti affetti da questa patologiasarebbe impossibile da classificare l’imbarazzo, mentre “rubare il cibo” è un comportamento comunemente osservato e può rappresentare un mezzo alternativo per completare i criteri diagnostici per questa categoria di pazienti.
 
Tabella 1: Adeguamento della terminologia del DSM ai fini della definizione dei criteri applicabili per l’Autismo
 
Criterisoggettivi del DSM-5
 
1) Mangiare più rapidamente del normale
2) Mangiare fino a sentirsi troppo pieni
3) Mangiare anche quando non si ha appetito o quando si è sazi
4) Sentimenti di disgusto, depressione o colpa dopo l’assunzione di cibo
5) Assumere cibo da soli per sentimenti di imbarazzo
 
Criterioggettiviadeguatiall’inquadramentodell’autismo
 
1) Mangiare rapidamente
2) Mangiare finché c’è cibo disponibile
3) Assumerecibo in quantitàeccessive
4) Criterio non adeguabile
5) Rubarecibo
 
Benché la terapia cognitivo-comportamentale abbia trovato ampi consensi per la sua applicazione nel trattamento del BED nella popolazione, nei pazienti dello spettro autistico è stata adottata finora esclusivamente per le coorti ad alto funzionamento. Persino in questi gruppi di soggetti sono state riscontrate difficoltà per la realizzazione della ristrutturazione cognitiva e per la riorganizzazione in alcuni ambiti. Sono inoltre emersi dubbi e preoccupazioni in merito al mantenimento dei cambiamenti comportamentali raggiunti e alle capacità di generalizzazione.
 
La presente rassegna sui disturbi del comportamento alimentare nello spettro autistico evidenzia l’elevata prevalenza di questi comportamenti disfunzionali e sottolinea la necessità di mettere in campo consistenti risorse in termini di tempo ed attenzione dedicata da parte degli operatori. Ciò nonostante, ancora limitate restano le conoscenze in termini di valutazione e trattamento clinico.
 
I disturbi del comportamento alimentare nello spettro autistico rappresentano pertanto una nuova sfida per i professionisti del settore, che dovranno mobilitare tutte le loro abilità e conoscenze al fine di apportare il loro contributo per questa popolazione a rischio.
 
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