Dott. Manuel Passoforte
Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica – Centro Diurno
Psichiatrico di Sulmona (AQ)
Introduzione
Il lavoro che mi accingo a presentare è incentrato sul Disturbo di Coordinazione Motoria il quale, come è emerso dalle fonti bibliografiche utilizzate per la stesura dello stesso, porta con sé un’enorme confusione terminologica. Nonostante esistano strumenti diagnostici molto conosciuti come, l’ICD-10 e il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM), a tutt’oggi alcuni esperti affermano che l’espressione “Disturbo di Coordinazione Motoria (DCM)” sia ancora troppo generica. Infatti, se per qualcuno, il DCM include una vastità di disturbi motori tra cui anche la disprassia, per altri quest’ultima è considerata un disturbo a sé.
Alla luce di ciò l’obiettivo del mio lavoro è cercare di rendere più chiaro il DCM, farlo conoscere in maniera più approfondita dal punto di vista nosografico e diagnostico attraverso la descrizione di strumenti di diagnosi e screening utilizzati nella pratica clinica, dei piccoli “campanelli di allarme” che un qualsiasi genitore, se informato, saprebbe riconoscere e quindi agire tempestivamente rivolgendosi a uno specialista. Inoltre cercherò di far luce su alcuni trattamenti riabilitativi da utilizzare a scuola e nella vita di tutti i giorni, affinché nasca nel lettore la consapevolezza che i bambini affetti da DCM e da eventuali disturbi annessi possano condurre una vita normale come i loro coetanei, senza farli sentire inferiori o svantaggiati. Infine illustrerò nello specifico come il DCM possa rendere difficile l’apprendimento scolastico di molti bambini; in particolare mi soffermerò sulla difficoltà di lettura cercando anche di far capire come alcuni comportamenti dei bambini dislessici siano sintomo dell’altro disturbo e viceversa.
Ho deciso di portare avanti questo lavoro perché a tutt’oggi spesso si fa molta confusione sui sintomi del DCM scambiandolo spesso per ADHD (Deficit di Attenzione e Iperattività). A tanti genitori sarà capitato, prima di conoscere la diagnosi, di sentirsi dire che il proprio bambino è svogliato o disattento, scoprendo successivamente che magari queste affermazioni siano proprio dei sintomi specifici.
Lo sviluppo sensomotorio del bambino
Il primo studioso a porre l’attenzione sullo sviluppo del bambino fu Heinz Werner (1890-1964). La sua concezione è di stampo biologico pone, cioè, l’attenzione sulle forze interne, legate allo sviluppo e, sul parallelismo tra crescita psichica e crescita fisica.
Werner sostiene che il bambino parta da uno stadio di indifferenziazione primitiva, secondo la quale tutte le componenti della vita interiore sono fuse tra loro. Crescendo comincerà a distinguere le sensazioni e le emozioni, arrivando a generare dentro di lui un organizzazione psichica completa tipica dell’adulto. Man mano che questa distinzione fa il suo corso, l’attività mentale del bambino diventa più flessibile e stabile; riuscirà a generalizzare comportamenti e sensazioni. Nonostante le teorie di Werner, il padre della psicologia dello sviluppo del bambino è considerato Jean Piaget (1896-1980). Egli ha incentrato i suoi studi soprattutto sulle primissime fasi dello sviluppo infantile arrivando ad affermare come questo sia determinato dall’interazione tra ambiente e individuo.
Per Piaget lo sviluppo non è solo quantitativo, non è solo cioè un processo cumulativo di esperienze, ma è soprattutto qualitativo, un vero e proprio cambiamento intellettivo.
Lo sviluppo dell’intelligenza, secondo lo studioso, si verifica se ha luogo un particolare equilibrio tra il processo di assimilazione delle esperienze vissute, trasformate poi in schemi mentali e quello di accomodamento, cioè di modificazione di tali schemi in seguito all’apprendimento di nuove esperienze che non combaciano con quelle già vissute.
Piaget distingue quattro stadi principali di sviluppo, detti periodi, che coprono un arco di tempo dall’infanzia all’adolescenza:
“Periodo sensomotorio” (0-2 anni): il bambino è sprovvisto di rappresentazioni mentali ma riesce tuttavia a comprendere la realtà grazie alla capacità di manipolare le cose.
“Periodo preoperatorio” (2-6 anni): il bambino possiede rappresentazioni interiori; lo testimoniano il gioco simbolico, l’imitazione differita, il fatto che ripeta un’azione qualche tempo dopo averla vista. È un periodo di sviluppo caratterizzato dall’egocentrismo; il bambino pensa che gli altri vedano le cose secondo la sua prospettiva e i suoi schemi, che tutto ciò che si fa sia finalizzato a lui, al suo piacere. Utilizza il suo corpo come metro di paragone tra lui stesso e il mondo.
“Periodo delle operazioni concrete” (6-12 anni): con l’età scolare il pensiero del bambino diventa elastico cogliendo quindi le diverse trasformazioni della realtà che lo circondano. Diviene capace inoltre di operazioni concrete come le addizioni e le sottrazioni.
“Periodo delle operazioni formali” (12-16 anni): il bambino smette di essere empirico e comincia a interpretare la realtà seguendo principi e ragionamenti logici e deduttivi.
Secondo Piaget il più importante dei quattro periodi è quello sensomotorio in quanto vi sono differenti stadi che permettono un corretto sviluppo dell’intelligenza: dal primo stadio, durante il quale il bambino comincia a conoscere il mondo tramite i riflessi, fino ad arrivare all’ultimo dove ha consapevolezza dell’ambiente circostante tramite l’acquisizione di schemi mentali rappresentativi e motori.
La coordinazione motoria e il suo sviluppo
La maggior parte dei bambini possiede un repertorio di attività che permette loro di fronteggiare le richieste dell’ambiente circostante. Nel periodo tra i 3 e i 6 anni il bambino impara a vestirsi e a usare il cucchiaio per mangiare. Con la crescita queste azioni semplici vengono integrate con altre divenendo più complesse e accurate. Affinché queste attività diventino tali occorre che il bambino abbia un buon sviluppo di coordinazione motoria. Essa richiede una regolazione tra muscolo e cervello. Il sistema nervoso centrale deve essere in grado di elaborare le percezioni sensoriali e di trasmettere ai gruppi muscolari il corretto input che darà luogo al movimento.
Il bambino impara inizialmente le competenze grosso-motorie, movimenti ampi che fanno parte del suo repertorio (come potrebbe essere il lancio di una palla o un piccolo saltello), fino ad arrivare a quelle fino-motorie, più accurate (come la presa di piccoli oggetti).
Con l’età quindi non progredisce soltanto il repertorio del bambino ma anche la sua capacità di generalizzazione e di accuratezza nell’esecuzione. Secondo il pedagogista statunitense John Dewey tutto questo è possibile grazie anche alla memoria che permetterebbe al bambino di imparare, rievocare e riprodurre azioni man mano più lunghe e complesse. In alcuni casi si possono manifestare delle chiare difficoltà nello svolgere i compiti motori senza cause neurologiche apparenti, parliamo in questo caso di Disturbo della Coordinazione Motoria.
Molti professionisti sono concordi nell’affermare che alcune caratteristiche del bambino con DCM, come l’essere maldestro, non richiedano un intervento riabilitativo diretto in quanto possono risolversi autonomamente con il passare del tempo, soprattutto in adolescenza.
La ricerca tuttavia ha dimostrato il contrario. Per molti bambini le difficoltà motorie sembrano realmente regredire con l’età, ma ciò è dovuto alla loro capacità di adattarsi alle proprie problematiche e alla loro astuzia nell’evitare situazioni frustranti o difficoltose.
Il Disturbo di Coordinazione Motoria non costituisce un disturbo unitario; i profili sono molto vari e differiscono da bambino a bambino. Le aree di deficit possono riguardare sia le competenze grosso-motorie che fino-motorie. Alle difficoltà di natura motoria si associano spesso problematiche visuo-costruttive (es. difficoltà nell’assemblare puzzle) e cognitive.
In uno studio scientifico condotto da Scandurra e colleghi (2007) si afferma che i bambini con DCM hanno un deficit nella rappresentazione interna del proprio corpo con conseguente difficoltà di controllo motorio di apprendimento di nuovi movimenti. Il bambino quindi impiegherà un tempo lunghissimo per mettere in atto un’azione estremamente facile e veloce impiegando anche una forza non corrispondente allo sforzo. Questo, secondo gli studiosi, è dovuto ad un deficit delfeed-forward inteso come conoscenza dell’azione e dello spazio motorio dove essa avviene, dovuto ad una disfunzione del lobo parietale, considerato la sede dell’immaginazione motoria.
Le caratteristiche più comuni in un bambino con DCM sono molteplici e spesso non coesistono tra loro data l’estrema soggettività del disturbo. Di seguito illustreremo le più comuni dal punto di vista fisico, emotivo/comportamentale e generiche.
Fisiche:
-Il bambino può presentarsi goffo e impacciato nei movimenti;
-il bambino può avere difficoltà nelle abilità grosso motorie e/o fino-motorie;
-il bambino può sviluppare in ritardo alcune capacità motorie (come andare in bicicletta);
-il bambino può avere difficoltà in azioni che richiedono l’uso coordinato di più parti del corpo (come chiudere una zip);
-il bambino può mostrare difficoltà di equilibrio soprattutto in azioni come salire le scale.
Emotivo/comportamentali:
-Il bambino può mostrare mancanza di interesse o evitare sistematicamente determinate attività, soprattutto quelle che richiedono un particolare sforzo fisico;
– il bambino può mostrare scarsa tolleranza alla frustrazione e scarsa autostima;
– il bambino può evitare di socializzare con i suoi coetanei soprattutto in attività ludiche;
– il bambino mostra opposizione a cambiare la propria routine soprattutto se questo cambiamento comporta un notevole sforzo fisico e un notevole stress.
Altre caratteristiche:
-Il bambino ha difficoltà a bilanciare la velocità con la precisione. Questo si denota soprattutto nella scrittura: se essa è chiara e leggibile spesso il tempo impiegato è notevole;
-il bambino ha difficoltà in materie scolastiche dove viene richiesta accuratezza e precisione (come in matematica);
-il bambino può avere difficoltà nel portare a termine delle attività a tempo. In questo caso si rischia anche la frustrazione del bambino il quale, dovendo impiegare uno sforzo enorme nel completare il compito prima dello scadere del tempo, si agiterà.
Numerose ricerche hanno dimostrato come i bambini con DCM hanno difficoltà a imparare la pianificazione, l’organizzazione e l’esecuzione dei propri movimenti; hanno inoltre notevole difficoltà nell’acquisire nuove capacità motorie. Per questo motivo spesso ripetono le stesse attività motorie anche quando queste comportano un insuccesso. Essi tendono a usare la vista come unico feedback per guidare i propri movimenti e non sono in grado di prevedere l’esito delle proprie azioni. Da questo deriva la loro enorme difficoltà a rilevare eventuali errori nei propri movimenti e a correggerli. Poiché le capacità motorie non diventano automatiche in questi bambini, essi devono produrre uno sforzo particolarmente grande per portare a termine le proprie azioni e ciò produce in loro ansia e frustrazione. Inoltre, hanno una scarsa capacità di generalizzazione: non riescono a trasferire le proprie capacità motorie da una situazione ad un’altra.
Il disturbo di coordinazione motoria e la Disprassia
La storia dei disturbi dello sviluppo ha inizio all’inizio del Novecento quando si comincia a parlare di “danno cerebrale minimo”. L’idea primordiale che si instaura negli studiosi dell’epoca è che i disturbi motori siano originati da lesioni delle aree corticali deputate al movimento. Col passare degli anni da questa definizione, ritenuta poi poco valida, si passerà all’espressione “Disfunzione Neurologica Minore” ponendo quindi l’attenzione non più sulla struttura cerebrale eventualmente danneggiata ma sul malfunzionamento, a livello muscolare, del soggetto affetto. La definizione di Disturbo di Coordinazione Motoria si ha per la prima volta intorno agli anni ’60-‘70 del Novecento. Si inizia a fare riferimento alla “goffaggine congenita” caratterizzata da una ipotonia associata a movimenti poco fluidi e impacciati fino ad arrivare al termine di “aprassia dello sviluppo” indicando un disturbo dell’integrazione corporea soprattutto a livello spaziale. Questa dicitura viene successivamente rifiutata a favore del termine “Disprassia” utilizzato, per la prima volta, da De Ajuriaguerra nel 1969. L’uso di questa espressione amplia lo spettro di diagnosi includendo un disturbo nell’esecuzione intenzionale di movimenti o azioni.
Inizialmente accennato nel 1987 nella pubblicazione del DSM-III-R e definitivamente nel 1994 con quella del DSM-IV, l’espressione “Disturbo della Coordinazione Motoria”diventa il termine per identificare i bambini con difficoltà significative nello sviluppo della coordinazione motoria.
Autori come John Gibbs e Richard Appleton, solo per citarne alcuni, nel loro articolo scientifico “Dyspraxia or developmental coordination disorder (DCD)? Unravelling the enigma” affermano che ancora oggi, nel mondo scientifico, c’è grande confusione sulla giusta terminologia da adottare; giungendo alla conclusione che DCM e Disprassia sono sinonimi.
Laurence Vaivre-Duret in un articolo pubblicato nel 2007 riporta una rassegna esaustiva di svariati termini quali Disfunzione Integrativa Sensoriale, Disturbo di Coordinazione Motoria, sottolineando il fatto che essi vengano erroneamente utilizzati come sinonimi.
Pensiero comune è quello di Kyle J. Steinman e coll. che in un articolo recente (2010) non definisce il DCM e la disprassia come stesso disturbo. Anche Peter Baxter afferma che i due termini non sono equivalenti poiché la disprassia non riguarda soltanto i disturbi motori ma anche quelli legati al movimento oculare e facciale, avvalorando così la tesi di Steinman.
Tuttavia i sopracitati studiosi sono concordi nel limitare la definizione di disprassia a quei casi in cui si evidenzia un problema nell’esecuzione di movimenti intenzionali a livello degli arti superiori.
La psicologa e psicoterapeuta Letizia Sabbadini, invece, afferma che possiamo considerare il DCM la causa e la disprassia il sintomo dello stesso disturbo, in quanto i movimenti degli arti inferiori sono considerate prassie.
Alla luce di tutto ciò, la definizione di Disturbo della Coordinazione Motoria, dataci dal DSM-IV-TR (APA,2000) e dal DSM-5 (APA,2013), o di Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria che troviamo nell’ICD-10 (WHO, 1992), risulta ancora oggi piuttosto generica poiché include tutti i disturbi dello sviluppo motorio tra cui le stesse disprassie.
Il Disturbo di Coordinazione Motoria (Developmental Coordination Disorder, DCD o DCM) è un disturbo che riguarda lo sviluppo delle competenze motorie inerenti alla coordinazione, alla motricità fine e all’equilibrio.
Si ritiene che l’eziopatogenesi del disturbo in età evolutiva sia di tipo multifattoriale, riconducibili a ipossia, a malnutrizione perinatale e al basso peso al momento della nascita.
Sul piano nosografico la diagnosi viene fatta tramite l’utilizzo di due manuali: il DSM e l’ICD. Il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentale (DSM 5-2013) stilato dall’American Psychological Association (APA) definisce il Disturbo di Coordinazione Motoria come un problema caratterizzato da prestazioni di coordinazione motoria inferiori a quelle previste per l’età cronologica del bambino. Le difficoltà si presentano come legnosità, lentezza e imprecisione nelle prestazioni di coordinazione motoria (usare le forbici o prendere un oggetto con le mani). Nella diagnosi di DCM, il DSM 5 afferma inoltre che questo deficit interferisce in modo persistente nella vita quotidiana del bambino, con ricadute anche sull’apprendimento scolastico.
La versione precedente del manuale (DSM IV TR-2000) enuncia gli stessi criteri della versione successiva.
L’ICD-10 (Classificazione Internazionale delle Malattie), stilato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), include il DCM nella sezione Disturbo Evolutivo Specifico della Funzione Motoria (F82). La caratteristica principale è la compromissione dello sviluppo della coordinazione motoria che non può essere spiegata in termini di ritardo intellettivo generale o in termini di uno specifico disturbo neurologico congenito o acquisito.
Secondo il DSM 5, l’incidenza è stimata intorno al 5-6% dei bambini in età compresa tra i 5 e gli 11 anni con un rapporto di 4:1 tra soggetti di sesso maschile e femminile.
Il Disturbo di Coordinazione Motoria ha un’alta comorbilità con differenti altri disturbi della fase evolutiva del bambino come l’ADHD e disturbi specifici dell’apprendimento.
Il Disturbo di Coordinazione Motoria raramente è un disturbo puro. Nell’anamnesi familiare e personale è auspicabile andare a ricercare la comorbidità con altri disturbi quali disturbi del linguaggio (DSL), iperattività e/o deficit di attenzione (ADHD), disturbi specifici dell’apprendimento(DSA). (Boeretto L., 2013)
In letteratura alcuni neuropsichiatri avvalorano la tesi secondo la quale c’è una comorbilità, non solo con i disturbi menzionati, ma anche con patologie organiche.
Interessante, a riguardo, è uno studio scientifico effettuato sulla correlazione tra DCM e “Sindrome delle Apnee Ostruttive”. Su un campione di 238 soggetti con un età media di 8 anni è emerso che il 52.94% aveva problemi di coordinazione motoria dovuti a questa patologia. Naturalmente è auspicabile un maggiore interesse verso questo binomio, in quanto sono ancora pochi gli studi che lo confermano; gli autori suggeriscono la necessità di valutare la coordinazione motoria di tutti i soggetti affetti da questa sindrome e di non escluderla nei bambini con DCM “sine causa”.
Uno studio asiatico effettuato da Tseng e coll. (2007) pone l’attenzione sulla correlazione tra DCM, adattamento psicosociale e DSA. Il team di ricercatori ha somministrato il DCDQ-C (Developmental Coordination Disorder Questionaire, versione cinese) a bambini delle scuole elementari suddivisi in tre gruppi: bambini con DCM, bambini con presunto DCM e bambini sani. Dallo studio emerge che i primi due gruppi hanno ottenuto punteggi statisticamente più bassi rispetto al gruppo normale di controllo, soprattutto in prove di lettura e risultavano più iperattivi.
In merito alla comorbidità con i DSL, negli ultimi anni, in letteratura si è molto parlato di correlazione tra i due disturbi. Uno studio scientifico condotto da Marra S. e coll. (2013) pone l’attenzione proprio su questo binomio; su un campione di 11 soggetti di età prescolare è emersa una incidenza del 25 percentile dei DSL in bambini disprassici.
In un articolo apparso sulla rivista Psicologia Clinica dello Sviluppo (2011) viene avvalorata l’ipotesi di una correlazione/sovrapposizione tra DCM e “Sindrome Non Verbale”. Si afferma che questa sovrapposizione tra aree cliniche si ha sin dall’eziopatogenesi di entrambi i disturbi: una compromissione della sostanza bianca cerebrale. Un’altra congiunzione con un DCM potrebbe essere di tipo psicopatologico, come si evince da un altro studio di Poletti (2009): i bambini con DCM possono presentare anche sintomi di iperattività dovute ad ADHD ma anche disturbi esternalizzanti come depressione (3%), disturbi d’ansia (27%) e comportamenti oppositivi (33%).
In Italia esistono alcuni strumenti per la valutazione dello sviluppo psicomotorio del bambino e della coordinazione motoria alcuni dei quali però non hanno nessun riferimento relativo alla popolazione italiana; mancano cioè di standardizzazione, ma vengono comunque utilizzati nella pratica clinica.
Si pensi a GAP-T-Griglia di Analisi delle Prassie Transitive Strumentali (Rampoldi, Ferretti 2011), Scala di Sviluppo Psicomotorio di Brunet-Lezine (1967), Movement Assessmet Battery for Children-MABC (Henderson e Sudgen 2007), Protocollo per la valutazione delle abilità prassiche e della coordinazione motoria-APCM (Sabbadini, Tsafir e Iurato, 2005), Test della coordinazione motoria di Charlop-Atwell (1980), Developmental Coordination Disorder Questionnaire-DCDQ (Wilson e coll, 2007)…
I primi tre citati verranno descritti sommariamente, in quanto test poco utilizzati in Italia e di difficile reperimento; mi soffermerò maggiormente nella descrizione dei successivi tre.
La Griglia di Analisi delle Prassie Transitive Strumentali (GAP-T) è uno strumento utilizzato in ambito clinico per valutare il funzionamento del bambino nella vita quotidiana, indica eventuali miglioramenti nello sviluppo di nuove abilità nell’utilizzo degli oggetti quotidiani e/o eventuali difficoltà motorio-prassiche. Inoltre, questo strumento riesce a monitorare eventuali sviluppi o ritardi nella coordinazione, nella destrezza e nella modulazione della forza per attuare determinate azioni.
La Scala di Sviluppo Psicomotorio di Brunet-Lezine è un test composto da due parti: la prima valuta la crescita del bambino da 0 a 30 mesi, mentre la seconda si estende fino a 5 anni. Per ogni fascia d’età ci sono 10 item che prendono in esame quattro aree: sviluppo motorio-posturale, capacità di adattamento al contesto tramite l’uso di oggetti, comportamento verbale e relazioni sociali. Oltre a un punteggio di valutazione globale del bambino, si possono mantenere i punteggi delle singole aree separati tra loro in base a ciò che si vuole monitorare nello specifico. Questo test ha però un limite: la scala arriva fino a 5 anni e quindi non copre tutte le fasce di età della scuola materna.
Il Movement Assessment Battery for Children è un test che purtroppo non ha ancora una standardizzazione italiana ma solo statunitense, inglese e francese. Per l’Italia esiste solo una traduzione. É composto da una batteria di 32 item suddivisi in quattro fasce d’età: 4-6 anni, 7-8 anni, 9-10 anni e 11-12 anni. Il punteggio globale che si ricava dall’intero test esprime il livello di abilità motoria del bambino. É un test di facile somministrazione ma ha un costo alto e comporta l’utilizzo esclusivo di materiale specifico, non di facile reperimento.
Il Protocollo per la valutazione delle abilità prassiche e della coordinazione motoria (APCM)
Il protocollo elaborato dalla dottoressa Sabbadini L. e coll. (2005) si basa sui presupposti teorici dell’embodied cognition (la cognizione endocorporea). Questa teoria ribadisce le ipotesi scientifiche secondo le quali le esperienze ottenute dal corpo hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della mente ovvero dello sviluppo cognitivo del bambino. La cognizione quindi deriva dall’avere un corpo “capace”, un corpo attivo dal punto di vista delle funzioni percettive e motorie.
La valutazione si articola in tre specifiche sezioni di osservazione:
– Funzioni di base
– Schemi di movimento
– Funzioni cognitive adattive
Funzioni di base
-recettività sensoriale,
-respirazione/coordinazione respiratoria,
-postura.
Particolare attenzione viene data agli aspetto neurosensoriali quali percezione tattile, visiva, uditiva poichè esse variano da individuo a individuo; ciò permette anche di considerare quantitativamente il disagio di neonati prematuri o a basso peso e di bambini con particolari sindromi (autismo) con bassa tolleranza a stimoli intensi.
Viene inoltre valutata la qualità della respirazione e viene controllata la postura in diversi compiti; quest’ultima viene vista come risultato della propria immagine corporea e della capacità di rispondere alla tensione creata dalle differenti prove. Una buona postura è sinonimo di un bambino sicuro e rilassato. Qualora invece ci fosse una postura scorretta o difficoltà a mantenerla bisogna andare ad agire su di essa tramite appositi programmi.
Schemi di movimento
-equilibrio statico e dinamico in cui si osserva comunque la respirazione;
-movimenti oculari e capacità di esplorare lo spazio;
-movimenti in sequenza delle mani e della dita: opposizione del pollice con le altre dita della mano;
-sequenzialità esplicita, motoria-gestuale e visiva: prove di fondamentale importanza per la valutazione delle rappresentazioni spaziali.
Funzioni cognitive adattive
-coordinazione dinamica nel camminare, salire/scendere le scale, calciare una palla;
-abilità grafomotorie: riproduzione di linee e figure;
-abilità manuali: serie di prove (sciogliere un nodo, strappare un foglio, tagliare seguendo le linee) che prevedono l’integrità delle abilità motorie quali la coordinazione fine delle dita e la coordinazione oculo-manuale;
-esecuzione di gesti simbolici: riproduzione su imitazione di specifiche richieste che presuppongono un buono sviluppo della propria rappresentazione corporea e della capacità simbolica;
-prassie oro facciali;
-abilità costruttive: costruzione di varie forme, ricostruzione di figure tagliate.
Alla fine del protocollo è presente un “Questionario per i genitori” che mira a valutare le autonomie del bambino nella vita quotidiana come lo spogliarsi e il vestirsi.
Il test della coordinazione motoria di Charlop-Atwell
Gli autori del test, Charlop e Atwell, nel 1980 elaborarono questa scala tenendo conto dei problemi legati alla somministrazione e ai costi a essa dovuti; infatti, è un test senza particolari costi poiché i materiali sono facilmente reperibili e il tempo di somministrazione è di 10-15 minuti.
Gianfranco Quadri e coll. (2014) hanno elaborato una standardizzazione italiana su un campione di 599 bambini dai 3 anni e mezzo ai 6 anni apportando delle modifiche alla scala originale.
É una scala composta da 6 item che misurano quattro categorie di abilità.
Gli item sono:
“Burattino-Jumping Jack” che indaga la coordinazione e la dissociazione motoria tra arti superiori e inferiori;
“Salto a mezzo giro” che indaga la coordinazione;
“Salto su un piede” che misura l’equilibrio dinamico;
“L’animale preistorico”: seconda prova per la valutazione della coordinazione/dissociazionetra arti superiori e inferiori;
“Giravolta”: prova di coordinazione di due azioni contemporanee in quanto il bambino roteando su stesso dovrà tenere in mano una sciapra con il braccio verso l’alto;
“Equilibrio sulla punta dei piedi”; indaga l’equilibrio statico.
Le categorie di abilità, di cui i sei item sopra elencati ne sono le prove, sono:
“Coordinazione tra gli arti superiori e inferiori”
“Coordinazione di due azioni simultanee”
“Equilibrio dinamico”
“Equilibrio statico”
Grazie ai tempi di somministrazione relativamente brevi, il test può essere utilizzato quale strumento di screening.
Il Developmental Coordination Disorder Questionnaire-DCDQ
Il DCDQ è un questionario di origine canadese redatto da Wilson e coll. nel 2007.
La traduzione e la standardizzata italiana è stata redatta da Caravale B. e coll. nel 2014.
Il Questionario sulla Coordinazione Motoria (figura 1) è un test rivolto ai genitori, ai quali viene chiesto di confrontare le prestazioni motorie del proprio bambino con quelle dei suoi coetanei. E’ composto da 15 item suddivisi in tre aree:
“Controllo durante il movimento”: contiene item relativi al controllo motorio del bambino in movimento;
“Motricità fine e scrittura”;
“Coordinazione generale”.
Il DCDQ è stato pensato come scala auto-compilativa ma può essere compilata anche verbalmente; nella standardizzazione italiana molti genitori hanno compilato questo test telefonicamente. Ha un tempo di somministrazione di circa 10-15 minuti; questo permette il suo utilizzo in un eventuale screening diagnostico.
Disturbo di coordinazione motoria: riabilitazione e trattamento
É noto che i genitori siano dei perfetti osservatori dei punti di forza e delle debolezze del proprio bambino. Osservando il proprio figlio mentre gioca o interagisce con i suoi coetanei, essi sono i primi a notare se qualcosa non va. Generalmente, escluse particolari situazioni evidenti di ritardo nello sviluppo, sono loro stessi i primi a esprimere preoccupazione su eventuali anomalie circa le capacità del proprio bambino.
Promozione delle abilità motorie di base
Alla base di ogni intervento terapeutico bisogna che ci sia una promozione delle abilità che si vogliono migliorare. All’inizio di ogni lavoro è importante che sia il terapista che il bambino abbiano chiari gli obiettivi dell’intervento affinché il lavoro sia meno faticoso per entrambi. Spesso questi obiettivi, soprattutto per i bambini più piccoli, possono essere posti come un gioco. Una tappa fondamentale dell’intervento riabilitativo è il rinforzo positivo alla fine di ogni esercizio, un premio, un piccolo giocattolo oppure delle lodi. Questo creerà nel bambino una maggiore compliance.
Nell’individuazione delle aree di intervento da rinforzare le maggiori sono:
la “consapevolezza corporea”;
la“pianificazione dei movimenti”;
l’ ”equilibrio”;
la “coordinazione motoria fine”;
l’ ”Integrazione motoria bilaterale”.
Quando parliamo di consapevolezza corporea ci riferiamo alla percezione del proprio corpo, alla sua posizione nello spazio e al movimento. Questa percezione è dovuta a un sistema di recettori sensoriali posti a livello articolare e muscolare. Quando questo sistema non funziona il bambino può avere difficoltà nella corretta percezione corporea e quindi avere anche problemi di forza muscolare e/o di movimento.
È opportuno in questo caso programmare delle attività che permettano al bambino di aumentare la sua consapevolezza corporea come ad esempio farlo camminare sulle ginocchia per brevi tratti, far fare piccoli saltelli e/o farlo sdraiare a terra. Tutto questo lo aiuterà a capire meglio il proprio corpo, la sua dimensione e la forza da usare nei movimenti.
La capacità di pianificare i movimenti, detta prassia, è l’abilità di programmare e portare a termine un determinato atto motorio. Alla base di una corretta pianificazione occorre che il bambino abbia anche una corretta immagine mentale di sé. Quando ciò non accade parliamo di bambino disprassico, ovvero bambino con disturbo della pianificazione motoria il quale ha inoltre serie difficoltà nell’imparare nuovi movimenti. Sono generalmente bambini che impiegano una quantità eccessiva di tempo nel portare a termine un compito. Molto utile in questo caso è inserire in un programma terapeutico, delle sedute di esperienze sensoriali soprattutto visivi e tattili per aiutarlo a focalizzare l’attenzione su ogni piccola parte del movimento. Altra attività utile nella pianificazione dei movimenti è l’imitazione, il bambino sarà chiamato a ripetere piccoli gesti cosicché da memorizzarli e successivamente riproporli autonomamente e integrarli in azioni più difficili e complesse.
L’equilibrio rappresenta una delle componenti più importanti dello sviluppo motorio del bambino. Esso deriva da specifici input sensoriali tra cui, il più importante, quello vestibolare. Le abilità legate alla coordinazione motoria fine sono particolarmente importanti per il bambino – soprattutto in età scolare – dal momento che essi trascorrono molto tempo svolgendo attività quali colorare, manipolare utensili e giocattoli. Bambini con disturbo della coordinazione motoria hanno serie difficoltà a fare ciò in quanto spesso sono ipotonici, hanno cioè un tono muscolare basso. Quando si vuole aiutare un bambino a sviluppare la coordinazione motoria fine bisogna rispettare due principi: proporre esercizi che sviluppino la stabilità tanto della spalla quanto quella del braccio e del polso e impegnarlo in attività che favoriscano la velocità e la fluidità dei movimenti delle dita.
Un’altra area importante per lo sviluppo delle abilità motorie di base è l’integrazione motoria bilaterale. Con questo termine ci si riferisce alla progressiva capacità dei due lati del corpo di cooperare per riuscire a portare a termine determinati compiti motori. Attraverso questa integrazione il bambino sviluppa anche la concezione della mano dominante, sia essa la mano sinistra o destra, nella scrittura e nell’utilizzo di strumenti come le forbici.
I bambini con disturbo di coordinazione motoria possono avere un ritardo nella determinazione della mano dominante: Per questo è estremamente importante, in età scolare, avere già la consapevolezza della propria mano dominante. I bambini che utilizzano entrambe le mani possono avere seri problemi in relazione a determinate sequenze motorie che dovrebbero essere automatiche. L’alternanza dell’uso delle mani è strettamente legata all’apparato visivo che permette di oltrepassare l’asse mediano del proprio corpo. Bambini con DCM spesso hanno questo deficit facilmente visibile, poiché risulta loro estremamente difficile seguire con lo sguardo un oggetto che si muove sia a destra che a sinistra e, soprattutto, hanno difficoltà nel prendere un oggetto con una determinata mano, ad esempio risulterà loro difficile prendere un oggetto alla loro destra usando la mano corrispondente. Questo deficit lo si riscontra anche nell’apprendimento, soprattutto nella lettura; i bambini con difficoltà nell’attraversare l’asse mediano del corpo mostreranno segni di affaticamento degli occhi durante la lettura.
Tipologie di intervento
In letteratura esistono diversi approcci per migliorare la coordinazione motoria. Alcuni sono prettamente fisici, ad esempio le terapie che hanno come fondamento principale lo sviluppo motorio, altri derivano da una base comportamentale. Alla base di tutti i differenti tipi di approcci ci deve essere una personalizzazione, una scelta di metodi appropriati alle richieste del bambino, ma soprattutto la motivazione all’esercizio. Bisogna spronarli e incuriosirli poiché nella maggioranza dei casi sono bambini che cercheranno in tutti i modi di divincolarsi dai propri compiti, dunque occorre che l’esercizio sia interessante.
Nella pratica clinica esistono molteplici interventi terapeutici per bambini con disturbo della coordinazione motoria. I più utilizzati e proposti ai genitori sono:
la “Terapia Neuroevolutiva”;
la “Terapia di Integrazione Sensoriale”;
il “Metodo di Integrazione Spaziale Multisensoriale”.
La Terapia Neuroevolutiva si fonda sugli studi dei coniugi Bobarth, noto come “metodo Bobarth”. È un trattamento che solitamente viene utilizzato per bambini con paralisi cerebrale ma, a tutt’oggi, viene utilizzato anche sui bambini con disturbo della coordinazione motoria. Questo intervento riabilitativo ha come punto di partenza il tono muscolare; esso indica il livello di tensione presente in un muscolo. I bambini con disturbo della coordinazione motoria presentano un tono muscolare basso, detto ipotonico. Un tono muscolare anomalo può avere delle ripercussioni sia sull’equilibrio del bambino che nei movimenti. Questa terapia ha lo scopo di aumentare il tono muscolare del bambino e la sua consapevolezza corporea.
La Terapia di Integrazione Sensoriale è stata sviluppata dal terapista occupazionale Jean Ayres per aiutare i bambini disprassici.
Il suo intervento pone l’attenzione su tre aree specifiche:
verifica della modulazione dei sistemi sensoriali;
capacità che possono supportare la produzione di un’azione;
grado di abilità dimostrato in relazione con l’efficienza delle informazioni sensoriali.
Nella pratica riabilitativa si prediligono esercizi in cui vengono messi in gioco tono muscolare e sistema propriocettivo. Tipico è il gioco della palla dove si chiede al bambino di afferrarne una. In questo esercizio lavorano diversi gruppi muscolari e il sistema propriocettivo atto a deputare la grandezza della palla e il suo peso. Bisogna, sempre secondo Ayres, lavorare proprio su questo connubio di sistemi affinché il bambino sia più capace di elaborare la pianificazione delle azioni dalle più semplici fino ad arrivare alla produzione di quelle più complesse. Naturalmente con il progredire dei miglioramenti, si può variare intensità dell’esercizio, durata e complessità. In sintesi l’obiettivo di questa terapia è quello di accoppiare risposta motoria e impulso sensoriale che ne deriva.
Ayres afferma che questo accoppiamento sia basilare, se non addirittura fondamentale, affinché nel bambino si sviluppi un buon sistema sensoriale e di conseguenza un buon sistema di coordinazione motoria.
Il Metodo di Integrazione Spaziale Multisensoriale creato da Risoli A. e coll. (2010) pone l’attenzione sul corpo del bambino. Esso viene visto come lo strumento di lavoro più importante; con il movimento corporeo possiamo conoscere l’ambiente che ci circonda. Il metodo si basa su due diversi tipi di esercizi: esercizi sullo spazio personale e sullo spazio esterno. Il movimento viene indotto nel bambino attraverso delle specifiche richieste da parte dell’operatore, successivamente il bambino verrà bendato per andare a valutare la sua acquisizione dei movimenti richiesti in precedenza. È un trattamento riabilitativo che va a lavorare essenzialmente sui disturbi spazio-temporali tipici di questi bambini. Si propongono esercizi sull’organizzazione temporale delle informazioni, i cosiddetti esercizi di ritmo. Sono esercizi effettuati in ordine graduale di difficoltà che servono a valutare i tempi di organizzazione delle informazioni che il bambino riceve dal terapeuta. Altri esercizi di fondamentale importanza sono quelli sullo spazio personale; sono, in breve, esercizi sulla postura del bambino, da posture simmetriche a posture asimmetriche rispetto all’asse mediano del proprio corpo. Si valuta la capacità di movimento del bambino, la rotazione del corpo, la fluidità del movimento.
È un trattamento che non punta solo sul corpo ma pone l’attenzione anche su altri campi di valutazione come la memoria del bambino. Nella pratica clinica quotidiana ogni terapista sa che non esiste un solo metodo che funziona meglio di un altro poiché ogni bambino è un soggetto a sé, con i propri bisogni e deficit che dovrà superare. L’abilità del terapista è proprio quella di saper utilizzare i diversi metodi singolarmente o contemporaneamente a seconda delle richieste.
Oltre a queste terapie canoniche, uno studio scientifico afferma l’importanza dell’attività fisica quotidiana seppur minima in bambini con DCM soprattutto per evitare che in loro emerga la pigrizia e la riluttanza verso l’attività motoria a causa spesso della loro incapacità e difficoltà nei movimenti.
Questo studio è stato condotto su bambini che vivevano nella zona centrale di alcune città abruzzesi e altri che abitavano in periferia. Si è visto come bambini di periferia meno esposti a parchi pubblici, aree ricreative erano più inclini a peggiorare la sintomatologia del DCM poiché non c’era la possibilità di programmare attività ludico-terapeutiche quotidiane; mentre la realtà era diversa nei bambini che abitavano nella zona centrale delle città poiché più esposti all’attività motoria. Tutto ciò a conferma del fatto che oltre a particolari programmi riabilitativi, bisogna puntare molto sullo sviluppo motorio del bambino non solo in ambienti terapeutici ma anche a casa.
Sebbene in letteratura esistano differenti interventi terapeutici, ci sono particolari situazioni in cui c’è una distanza abissale tra l’abilità del bambino e il suo bisogno di portare a termine un determinato compito per cui gli interventi stessi non bastano.
In questi casi parliamo di utilizzo delle strategie di compensazione per aiutare il bambino a raggiungere i suoi obiettivi senza creare in lui eccessiva frustrazione. Le strategie di compensazione sono utili a favorire l’autonomia del bambino senza che egli abbia un’assistenza diretta e perenne soppiantata da particolari strumenti mirati, le cosiddette tecnologie di assistenza.
Ve ne sono molteplici in commercio da quelle semplici da utilizzare (low-tech) a quelle più sofisticate (high-tech).
Esempi di tecnologie low tech possono essere le chiusure di velcro al posto dei bottoni o della zip; esempi di tecnologie high-tech possono essere particolari apparecchi connessi al computer e attivati vocalmente dal bambino stesso per sopperire la sua difficoltà nell’utilizzo della tastiera classica.
Di norma i dispositivi low-tech vengono utilizzati proprio per i bambini con disturbo di coordinazione o comunque da bambini che hanno lievi disturbi motori mentre quelli high-tech sono utilizzati per quella tipologia di utenza affetta da gravi disturbi motori, spesso anche invalidanti.
Il disturbo di coordinazione motoria a scuola: come affrontarlo
Una volta che il bambino arriva all’età scolare è molto importante che esso sia in grado di apprendere l’utilizzo degli strumenti della classe come matite, pennarelli e forbici. Ai bambini viene richiesto quindi di impegnarsi per buona parte della giornata scolastica in attività specifiche di motricità. È auspicabile anche che il bambino con DCM, all’interno della giornata scolastica, abbia la possibilità di usufruire di notevoli ore di educazione fisica dove poter eseguire esercizi di psicomotricità in modalità singola e di gruppo. Questo per favorire in lui la consapevolezza delle proprie capacità motorie e la socializzazione con i sui coetanei, evitando quindi lo stigma sociale.
Una parte fondamentale dell’ingresso a scuola del bambino con DCM è un buon dialogo tra genitore e insegnante affinché esso raggiunga un buon livello di autonomia e rimanga al passo con i propri compagni di classe. Per i genitori può tornare utile incontrarsi all’inizio dell’anno scolastico con gli insegnanti per valutare con accuratezza il programma dettagliato in base alle esigenze del proprio bambino. Da qui si andrà a valutare la possibilità di avere o no un programma specifico individuale, il cosiddetto PDP (Piano didattico personalizzato) oppure adottare solo alcuni consigli pratici.
La richiesta del PDP deve essere redatta dalla famiglia sotto indirizzo del pediatra. Il bambino viene successivamente valutato in base alla legge 170/2010. Se la richiesta viene accettata, la famiglia invierà la relativa documentazione alla scuola di appartenenza del bambino, la quale provvederà a redigerlo. Il PDP viene redatto dal consiglio di classe in collaborazione con i genitori e eventualmente con i terapisti che seguono il bambino. Di norma il PDP viene stilato per bambini con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) ma vista la stretta comorbidità tra questi disturbi e il DCM spesso viene elaborato anche per questa tipologia di disturbo, qualora le circostanze lo richiedano.
Alcuni consigli pratici nell’attività scolastica
Assumere una corretta postura
Il consiglio più importante su cui non si può soprassedere nelle attività scolastiche è il mantenimento di una postura corretta soprattutto nel momento in cui i bambini devono svolgere i propri compiti. I bambini con Disturbo della Coordinazione Motoria hanno problemi posturali dovuti a una ipotonia muscolare. Quando i bambini si siedono bisogna far sì che stiano con i fianchi appoggiati alla parte posteriore della sedia, con le gambe che formano un angolo di 90°. Un ruolo fondamentale lo ha anche il banco di scuola; esso dovrebbe avere un’apertura semicircolare al centro in modo tale che il bambino possa portare il petto al banco e quindi avere un sostegno adeguato anche per le braccia. Può risultare utile al bambino avere sulla sedia un tappetino antiscivolo: questo limiterà la possibilità del bambino di dimenarsi sulla sedia e quindi assumere posture scorrette. Questi accorgimenti sono utili non soltanto per il lavoro sul banco di scuola ma anche nelle attività in cui viene richiesto l’uso del computer.
Apprendimento della scrittura
Imparare a scrivere è un grande traguardo per tutti i bambini. Ė una delle attività più difficili e faticose che si possa chiedere loro di fare. Per i bambini con DCM è una sfida estremamente faticosa molto più che per i loro coetanei a sviluppo motorio tipico.
La scrittura richiede una moltitudine di attività motorie come il controllo posturale, la capacità di muovere correttamente polso e mano e una buona competenza oculo-manuale. Alla base di una buona scrittura vi è una corretta impugnatura della matita e/o della penna. Ogni bambino a sviluppo normale imparerà da solo la giusta presa ma ciò non accade nei bambini con DCM. La modalità ottimale di impugnare una matita è quella che gli esperti chiamano DTG acronimo di Dynamic Tripod Grasp (figura 1). In questa posizione i bambini riescono a lavorare più a lungo senza affaticare polso e mano. Spesso i bambini con DCM che hanno un tono muscolare fortemente basso non riusciranno a mantenere questa posizione di scrittura; in questo caso è molto importante che l’insegnante aiuti loro a mantenerla il più a lungo possibile tramite la sua mano. In questo modo il bambino, giorno dopo giorno, imparerà a mantenerla correttamente e più a lungo possibile.
Nel procedimento di apprendimento della scrittura i bambini possono incontrare notevoli difficoltà anche nel disporre le parole correttamente nelle righe. In questo caso è molto utile utilizzare righe molto grandi soprattutto se il bambino scrive in stampatello oppure quadretti molto grandi se il bambino ha difficoltà nello scrivere i numeri. (Figura 1- Dynamic Tripod Grasp)
Molto utile si rivela anche l’utilizzo di lettere tratteggiate cosi che il bambino possa ridisegnarle e imparare la corretta scrittura della lettera stessa.
Un metodo molto utile nei bambini con problemi di scrittura è il Metodo Spazio Temporale di Ida Terzi detto più comunemente Metodo Terzi. Ideato dall’omonima insegnante nel 1958, viene utilizzato prettamente nel trattamento riabilitativo della disprassia ma recentemente è stato estrapolato dal metodo originale (per il quale si rimanda alla sezione letture consigliate) un sotto metodo composto da due particolari aree di intervento utili per bambini con difficoltà di scrittura:
– Organizzazione dello Spazio Personale con un intervento specifico su:
– Postura corporea: percezione del proprio corpo per mantenere una corretta postura simmetrica rispetto all’asse mediano del proprio corpo; corretta inclinazione del busto durante la scrittura;
– Impugnatura: consapevolezza delle abilità motorie della propria mano e del polso e insegnamento di strategie motorie per ottenere una corretta impugnatura dello strumento di scrittura e una corretta pressione della penna sul foglio durante la scrittura.
– Organizzazione dello Spazio Extrapersonale con un intervento specifico su:
– Spazio grafico: organizzazione nello spazio del foglio di scrittura;
– Grafia: organizzazione della grafia in corsivo. L’insegnamento delle lettere non segue l’ordine alfabetico ma un ordine che le accomuna secondo una sequenza geometrica. La rappresentazione mentale delle lettere e la loro trasformazione nel simbolo grafico avviene grazie all’analisi geometrico – spaziale della lettera e alla sua scrittura ad occhi bendati.
Gradualmente il bambino imparerà a scrivere correttamente tutte le lettere dell’alfabeto prima in spazi molto grandi standard e successivamente arriverà ai quadretti e/o alle righe tipiche della propria classe di appartenenza.
Utilizzare le forbici
Ogni giorno a scuola i bambini utilizzano diversi oggetti, dai giocattoli ai pennarelli fino alle forbici. L’uso delle forbici è una competenza motoria complessa di difficile apprendimento per molti bambini. La capacità di usare le forbici si sviluppa intorno ai 4 anni e ancora più tardi nei bambini con Disturbo della Coordinazione Motoria.
Promuovere le abilità organizzative
Durante le ore scolastiche gli insegnanti possono trovare notevoli difficoltà nello stimolare le abilità organizzative nei bambini soprattutto con quelli con deficit motori. I bambini con DCM a causa anche delle loro difficoltà visuo-spaziali sono molto disorganizzati sia nel tempo che nello spazio. È molto utile in questo caso lavorare proprio su come organizzare la giornata e le attività del bambino stesso. Molto utile risulta insegnare al bambino a prepararsi la sera prima il proprio zaino con tutto il materiale che gli servirà il giorno successivo magari aiutandolo nella compilazione di una lista. Occorre inoltre insegnargli anche a rimettere nello stesso posto i propri giocattoli e il materiale scolastico cosicché da permettergli di ricordare più facilmente il luogo creando in lui una sorta di mappa mentale. Bisogna, in breve, creare nel bambino una routine con degli schemi e degli orari precisi. Nel caso in cui questa routine, per forze di causa maggiore, venga spezzata, avvertire il bambino con largo anticipo evitando cosi uno scompenso emotivo e stati ansiosi.
Letizia e Giorgio Sabbadini (2008) affermano come a scuola sia molto importante proporre degli esercizi finalizzati a scaturire il concetto di rappresentazione nei bambini con DCM, soprattutto in quelli che sono incapaci a disegnare e hanno notevoli difficoltà nella scrittura. Di seguito si propongono alcuni esercizi molto utili da utilizzare eventualmente anche a casa.
Ricostruzione di puzzle
Si utilizzano delle immagini semplici affinché diminuiscano le probabilità di fallimento del bambino. Una volta che il bambino ha visionato l’immagine nel suo insieme, gli vengono dati tutti i pezzi del puzzle e gli si chiede di formare l’immagine iniziale. La difficoltà aumenta man mano che il bambino diminuisce i suoi errori. Inizialmente si utilizzeranno pochi pezzi del puzzle e di dimensioni grandi per poi arrivare ad un maggior numero di pezzi e di dimensioni più piccole.
Intervento motorio
L’intervento riabilitativo incentrato sulla psicomotricità ha come obiettivo quello di far acquisire al bambino, in modo efficiente, uno specifico compito motorio insegnandogli le basi di quello specifico movimento. Alcune attività motorie molto importanti sono la corsa che serve a rinforzare le gambe, a rafforzare l’equilibrio del bambino e la sua sicurezza corporea; prendere una palla con entrambe le mani ha come obiettivo quello di aumentare la forza nelle braccia, aumentare il tono muscolare e aumentare anche i riflessi del bambino. Naturalmente questi sono solo alcuni esercizi, tra i più utilizzati. Prima però di procedere con un intervento motorio, occorre fare una valutazione approfondita e dettagliata di quelle che sono le reali capacità del bambino ed eventuali difficoltà che possono ostacolare il raggiungimento dell’obiettivo. Le maggiori difficoltà riscontrate in bambini con DCM sono il basso sviluppo del sistema muscolo-scheletrico (tono muscolare ipotonico, fragilità nelle ossa); alcune varianti morfologiche come il sovrappeso, scarse conoscenze di attività fisiche dovute a un basso livello culturale o a limitazioni da parte della famiglia per evitare nel bambino ansia e frustrazione. Tutti questi limiti, come detto in precedenza, devono essere valutati prima di procedere con un intervento riabilitativo motorio affinché si possano ottenere buoni risultati. Questo tipo di riabilitazione è risultata efficace nei bambini dai 5 ai 12 anni. A scuola, come è ben noto, il bambino si relaziona giornalmente con i suoi coetanei e con gli insegnanti. Di fondamentale importanza allora diventa anche un intervento che abbia come obiettivo quello di sviluppare l’autostima e un’immagine positiva di se stessi. Il primo passo che ogni insegnante deve fare quando si trova a contatto con un bambino con DCM è quello di conoscere ogni punto di forza e ogni punto di debolezza del bambino, affinché si possa cominciare a lavorare dai primi per rafforzare i secondi. Bisogna sempre lodare i punti di forza del bambino affinché cresca l’autostima.
Disturbo di coordinazione motoria e Dislessia
Come già detto il Disturbo di Coordinazione Motoria non è un disturbo puro, ma presenta una serie di comorbidità. Mi soffermerò in particolare sulla correlazione tra DCM e Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) andando ad analizzare in particolare la relazione tra esso e la dislessia.
La correlazione tra dislessia e Disturbo di Coordinazione Motoria è il punto cardine della teoria cerebellare dei disturbi specifici dell’apprendimento di Fawcett e coll. (1996); come si evince da questa teoria alla base del disturbo specifico di lettura vi sono difficoltà nell’apprendimento procedurale, nelle abilità motorie, nell’equilibrio e nella stima del tempo, tutte azioni controllate dal cervelletto.
In sintesi, quindi, la dislessia è dovuta ad un deficit a livello del cervelletto in quanto una disfunzione del genere non permetterebbe al bambino un controllo motorio dei muscoli fonologici e non creerebbe in lui l’automatismo di conversione grafema-fonema.
Una teoria formulata da Prado e coll. (2007) afferma la correlazione tra disturbo di coordinazione motoria in particolare con deficit a livello visuo-spaziale e dislessia. Egli ha ripreso e sviluppato una teoria degli anni ’80-’90 secondo la quale i bambini dislessici risultavano deficitari in prove di inseguimento visivo lento. Prado e coll. hanno successivamente esteso lo studio affermando inoltre che in questi bambini era presente un malfunzionamento del sistema oculomotorio che portava a continue fissazioni sul testo da leggere di durata e intensità maggiore rispetto a un bambino privo di tale disturbo; in particolare questo deficit era legato ai movimenti saccadici deputati all’uso dei movimenti oculari per esplorare gli oggetti e l’ambiente circostante. Questo risultato inoltre sembra essere translinguistico, ovvero indipendente dalla lingua parlata dal bambino e dalla tipologia del testo da leggere. In sintesi la teoria di Prado ha portato alla luce la stretta correlazione tra un deficit di pianificazione visiva, presente anche nei bambini con DCM, e difficoltà di lettura.
Per sopperire a questo deficit oculomotorio è stato sviluppato un programma dettagliato per la riabilitazione definito “Visual Training Optometrico” messo in atto dagli optometristi di cui si parlerà più avanti.
Il disturbo specifico di lettura, altrimenti detto Dislessia, è un disturbo caratterizzato da un livello nella comprensione, nella velocità e nella precisione di lettura sostanzialmente molto basso rispetto all’età cronologica del soggetto, all’educazione appropriata e al livello culturale tipico dell’età. Nel bambino dislessico la lettura è caratterizzata da distorsioni, sostituzioni e omissioni di lettere o parole e inoltre da lentezza e insicurezza.
L’ICD-10 (OMS, 1992) afferma che, oltre ai criteri già affermati dal DSM-IV-TR, il disturbo di lettura non debba essere interamente spiegato da ritardo mentale o da un’inadeguata istruzione scolastica. Nel manuale la Dislessia (F.81) viene racchiusa nella categoria generale dei disturbi evolutivi circoscritti delle abilità scolastiche.
Nella formulazione della diagnosi bisogna tener conto di due parametri importanti, la velocità di lettura (numero di sillabe lette al secondo) e l’accuratezza (numero di errori commessi); per una diagnosi di dislessia occorre che la velocità di lettura si discosti dalla media di due deviazioni standard. Le difficoltà di lettura aumentano inoltre anche in base alla lingua parlata. Ogni lingua possiede un grado di difficoltà di lettura; in lingue come il francese o il tedesco la pronuncia della parola cambia in base all’accostamento delle lettere, non sono cioè lingue trasparenti, come invece l’italiano dove a ogni grafema corrisponde un singolo suono. Di conseguenza un bambino dislessico troverà maggiori difficoltà di lettura nelle lingue non-trasparenti.
Visual training ortopedico
Le abilità oculomotorie si sviluppano dalla nascita raggiungendo il picco massimo di efficienza durante i primi anni scolastici. In questo periodo le abilità visive si sviluppano attraverso il gioco e la scoperta dell’ambiente circostante. In molti bambini, in età prescolare, la vista non ha raggiunto il picco massimo di accuratezza a causa di deficit di coordinazione motoria e di controllo neuromuscolare deputati ai corretti movimenti oculari di esplorazione. Ulteriori ripercussioni vi sono sulla capacità di comprensione del testo letto; i bambini con questi deficit hanno scarsa capacità di comprensione a causa di lunghe fissazioni che non permettono una corretta comprensione.
Il visual training è uno strumento importantissimo di miglioramento in campo visivo. Lo scopo di questo training è quello di apportare vantaggi alla qualità della vista, al benessere generale del bambino e a tutti i movimenti oculari collegati, seppur indirettamente, ad una corretta capacità di lettura.
La rieducazione optometrica applicata alla dislessia è molto comune nei paesi anglosassoni, poiché i professionisti che si occupano di DSA richiedono, quasi sempre, questo tipo di valutazione. Prima di intraprendere eventualmente un training optometrico bisogna valutare le abilità visive del bambino, soprattutto bisogna indagare l’eventuale presenza di deficit oculomotori, molto comuni in bambini dislessici con DCM, ed eventuali deficit visuo-spaziali. Si tratta sempre di un training personalizzato, stilato in base alle esigenze del bambino. Questi esercizi insieme ad altri minori, fanno parte della prima fase del training dove si pone l’attenzione sull’attività psicomotoria dei movimenti grossolani e sull’orientamento corporeo; nella fase successiva invece si va a lavorare su esercizi di lettura e scrittura velocizzati.
In Italia purtroppo questo training è ancora abbastanza sconosciuto, in alcune aree territoriali non ci sono professionisti che applicano questo training non solo a bambini dislessici ma anche a bambini con lesioni visive in quanto la dislessia è solo uno dei tanti campi di applicazione del visual training optometrico.
Conclusioni
L’intero lavoro verte sul Disturbo di Coordinazione Motoria. Ho cercato di fare maggiore chiarezza su questa patologia che ancora oggi crea molta confusione negli specialisti del settore, spesso confondendola con altri disturbi o, nella peggiore delle ipotesi, non diagnosticarla affatto. Ho cercato, in maniera chiara ed esaustiva, di fare un quadro nosografico dettagliato affinché ci sia una maggiore chiarezza nella diagnosi. Successivamente mi sono soffermato sulla riabilitazione del DCM andando a descrivere una serie di trattamenti che permettono di migliorare la qualità di vita dei bambini con questo disturbo sia a casa che a scuola. Tutti i trattamenti e i consigli pratici descritti in questo lavoro possono essere messi in atto dagli specialisti, dai genitori e dagli insegnati affinché ci sia un continuum terapeutico tra differenti persone e professionisti che fanno parte della vita del bambino con DCM, affinché egli abbia benefici in tutti i momenti della giornata.