Avv. Angelo Russo,
Avvocato Cassazionista, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario – Catania
Il fatto
Nel 1980, durante lo svolgimento del servizio di leva, F. S. veniva ferito gravemente da un colpo d’arma da fuoco partito, in maniera accidentale, dal fucile di un commilitone.
Trasportato ed operato d’urgenza presso l’Ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, veniva sottoposto a diverse trasfusioni.
Nel 1980 venne diagnosticata al F. S. la comparsa di epatite acuta; nel 1986 gli veniva riconosciuta dal Ministero della Difesa pensione privilegiata per l’infermità contratta a causa di servizio e gli veniva corrisposto un successivo importo nel 1988 a titolo di equo indennizzo; nel 1994 veniva riscontrata, oltre alla presenza di epatite C, l’insorgenza di cirrosi epatica associata ad ipertensione portale; nel 1995 faceva domanda per il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992, che gli venivariconosciuto nel 1996. Le condizioni del F. successivamente si aggravano e nel 2001 veniva inserito in lista per un trapianto di fegato.
In data 20.4.2001 (nei cinque anni dall’emissione del decreto di riconoscimento dell’indennizzo, ma oltre i cinque anni dalla presentazione della domanda amministrativa) egli notificava atto stragiudiziale di messa in mora contro il Ministero della Salute, il Ministero della Difesa e contro l’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia, per il risarcimento dell’intero danno riportato conseguente all’intervento chirurgico e alle emotrasfusioni alle quali era stato in quella occasione sottoposto.
Nel 2002, F.S. conveniva in giudizio il Ministero della Salute, il Ministero della Difesa e l’Assessorato alla Sanità Regione Sicilia chiedendo che fossero condannati a risarcirgli il danno patrimoniale e non, riportato a seguito della contrazione di epatite C, evoluta in cirrosi epatica, in conseguenza delle numerose trasfusioni alle quali era stato sottoposto presso l’Ospedale Piemonte e Regina Margherita. La domanda era volta a far valere la responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale del Ministero della Salute, la responsabilità ex artt. 2043, 2049 2050 e 2051 c.c. del Ministero della Difesa e la responsabilità contrattuale dell’ospedale.
Il Tribunale di Palermo, all’esito del giudizio di primo grado, dichiarava prescritta l’azione risarcitoria nei confronti del Ministero della Salute e rigettava l’azione contrattuale nei confronti dell’ospedale.
L’appello veniva rigettato tranne che in relazione alle spese di lite, delle quali veniva disposta la compensazione.
La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 584/2013 del 27 marzo 2013:
- Confermava la sentenza di primo grado quanto alla prescrizione delle azioni extracontrattuali nei confronti del Ministero della Salute e dell’ospedale, fissandone la decorrenza alla data del 19.4.1994, in cui al F. venne diagnosticata la cirrosi epatica, o al più tardi alla data di proposizione della richiesta di indennizzo ex lege n. 210 del 1992.
- Dichiarava prescritta l’azione extracontrattuale rivolta contro l’ospedale (e comunque infondata nel merito perchè gli obblighi di vigilanza e di controllo erano ritenuti sussistenti in capo al Ministero della Salute).
– Dichiarava prescritta l’azione extracontrattuale proposta nei confronti del Ministero della Difesa, facendo decorrere la prescrizione dal 1985, ovvero dal riconoscimento della insorgenza delle patologie per causa di servizio.
- Rigettava la domanda di responsabilità contrattuale nei confronti dell’ospedale precisando che il controllo sul sangue infetto spettava al Ministero e non alla singola struttura ospedaliera che riceveva le sacche di sangue già controllate a monte e, comunque, rilevava che l’intervento chirurgico venne eseguito con la massima urgenza in stato di necessità (il militare venne ricoverato in ospedale con la diagnosi di ingresso di ferita d’arma da fuoco alla fossa iliaca dx con scoppio del cieco, perforazioni multiple ileali, frattura dell’ala iliaca dx con stato di shock), a rischio concreto di perdere la vita del paziente, in una situazione, quindi, in cui non era consentito ai sanitari di indugiare per verificare la corretta provenienza del sangue la cui trasfusione era necessaria per tenere in vita il paziente.
Compensava le spese di lite tra le parti in ragione delle incertezze giurisprudenziali sul tema delle emotrasfusioni.
La decisione
Con il primo motivo di ricorso si sostiene che l’ospedale, in base agli obblighi normativamente a suo carico, avrebbe dovuto e potuto, prima degli interventi chirurgici, testare le sacche di sangue raccolte dai donatori stessi dell’ospedale o provenienti da centri ematologici esterni, senza attendere per l’esecuzione dei controlli la singola operazione e quindi senza rischiare di trovarsi in situazione di urgenza.
Errava, quindi, la Corte di Appello – secondo i ricorrenti – laddove ha affermato che, essendo stata eseguita l’operazione d’urgenza, l’ospedale si è trovato a dover intervenire immediatamente, in stato di necessità e quindi non erano esigibili i controlli.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducevano che erroneamente la Corte di Appello aveva escluso la responsabilità extracontrattuale dell’ospedale per l’omesso controllo sulle sacche di sangue e non aveva considerato l’attività di raccolta del sangue, che è di competenza territoriale, e non accentrata, come attività pericolosa.
Con il terzo motivo, i ricorrenti sostenevano che gravasse sull’ospedale l’onere di dover provare di aver utilizzato, benché in condizioni di emergenza, sacche ematiche controllate e contestavano che rispondesse, contrattualmente, la struttura sanitaria, se il medico abbia eseguito una trasfusione di sangue non testato a seguito della quale il paziente ha contratto la malattia.
Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti deducevano che, erroneamente, la corte d’appello non aveva ritenuto applicabile nei confronti dell’ospedale e della sua responsabilità contrattuale, il termine ordinario di prescrizione decennale, decorrente, secondo i ricorrenti, solo dal 1994, ovvero da quando fu diagnosticata con chiarezza in capo al F. non solo il contagio di epatite ma anche la presenza di cirrosi epatica.
Secondo la Suprema Corte “non si può correttamente sostenere che una struttura ospedaliera, allorchè effettui una operazione d’urgenza, operi in stato di necessità, e pertanto sia sciolta da ogni obbligo di rispetto delle ordinarie regole di prudenza, canalizzate all’interno della strutture ospedaliere in dettagliati protocolli medico chirurgici ai quali i sanitari operanti nella struttura si devono attenere, e che pertanto, in ragione della particolare urgenza in cui l’equipe medica si trovò ad intervenire per salvare la vita al F., che venne condotto in ospedale con una ferita da arma da fuoco e una grave emorragia in corso, essi non dovessero esercitare alcun controllo in ordine alla provenienza e alla affidabilità delle sacche di sangue, dalla cui somministrazione incontestatamente derivò, in capo al paziente, la contrazione id una grave forma di epatite C degenerata dopo alcuni anni in cirrosi epatica”.
Perchè sia ravvisabile lo stato di necessità, previsto dall’art. 2045 c.c., come causa di esclusione della responsabilità civile, è richiesta – secondo la Corte – “la sussistenza della necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”. La norma implica, invero, “che un soggetto si venga a trovare fortuitamente, a prescindere dalla sua volontà e dalla sua possibilità di esercitare un controllo sulla situazione in atto, in questa imprevista ed imprevedibile situazione, all’interno della quale soltanto si giustifica il compimento da parte sua di scelte, altrimenti sanzionate dai canoni della responsabilità civile, purchè finalizzate alla necessità di salvare sè od altri dalla imprevista e imprevedibile situazione di pericolo.
L’elemento della imprevedibilità è dunque strettamente connaturato al sorgere della causa di giustificazione, dovendo altrimenti una situazione di pericolo esser affrontata e risolta nei modi ordinari senza richiedere o giustificare un intervento da parte di un soggetto che sia al contempo lesivo di altri diritti”.
Rapportandoci alla necessità di intervenire d’urgenza con un intervento chirurgico, per salvare la vita di un’altra persona, lo stato di necessità può sussistere, secondo il ragionamento della Suprema Corte, e può essere idoneo a scriminare la responsabilità del soggetto che, in ragione di esso, non abbia potuto adottare le normali cautele “quando il soggetto che si trovi costretto ad effettuare l’intervento chirurgico si trova fuori da una adeguata struttura sanitaria e non sia in grado di raggiungerla, mettendo altrimenti a repentaglio la vita della persona in pericolo”.
In questo caso chi interviene non potrà usufruire dei controlli preventivi e degli standard di sicurezza e di igiene che sono imposti all’ospedale per il suo ordinario funzionamento, sia come struttura di cura che come struttura chirurgica.
Laddove, invece, l’intervento chirurgico, per quanto in chirurgia d’urgenza e quindi non programmato, avviene all’interno di una struttura a ciò deputata e quindi professionalmente organizzata proprio, tra l’altro, per poter affrontare interventi d’urgenza in condizioni di sicurezza, non è configurabile lo stato di necessità, perchè l’urgenza stessa deve necessariamente essere prevista e programmata e al suo verificarsi scatta o deve scattare l’adozione di specifici protocolli, tra i quali la predisposizione di sacche di sangue già controllate.
Proseguendo nell’iter argomentativo, la Corte sottolinea che: “Nei compiti di una struttura ospedaliera organizzata ed operante sul territorio, rientra, tra gli altri, la programmazione, ai fini dell’adeguata gestione, delle situazioni di emergenza, che si deve tradurre in una apposita organizzazione interna finalizzata proprio alla professionale ed organizzata gestione dell’emergenza, con appositi protocolli, la previsione di turni in chirurgia di tutte le qualifiche professionali coinvolte, la disponibilità all’occorrenza delle sale operatorie con priorità su interventi che possono attendere, l’approvvigionamento preventivo di risorse ematiche verificate o comunque la predeterminazione delle modalità di un approvvigionamento aggiuntivo straordinario ove necessitato dalla situazione di emergenza”.
La conseguenza, secondo il Supremo Consesso, è che, in ogni caso, deve escludersi che una struttura sanitaria, che esegua all’interno di essa un intervento chirurgico di urgenza, agisca in stato di necessità e possa di conseguenza essere ritenuta non responsabile ex art. 2045 c.c., dei danni riportati dai pazienti ove gli stessi abbiano subito un danno ingiusto e che, anche all’interno di tale situazione, si applicano le ordinarie regole di ripartizione dell’onere probatorio in materia di responsabilità della struttura sanitaria: a fronte della contrazione da parte di un paziente di epatite post trasfusionale, grava sulla struttura ospedaliera l’onere di provare di aver eseguito, sul sangue somministrato, tutti i controlli all’epoca dei fatti previsti.