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Dott. Massimo Agnoletti

L’epigenetica e la sovrastima della componente genetica negli studi gemellari

Dott. Massimo Agnoletti

 

Dott. Massimo Agnoletti – Psicologo, Dottore di ricerca
Esperto di Stress, Psicologia Positiva e Epigenetica, Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto, Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE).

 



Abstract 

Il paradigma epigenetico ha fatto emergere anche il contributo delle informazioni ereditarie non attribuibili al DNA.
Alcune ricerche che hanno voluto identificare quantitativamente il contributo genetico (DNA) rispetto la componente extra-genetica (utilizzando la metodologia che compara la variabilità esistente tra gemelli omozigoti ed eterozigoti), hanno del tutto sottostimato il ruolo fondamentale della memoria epigenetica ereditata. Come conseguenza di questo errore concettuale e metodologico tutti gli studi che hanno utilizzato tale logica comparativa hanno sovrastimato il ruolo della componente genetica nella comprensione della struttura fenotipica e del comportamento oggetto dello studio generando una sottovalutazione della componente potenzialmente modificabile e quindi migliorabile della fitness.

Abstract 

Epigenetic paradigm revealed the impact of hereditary information not attributable to DNA.
Some researches that wanted to quantitatively identify the genetic contribution (DNA) with respect to the extra-genetic component using the methodology that compares variability existing between homozygous and heterozygotic twins, have completely underestimated the fundamental role of inherited epigenetic memory. As a consequence of this conceptual and methodological mistake, all studies that used this comparative logic overestimated the role of the genetic component in understanding the phenotypic structure and behavior of the study, generating an underestimation of the potentially modifiable and therefore improvable component of fitness.

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[dropcap color=”#000000″ font=”0″]I[/dropcap]l rivoluzionario paradigma dell’epigenetica enfatizza il ruolo delle informazioni che non fanno parte del genoma nello sviluppo delle strutture biologiche e nei comportamenti di un organismo. Nell’affermare questo, la versione recente del paradigma contrasta la visione genetico centrica riconducibile al cosiddetto “dogma centrale della biologia molecolare”, che invece enfatizza il ruolo dell’informazione genetica codificata nel DNA di ciascuna cellula, prevedendo un sostanziale flusso di informazioni unidirezionale.

Essa parte dal DNA verso il contesto esterno con una sorta di “impermeabilità informazionale” rispetto tutto ciò che non si trova all’interno della memoria genomica (Agnoletti, 2020; Bottacioli&Bottacioli, 2017).

3D render of a medical background with DNA strands

Per molti decenni il modo di stimare il contributo dell’informazione genetica dei comportamenti umani (e non) è stato fondato concettualmente sull’assunto base che ciò che è considerato “extra” genetico comincia a influenzare il comportamento in questione dalla nascita del soggetto.

Quest’assunto è stato sviluppato all’interno del paradigma biomedico gene-centrico, dov’è anche la visione riduzionista natura-ambiente, la quale prevede l’influenza dell’ambiente a partire da quando l’organismo viene partorito ed esposto a esperienze che non sono riconducibili alla componente biologica.

Una metodologia molto utilizzata finora e che riflette questo intreccio di paradigmi riduzionistici è la metodologia che ha cercato di identificare il contributo genetico del tratto fenotipico analizzato comparando due gruppi di gemelli, quelli omozigoti (che condividono il medesimo DNA) con quelli eterozigoti (che condividono mediamente il 50% del DNA).

Sostanzialmente, la metodologia spesso utilizzata, si basa sulla comparazione della variabilità di quel tratto fenotipico (colore degli occhi, altezza, tratto di personalità, felicità, etc.) esistente tra i due gruppi di gemelli studiati assumendo che la variabilità differenziale tra i gruppi è attribuibile alla componente extra genetica in forza all’esposizione di esperienze post nascita che hanno prodotto tale variabilità.

Questa metodologia quantifica, quindi, la componente genetica considerandola attraverso una logica di sottrazione da quella extra genetica. In questo paradigma la variabilità rilavata, se non è extra genetica, dev’essere genetica (si veda in proposito ad esempio Goldsmith, 1983; Nichols, 1978).

Questa logica è stata utilizzata anche comparando gruppi di gemelli omozigoti ed eterozigoti nei contesti in cui le persone analizzate hanno vissuto all’interno dello stesso ambiente familiare o in ambienti differenti. Inoltre le esperienze ambientali soggettive avrebbero espresso un’ulteriore variabilità nello strumento di misura utilizzato per valutare il tratto fenotipico (si veda ad esempio Tellegen et al., 1988).

Così, ad esempio, per stimare il contributo genetico (o presunto tale) della percezione di felicità individuale, si sono fatte comparazioni tra un gruppo di gemelli omozigoti ed eterozigoti identificando prima le variazioni esistenti in ciascun gruppo per raffrontarle identificandone il differenziale.

Questo parametro è stato attribuito alla componente extra genetica individuando anche, di conseguenza e per sottrazione, il contributo della componente relativa il DNA.

La logica di questo ragionamento è stata all’incirca questa: “se la variabilità del tratto fenotipico in questione non è attribuibile alle esperienze vissute dalla persona da quando è nata (partorita) allora di conseguenza detta variabilità è attribuibile alla componente del DNA”.

Questa metodologia si sposava bene al contesto del paradigma gene centrico dove vi era una netta separazione tra il concetto ereditabilità, dovuta all’informazione genetica, e il concetto di ambiente come fattore esperienziale vissuto dall’organismo (sia a livello psicologico che fisiologico/cellulare) che in questo teorico non poteva essere ereditato perché privo della possibilità di influenzare l’informazione genetica.

Family generation green eyes genetics concept

Con l’affermarsi del paradigma epigenetico si sostiene invece che lo sviluppo morfologico e comportamentale di un organismo, è sempre dovuto all’interazione della memoria genetica con quello che può esser definito “ambiente” ossia la memoria informazionale extra-genetica che è contemporaneamente non-self dal punto di vista del DNA e self se consideriamo la prospettiva dell’organismo stesso (Agnoletti, 2020).

L’epigenetica prevede quindi un abbattimento della dicotomia self-ambiente in precedenza affermata dal paradigma gene-centrico, per la massiccia e continua capacità dell’organismo di selezionare anche in modo reversibile (quindi potenzialmente transitorio) l’informazione genetica che viene espressa e quella che viene silenziata dal punto di vista fenotipico (Agnoletti, 2020).

Una delle implicazioni del paradigma epigenetico è che l’organismo umano, già dal momento in cui è zigote (cioè dalla singola cellula originaria che si differenzierà in trilioni di cellule derivanti da essa condividendone lo stesso DNA), possiede una memoria epigenetica che si modifica in base alle esperienze vissute dal percorso di sviluppo ontogenetico in atto, includendo anche il periodo di gestazione che porta l’individuo dalla cellula zigote alla fase in cui viene partorito (nei mammiferi).

La scienza dei telomeri ha dimostrato ad esempio che queste strutture all’apice dei cromosomi che hanno la funzione di proteggere strutturalmente il materiale genetico e che determinano la nostra longevità, si riducono di circa un terzo rispetto la loro lunghezza iniziale massima posseduta dallo zigote (da circa quindici mila basi a circa dieci mila basi), per effetto del processo epigenetico di divisione cellulare necessario a produrre il set completo di cellule distinte nelle circa 200 tipologie diverse che condividono lo stesso DNA di base e che compongono l’organismo umano (Andrews&Cornell, 2017; Blackburn, 1991).

Pertanto, nella specie umana, l’organismo quando è partorito possiede già, oltre ad una memoria genetica codificata dal DNA, anche una memoria epigenetica codificata in tutti quei meccanismi che regolano l’espressione dei geni.
Recenti ricerche (si veda in proposito Bell &Spector, 2011; Fraga et al., 2005; Tan, Christiansen, von BornemannHjelmborg& Christensen, 2015; Kaminsky et al., 2009; Van Baak et al., 2018; Wong, Gottesman&Petronis, 2005; Yet et al., 2016), hanno verificato che i gemelli omozigoti o identici, condividono non solo lo stesso genoma, ma anche l’insieme dei meccanismi molecolari che regolano l’espressione dei geni, proprio perché la loro duplicazione avviene dalla medesima cellula iniziale che già contiene una sua specifica memoria epigenetica.

Citando le parole del dottor Robert Waterland, coordinatore di una di queste ricerche: “Abbiamo scoperto che gli schemi di metilazione dei due membri di una coppia di gemelli identici coincidevano quasi perfettamente, con un grado di somiglianza che non può essere spiegato dalla condivisione dello stesso DNA […] Abbiamo battezzato questo fenomeno: super-similarità epigenetica” (Le Scienze, 2018).

È stato confermato che questa “super-similarità” epigenetica ha origine nelle prime fasi dello sviluppo embrionale ed è talmente importante che ha la potenzialità di predire lo sviluppo di alcune malattie compresi i tumori.
Queste ricerche hanno dimostrato che gli elementi comuni tra due gemelli omozigoti non sono unicamente riconducibili alla genetica ma coinvolgono l’epigenetica grazie al meccanismo di metilazione che determina l’espressione dei geni e il loro silenziamento.

Nella comparazione metodologica tra i gemelli omozigoti e eterozigoti durante la fase di sviluppo ontogenetico, non ci sono solo in atto le variazioni esistenti tra le memorie genetiche, ma anche quelle derivanti dalle memorie epigenetiche che nei gemelli omozigoti sono molto alte (“supersimili”).

Se ne deduce che assumendo come esclusivamente “genetica” la parte costante dell’invarianza tra i due gruppi di gemelli ne deriva un errore metodologico dovuto al fatto che suddetta invarianza è in realtà il risultato dell’interazione tra la memoria del DNA e della memoria epigenetica, rispettivamente identiche e “supersimili” nel caso dei gemelli omozigoti.

Ne consegue quindi che molte ricerche che hanno avuto come obiettivo quello di studiare il contributo genetico di specifici tratti fenotipici (sia morfologici sia psicologici sia comportamentali), hanno finora grandemente sottostimato le componenti extra-genetiche sovrastimando quelle genetiche.

L’effetto quantitativo di questo errore concettuale e metodologico è presumibilmente molto alto considerando che l’effetto della “supersimilarità” genetica è di per sé notevole e se idealmente fosse prossima al 100% rappresenterebbe quasi il 50% dell’invarianza riscontrata nei gemelli identici.

Alla luce del paradigma epigenetico e dei suoi studi empirici, molte affermazioni, quali ad esempio che il 50% della nostra felicità è dovuta al contributo genetico, sono da rivedere poiché questa tipologia di comunicazioni ha prodotto, dal punto di vista individuale e sociale, una falsa percezione, della reale possibilità effettiva che abbiamo, nel modificare in meglio la nostra vita e la nostra salute.

Bibliografia

Agnoletti, M. (2020). L’epigenetica ridefinisce il concetto di Self nelle scienze biomediche e psicologiche. Medicalive Magazine, 1, 35-40.

Andrews, B. & Cornell, J. (2017). Telomere Lenghtening. Nevada, USA. Sierra Science.

Bell, J.T., Spector, T.D. (2011). A twin approach to unraveling epigenetics. Trends Genet, 27, 116–125.

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Bottaccioli, F., Bottaccioli, A.G. (2017). Psiconeuroendocrinoimmunologia e scienza della cura integrata. Edra Editore.

Fraga, M.F., Ballestar, E., Paz, M.F., Ropero, S., Setien, F., Ballestar, M.L., Heine-Suner, D., Cigudosa, J.C, Urioste, M., Benitez, J., et al. (2005). Epigenetic differences arise during the lifetime of monozygotic twins. Proc Natl Acad Sci U S A, 102, 10604–1069.

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Kaminsky, Z.A., Tang, T., Wang, S.C., Ptak, C., Oh, G.H., Wong, A.H., Feldcamp, L.A., Virtanen, C., Halfvarson, J., Tysk, C., et al. (2009). DNA methylation profiles in monozygotic and dizygotic twins, Nat. Genet., 41, 240–5.

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Tan, Q., Christiansen, L., von BornemannHjelmborg, J., Christensen, K. (2015). Twin methodology in epigenetic studies. Journal of Experimental Biology. 218, 134-139; doi: 10.1242/jeb.107151

Van Baak, T.E., Coarfa, C., Dugué, P. et al. (2018). Epigenetic supersimilarity of monozygotic twin pairs. Genome Biol., 19, 2.Retrived from: https://doi.org/10.1186/s13059-017-1374-0

Wong, A.H., Gottesman, I.I., Petronis, A. (2005). Phenotypic differences in genetically identical organisms: the epigenetic perspective. Hum. Mol. Genet.,14, 11–18.

Yet, I., Tsai, P.C., Castillo-Fernandez, J.E., Carnero-Montoro, E., Bell, J.T. (2016). Genetic and environmental impacts on DNA methylation levels in twins. Epigenomics,8, 105–117.

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