Dott. Roberto Urso – Dirigente Medico U.O. di Ortopedia e Traumatologia Ospedale Maggiore, Bologna |
Maela Bortolussi – Dr.ssa In Fisioterapia – riabilitazione ortopedica, neuromotoria e idrokinesiterapia – Roma
Spendiamo qualche parola sull’argomento che ha spesso diviso la rehabilitative therapeutic opinion fra Ortopedico e Fisioterapia: la gestione e la pianificazione della rieducazione assistita, sia nel post-trauma che nel post-chirurgico.
L’argomento della precocità della rieducazione funzionale è stato ampiamente sviluppato da numerosi studi clinici, con i quali si è dimostrato come l’intervento riabilitativo tempestivo, dopo trauma o malattia, riesca a portare vantaggi fin dall’esordio della malattia stessa, sia essa traumatica che internistica.
La consapevolezza di questo deriva da studi e clinical evidence delle note Linee Guida stilate già dagli statunitensi negli anni ‘80/’90: l’esercizio rieducativo è efficace solo se è iniziato precocemente e in maniera intensiva; finalizzato all’obiettivo della restitutio ad integrum del segmento o apparato interessato dal danno. Motivo per cui molti ospedali hanno sviluppato servizi specifici per l’intervento fisico-riabilitativo applicandolo, quando possibile, nell’immediato esordio della patologia.
Nell’ambito dell’Ortopedia il trattamento della lesione può essere di tipo conservativo o di tipo chirurgico; nel primo caso l’uso dell’ingessatura o di steccatura porteranno a guarigione la lesione, ma obbligheranno il paziente a una immobilizzazione completa del segmento osseo interessato. Nel secondo caso, l’uso di placche, protesi, viti o chiodi endomidollari, permetteranno di creare una stabilità ideale alla frattura, tale da poter programmare precocemente il progetto riabilitativo.
La chirurgia ortopedico-traumatologica del terzo millennio è supportata da presidi chirurgici sempre più performanti e costruiti con materiali perfettamente biocompatibili, tant’è che lo sviluppo di questi moderni surgical devices hanno permesso di raggiungere un livello di stabilità della frattura, a fine intervento, un tempo inimmaginabile.
Da qui scaturisce una necessità assoluta: la fisioterapia immediata. Se la frattura è stata perfettamente stabilizzata dai mezzi di osteosintesi non si dovrebbe rendere necessario un bloccaggio articolare con gessature o tutorizzazioni, a meno che non vi sia la necessità intrinseca data da una frattura ancora modicamente instabile.
I pro e i contro dell’immobilizzazione con gesso li conosciamo:
La stabilizzazione con osteosintesi, quando eseguita ad arte, permette al chirurgo di interfacciarsi con il fisioterapista già nell’immediato post-operatorio e stilare un programma di recupero funzionale, per portare a guarigione nel più breve tempo possibile la frattura trattata.
Il FAST Rehab (Functional Athletic Sequence Training Rehabilitation) concettualmente nasce dall’esigenza degli atleti/pazienti che hanno terminato la classica riabilitazione post-trauma, ma che non sono pronti per tornare ai loro sport o attività abituali. Si addotta, quindi, un approccio globale al recupero delle prestazioni degli atleti mettendo a disposizione allenamento funzionale specifico per lo sport e addestramento medico di recupero secondo necessità.
L’obiettivo finale è la preparazione, sia per atleti che non atleti, a tornare in gioco più velocemente e nella migliore forma con una equivalenza prestazionale paragonabile a prima delle loro lesioni.
Report:
Paziente maschio, professionista di anni 52 con alte esigenze sia lavorative che sportive.
Incidente stradale: trauma alla mano sinistra con frattura-lussazione del 5° dito, frattura della stiloide radiale del polso destro, frattura gravemente scomposta della tibio-tarsica destra ed esposizione di grado 2° al malleolo esterno, trauma cranico non commotivo. (fig.1)
Causa l’esposizione della lesione alla caviglia si posiziona in trazione trans-calcaneare e si imposta terapia antibiotica per lesioni esposte; superato il time-window delle fratture, si procede all’intervento chirurgico (fig.1).
Riduzione manuale e stabilizzazione con fissatore esterno mini-stylo al 5° dito mano sinistra; riduzione a cielo aperto della frattura della tibia distale e stabilizzazione con viti; debridement cutaneo, riduzione e sintesi con placca 1/3 tubulare al malleolo esterno.
A fine intervento la stabilità era ottimale e non si applica nessuna immobilizzazione rigida, ma solo bendaggio molle.
Dal secondo giorno il paziente inizierà la mobilizzazione attiva della caviglia e la trazione con elastico per poter iniziare la talizzazione del piede; questa manovra fu possibile in quanto, per il tipo di trattamento agli arti superiori, le mani erano utilizzabili: fissatore al 5° dito mano sinistra e tutore termoplastico al polso destro. (fig.2)
Dimesso a domicilio, dopo 15 giorni furono asportati i punti di sutura e iniziata la rieducazione propriocettiva, la ginnastica in acqua, la mobilizzazione manuale assistita. Il carico era con stampelle al 50-60%, fino a portarlo al 90-100% al 30-35° giorno del post-chirurgico.
A 35 giorni l’esame radiografico di controllo mostrava un processo di callifazione assolutamente favorevole (fig.3) e da quel momento, in considerazione della perfetta stabilizzazione della lesione, il paziente ha proseguito la rieducazione alla caviglia con carico completo, associato alla rieducazione della mano sinistra.
La riabilitazione precoce di caviglia (di Bortolussi Maela)
Nel momento in cui accade un trauma a livello di piede o caviglia, che quindi impedisce alla persona di potersi muovere nello spazio, è come se da quel momento il cervello non avesse più gli occhi per poter percepire cosa accade nello spazio che lo circonda perché non ha più i riferimenti propriocettivi che i piedi gli inviano costantemente.
Per questo è fondamentale quanto prima recuperare la problematica che si è venuta a creare.
Sia che si tratti di una semplice distorsione (che richiede un’immobilizzazione temporanea) o di un trauma che porti a un intervento chirurgico, la prima cosa da fare tempestivamente a livello fisioterapico è l’idrokinesiterapia che può essere iniziata -nel caso della chirurgia – subito dopo aver rimosso i punti di sutura. Attraverso di essa il paziente, sfruttando il principio del galleggiamento, può fin da subito camminare e compiere degli esercizi che esternamente non riuscirebbe a fare. Questo, come primo risultato, darà a livello psicologico una grande sicurezza e una consapevolezza sul fatto che nulla è perduto. L’autonomia in acqua senza l’ausilio delle stampelle, l’assenza di dolore, la capacità di compiere gli esercizi, darà uno stimolo in più per svolgere tutto il resto della terapia. In acqua si può subito lavorare sull’articolarità e sulla deambulazione. Attraverso ausili quali tavolette, tubi e galleggianti sarà possibile lavorare sul rinforzo e, ancora più importante, sulla propriocezione. Il tutto, indirettamente, favorirà grazie proprio all’acqua, il drenaggio linfatico e vascolare. Per quanto riguarda invece la fisioterapia fuori dall’acqua, anche in questo caso, se si è in presenza di un piede gonfio si lavorerà sicuramente sul drenaggio con massaggi linfodrenanti, in modo da far fluire l’edema il prima possibile. Ci si avvarrà dell’ausilio di macchinari quali tecar, crioultrasuoni, laser terapia e game ready per controllare ed eliminare quanto prima il dolore e il gonfiore; si svolgeranno massaggi decontratturanti all’arto interessato e al controlaterale per trattare eventuali contratture muscolari che si possono essere create primo o dopo il trauma.
Si lavorerà, da subito, sul recupero dell’articolarità attraverso mobilizzazione passive e attive e sulla cicatrice, in modo da eliminare eventuali aderenze o evitare che queste si generino. Si svolgeranno esercizi attivi di recupero.