Dott. Roberto Urso
Dirigente Medico U.O. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Maggiore – Bologna
A seconda dell’andamento della linea, le fratture extracapsulari del collo del femore sono suddivise in basicervicali, intertrocanteriche e per trocanteriche.
L’argomento è ampiamente discusso da anni. L’aumento dell’età media ha portato a una rilevante aggravio di tali fratture in anziani, che spesso sono rese complicate da altre patologie internistiche che possono portare ad un ulteriore peggioramento delle condizioni generali. La frattura colpisce prevalentemente grandi anziani, le donne più degli uomini, senza però “risparmiare” i pazienti più giovani (con tale frattura provocata spesso per trauma della strada o caduta in trauma su sport di contatto), con un range medio sui 75-80 anni di età.
Le fratture extracapsulari, rispetto a quelle del collo del femore, sono gravate da una maggiore morbilità e mortalità: per tale motivo la rapidità nell’eseguire l’intervento è fondamentale affinché diminuisca tale rischio.
Protocolli internazionali e riscontri riportati in letteratura, giudicano il trattamento chirurgico come un’urgenza; difatti andrà eseguito entro un arco temporale che va dall’immediato alle 48 ore successive al trauma, perché tale approccio, nella sua particolarità, porta alla diminuzione dei rischi di mortalità del paziente. La sollecitudine della chirurgia è fondamentale ma, nonostante questo atteggiamento di tipo urgentista, un’importante percentuale dei pazienti anziani affetti da tali fratture del collo del femore o pertocanterica, non è scevra da rischi anche nel post-intervento. La precoce terapia chirurgica, le terapie farmacologiche con eparine a basso peso molecolare, la precoce mobilizzazione, fanno ugualmente residuare un rischio di decesso del grande anziano fino ai 6-8 mesi successivi l’evento, in una percentuale che può quantificarsi nel 25% circa.
Le donne, rispetto agli uomini, sono più esposte al rischio di frattura; la causa viene imputata, oltre che al maggior rischio di caduta in conseguenza all’avanzare dell’età, anche al minore picco di massa ossea, creatosi nel periodo post-menopausale.
La biomeccanica dell’articolazione coxo-femorale, il tipo di caduta, il valore e la direzione delle forze che vengono applicate nell’evento, nonché il grado di porosità ossea, determinano e diversificano i tipi di frattura (fig.1). Nella frattura pertrocanterica il gruppo gran trocantere, gruppo tensile e compressivo secondario, vengono attraversati dall’energia cinetica impressa nell’urto al suolo.
Nell’ambito dei traumi da caduta dell’anziano, in un Pronto Soccorso ortopedico, la frattura pertrocanterica del collo del femore è la lesione che si presenta con maggior frequenza. Tali malati richiedono una valutazione veloce ed essenziale in quanto, data l’età avanzata, non solo si possono riscontrare altre importanti lesioni (vedi la lesione della milza nel caso di frattura del femore sinistro, traumi viscerali), ma si può assistere al determinarsi di importanti instabilità emodinamiche date dall’emorragia determinata dalla frattura.
Clinicamente si ha sempre elevato dolore, assoluta impossibilità di mantenere la stazione eretta e di deambulare; l’arto inferiore colpito dal trauma si presenta accorciato e con rotazione esterna. Si può evidenziare una tumefazione dolente a livello dell’anca traumatizzata con ematoma localizzato al grande trocantere.
In prima battuta si eseguono radiografie del bacino in toto (per escludere eventuali fratture associate (branche ischio-pubica omolaterale o controlaterale, cotile, ala iliaca e sacro-iliache), e dell’anca interessata in proiezione antero-posteriore e assiale. Un emocromo eseguito in urgenza per valutare la stato emodinamico del paziente, l’elettrocardiogramma, la sospensione di eventuali terapie a base di anticoagulanti orali, onde permettere di rispristinare i valori di INR, PT e PTT d un livello che permetta al collega anestesista di preparare il paziente all’intervento; infine, la somministrazione di una terapia a base di eparine a basso peso molecolare, per diminuire i rischi trombo-embolici. Importante ricordare che un’ecografia addomino-pelvica, esame rapido e dirimente, ci permette di escludere sanguinamenti dati da lesioni della milza in trauma del lato sinistro, su pazienti in terapia con antiaggreganti orali. Tale lesione può passare inosservata in quanto l’anemia post-trauma viene solitamente imputata al sanguinamento del femore, che essendo un osso lungo fa perdere al paziente 1-1, 5 punti di emoglobina nell’immediato post-trauma. Una grave anemizzazione deve allertare il medico di PS per possibili emorragie interne.
Trattamento
Intervento chirurgico tempestivo, tecnica mini-invasiva per limitare le perdite ematiche, precoce mobilizzazione del paziente e inizio al carico assistito nell’arco di pochissimi giorni.
Questi sono gli obbiettivi primari. Si vuole qui parlare del tipo di chirurgia che viene eseguita su queste fratture. Chirurgia che rappresenta un punto di svolta per restitutio ad integrum di questi malati.
Progetto: mobilizzazione precoce, allettamento ridotto al minimo, ripresa del carico totale immediato e miglioramento della postura del paziente con assistenza fisioterapica per periodi relativamente brevi, progetto di autonomia completa nell’arco di 30 giorni. Come si giunge a questo?
Da anni esistono presidi chirurgici che si sono via via sempre più perfezionati, raggiungendo livelli praticamente perfetti per la sintesi di queste fratture. Il chiodo bloccato di femore risulta il sistema chirurgico più idoneo in tale lesione. La sua prerogativa principale è determinata dalla rapidità di intervento, dalla via di accesso chirurgica assolutamente mini-invasiva che limita le perdite ematiche, dall’elevata stabilità dell’impianto che permette di mettere seduto il paziente già il giorno dopo l’intervento e, in piedi dopo soli due massimo tre giorni. Ed è lo stesso chiodo bloccato, che stabilizzando la frattura, fa meglio proseguire il percorso di guarigione della frattura tramite la mobilizzazione immediata dell’arto operato.
Tecnica
Il paziente viene posizionato sul letto chirurgico, con una trazione a zampale sull’arto fratturato. Utilizzando un’apparecchiatura radiologica definita “intensificatore di brillanza”, si eseguono le opportune manovre di trazione e intra-rotazione, atte ad allineare la frattura pertrocanterica.
Su un monitor, scattando con l’intensificatore, si visionano le immagini di tale avvenuta riduzione (fig.2).
Preparato il campo operatorio, sempre sotto controllo radiologico, si posiziona un filo che ha la funzione di repere chirurgico per inquafrarel’apice del gran trocantere del femore, che rappresenta il punto di ingresso del chiodo.
La curva di apprendimento della tecnica chirurgica è fondamentale, in quanto una via di ingresso errata non permetterà al chiodo stesso l’ingresso nella diafisi del femore.
Come ci insegna la scuola di Strasburgo, si pratica una piccola incisione chirurgica, di lunghezza variabile fra i 2,5 e i 3,5 cm. (fig.3) Incisione che determina minimo sanguinamento nel rispetto dell’emodinamica del paziente (alla fig. 4 calcolo con computer della lunghezza dell’incisione).
Con un puntale si pratica la via di ingresso del chiodo all’apice del gran trocantere (fig.5) (i chiodi usano la stessa via di ingresso, a volte lievemente medializzata, a seconda del modello), si inserisce un filo guida e si esegue l’alesaggio del canale femorale, al più spesso usando le frese manualmente. Inserito lo stelo del chiodo, i successivi passaggi saranno l’inserimento della vite cefalica e della vite di bloccaggio distale (a volte omessa, a seconda della stabilità dell’impianto o dal tipo di chiodo).
Casi clinici
Fig.6: paziente maschio, di anni 84; caduta accidentale con frattura pertrocanterica del femore destro. Operato di inchiodamento endomidollare, eseguito controllo nel post-operatorio: ciclo riabilitativo nelle tre settimane successive; a distanza di 30 giorni eseguito nuovo controllo radiologico che mostra un callo osseo riparativo molto buono.
Fig.7: paziente femmina, di anni 87; caduta accidentale in casa. Frattura pertrocanterica del femore sinistro. Intervento di inchiodamento endomidollare e controllo radiologico nel post-operatorio. Ciclo riabilitativo nel post-operatorio, con progressi sempre migliorativi. Esegue controlli periodici; a 150 giorni esegue un controllo radiologico che mostra un callo osseo riparativo ideale e una restitutio ad integrum articolare. Nonostante l’età, se la riabilitazione viene eseguita in modo efficace e la persona è compliante, l’autonomia si raggiunge in tempi estremamente brevi.
Fig.8: paziente femmina, di anni 97. Caduta accidentale in casa con trauma all’anca di sinistra. All’esame radiologico evidenza di frattura pertrocanterica. Controllo radiografico dell’immediato post-operatorio, con ottima riduzione della frattura. Nel controllo radiografico eseguito dopo 50 giorni evidente callo osseo formativo. La paziente risulta già in condizioni di ottima guarigione. Se il protocollo riabilitativo e la compliance della paziente sono buoni, la paziente avrà già raggiunto una sua autonomia al pari di quella prima della caduta.
Fig. 9: I chiodi bloccati short, se montati secondo esatta curva di apprendimento, possono essere usati anche nelle fratture cosidette “border-line”. In questo caso l’esempio di una frattura classificabile come sotto-trocanterica, border-line con la per-inter-trocanterica.
Maschio di anni 89; caduta accidentale, frattura sotto-trocanterica del femore sinistro. Riduzione sotto scopia e inchiodamento endomidollare. Controllo del paziente a qualche mese di distanza. La consolidazione è completa con recupero funzionale ideale. Il paziente è autonomo.
Fig.10: Donna, anni 71, caduta accidentale in casa. Frattura pertrocanterica femore sinistro. Inchiodamento endomidollare secondo tecnica. Controllo rx-grafico nell’immediato post-opertaorio. Inizio precoce al carico. Controllo rx-evolutivo a 43 giorni con evidente callo osseo riparativo catalunyafarm.com.
Conclusioni
L’obbiettivo primario nelle fratture del femore prossimale è la restituzione della corretta anatomia dei frammenti ossei che permetta una precoce mobilizzazione del paziente. Nel paziente anziano questo obbiettivo è assoluto, in quanto l’immobilizzazione, l’allettamento prolungato e le patologie internistiche tipiche dell’età, determinano un incremento del degrado fisico e psichico del malato.
In questa sessione abbiamo parlato delle fratture pertrocanteriche del femore, ampiamente diffuse ma, come dimostrato, risolvibili con tecniche chirurgiche mini-invasive, a risparmio ematico e che determinano una stabilità tale da permettere un’immediata rieducazione del paziente, eseguita in prima istanza dal personale del nosocomio accettante seguendo determinate linee guida e, successivamente, dai fisioterapisti a cui i pazienti afferiscono.
I protocolli riabilitivi definiti “percorso femore”, all’atto della dimissione, vengono poi rilasciati al paziente per proseguire le terapie riabilitative all’esterno della struttura, in centri della USL.
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