Dott. Giulio Godano,
Sociologo, Pedagogista,
Educatore presso Cooperativa Sociale “Quadrifoglio”
Bologna
Il mondo dei bambini è un mondo carico di responsabilità. Per questo tutti gli educatori dovrebbero comportarsi con etica, decoro, educazione e garantire la propria attitudine alla formazione e all’aggiornamento professionale. Tale formazione professionale deve essere riconosciuta da standard di qualità. Lo Stato dovrebbe riconoscere il grande ruolo e lavoro svolto dagli educatori e dagli insegnanti, attraverso una stabilizzazione del rapporto contrattuale ed una giusta retribuzione. Lo Stato e le amministrazioni pubbliche e di privato sociale dovrebbero altresì richiedere formazione e aggiornamento professionale all’educatore/insegnante, in quanto é dovere dello stesso essere aggiornato a livello scientifico e sociale. Devono essere prese misure poco flessibili in caso di dolo, colpa, negligenza, imperizia compiuti dagli educatori/insegnanti.
I meccanismi della premialità e della sanzione devono tuttavia funzionare in modo corretto ed equo. A seconda della gravitá del comportamento, l’educatore/insegnante deve intraprendere un percorso di recupero, alla fine del quale se risolve o ripara l’errore deve essere reintegrato in maniera piena, con rinnovata e ritrovata fiducia e senza piú lo stigma cucito addosso. Se il lavoratore non riesce a recuperare, allora si possono tentare altre strade, tenendo tuttavia bene in mente che é solo attraverso il rispetto e la fiducia del lavoratore che si ottiene qualitá nel lavoro e si riducono gli atteggiamenti volti a implementare il mobbing tra i lavoratori. In questo testo si tenta di trovare un equilibrio tra la ricerca della qualitá e della sicurezza complessiva del care educativo e le componenti meritocratiche volte a raggiungere tale sicurezza, tracciando la via di una graduale sicurezza del posto di lavoro dell’insegnante/educatore, nel welfare dei cittadini. Gli educatori di plesso delle scuole pubbliche dovrebbero poter partecipare e collaborare alla responsabilità della sicurezza pedagogica, educativa e sociale dei minori disabili e non, coadiuvando gli insegnanti in questo importante compito.
«La sofferenza infantile, quella più profonda, che va oltre le “piccole” frustrazioni del quotidiano, fa paura e, in quanto tale, nuoce agli adulti, per cui, spesso, si preferisce “non vedere”, “non capire”, “lasciar passare” o, più spesso ancora, cercare di compensare con l’acquisto di oggetti tanto desiderati, la proposta di esperienze extraordinarie, la concessione di qualche “si” in più… Ma nella maggioranza di questi casi, quello che i bambini e le bambine che soffrono chiedono agli adulti è un “più” di coraggio per affacciarsi al loro dolore, un “più” di presenza che vada oltre la temporalità di una rassicurazione. In altre parole, tutto quello che i nostri bambini chiedono è una relazione che sia nel segno della cura e dell’aiuto». In questo senso la cura deve essere portata avanti (…) «da parte di una, possibilmente di più di una, figura adulta che li accompagni nell’attraversamento del dolore, non che li aspetti al di là, dopo che la loro forza, la loro creatività, la loro resilienza l’hanno fatto loro superare». La scuola deve diventare sempre più il luogo deputato al prendersi cura della formazione e della salute dei bambini, con ciò diventando un contesto strategico nell’alleanza educativa con la famiglia e con tutto il sistema di welfare. In questo senso la scuola può essere una delle prime barriere o dei primi avanposti per la proposta, la costruzione e la determinazione della salute mentale e sociale. Insieme con tutti i professionisti sociali e sanitari (tra i quali i pediatri di libera scelta, ineuropsichiatri infantili, gli assistenti sociali, gli psicologi e i pedagogisti) gli insegnanti e gli educatori della scuola – in particolare della scuola dell’infanzia e della scuola primaria –contribuiscono a generare nel bambino quel benessere di cui ha bisogno per costruire la sua identità e personalità, nell’ottica biopsicosociale.
Per una sostenibilitá dei processi sociali nei servizi sociali ed educativi
Ipotizziamo ora il passaggio dalla sociologia dello sportello sociale a quella dell’utilizzo razionalizzato delle istituzioni e delle risorse esistenti. Secondo il nostro parere, nella sociologia dello sportello sociale si ipotizza che la persona col disagio si possa rivolgere ad uno dei tanti sportelli pubblici o pubblico privato sociali – asl, psicologi, psichiatri, enti ed istituzioni, sportelli casa, tributi, famiglia, religiosi, ecc. e trovare sostegno alla propria personale problematica e soluzione al proprio disagio.
Nella sociologia dell’utilizzo razionalizzato/efficace delle istituzioni esistenti, sono i servizi sociali pubblici o pubblico privati sociali o privati a venire incontro ai cittadini, una volta che essi siano entrati nei servizi scolastici. Gli aspetti di problematicità e criticità personali, familiari, ecc., sono così “presi in carico” da un sistema organizzato, che fa della comunicazione il suo strumento vincente. Comunicazione con i professionisti e con le ramificazioni del sistema sociosanitario di welfare, per garantire ai minori e alle famiglie un’attenzione congiunta e continuata.
L’alleanza con le famiglie
Le famiglie possono partecipare agli eventi formativi della scuola, anche aiutando nell’organizzazione, e devono poter avere accesso ai dati e agli strumenti didattici, come programmazioni, progetti presenti e futuri, ecc. La comunicazione scuola famiglia è cosa imprescindibile per un benessere di tutti, va sempre più stimolata perché generatrice di buone pratiche. Tale comunicazione è comunque tenuta al rispetto delle sofferenze familiari e del grado di volontà partecipativa espressa dalla famiglia, con il suo diritto alla riservatezza.
L’alleanza docenti – educatori – genitori – territorio
Come progettare una buona e sana alleanza? Bisogna avere il coraggio di mettersi in discussione per non nascondere i problemi, le criticità e gli attriti. Attriti con chi? Con i colleghi, con i genitori, con i dirigenti scolastici e i pedagogisti, con i bambini.
C’è forse bisogno, come sostiene Contini, di sostare prima nelle disalleanze che emergono nei contesti educativi, per essere consapevoli delle disallenze presenti e potenziali e per approfondire l’analisi sulle disalleanze stesse. Non è un lavoro semplice, in quanto dietro l’angolo ci sono sempre i tentativi di banalizzare/semplificare/minimizzare le criticità. Questi tentativi non devono essere fraintesi con le scarse capacità o possibilità di chiarire gli eventi e i fatti poco chiari. Questo deve essere fatto e dopo tutto questo bisogna saper dire la verità e far emergere fenomeni e questioni. Chiarire le criticità è importante per far emergere fenomeni e questioni, che a loro volta dovranno essere chiarite. Solo dal chiarimento può avere origine la semplicitá, nel senso che concetti chiari e chiariti sono meglio comunicati se sono anche semplici, così da aumentare la platea di persone istruite su ogni argomento. L’alleanza docenti – famiglie – territorio si costruisce solo con un lavoro che comprenda l’utilizzo di strategie specifiche. Tra queste assumono rilievo le strategie di contenuto, professionali, e quelle di metodo, comunicative. E’ importante che a tutti i livelli si cerchi anche un contatto con ciò che è esterno all’istituzione scolastica.
Dentro il Sotto sistema educativo: il ciclo metodologico e l’innovazione continua
In questo capitolo cominciamo a esplorare le relazioni tra il sistema sociale e il sotto sistema educativo, compiendo un’analisi delle componenti del sotto sistema educativo e del sistema sociale.
Per discutere del sistema educativo da un punto di osservazione biopsicosociale bisogna innanzitutto chiarirne i motivi di essenza o fondamento. Perché parliamo di un sistema educativo? A cosa serve? Cosa accomuna gli umani, i cittadini? Quali sono le modalità e il lavoro per i quali la trasmissione culturale genera civiltà e società? Queste sono alcune tra le premesse necessarie per approfondire un fenomeno e un’attività di così grande portata culturale.
Le finalitá di ogni attività educativa sono rivolte alle persone e al loro benessere. Il disuso della violenza, l’apertura al dialogo nelle differenze e l’integrazione armonizzazione delle differenze, la mediazione delle incomprensioni e dei conflitti, ecc., sono obiettivi ed azioni sinergiche per realizzare benessere collettivo e wellthiness. Per raggiungere condizioni di benessere collettivo, dobbiamo sostare nelle disalleanze e nei conflitti. Dall’emersione dei conflitti passa il superamento e la mediazione tra gli stessi conflitti.
L’alleanza educativa si genera da una necessaria sosta costruttiva sulle disalleanze.
Dopo una sosta riflessiva e critica sulle disalleanze nei contesti educativi è possibile cogliere le opportunità per ricostruire quel “filo rosso” che lega le famiglie alle istituzioni e alle organizzazioni, passando per i professionisti che lavorano nel contesto socio-educativo.
Sistema sociale e sistema politico: legami e nessi tra politica ed educazione
Nell’analisi dei legami esistenti tra sistema politico e sotto sistema educativo, alcune direttrici ci guidano per lo studio.
Quali sono gli impedimenti alla educazione della politica e alla educazione civica?
Quali legami ha il sistema istituzionale delle decisioni (il sistema politico) con gli istituti scolastici?
Quali legami con la società, con il sistema di relazioni sociali quindi dell’organizzazione sociale?
Nell’elaborazione del presente testo cercheremo di rispondere a queste domande.
Nella presente trattazione metteremo in secondo piano i riferimenti sulle determinanti socioeconomiche della e per la qualità del sistema di welfare nel suo complesso. Essendo un tema molto complesso, questo tema non può essere ridotto a qualche slogan, necessitando invece di una trattazione più compiuta. Verranno invece trattate in maniera specifica le determinanti biopsicosociali del care educativo. L’ipotesi parte dal presupposto che rileggere e riformare i contenuti dell’offerta educativa e formativa possa contribuire a generare buone risposte in termini di wellness, soprattutto nei contesti socioeducativi.
Bioelementi e determinanti sociali del benessere e della qualità della vita
Tra i fattori che possono generare condizioni di wellness annoveriamo la cultura, la famiglia passata, presente e futura, il lavoro (quale tutela nel lavoro?), l’attività fisica e lo sport, la qualità delle relazioni sociali, il cinema e il teatro, la lettura, l’immaginazione e la fantasia, la salute, la sicurezza sociale ed economica (casa, reddito, previdenza, ecc.).
Ancora, la qualità dell’aria, dell’ambiente: lotta all’inquinamento delle polveri sottili, riforestazione aree non più verdi, lotta alla cementificazione, ecc.
Dai fattori generatori di benessere, lo sforzo é orientato verso l’immaginazione e la costruzione dei buoni criteri di wellness, per dare una misura il più possibile fedele ed effettiva, in equilibrio tra livelli standard e differenze qualitative.
Nella societá odierna, la concezione del benessere si sta dilatando, abbracciando sempre nuovi saperi e nuovi orizzonti.
Anche la definizione di benessere non è più univoca, ma si riferisce anche alle caratteristiche peculiari della sostenibilitá economica ed ecologica, della giustizia sociale, dell’equitá nella distribuzione delle risorse e nell’accesso ai servizi di rilievo sociale, educativo e sanitario.
Ci troviamo quindi, come scrive Bertini, nell’«odierna prospettiva del benessere, dove la concezione negativa, medica, privativa, si dilata inglobando: estetica, alimentazione, psicosomatica, centri benessere, integratori, fitness, turismo, ecc.
Le motivazioni che stanno alla base della costante attenzione che i mass media dedicano ai temi della salute sono da ricercare nella generalizzata crisi di fiducia, nel senso di insicurezza cronico, nell’ansia di una opulenta e liquida società del rischio che con schizofrenia registra le più floride aspettative di vita.
Prendendo le distanze da logiche consumistiche o di profitto, l’idea è di trovare un senso autentico alla ricerca della salute, nella quale l’individuo possa trovare il soddisfacimento delle proprie aspettative di cura. La salute non è più un semplice bene ma un valore sinonimo di felicità e di sicurezza, essendo plasmata dall’edonarcisismo, l’olismo, il sentirsi vitali, il vivere con lentezza, l’essere in forma, la sensibilità ambientale, l’essere nella rete relazionale, la “glocalizzazione”, la riscoperta del corpo e dell’autenticità. La comunicazione mediatica sulla salute soddisfa la richiesta di informazione e conoscenza relative all’ alfabetizzazione sanitaria, necessaria alla padronanza/competenza e all’autodeterminazione di un indivisus holisticus, sempre più responsabile, esigente, competente che assumendo un ruolo proattivo, cerca indicazioni su come gestire, presentare, salvaguardare, curare il proprio corpo, in quanto componente fondamentale nella costruzione sociale del Sè. [Fondazione Zoè 2009]».
«L’avvento del ‘wellthiness’ e l’interazione con altri generi di comunicazione aprono il settore della salute al modello dell’edutainment (educazione + intrattenimento piacevole), in un’ottica di superamento dell’antico pregiudizio secondo il quale obiettivi pedagogico educativi non dovessero avere carattere di intrattenimento. Nuovi programmi su salute e benessere, fitness, che ineggiano a stili di vita salutistici ne mostrano il lato edonistico ricreativo in una ottica di facilitazione».
Gli obiettivi minimi e massimi nell’educazione
Anche nell’educazione bisognerebbe dotarsi di livelli/obiettivi di care educativo, così come per i bisogni sanitari e sociali.
L’elemento di partenza é costituito dalla diagnosi delle condizioni del contesto di riferimento, rilevate in un determinato momento. I dati rilevati devono poi essere tenuti sotto osservazione e monitorati nel tempo. Il monitoraggio é un’attivitá complessa, con una funzione ben specifica: quella di recuperare il senso perduto e ritrovarlo attraverso attenzione continuativa ai bisogni e alle prospettive di miglioramento. In questi anni l’attenzione é posta anche al controllo della spesa dedicata ai servizi del nostro contesto sociale ed educativo.
Coerentemente con le idee e i modelli sociologici per una sostenibilitá dei servizi educativi, crediamo debba essere posta un’attenzione particolare al problema dei costi standard, dei livelli essenziali di assistenza e degli obiettivi minimi e massimi dell’educazione. Parliamo dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.
La normativa dell’integrazione scolastica
Fondamentale passaggio per l’evoluzione del sistema di integrazione scolastica avviene con la legge quadro n. 104/’92 “per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, la quale sancisce valori, obiettivi e compiti dello specifico settore educativo. La legge si propone di promuovere la piena integrazione delle persone in situazione di handicap in ogni ambito nel quale possono esprimere la loro personalità: “nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società” (Art. 1, comma 1, lett. a).
Per quanto attiene l’ambito scolastico, la legge sopracitata ritiene prioritario che l’istruzione delle persone con disabilità si compia attraverso un loro inserimento “nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie” (Art. 12, comma 2). La frequenza nelle classi comuni costituisce infatti uno strumento fondamentale per il raggiungimento dello “…sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione,
nelle relazioni e nella socializzazione” (Art. 12, comma 3). La legge n. 104/92, inoltre, sollecita l’adeguamento tecnologico informatico delle strutture scolastiche e promuove, oltre alla programmazione coordinata con altre strutture del territorio, gestite da enti pubblici o privati, anche la formazione e l’aggiornamento del personale docente e di sostegno (Art.1316).
La moralità recuperata per un welfare sostenibile
La corruzione viene pagata dai poveri, ci dice Papa Francesco [2014]. La totalitá degli atti di corruzione genera un meccanismo di espropriazione e allontanamento di buona parte dei cittadini dai beni e dai valori collettivi, tenendo in considerazione solo alcune persone, quelle vicine alle dinamiche di potere e corruttive. Attraverso questa cultura, la meritocrazia e la democrazia sono minacciate, in quanto in questo modo buona parte delle persone non sono coinvolte e coinvolgibili nei processi decisionali pubblici e nella progettazione dei servizi.
Queste sono le ragioni per le quali tra i nostri obiettivi ci sará sempre lo studio dei criteri per determinare la qualitá dell’operatore e del servizio di integrazione scolastica e sociale.
La corruzione e tutti gli altri fenomeni criminosi per la pubblica amministrazione (falsi in atto pubblico e di varia natura, evasioni fiscali, truffe, abusi di ufficio, peculati, furti, conflitti di interesse, ecc.) erodono la fiducia che i cittadini rivestono nelle amministrazioni pubbliche e nelle istituzioni. Secondo gli studi della Corte dei Conti Italiana, dell’Unione Europea e dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, si occupa di studi economici per i paesi membri dell’UE, paesi aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato), l’Italia perde ogni anno circa 60 miliardi di euro, pari al 3,8% del Pil (a fronte di una media UE dell’1%). Nel 2011 il rapporto dell’organizzazione Transparency International ha mostrato che l’Italia è il terzo paese più corrotto dell’area OCSE, con un punteggio CPI (Corruption Perception Index) pari a 6.1 subito dopo Messico e Grecia.
Recentemente, il Presidente dell’Autoritá Nazionale Anticorruzione (A.N.AC.), Raffaele Cantone, ha ricordato come tra le conseguenze della L. Severino (decreto lgs 31/12/2012 n. 235 approvato dal governo e votato dal parlamento italiano) figuri che gli enti professionali non possono assegnare ruoli dirigenziali negli ordini a chi giá ricopre o ha ricoperto altre cariche amministrative o politiche. Il Presidente ha intimato, tramite una delibera ad hoc, che gli enti professionali – che secondo il dossier del M5S sommano circa 2 milioni di iscritti, per 600 milioni di euro di incassi annuali e 50 miliardi di patrimonio – avranno un mese di tempo per predisporre il piano triennale il
piano triennale di prevenzione della corruzione, il piano triennale della trasparenza e il codice di comportamento del dipendente pubblico, nominare il responsabile della prevenzione
della corruzione, adempiere agli obblighi in materia di trasparenza, e infine attenersi ai divieti in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.
Lentamente quindi, anche il nostro paese si sta mettendo sulla giusta strada della lotta alla corruzione. Auspichiamo che questa battaglia venga intrapresa a tutti i livelli, in quanto il sistema
di welfare dei cittadini (con gli ambiti scuola, sociale e sanitario) é tra i primi a soffrire dell’illegalitá permanente nel nostro paese. Le persone povere (di cultura, di denaro, di informazione, di sapere, di potenzialitá decisionale), le persone che vivono disagi psichici e sociali, o che hanno patologie invalidanti, croniche e permanenti, ecc., sono le prime ad essere agitate e infastidite dai privilegi di alcuni, che attraverso ricchezza e concussione realizzano i loro piani solitari contrari al benessere pubblico.
Gli effetti e le conseguenze degli atti criminosi e di illegalità diffusa sopra citati si riversano indirettamente nella incapacità del sistema politico di destinare al mondo del welfare la totalità delle risorse di cui necessiterebbe per adempiere ai propri compiti. Si potrebbe infatti paragonare il sistema di finanziamento del welfare ad una scala, dove negli ultimi gradini arrivano gli spiccioli dedicati alle persone bisognose di cura.
Ecco perché le parole di Papa Francesco sono importanti, esse tracciano una strada morale che dovrebbe essere intrapresa da tutti i cittadini del mondo, per alleviare le sofferenze delle persone e per costruire un vero sistema di aiuto per il disagio in tutte le sue forme.
Dagli aspetti criminosi della corruzione, descritti con l’intenzione di fare emergere la necessitá di un rinnovato senso di moralitá, decidiamo di portare l’attenzione sul fenomeno dell’educazione all’ambiente, il quale è un esempio di correlazione diretta tra aumento della moralitá e della coscienza collettiva e diminuzione della capacitá a delinquere.
Abilitá e modalitá idonee nell’uso dell’ambiente
La libertà di avere una società di cittadini che pensano uno all’altro. Solo così – e attraverso il grande contributo degli strumenti web della società – potremo sanare la crisi del welfare state (evoluto in welfare society, o dei cittadini). L’apertura al welfare dei cittadini presuppone l’abbandono di logiche come la speculazione, la corruzione, il falso. Un uso più sapiente delle nostre abilità potrebbe re inventare il mercato del lavoro, per la costruzione di una società sostenibile e solidale, nella quale si riscopra anche l’antico mondo naturale – la terra e la natura – che può generare benessere in ogni persona.
In questo senso è soprattutto ai bambini che ci riferiamo, in quanto è proprio la scuola il luogo e il veicolo culturale processuale nel quale proporre laboratori e prassi con l’ambiente e la persona al centro. Ai bambini già si fanno fare numerose attività all’aria aperta, tese anche a scoprire l’arte e il lavoro che concerne il legame degli umani con la natura. Piantare un albero, una pianta, conoscere come nascono frutta e verdura, conoscere quanto è vasta la biodiversità all’interno della terra e della natura, pensando anche agli altri animali. Questi sono solo alcuni esempi di come si possa ricostruire un legame più unito con l’ambiente. Attraverso l’empowerment prima dei bambini, poi degli adulti, è forse possibile continuare a costruire una società davvero sostenibile.
L’educazione ambientale
Come scritto nella home page del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, «L’Educazione Ambientale (EA) è uno strumento fondamentale per sensibilizzare i cittadini a una maggiore responsabilità verso i problemi ambientali, e alla consapevolezza della necessità di essere coinvolti nelle politiche di governo del territorio. L’EA non è semplice studio dell’ambiente naturale, ma deve promuovere cambiamenti negli atteggiamenti e nei comportamenti individuali e collettivi. L’EA è la disciplina che più di ogni altra si presta a uno studio e a un approfondimento “sul campo”. Per un efficace raggiungimento degli obiettivi educativi, è fondamentale sviluppare attività a diretto contatto con l’ambiente. Quindi un compito imprescindibile a cui l’EA deve tendere, è un’educazione attenta a quello che avviene nel contesto territoriale di prossimità»
(…) «L’EA si è evoluta nel tempo, da un approccio iniziale prevalentemente incentrato sulla tutela della natura, si è passati a una maggiore attenzione all’inquinamento, alle emergenze ambientali e alle dinamiche sociali ed economiche, per arrivare alpiù ampio concetto di Educazione allo Sviluppo Sostenibile (ESS). L’Educazione allo Sviluppo Sostenibile (ESS) non riguarda solo l’ambiente, ma anche l’economia (consumi, povertà, nord e sud del mondo) e la società (diritti, pace, salute, diversità culturali). L’ESS è un processo che dura per tutta la vita, che ha un approccio olistico e incoraggia l’uso della riflessione e del pensiero sistemico e non si limita all’apprendimento “formale”, ma si estende anche a quello non formale e informale, come necessari integratori per una completa azione di informazione che raggiunga tutti i cittadini. L’ESS tocca tutti gli aspetti della vita e i valori, al centro dei quali vi è il rispetto per gli altri, inclusi quelli delle generazioni presente e future, per la diversità, per l’ambiente, per le risorse della Terra. L’Italia può vantare da tempo un livello elevato di documenti sull’EA già espresso nella circolare n.149/1996 (La Ferla) del Ministero della Pubblica Istruzione, dove si proponeva un’EA come collegamento tra natura e cultura, e la Carta dei principi di Fiuggi del 1997, un documento firmato dal Ministro dell’Istruzione e dal Ministro dell’Ambiente, in cui si enunciavano le caratteristiche di un’Educazione Ambientale orientata allo sviluppo sostenibile e consapevole».
La scuola è un contesto perfetto per educare all’uso proprio dell’ambiente. I bambini hanno la possibilità di imparare azioni e nozioni fondamentali sulla natura, e sul rapporto natura società (inizialmente natura vicinato comunità città). I bambini imparano ad accettare il mondo in cui vivono, considerando le persone che ci abitano, i fenomeni che avvengono. Da questa timida consapevolezza si possono insegnare – prima in sezione classe, poi all’aperto – i cicli vitali (biogeochimici) degli elementi chimici, la flora e la fauna terrestre, la raccolta differenziata dei rifiuti, l’alimentazione, lo stile di vita attivo attraverso, ad es., l’attività fisica, l’alimentazione e lo sport, ecc. Attraverso queste nozioni, queste linee guida e l’osservazione indiretta e diretta dei fenomeni, i bambini cominciano a comprendere in quale mondo sono inseriti e si trovano ad agire. Con affabilità è possibile catturare l’interesse dei bambini, in quanto si impara solo se si viene incuriositi. Inoltre è solo venendo riconosciuti che si fortifica la fiducia nell’altro ‘generalizzato’, quindi la relazione sociale, soprattutto nel processo di insegnamento e apprendimento.
Alcuni esempi di educazione ambientale
Un piccolo esempio di educazione ambientale é costituito da questa esperienza nella città di Bologna, la quale concerne la coltivazione diretta di campi biodinamici da parte di persone disabili.
«Dove un tempo c’era il Livello, l’ex centro sociale di via Battirame, oggi sorge una casa colonica gestita dalla cooperativa Eta Beta con un giardino di piante officinali coltivato da ragazzi, con problemi di tossicodipendenza di cui Eta Beta si prende cura. Disegnati da Rescue Lab, gli orti di forma circolare sono coltivati con agricoltura sinergica e biodinamica. Mentre di fianco ci sono orti sopraelevati, idroponici, per disabili: aiuole verdi montate su enormi rocchetti dotati di ruote, quindi manovrabili da ortolani in sedia a rotelle».
Un altro esempio di educazione ambientale ci giunge dalla campagna europea di mobilitá sostenibile. Chiamata multimodalità, rappresenta la capacitá di un uso combinato dei mezzi a tua disposizione per il trasporto quotidiano. In piena continuitá e coerenza con gli obiettivi del presente lavoro, la ricerca dell’ottimizzazione e razionalizzazione dei comportamenti sociali, sulla base di ciò che abbiamo a disposizione come servizi pubblici e privati, porta allo sviluppo di una particolare consapevolezza che chiamiamo ‘abitudine all’etica sociale e ambientale’. Nello specifico, la campagna punta sui comportamenti virtuosi del cittadino, che può muoversi in cittá combinando l’uso delle gambe, della bicicletta, dell’autobus/tram e del treno/metropolitana per raggiungere il posto di lavoro e tutti i posti che deve raggiungere. E’ un valore aggiunto di senso per la nostra società sostenibile il fatto che si possa essere creativi nel proporre strategie diverse di impatto ambientale, partite da azioni attive di cittadini consapevoli. L’empowerment di cui tanto parliamo si esprime qui con grande forza ma ancora non è un esempio dominante nella nostra società. Rappresenta anche un tentativo di ritrovare il nostro tempo, non piú ostaggio di una cultura frenetica che tende a uniformare le persone e le societá per velocizzare pratiche e compiti. Possiamo azzardare un parallelo con l’illegalitá diffusa nella pubblica amministrazione. La tendenza alla frenesia e alla velocitá (nell’aggiudicazione degli appalti, nelle assunzioni, nei tentativi di risolvere errori e controversie, ecc) svela un uso malsano del tempo e dei comportamenti morali, i quali si appiattiscono alle logiche del corrotto capitalismo mondiale.
A partire da questo esempio è possibile crearne di nuovi e ulteriori. Buone pratiche che comunicano tra loro, buone pratiche che fanno rete e creano benessere.
Ultimo esempio è la considerazione dell’ambiente nei bambini disabili visivi.
Nel suo intervento al Convegno Cribe Emilia Romagna, Prondzinski v. S. [2014] afferma che «Oggi non puoi parlare né dell’ambiente fisico né della disabilità visiva bensì di una nuova visione dell’ambiente».
L’ambiente è considerato un terreno ancora inesplorato totalmente e nella cura e gestione dei disabili visivi emerge la necessitá e l’obiettivo di studiare tutte le caratteristiche di una nuova visione dell’ambiente per aiutare al meglio chi soffre di queste patologie sensoriali. L’ambiente deve quindi essere progettato, considerato nella sua essenza naturale, ma anche manipolato per aiutare le persone in difficoltá, in maniera positiva e senza danneggiare l’ambiente e le persone.
Partendo da questi esempi, comprendiamo nello specifico quali siano gli obiettivi e le necessitá di una educazione ambientale dei cittadini. L’esperienza dei bambini con i materiali li spinge a fare finta di essere grandi. Integrare materiali e aspetti simbolici puó risultare vincente e fruttuosa. Giocare seriamente è molto importante per il bambino, il quale, da una parte, impara a fare finta di essere qualcuno fingendo appunto un ruolo (pompiere, medico, maestro, poliziotto, atleta, artigiano, cuoco, artista, ecc., gli esempi sono innumerevoli) e dall’altra parte raggiunge gradualmente la serietà e la pazienza del fare e del costruire, dell’ottenere e dell’arrivare.
Come sosteneva George Herbert Mead nell’opera “Mente, Sè e Società”: «Non conosco altri modi in cui l’intelligenza o la mente potrebbero sorgere o essere sorte se non attraverso l’interiorizzazione da parte dell’individuo dei processi sociali dell’esperienza e del comportamento».
La psicologia sociale di G. H. Mead
Andiamo più a fondo nel pensiero di Mead per delineare alcuni capisaldi del pensiero psicologico sociale.
Mead [1972] sostiene che la persona agisca secondo il principio della reazione ad uno stimolo proveniente dall’ambiente. Ad uno stimolo ambientale dovrebbe attuarsi una reazione adeguata e tale processo viene arricchito dal simbolo. In questa prospettiva, il “self” e il “mind” si sviluppano nel tentativo di adattarsi all’ambiente circostante. Anche la società si sviluppa a partire da questa impostazione. Per Mead, il ‘mind’ ha tre caratteristiche fondamentali:
A – usa simboli per caratterizzare gli oggetti del mondo;
B – sceglie tra possibilità di azione alternative;
C – è capace di rimuovere le situazioni inadeguate e di seguire quelle adeguate.
E’ qui che la relazione con la società è imprescindibile. L’esistenza della società dipende infatti dalla capacità di vagliare alternative e selezionare azioni che rendano possibile – anziché frenarla – la cooperazione tra gli uomini.
In relazione allo sviluppo del ‘mind’, a partire dall’infanzia e dall’età dello sviluppo, per Mead il bambino seleziona i gesti che gli assicurano la sopravvivenza. La selezione avviene attraverso:
– prove ed errori;
– training diretto dai genitori e altre figure educative;
In questa maniera i gesti acquistano un significato comune per il bambino e per la sua famiglia, assumendo la forma di gesti convenzionali i quali permettono al bambino di comunicare con precisione i desideri e i bisogni. Dai primi gesti potranno poi svilupparsi quelli più complessi, sperimentabili anche in altri contesti. Il raggiungimento della capacità di interpretare gesti rappresenta un traguardo importante, perché consente “di assumere la prospettiva dell’altro” (“to take the role of the other”). Senza tale capacità, sarebbe impossibile la cooperazione che caratterizza ogni società. La capacità di assumere la prospettiva dell’altro implica altresì che l’individuo consideri anche se stesso dal punto di vista dell’altro: in questo modo, l’Io può meglio valutare le conseguenze del suo agire nei confronti dell’Altro.
É qui che si snoda e dipana il fulcro del pensiero di Mead, in quanto la capacità di interpretare i gesti – quindi di assumere la prospettiva dell’altro – consente agli uomini di fare di loro stessi un oggetto di rappresentazione, oggettivandosi. E’ così possibile la pratica dell’autoriflessione e dell’autovalutazione, tanto importanti nell’agire e nella modifica dei comportamenti.
In Mead i livelli di sviluppo del ‘self’ sono tre:
1) il “gioco” (“play”), tramite il quale il bambino impara ad assumere la prospettiva dei suoi compagni di gioco (genitori, amici, figure adulte, ecc.);
2) il “gioco” (“game”), nel quale si acquistano più immagini diverse del proprio “self” (all’asilo, a scuola, coi compagni, ecc.);
3) l’“altro generalizzato” (“generalised other”). In questo modo le persone acquistano la prospettiva di una “comunità di attitudini” (“community of attitudes”), grazie alla quale cooperano con gente diversa immedesimandosi in essa.
Eccoci arrivati ai giochi che i bambini fanno, facendo finta di fare il “meccanico”, l’ “autista”, il “medico”, l’ “insegnante maestro”, l’ “artigiano”, ecc.
In definitiva, perché il “self” si sviluppi correttamente, le differenti impressioni che ci formiamo nelle interazioni con gli altri devono poter essere positive e proattive. Se il bambino è trattato in maniera discriminatoria e non si crede nelle sue potenzialità, può essere che sviluppi un “self” insicuro.
La società, per funzionare bene, ha bisogno del “self” e anche del “mind”, ovvero dell’autocoscienza. Infatti non si potrebbe agire coordinatamente senza assumere ruoli e possibilità d’azione. Inoltre la società non può funzionare bene se gli individui che ne fanno parte non abbiano sviluppato il “self”, che ripetiamo ricopre la capacità di assumere la prospettiva dell’altro.
Oltre a questi concetti, Mead introduce anche quelli di “Me” e dell’ “I”. Il soggetto infatti non è soltanto “mind” ovvero autocoscienza impenetrabile ai cambiamenti e agli influssi esterni (ambiente). Accanto alla dimensione coscienziale dell’ “I”, c’è il “Me”, ovvero la concezione che gli altri hanno di me. Il “Me” rappresenta quindi l’interiorizzazione delle aspettative che gli altri hanno nei miei confronti. Così inteso, il “self” è la sintesi, armonicamente equilibrata, dei diversi “Me”.
E’ chiaro come gli insegnanti abbiano una responsabilità molto grande nell’applicazione di questi concetti e di questi valori. Dobbiamo credere nei nostri bambini e nelle enormi potenzialità che possono avere e sviluppare. Possiamo e dobbiamo convergere la loro azione su comportamenti e attività positive, rafforzando e fortificando il loro “self” e il loro “mind”. In questo modo anche i loro “Me” saranno autentici e potranno consentire loro di crescere serenamente.
Per Mead infatti siamo ciò che gli altri vogliono che siamo. Introiettiamo le aspettative degli altri e su di esse modelliamo la nostra identità.
L’incontro con l’altro nella prospettiva del Piccolo Principe
Chiuderei questa riflessione sugli aspetti della costruzione sociale dell’identità aprendo una parentesi anche sull’incontro con l’altro (generalizzato), dalla prospettiva particolare di un bambino speciale: il Piccolo Principe.
«Gli incontri con gli abitanti degli altri asteroidi lo turbano per la loro capacità di pensare cose imprevedibili, per la loro poca immaginazione, per le loro debolezze. Ma gli sono necessari. Permettono di conoscersi meglio. E’ specchiandosi negli altri che il Piccolo Principe arricchisce la propria singolarità. Una singolarità che si sostanzia delle molteplici singolarità».
Così scrive Gemma C. [2014 ] interpretandoci l’opera del Piccolo Principe da un particolare punto di vista, quello del tempo e delle relazioni, in un volume collettaneo utile per l’analisi dell’immaginario infantile.
«E così il Piccolo Principe non si tiene stretto e avvinghiato alla sua unilateralità, egli vive come se avesse tanti specchi (altri/altro) nei quali mirarsi. Egli sa che se uno di quegli specchi venisse a mancare si sentirebbe impoverito e privo del dono dell’altro, cadrebbe nell’isolamento e nella sua specificità. Lo specchio come metafora della dialettica del noi: come ci vediamo noi, come siamo visti dagli altri»
Già Lacan J. [1974] fu attento a osservare un nostro rituale necessario, lo specchiarsi negli altri, utile per arricchire noi stessi, per formare e sviluppare l’Io. Anche Smith A. analizzò lo specchiarsi negli altri e ancora Tarde G. [1890], con gli studi sull’imitazione e le sue leggi. Tarde descrive e arricchisce questa funzione umana scoprendo anche gli usi devianti e criminologici – asserendo che l’intera società si fonda su un processo imitativo e ripetitivo. Alla ripetizione imitativa dobbiamo associare il senso, tassello psico sociale fondamentale per la costruzione di legami autentici.
E’ per allenarci a scegliere persone positive e sane che ci accompagnino nella crescita che noi imitiamo e usiamo gli altri come specchio. Il bambino è sempre attento a capire e a comprendere che cosa sta facendo, che cosa gli viene chiesto di fare. I suoi insegnanti sono uno specchio morale, così il bambino apprende come fare e come rendersi conto se quello che gli viene chiesto ha un senso o un valore.
Citando E. Mounier [1964], gli altri non limitano la persona (il proprio essere), anzi «le permettono di essere e di svilupparsi; essa esiste se non in quanto diretta verso gli altri, non si conosce che attraverso gli altri, si ritrova soltanto negli altri».
Competenze e professionalitá degli operatori sociali e socio educativi
Dai dati dello studio condotto dal Censis sull’impatto economico, occupazionale e sulla finanza pubblica del voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia del febbraio 2014, emerge in maniera evidente che finalmente si potrà discutere di criteri di merito professionale di organizzazioni e professionisti.
In questa fase – pur viziata dalla presenza tra i legislatori di politici poco trasparenti – possiamo cogliere l’ottima opportunità storica di riformare la governance del sistema del welfare italiano.
La creazione di albi specializzati per le organizzazioni che svolgono il lavoro nell’ambito delle “professioni di aiuto” può essere un valido alleato contro la corruzione, l’abusivismo e altri reati penali.
Di certo le organizzazioni di privato sociale si occupano del personale, quindi della qualità del proprio personale. L’innovazione risiederebbe nella garanzia di avere un corpus di tabelle pubbliche, istituzionali che possono essere gestite e rinnovate da un comitato scientifico.
L’attenzione sui criteri di merito per la selezione del personale ha l’obiettivo di contribuire all’offerta di personale sempre più qualificato e idoneo. Un buon personale qualificato e formato è la precondizione per poter svolgere un lavoro così complesso, per le sue sfaccettature, la delicatezza del contesto e dei bisogni emergenti dai minori che versano in condizioni di fragilità, vulnerabilità, disabilità psicofisiche certificate.
Le competenze dell’educatore: lo svolgimento del lavoro educativo
L’educatore deve eseguire il progetto educativo concordato, per poter svolgere in maniera compiuta il suo lavoro. Il progetto educativo è generato e cocostituito dalle consulenze che l’educatore ha con i colleghi insegnanti, i pedagogisti, i responsabili di area e gli specialisti medici e non, dal suo studio personale e dalla sua attività applicativa e pratica, dalla capacità sua e del sistema di fare “governance” tra i diversi attori, valorizzando la comunicazione.
Analizziamo gli aspetti dello svolgimento del lavoro educativo:
Progetto educativo
Il progetto educativo si compone del PEI e della programmazione della sezione. Il PEI è un documento complesso, elaborato da insegnante di sostegno ed educatore, che racchiude tutti gli obiettivi, i bisogni, gli apprendimenti e le attività educative per il bambino disabile.
Tutta la documentazione relativa al bambino disabile è racchiusa nel registro personalizzato del percorso educativo e didattico, uno spazio concreto in cui vengono inseriti appunto tutti i documenti relativi ai bambini con bisogni speciali. Nel registro troviamo la Certificazione Integrazione scolastica (C.I.S.); la Scheda Individuale (S.I.); le schede di osservazione iniziali e finali dell’intervento, ecc.
Relazione educativa
Nella prospettiva di Steiner R. [1919] il cammino che deve compiere l’educatore é un lungo e rigoroso cammino di autoeducazione al fine di raggiungere un’intima e diretta conoscenza di sé stesso per una lenta correzione delle proprie imperfezioni interiori: il vero insegnamento da parte dell’educatore, dice Steiner, non sta in quel che viene detto né in quel che viene fatto ma, piuttosto, in quel che si è: la parte sostanziale dell’azione educativa avviene, cioè, “da anima ad anima”, passando direttamente dall’anima dell’adulto all’anima dell’allievo (e ciò è tanto più vero, quanto più quest’ultimo è in tenera età). È dunque importantissimo, nella prospettiva di una pedagogia etica quale Steiner aveva in mente, che l’educatore sia in un costante lavoro di autopurificazione nonché di ricerca personale riguardo a tutto quanto egli vuol presentare ai propri alunni in modo che l’insegnamento risulti profondamente vivo e veritiero. L’obiettivo di tale percorso di autoeducazione e della relazione educativa é quello di formare individui quanto più possibile capaci di un giudizio critico, libero e profondo.
Sembra quasi scontato dire che l’educazione sia intrinsecamente relazione: non esiste, infatti, educazione senza relazione e la relazione per dirsi educativa deve innestare il piano procedurale con quello valoriale; diversamente si traduce in acculturazione o in mera socializzazione».
Secondo Orlando Cian O. [2000], costruire una relazione educativa autenticamente efficace è oggi, nell’era delle solitudini informatiche e delle disgregazioni socio—familiari, compito arduo, frutto di «una pratica più che di una conoscenza, dell’essere all’interno della competenza, [di] cura, aiuto, sostegno, presenza».
Seguendo questa traccia interpretativa, Pani e Sagliaschi [2010] ci offrono un’analisi sulle competenze degli educatori, in un loro volume sulla sessualità e i suoi aspetti di compulsione. Tali valutazioni sono ritenute in linea con le nostre idee e le nostre valutazioni sul care educativo di insegnanti ed educatori.
Pur quindi riferendosi gli autori all’azione lavorativa sinergica sviluppata per lo studio di un tema particolare, la sessualità, riteniamo essere in accordo con le posizioni espresse nel volume in questione.
Possiamo quindi prendere come esempio generale le competenze e le peculiarità degli educatori e degli insegnanti, così come vengono illustrate da Pani e Sagliaschi.
Secondo gli autori le competenze degli educatori potrebbero essere sintetizzate in tre punti:
«a) l’essere, inerente alla conoscenza di Sé, delle proprie motivazioni, dei propri valori;
b) il sapere, riguardante una preparazione biologica, psicologica, sociologica, antropologica e filosofica della sessualità;
c) il sapere fare, concernente le capacità comunicative come l’ascolto empatico. Riteniamo fondamentale la consapevolezza dell’educatore, il quale dovrebbe ampliare i suoi studi riguardo agli argomenti inerenti al rapporto con il proprio corpo e con la propria identità sessuale».
In ultimo, gli autori Pani e Sagliaschi pensano che l’educazione scolastica dovrebbe essere accompagnata da programmi minimali connessi alla biologia, all’anatomia, alla fisiologia sessuale, al fine di promuovere una normale conoscenza di una parte del corpo insieme e al pari di altre parti.
Comunicazione
Il lavoro dell’educatore si inserisce in un contesto complesso e plurispecificato di azione, nel quale ogni attore sociale ha un’importanza per il soggetto disabile e il servizio di integrazione scolastica e sociale. Emerge il ruolo fondamentale che ricopre la comunicazione, la quale dovrebbe poter circolare a tutti i livelli senza limiti e freni, rispettando di volta in volta l’accountability (responsabilitá professionale), l’etica e la sensibilitá.
Alleanza scuola famiglia territorio
Fondamentale per una buona riuscita educativa, è anello imprescindibile del lavoro scolastico. Il bambino sperimenta tante esperienze e necessita di molti bisogni. Bisogna saper ascoltare i bisogni, vivere le loro esperienze e saper soddisfare così le loro intrinseche esigenze. La comunicazione tra genitore e insegnante è un valore assoluto e si riflette nella capacità sopra scritta di seguire e leggere le esperienze del bambino, per poter creare ponti relazionali con le famiglie, capaci di garantire una continuitá educativa tra scuola e ambiente esterno.
La relazione scuola famiglia servizi territoriali permette di instaurare un rapporto coeso e trasparente con tutti gli attori sociali della rete professionale. Questo rapporto stretto a livello comunicativo rappresenta la condizione per poter mettere in comune la progettazione scolastica e garantire l’offerta di una continuità operativa tra scuola e casa, relativamente alla qualità del care educativo. Questo risultato è possibile grazie all’azione sinergica e combinata di tutti gli attori sociali della rete professionale. Questo rapporto stretto a livello comunicativo rappresenta la condizione per poter mettere in comune la progettazione scolastica e garantire l’offerta di una continuità operativa tra scuola e casa, relativamente alla qualità del care educativo. Questo risultato è possibile grazie all’azione sinergica e combinata di tutti gli attori sociali della rete professionali (Neuropsichiatria infantile, coordinamento pedagogico scolastico, altri servizi ausl, coordinamento pedagogico cooperative sociali, ecc.).
In questa luce appare chiaro quanto sia importante l’azione sinergica di tutti gli stakeholder e shareholder della rete educativa, in un lavoro che può essere solo a rete e improntato all’empowerment collettivo.
Accenni sul management sociale e sociosanitario
La progettazione sociale calata nel nostro specifico campo di ricerca e azione, la relazione terapeutica, deve poter individuare azioni in grado di fornire risposte ai bisogni di singole persone o gruppi di cittadini, privilegiando la logica dell’interazione, della partecipazione, dell’integrazione, nonché dell’efficacia e dell’efficienza.
«In ambito sociale e sociosanitario il management (sociale e sociosanitario) concerne la gestione e il coordinamento della varietà di stakeholder chiamati a prevenire e mitigare i problemi e a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, la pianificazione delle attività da realizzare su un determinato territorio, il miglioramento dei servizi in termini di qualità, costi e impatto sulla società [Bernhart et al. 2006]»
«Si parte dalla valutazione del bisogno, per arrivare a definire un progetto di intervento quanto più vicino alle esigenze della persona che si ha di fronte, si dà corso alla realizzazione dell’intervento, si valutano i risultati dello stesso. Gli strumenti utilizzati sono vari e diversificati: si va dai Punti Unici di Accesso (PUA) alle Unità di Valutazione Multidimensionali (UVM), dal lavoro d’équipe al case management, dai progetti di intervento personalizzati alle cartelle sociosanitarie informatizzate».
La competenza dell’educatore/insegnante dev’essere equilibrata con l’impegno, la passione e la costanza. La competenza è frutto della formazione e della naturale capacità. Buone sono le sperimentazioni in Emilia Romagna che tendono a verificare l’operato degli insegnanti delle scuole, perché l’operato va valutato in maniera continua e costante. Bisogna individuare e scegliere criteri per stabilire la qualità dell’insegnante e dell’educatore, attraverso il perché valutare, il cosa valutare, il come valutare e la frequenza della valutazione dell’insegnante/educatore. Ancora, il meccanismo della premialità ovvero come premiare chi raggiunge standard di qualità. Va indagato anche l’indice di salute dell’insegnante/educatore.
La figura dell’insegnante di sostegno nel futuro dell’integrazione scolastica
Addentriamoci ora nella questione dell’utilizzo degli insegnanti di sostegno per le persone meno abili nella scuola pubblica.
«I 110.000 insegnanti di sostegno presenti nella scuola italiana sono stati una figura professionale importante per il contributo che hanno dato all’integrazione scolastica degli alunni con disabilità negli ultimi quasi quarant’anni.
Ma oggi l’integrazione scolastica è sempre più in difficoltà, gli stessi docenti di sostegno sono spesso insoddisfatti e, con loro, molte famiglie di alunni con disabilità.
Partendo da queste considerazioni, il libro propone una tesi shock per realizzare compiutamente i valori di equità e partecipazione che sono alla base dell’integrazione scolastica e che l’hanno ispirata: superare radicalmente la figura professionale «speciale» dell’insegnante di sostegno come è oggi, trasformandola profondamente. È possibile pensare a una scuola più inclusiva senza gli insegnanti di sostegno come siamo abituati a vederli e senza tagliare organici, ma anzi investendo fortemente in inclusione?
Una scuola inclusiva ha bisogno di più docenti «normali» in compresenza, di organico funzionale e di «peer tutor», insegnanti specializzati esperti itineranti che aiutino in modo concreto i colleghi curricolari. In questo modo tutto il corpo docente diventerebbe il vero protagonista responsabile dell’integrazione, senza più delegarla a qualcuno».
Dall’ultimo lavoro di Ianes D. [2014] emerge l’attenzione e l’auspicio per una integrazione piena dei minori con disabilità. Forse il desiderio e la necessità di una più compiuta integrazione è il motore un po’ acciaccato degli ultimi tempi. E’ lodevole l’intenzione di un cambiamento organizzativo che Ianes vorrebbe portare nella scuola, in quanto egli pensa che l’integrazione scolastica dei bambini con disabilità non dovrebbe essere relegata a qualcuno o a qualcosa. Tenendo bene in mente il diritto/dovere che esista una programmazione ad hoc per il sostegno ai bambini disabili – nell’ambito delle politiche sociali – e che sia ben attiva la capacità di progettazione propria di ogni gruppo di lavoro, plesso scolastico, amministrazione scolastica, esiste anche un dovere ben preciso: quello di non stigmatizzare il sostegno, il bisogno, il bambino. Il bambino che ha bisogno di sostegno è un bambino della classe quindi – oltre al bisogno che ha a seconda del caso di fare certi tipi di lavori o attività – è un bambino come gli altri. Da qui le parole di Ianes che ci dicono come la scuola inclusiva ha bisogno di più insegnanti ‘normali’ in compresenza, di organico funzionale e di “peer tutor”, insegnanti specializzati esperti itineranti che aiutino in modo concreto i colleghi curricolari. L’auspicio quindi è quello per cui in questo modo tutto il corpo docente diventerebbe il vero protagonista responsabile dell’integrazione, senza più delegarla a qualcuno.
Dall’esigenza di comprendere, da un punto di osservazione relazionale, le dinamiche attraverso le quali può inserirsi e instaurarsi la disabilitá sociale dei minori, risulta utile raccontare e descrivere la realizzazione di un progetto che faceva del contesto ambientale il punto di partenza di una nuova ipotesi operativa.
Il progetto Kipi
Durante l’ultimo anno scolastico abbiamo effettuato una ricerca azione all’interno della scuola, con il compito di indagare quali fossero i luoghi preferiti dai bambini di cinque anni, nei quali poter stare bene da soli e con gli altri. Tale ricerca era parte integrante del progetto Kipi – Kids In Places Initiative – che aveva l’obiettivo di interrogarsi sulle dimensioni dell’equità e del benessere nella scuola dell’infanzia. Questo interrogativo si esprimeva nell’analisi dei contesti di azione quotidiana dei bambini. Veniva infatti chiesto agli insegnanti di costruire insieme con i bambini una lista dei luoghi più significativi per il loro benessere personale e relazionale, dopo un’opportuna spiegazione di ciò che voleva dire e dopo aver fatto emergere ogni dettaglio o discussione da parte di bambini.
Come scritto dai creatori e organizzatori del progetto, «il progetto Kids in Places Initiative (KIPI) nasce nella primavera del 2012 da una collaborazione internazionale tra Università, Enti pubblici e privati canadesi e italiani impegnati nello scambio di conoscenze e competenze mirate alla promozione del benessere dei bambini attraverso politiche basate su evidenze, programmi e buone pratiche». Nella Regione EmiliaRomagna il progetto Kipi è stato seguito e patrocinato dall’Agenzia Sanitaria e Sociale.
“Se la crescita avviene in contesti sfavorevoli, influenza la salute futura dal punto di vista fisico, psicologico e relazionale», scrive Chiara Reali, coordinatrice del progetto Kipi.
«I dati definitivi a che cosa porteranno, nel concreto?», chiede la giornalista della testata ‘Romagna mamma’. Chiara Reali risponde che “L’indice di vulnerabilità è importante perché ci descrive un territorio sulla base dei bambini che lo abitano. Ci dice quanto sta facendo un territorio per loro. I dati ci serviranno ad individuare i bisogni di salute, a valutare l’efficacia di interventi già in corso, a capire le potenzialità di sviluppo”.
«Siamo sicuri che la scuola sia pronta a capire le esigenze di ogni bambino?» chiede ancora la giornalista educatrice Silvia Manzani e Reali risponde:
«Il progetto Kipi individua la scuola come una protagonista, nella convinzione che è lì che si realizza la quotidianità dei bambini. Ci piacerebbe nascessero delle collaborazioni tra scuola e mondo sociosanitario: non solo su casi specifici segnalati ma in generale. La scuola, nel suo mandato, ha la promozione della salute del bambino. In Canada, abiamo visto, è a scuola che convergono tutti i servizi dedicati all’infanzia». Ho voluto inserire questo stralcio di intervista perché spiega molto bene gli obiettivi desiderabili del progetto, l’imput lodevole e la ragione sociale di un progetto al quale ho avuto l’onore di poter partecipare. Le parole della coordinatrice del progetto Kipi sono vicine alle logiche e agli obiettivi del presente saggio, in quanto tentativo di offrire una disamina su alcuni progetti che leghino la sfera del sociale con quella sanitaria. La ricerca della salute è infatti l’esplicito leit motiv che ci spinge ad agire, in un contesto – quello dei servizi sociali e scolastici – sempre molto complesso e intricato, dal punto di vista valoriale. Non sempre gli obiettivi convergono, e quando convergono non sempre i passaggi processuali si trovano sulla stessa linea di pensiero ed azione.
Il progetto Kipi, per concludere, è un esempio di come la ricerca possa fare emergere le caratteristiche dei bambini e orientarci quindi a fornire risposte e proposte più puntuali alle esigenze dei singoli bambini, in un’ottica di aiuto tra insegnanti, servizi e bambini.
Vorrei tornare ora sulle sagge parole dello psicopedagogista von Prondzinski, il quale ci ha spiegato come l’analisi dei contesti e delle variabili ambientali siano di fondamentale importanza – unite alle condizioni di salute del soggetto – per la determinazione della disabilità. Secondo von Prondzinski la disabilità emerge infatti quando entrano in conflitto queste due variabili – le condizioni di salute unite alle condizioni dell’ambiente.
Sulla base di questo paradigma di riferimento, il progetto Kipi ha avuto rigorosamente il valore di analizzare alcune dimensioni cognitive e dell’agire, con l’obiettivo di ragionare e costruire salute sociale.
Il progetto Kipi ha avuto il merito di indagare la relazione positiva (positiva in senso medico) tra ambiente (inteso qui come contesto) e disabilitá (e aggiungiamo potenzialmente anche la devianza). Prendiamo esempio da tutte le esperienze e le modalitá di lavoro che abbiamo osservato per cominciare a fondare alcuni principi morali dell’educazione e la formazione della persona.
Cosí da indagare la relazione negativa tra ambiente e disabilitá, che dia la possibilitá di interessarsi ai modi per accrescere la salute e le condizioni di wellthiness.
Pedagogia del bambino: bisogni e apprendimento
Tutti i bambini dovrebbero trovarsi in situazioni confortanti, per poter loro essere sicuri di agire. Devono scoprire le loro emozioni piano piano, nel rispetto dei loro tempi di reazione. Devono poter avere la possibilitá di esprimere e raggiungere la propria identitá in situazioni serene, protette, supportate, pacifiche e interessanti. Al tempo stesso è importante la spiegazione che nel mondo ci sono anche altre persone. Bisogna saper spiegare che si vive all’interno di un contesto caratterizzato da un equilibrio fragile (ambiente e risorse). Ma anche che le persone, unite le une alle altre, riusciranno a trovare strade di pacifica convivenza producendo uno per l’altro.
In questo percorso nella vita le persone devono essere libere dal pre giudizio e dallo stigma, per crescere bene.
«Anche le relazioni fra il sistema formativo e il mondo del lavoro stanno rapidamente cambiando. Ogni persona si trova nella ricorrente necessità di riorganizzare e reinventare i propri saperi, le proprie competenze e persino il proprio stesso lavoro. Le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochi anni. (…) Per questo l’obiettivo della scuola non può essere soprattutto quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze; piuttosto, è quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri. Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate. Al contrario, la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno».
L’integrazione scolastica
Tra gli obiettivi dell’integrazione scolastica dei bambini con disabilità, quelli che risultano imprescindibili sono l’emersione e lo sviluppo delle funzioni del ‘Self’, del ‘Mind’ e del ‘Me’ che abbiamo tratto dagli studi di Mead.
In questa prospettiva, la socializzazione rappresenta un caposaldo del lavoro di integrazione. La socializzazione è considerata come la capacità di entrare in relazione con gli altri, a seconda dei livelli e dei contesti di vita in cui si è inseriti. Così avremo una socializzazione primaria – con i genitori – e via via una secondaria, terziaria, ecc. quando il bambino comincia la scuola quindi a relazionarsi con i compagni e gli insegnanti, con altri adulti, ecc. Quando le prime esperienze relazionali si fondono con le pratiche della vita quotidiana, e con i suoi aspetti complessi e frustranti.
Per socializzazione intendiamo la partecipazione sociale, il senso di appartenenza e l’identità sociale.
Come sostiene Ianes [2006], partecipando alle ‘normali’ attività con il ‘normale’ gruppo di coetanei, l’alunno con disabilità sperimenta profondamente l’«esserci», il riconoscimento del proprio valore, con conseguente aumento di sicurezza, autostima e senso di appartenenza.
«Se io sono nella normalità, se vi partecipo, anche se con modalità tutte mie, mi sento bene perché sento di partecipare ad uno stereotipo positivo, vengo visto, giudicato nella normalità («Impariamo a essere ciò che ci dicono di essere», come scrive Ronald Laing); vengo riconosciuto nella mia «normalità» essenziale, nel mio valore di persona; l’essere accettato e il partecipare mi fanno crescere, magari lentamente, verso la normalità. [Ianes, 2006, p. 15).
Partecipando alle attività di un gruppo normale di coetanei si struttura buona parte dell’identità sociale dello alunno, attraverso rispecchiamenti, rappresentazioni, aspettative condivise. Essere e sentirsi negli ordinari percorsi formativi istituisce e forma significati condivisi e comuni, rituali, regole, modelli comportamentali attraverso imitazione, interiorizzazione, coevoluzione e differenziazione. La partecipazione sociale, intesa come il rivestire ruoli normali nelle varie situazioni di vita normale, è anche, secondo il modello antropologico ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, uno dei principali fattori del benessere individuale, della salute e del funzionamento umano positivo».
Dal PEI all’ICFCY/Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute per bambini e adolescenti (OMS, 2007)
L’accenno allo strumento innovativo dell’ICF è importante perché finalmente si ha uno strumento in più per l’analisi del percorso scolastico dell’alunno disabile, strumento che considera l’alunno in un’ottiva positiva e propositiva – potremmo dire globale – accanto alle criticità proprie della disabilità specifica dell’alunno, viste spesso in un’ottica negativa. Il fatto importante rappresentato dall’introduzione dell’ICF è il cambiamento potenziale della cura e della pratica educativa. Se siamo abituati a pensare all’alunno in termini negativi, ovvero riconducibili alle attività o le funzioni che non è in grado di fare, è probabile che il nostro atteggiamento educativo rifletta questa impostazione, col possibile risultato di forzare gli obiettivi a cui deve arrivare e le acquisizioni che deve raggiungere, perché considerato solo nel confronto con le potenzialità dei bambini normo dotati. Se invece lavoriamo a 360 gradi, coinvolgendo in questo lavoro anche le famiglie e i servizi diversi che operano sul territorio, abbiamo la possibilità di approfondire tutte quelle che sono le potenzialità dell’alunno e del suo contesto di vita, potendo in questo modo garantire in maniera più efficace le sue opportunitá sociali potenziali e i suoi bisogni educativi.
Infatti «Un’altra forza che spinge nella direzione da noi auspicata è la diffusione forte e convinta che il modello ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avuto e ha tuttora in Italia, diffusione enormemente maggiore rispetto ad altri Paesi europei. Il modello ICF, come si vedrà nelle pagine seguenti, è radicalmente biopsicosociale, ci obbliga cioè a considerare la globalità e la complessità dei funzionamenti delle persone, e non solo gli aspetti biostrutturali. Questo è stato il motivo per cui si è fondato proprio su ICF il nostro concetto di Bisogno Educativo Speciale (Ianes, 2005), che assume così un significato ben diverso da quello in uso abitualmente nella letteratura anglos assone».
E’ in quest’ottica che Ianes parla del superamento dell’insegnante di sostegno, immaginando una scuola con più insegnanti normali in compresenza, i quali possono facilitare l’alunno o gli alunni disabili a raggiungere l’integrazione piena nella classe e nella società. L’integrazione piena si ottiene – in maniera inprescindibile – aumentando di volta in volta la qualità e la quantità delle attività svolte con il resto dei compagni di classe.
Attraverso la conoscenza dei diritti naturali dei bambini è possibile delineare quali siano i bisogni e i diritti principali per lo sviluppo psico sociale del bambino.
Importante rimane il fatto che il bambino sia posto in ogni momento nelle condizioni di poter esprimere la propria personalità in libertà e sicurezza. Gli unici argini alla sua azione devono essere le regole morali e della giurisprudenza, con la limitazione dei conflitti e la proposizione di esperienze utili e positive.
La Società dell’Informazione e della Conoscenza
Viviamo nella società liquida, inaugurata con la cibernetica e l’abbandono (ancora solo teorico) della produzione industriale di beni non utili prodotti in maniera non sostenibile. In realtà ciò che viene teorizzato è una riduzione della produzione industriale, razionalizzandola e limitandola a ciò che è davvero utile per la nostra vita. La produzione deve quindi orientarsi alla domanda (metodo Toyota) contro la “produzione a stock”, ma deve soprattutto fornire un’idea di cosa produrre. L’idea e la conseguente costruzione della società deve basarsi sulla selezione dei cittadini (il destino lo creiamo). Noi determiniamo i livelli produttivi (quali persone decidono?), tentando di innovare anche le modalitá produttive.
Nella società dell’informazione è importante la singola informazione, come il lungo trattato o relazione. I bit sono l’unità di misura del linguaggio nel web 2.0 / 3.0.
Anche le transazioni commerciali sono ormai eseguibili attraverso i bitcoin, le nuove monete virtuali. Sul web si può così comprare attraverso queste nuove monete, oltre che con la carta di credito. Sarà importante monitorare il fenomeno dal punto di vista criminologico. Dai bit, «si possono esplorare “le diverse “dimensioni” della comunicazione umana. Dall’urlo nella notte alla dimensione negativa del file. Atomi e bit. Assieme a un bit d’informazione compare un bit di antiinformazione e la dimensione negativa x. Anche una bicicletta e una cura medica possono essere de materializzate (e rimaterializzate). S’intravedono tanti futuri possibili e, a ben guardare, anche la specie umana si è riprodotta così. Le informazioni servono per materializzare e personalizzare i prodotti. Si scopre che un prodotto non personalizzato non ha valore».
In questo valore di cura, l’attenzione è posta alla digitalizzazione dei processi amministrativi, di assistenza e cura, a vantaggio di una sanità che sia più efficiente, più appropriata e che costi meno.
Nell’odierna nostra società è fondamentale raggiungere un livello buono di conoscenza. La conoscenza governa il mondo e la societá si forgia attraverso la conoscenza. É l’unico strumento che hanno i cittadini onesti per poter comprendere l’ambiente e per poter svolgere il loro compito. É l’unico strumento per vincere la crisi economica e trovarsi un’occupazione. La crisi economica diminuisce altresì le capacità del sistema di welfare, e i cittadini percepiscono allontanamento e poca attenzione, perdendo la fiducia negli altri. La scarsa fiducia tra le persone provoca disaffezione sociale, individualismo sfrenato, indifferenza.
Questi fattori possono portare a corruzione, falsi, truffe, omissioni, negligenze, imprudenze, imperizie.
L’“innovazione sociale partecipata” è un valido antidoto alla dispersione del sapere sociale e delle reti sociali per la solidarietà e l’aiuto. Non è un caso se parliamo di resilienza nei contesti educativi e nelle terapie educative. Quando i bambini non vengono sorretti e accompagnati nel loro cammino di sofferenza, la loro resilienza fa loro superare quella condizione; è possibile tuttavia che possano perdersi alcuni elementi utili per l’identità, la vita di relazione e complessiva.
«In linea di principio la conoscenza appare possedere di per sé tutte le proprietà che definiscono un bene pubblico globale. La trasmissione d’un tratto di conoscenza dall’individuo A all’individuo B non impedisce ad A di farne uso: è quindi implicito in essa il primo criterio di definizione di un bene pubblico, quello della non rivalità. Con le parole di Thomas Jefferson, autore della dichiarazione d’indipendenza americana (1776), citato da Joseph Stiglitz in un noto saggio sulla conoscenza come Bene Pubblico Globale:
Colui che riceve un’idea da me, riceve istruzione senza diminuire la mia; così come colui che accende il suo cero al mio, riceve luce senza lasciarmi al buio.»
«La diffusione delle tecnologie di informazione e di comunicazione è una grande opportunità e rappresenta la frontiera decisiva per la scuola. Si tratta di una rivoluzione epocale, non riconducibile a un semplice aumento dei mezzi implicati nell’apprendimento. La scuola non ha più il monopolio delle informazioni e dei modi di apprendere. Le discipline e le vaste aree di cerniera tra le discipline sono tutte accessibili ed esplorate in mille forme attraverso risorse in continua evoluzione. Sono chiamati in causa l’organizzazione della memoria, la presenza simultanea di molti e diversi codici, la compresenza di procedure logiche e analogiche, la relazione immediata tra progettazione, operatività, controllo, tra fruizione e produzione».
Conclusioni
Concludiamo quindi constatando che le tecnologie della web society sono sempre più presenti e integrate nel modo di produzione dei servizi sociali e sanitari. Il vasto campo del welfare – oggi dovremmo parlare di tendenza/lavoro per arrivare a condizioni di wellthiness – è attraversato da una felice permeabilità alle conoscenze ed esperienze del web 2.0 e 3.0.
La permeabilità è forte in quanto è forte la necessità di aprire i sistemi dei servizi all’ambiente, per calmierare la sofferenza di chi ha bisogno o versa in gravi condizioni sociosanitarie, per aiutare le famiglie a fare il loro lavoro: garantire la sicurezza e l’unità della famiglia compresa la soddisfazione dei bisogni di chi nella famiglia versa in condizioni di sofferenza.
I bisogni di chi soffre – lo abbiamo detto ripetutamente – vanno compresi, e bisogna dare una chance in più a queste persone, integrandoli in maniera coerente e vera nella vita sociale.
L’attenzione sulla comunicazione e le sue forme è imprescindibile per analizzare il sociale e la società, le quali sono generate e cocostituite dagli scambi comunicativi.
Per aiutare a risolvere le problematiche e le criticità che il sistema sociale affronta, attraverso l’opera e il lavoro del sotto sistema educativo (e di welfare), abbiamo quindi bisogno di sviscerare le dinamiche e i meccanismi della comunicazione, in quanto viene qui ipotizzato e postulato che siano i problemi di comunicazione a originare le difficoltà nella presa in carico delle persone con disagio Questo porta a difficoltá nella formazione e nell’aggiornamento professionale, nel reperimento delle risorse, nell’integrazione e nel coordinamento per l’espletamento delle attività, ecc.