Il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie costituisce un fattore determinate per impedire il contagio da virus Covid-19. Ciò è possibile solo se la scelta della tipologia delle mascherine, predisposte per bloccare l’inalazione di particelle aero disperse, ricade fra quelle che riuniscono i requisiti previsti dalla norma CE e che si dimostrano tecnicamente adeguate all’effettiva capacità di filtrare l’aria e quindi del livello di protezione nella situazione concreta d’impiego.
Autore
Dott. Fabrizio Fratoni – Tenente Colonnello dei Carabinieri
Tecniche Investigative Applicate Scienze criminologiche per l’investigazione e la sicurezza Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
[otw_shortcode_dropcap label=”A” background_color_class=”otw-no-background” size=”large” border_color_class=”otw-no-border-color” label_color=”#008185″][/otw_shortcode_dropcap]l fine di contrastare l’epidemia, il Governo[1] ha imposto alle aziende autorizzate a produrre – in quanto ritenute filiere necessarie – e a quelle correlate a esse, di assumere specifici protocolli di sicurezza anti-contagio; in particolare, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, debba sempre essere garantita l’adozione di adeguati strumenti di protezione individuale.
La normativa d’urgenza ha incentivato inoltre, le necessarie operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, unitamente alla riduzione del personale presente nelle aree aziendali, sia utilizzando forme di ammortizzatori sociali che adeguate misure di turnazione dei lavoratori nei locali. A riguardo, il provvedimento dispone, altresì, che sia sempre preferita la limitazione degli spostamenti all’interno dei siti, anche contingentando in maniera adeguata l’accesso agli spazi comuni, mediante delle intese tra organizzazioni datoriali e sindacali per realizzare al massimo l’utilizzo delle modalità di lavoro agile.
Le misure disposte dal Governo rispondono, quindi, alla finalità di ridurre considerevolmente gli spostamenti dei dipendenti e la loro compresenza sui siti aziendali[2], diminuendo così le possibilità di contagio per tutelare la salute dei lavoratori.
A riguardo, è necessario precisare come risulti decisivo per contrastare il diffondersi del virus Covid-19 sul luogo del lavoro, sia per le attività non interessate dal cosiddetto regime di “lockdown” che per quelle che stanno ripartendo nella cosiddetta fase 2, l’impiego dei dispositivi di protezione individuale (DPI) unitamente al rispetto delle misure igienico-sanitarie, previste dal DPCM 1.3.2020, che devono essere illustrate a tutti i lavoratori e affisse nei luoghi di lavoro[3].
Bisogna precisare che l’art. 2 del citato decreto obbliga le pubbliche amministrazioni e, in particolare, nelle aree di accesso alle strutture del servizio sanitario, nonché in tutti i locali aperti al pubblico, a mettere a disposizione degli addetti, nonché degli utenti e visitatori, dispenser contenenti soluzioni disinfettanti per l’igiene delle mani. L’impiego dei dispositivi di protezione individuale, ovvero sia quelle attrezzature destinate a essere indossate dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro e ogni accessorio destinato a tale scopo, sono previsti dall’art. 18 del decreto legislativo 81 del 2008, “quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti”.
L’onere di fornire idonei dispositivi di protezione individuale è a carico del datore di lavoro così come quello di mantenere in efficienza i DPI, assicurando le necessarie condizioni d’igiene, mediante attività di manutenzione, di riparazione e di sostituzione necessarie per la loro funzionalità nel rispetto delle indicazioni fornite dal fabbricante di tali manufatti[4].
Inoltre, la norma precisa che il datore di lavoro, e di conseguenza i suoi dirigenti e preposti di settore, devono assicurarsi che i DPI a norma CE[5], siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, sempre conformemente alle informazioni del fabbricante, tanto che vi è anche l’obbligo di fornire istruzioni comprensibili per i lavoratori[6].
Si rammenta, inoltre, che la scelta di utilizzare determinati tipi di DPI compete al datore di lavoro, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione e il medico competente, attività questa che richiede un’accurata valutazione in concreto dei rischi specifici in base alla normativa tecnica e alle regole UNI, anche in relazione alla specificità dell’attività lavorativa.
Tornando al tema dei dispositivi di protezione individuale, per le vie respiratorie idonei a impedire il contagio da virus Covid-19, occorre precisare che tali manufatti predisposti per bloccare l’inalazione di particelle aero disperse, si possono tecnicamente suddividere a secondo dell’effettiva capacità di filtrare l’aria e quindi del livello di protezione assicurato.
In ogni caso, le mascherine di protezione, devono rispettare alcune norme che definiscono gli standard tecnici e di sicurezza per l’uso cui sono destinate, determinando i requisiti minimi le specifiche di costruzione e di prestazione, oltre ai test di laboratorio e di impiego, per la valutazione della loro conformità. Per poter essere davvero efficaci, le mascherine di protezione devono rispettare i criteri del sistema di normazione tecnica, che è definito dall’UNI, l’Ente nazionale italiano di unificazione il quale, a partire dalle norme relative ai dispositivi di protezione, si rifà agli standard europei di riferimento (EN).
Le mascherine chirurgiche[7] a uso medico sono destinate a limitare la trasmissione di agenti infettivi da parte del personale ai pazienti durante le procedure chirurgiche e altre attività mediche con requisiti simili, quindi per poter rispondere a detta finalità d’impiego (chiaramente quella di proteggere il paziente dagli agenti infettivi e, in determinate circostanze, di proteggere chi le indossa da spruzzi di liquidi potenzialmente contaminati) le stesse mascherine devono anche essere indossate dai pazienti e da altre persone per ridurre il rischio di diffusione delle infezioni in situazioni epidemiche, come quella che stiamo vivendo.
A riguardo, si può evidenziare come la stessa norma tecnica precisa che “una maschera facciale a uso medico con una barriera microbica appropriata, può anche essere efficace nel ridurre l’emissione di agenti infettivi da naso e dalla bocca di un portatore asintomatico o di un paziente con sintomi clinici”. Le mascherine classificate FFP (acronimo di facciale filtrante delle particelle) sono realizzate in conformità della norma UNI EN 149:2009[8] che definisce “i requisiti minimi per le semi-maschere filtranti antipolvere utilizzate come dispositivi di protezione delle vie respiratorie” prevedendo tre classi di protezione in base all’efficienza filtrante[9]: FFP1, FFP2 e FFP3.
Tali mascherine sono costituite interamente o prevalentemente di materiale filtrante, coprono naso, bocca e possibilmente anche il mento (semi-maschera), e possono avere una o più valvole di inspirazione e/o espirazione dato che sono progettate per la protezione sia da polveri sottili (generate dalla frantumazione di solidi), sia da nebbie a base acquosa e nebbie a base organica (aerosol liquidi) e fumi (liquidi vaporizzati).
Pertanto, le mascherine di classe FFP1 assicurano un primo livello di protezione delle vie respiratorie in ambienti polverosi e che contengono particelle in sospensione, poiché caratterizzate da una varia conformazione semi-facciale antipolvere. In particolare, questa tipologia di mascherine è in grado di proteggere le vie respiratorie da particelle solide e liquide non volatili; quando la loro concentrazione non supera 4,5 volte il valore limite di soglia previsto dalla normativa, ne consegue che la mascherina del tipo FFP1, avendo una capacità filtrante di almeno dell’80% delle particelle sospese nell’aria e una perdita verso l’interno minore del 22%, non è idonea per la protezione da agenti patogeni che si trasmettono per via aerea.
Le mascherine di classe FFP2[10] offrono, senza dubbio, un più adeguato livello di protezione delle vie respiratore in quanto sono in grado di proteggere le vie respiratorie da polveri, nebbie e fumi di particelle con un livello di tossicità compreso tra il basso e il medio, la cui concertazione arriva fino a 12 volte il valore limite previsto dalla normativa, con una capacità filtrante di almeno il 94% delle particelle sospese nell’aria e una perdita verso l’interno minore dell’8%.
Infine, le mascherine di classe FFP3[11] sono in grado di proteggere le vie respiratorie da polveri, nebbie e fumi di particelle tossiche (amianto, nichel, piombo, platino, rodio, uranio, pollini, spore e virus) con una concentrazione fino a 50 volte il valore limite previsto dalla normativa, con una capacità filtrante di almeno il 99% delle particelle sospese nell’aria e una perdita verso l’interno minore dell’2% del valore limite di soglia delle sostanze aero disperse, specifiche tecniche e condizioni d’impiego che permettono, in concreto, a chi le indossa correttamente, una prolungata esposizione a tali sostanze senza effetti nocivi per la salute.
Va sottolineata la fondamentale importanza del corretto utilizzo di tali DPI. Infatti, per garantire l’efficacia della protezione del lavoratore, che deve essere ben conosciuta, tanto da seguire scrupolosamente una determinata procedura di utilizzo, la norma prevede che tale modalità di utilizzo deve essere illustrata da parte del datore del lavoro, anche tramite i dirigenti e i preposti di settore.
A riguardo si chiarisce che la procedura e l’esecuzione delle modalità di utilizzo delle mascherine filtranti è caratterizzata da due fasi, quella di vestizione e quella della svestizione, e il rigoroso rispetto di entrambe risulta di fondamentale importanza per l’effettiva protezione della salute.
Le operazioni di vestizione partono dall’accurata manovra di rimozione di ogni monile e oggetto personale, poi si sostanziano nel praticare l’igiene delle mani con acqua e sapone, ovvero con l’impiego di liquido igienizzante a base alcolica; segue il necessario controllo dell’integrità dei dispositivi, successivamente si devono indossare i guanti e poi si procede con il filtrante facciale (in alcuni casi occorre anche indossare gli occhiali di protezione).
Invece, le operazioni di svestizione devono rispettare la seguente sequenza: la rimozione dei guanti e lo smaltimento nel contenitore (rimuovere, se indossati, gli occhiali e sanificarli), si passa alla maschera maneggiandola dalla parte posteriore, prendendola possibilmente per gli elastici e successivamente praticare l’igiene delle mani con soluzioni alcolica o con acqua e sapone.
Nell’esperienza operativa si è rivelato fondamentale osservare le seguenti regole comportamentali. Innanzitutto evitare qualsiasi contatto tra i DPI potenzialmente contaminati e il viso, le mucose o la cute e avere cura che i DPI monouso siano sempre smaltiti in un appositi contenitori, evitando eventuali contaminazioni con altri oggetti presenti in loco, (in caso di contatto, dovranno essere disinfettati con cura).
È opportuno decontaminare, sempre accuratamente, gli altri DPI riutilizzabili. Anche in tale ambito emerge, quindi, non solo il fondamentale ruolo dell’informazione sulle caratteristiche di tali manufatti e del loro corretto utilizzo, cominciando dalle procedure di vestizione e svestizione appena descritte, ma anche sulle norme comportamentali e di cautela, per realizzare un’efficace azione di prevenzione della salute da parte di ogni lavoratore.
Tale opera di vigilanza e di supervisione deve essere svolta con continuità e efficacia, soprattutto dai preposti di settore i quali, poiché a contatto con i lavoratori, sono chiamati a orientarli sull’esigenza di uniformarsi scientemente e coscientemente all’esecuzione accurata delle corrette procedure, al fine di assicurare la massima protezione da rischi di contaminazione da sostanze pericolose e soprattutto dal contagio del virus.
Peraltro, la prevalente interpretazione giurisprudenziale in tema di obbligo informazione sull’utilizzo dei DPI ribadisce l’onere di un’accurata azione informativa a carico del datore di lavoro, il quale è tenuto a impartire specifiche disposizioni, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell’azienda o dell’ente e del medico competente, anche veicolando accurate informazioni e istruzioni su precauzioni, misure igieniche e funzione dei DPI e del loro impiego, lasciando traccia documentale dello svolgimento di tali attività.
Occorre rammentare che anche i lavoratori, come sancito dall’art.20 del decreto legislativo 81 del 2008, nell’ambito di quel generale dovere di osservazione delle disposizioni e delle istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva e individuale, sono tenuti a utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza, pena sanzione penale.
Decisiva sarà, dunque, per il concreto rispetto delle cautele sull’utilizzo dei particolari DPI la motivazione e la responsabilizzazione di ogni lavoratore. Ciascun soggetto, sia esso lavoratore, dirigente di settore, datore, deve rifuggire sia da atteggiamenti di chiusura motivati da ingiustificati timori che da comportamenti dettati da fretta e superficialità, al fine di tutelare il fondamentale valore della salute.
In questa sfida, e non solo quelli a ritenuti a rischio, come quelli delle forze dell’ordine del volontariato e del sistema sanitario, siamo tutti coinvolti. Oggi più che mai, considerate le dimensioni e la gravità del fenomeno pandemico è in gioco la salute di tutti, pertanto ogni persona deve agire con la massima accuratezza e con profonda responsabilità dei corretti comportamenti, nel rigoroso rispetto delle procedure accennate.
[1] Nel disporre la sospensione di tutte le attività produttive e commerciali, fatta eccezione quelle attività che costituiscono le filiere necessarie, nonché di quelle che consentano il funzionamento di queste e per quelle di prima necessità, specificamente individuate con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, 23 marzo 2020, e 26 aprile 2020.
[2] Come peraltro la stessa indicazione di attuare il massimo utilizzo da parte delle imprese delle modalità di lavoro agile per quelle attività che possono essere svolte dai lavoratori nel proprio domicilio o in modalità a distanza, oltre che a incentivare le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti, nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva, affinché siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione.
[3] Quali: lavarsi spesso le mani, l’uso in tutti i locali pubblici, palestre, supermercati, farmacie e altri luoghi di aggregazione, soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani; evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute; evitare abbracci e strette di mano; mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro; curare l’igiene respiratoria (starnutire e/o tossire in un fazzoletto evitando il contatto delle mani con le secrezioni respiratorie), evitare l’uso promiscuo di bottiglie e bicchieri, in particolare durante l’attività sportiva; non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani; coprirsi bocca e naso se si starnutisce o tossisce; non prendere farmaci antivirali e antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico; pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol e usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate ovveroincaso di contatto ravvicinato inferiore ad 1 metro di distanza per evitare situazioni di possibile disagio.L’articolo 2 dello stesso decreto fra l’altroobbligale pubbliche amministrazioni e, in particolare, nelle aree di accesso alle strutture del servizio sanitario, nonché in tutti i locali aperti al pubblico, a mettere a disposizione degli addetti, nonché degli utenti e visitatori, soluzioni disinfettanti per l’igiene delle mani.
[4] In particolare il decreto legislativo 81 del 2008 precisa le seguenti caratteristiche tecniche che devono riunire necessariamente i DPI: l’idoneità a neutralizzare il rischio specifico, oltre che a non limitare le funzioni operative, in modo da essere funzionale ed accettato dal lavoratore e risultare duraturo, l’adattabilità alla persona di buona sopportabilità e confort, la semplicità di confezione, nonché consentire una facile effettuazione della pulizia e della manutenzione prevista ed infine garantire la facilità di impiego.
[5] Il decreto legislativo n. 475 del 1992 stabilisce le regole in base alle quali il fabbricante, in fase di progettazione, deve conferire particolari caratteristiche tecniche ai DPI, per acquisire la marchiatura CE, che pertanto qualifica il dispositivo come idoneo all’utilizzo richiesto e dimostra il possesso dei requisiti necessari per leggedi salute e sicurezza. Solo una volta completato l’appropriato procedimento di certificazione, il produttore può apporre la marcatura CE al DPI., accompagnata dal numero d’identificazione dell’Organismo che ha effettuato la valutazione di conformità del manufatto.
[6] Mentre è previsto un addestramento obbligatorio per ogni DPI che, ai sensi del D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475, appartenga alla terza categoria e per quelli di protezione dell’udito.
[7] Che devono rispettare necessariamente la norma UNI EN 14683:2019+AC:2019 che ne definisce le caratteristiche di costruzione, la progettazione, i requisiti di prestazione e i metodi di prova.
[8] Che recepisce la normativa europea EN 149:2001+A1:2009.
[9] Determinata in base al limite di penetrazione del filtro (con un flusso d’aria di 95 L/min) e della perdita totale verso l’interno (Total InwardLeakage) dell’aria in ingresso nell’area di respirazione e quindi anche di inquinanti ambientali o agenti potenzialmente patogeni come il Sars-Covid 19.
[10] Generalmente utilizzate nell’industria, nei laboratori di analisi e anche dagli operatori sanitari o dal personale esposto a rischi basso-moderati.
[11] Tale dispositivo di protezione delle vie aeree deve essere utilizzato dai lavoratori, compresi gli operatori sanitari che assistono individui infetti o potenzialmente infetti e dal personale di ricerca esposti ad alto rischio.