La società nella quale viviamo è protagonista di numerosi modificazioni culturali che hanno interessato prevalentemente la famiglia. La progettualità e l’importanza dell’identità dell’individuo suggeriscono l’opportunità di un intervento preventivo congiunto, agito sia nei confronti della famiglia adottiva per accertarne l’idoneità, ma anche nei confronti di tutti quei soggetti che gravitano intorno a essa per attribuirvi un significato culturale ed educativo determinante.
Autore
Dott. Claudio Marcassoli – Psichiatra, psicoterapeuta, criminologo forense, Sondrio.
[otw_shortcode_dropcap label=”L” background_color_class=”otw-no-background” size=”large” border_color_class=”otw-no-border-color” label_color=”#008185″][/otw_shortcode_dropcap]a valutazione dell’idoneità di una coppia di coniugi all’adozione, costituisce un problema molto delicato e implica problematiche legate sia alla coppia genitoriale sia al bambino adottabile, fenomeno questo con il quale, direttamente o indirettamente, tutta la società è chiamata a confrontarsi.
È necessario tenere conto non solo delle capacità genitoriali del singolo, ma del funzionamento complesso della coppia: dalla modalità relazionale alla gestione dei problemi, dall’espressione dell’affettività alla capacità di dare sostegno, al nutrimento fisico e al soddisfacimento dei bisogni psichici dei figli. Per introdurre il tema risulta opportuno premettere che all’interno dell’iter adottivo, la valutazione di idoneità rappresenta il momento centrale.
I requisiti per l’adozione sono previsti dall’art. 6 della legge 184 / 83 (modificata dalla legge 149 / 2001): “L’adozione è permessa ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o che raggiungano tale periodo sommando alla durata del matrimonio il periodo di convivenza prematrimoniale, e tra i quali non sussista separazione personale oppure di fatto e che siano idonei ad educare, istruire ed in grado di mantenere i minori che intendano adottare. Riguardo all’età, secondo la legge: – la differenza minima tra adottante e adottato è di 18 anni. – la differenza massima tra adottanti ed adottato è di 45 anni per uno dei coniugi, di 55 per l’altro.
Tale limite può essere derogato se i coniugi adottano due o più fratelli, ed ancora se hanno un figlio minorenne naturale o adottivo. I limiti di età introdotti dalla legge hanno lo scopo di garantire all’adottato genitori idonei ad allevarlo e seguirlo fino all’età adulta, in una condizione analoga a quella di una genitorialità naturale. Gli aspiranti genitori adottivi devono essere idonei ad educare ed istruire, e in grado di mantenere i minori che intendono adottare.
È chiaro che per questi ultimi requisiti non si può procedere, come per i precedenti, con una semplice verifica formale, ma occorre una valutazione più complessa ‘nel merito’, cioè nei contenuti e nelle modalità del rapporto di coppia, che viene espletata dai Tribunali per i minorenni e realizzata tramite i servizi socio-assistenziali degli Enti locali, anche in collaborazione con i servizi delle aziende sanitarie locali e ciò perché l’interdisciplinarità è necessaria per un’osservazione corretta della relazione di coppia e della sua reale disponibilità ad accogliere un figlio, delle sue risorse a fronteggiare le eventuali difficoltà di inserimento”.
La scelta dell’adozione
Avere un figlio adottivo vuol dire aprire uno spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale, per l’accoglienza di un bambino generato da altri, con una sua storia e che ha bisogno di continuarla con dei nuovi genitori con cui formerà una vera famiglia; come una sua seconda possibilità di vita. Generalmente chi inizia un percorso adottivo pensa a una naturale e spontanea uguaglianza tra avere un figlio biologico e uno adottivo, ma questa credenza si scontrerà con problemi non indifferenti, se la coppia non sarà stata portata a valutare, in modo approfondito, questa differenza.
Solo partendo dal desiderio di avere un figlio, e creandovi un percorso personale e di coppia che sia di vera accoglienza, si può iniziare correttamente la strada dell’adozione. Nel caso dell’adozione di un bambino straniero il percorso è più articolato, ma per molti versi anche più ricco.
L’adozione internazionale permette di accogliere nella propria famiglia bambini di altri paesi, con cultura, lingua, tradizioni diverse. Per questo, per tutelarne i diritti, la normativa si fa più complessa. Oggi offre in cambio la sicurezza sullo stato di abbandono del bambino, una più approfondita preparazione e un migliore sostegno alle coppie che hanno deciso di intraprendere questo percorso.
L’adozione internazionale è l’adozione di un bambino straniero fatta nel suo paese, davanti alle autorità e alle leggi che vi operano. Poiché possa essere efficace in Italia è necessario seguire delle procedure stabilite dalle leggi italiane e internazionali, altrimenti non sarà ritenuta valida e il bambino non potrà nemmeno entrare nel nostro paese. Per di più, in certi casi, l’inosservanza delle leggi sull’adozione può costituire un reato. Queste disposizioni possono sembrare eccessive, ma sono necessarie per garantire ai bambini abbandonati e ai loro futuri genitori, un’adozione legalmente corretta e rispettosa dei diritti di tutti i protagonisti. L’adozione internazionale ha conosciuto in questi anni un fortissimo sviluppo.
La tendenza all’aumento è costante; uno sviluppo così rapido del fenomeno non è riscontrabile solo nel nostro paese, ma lo possiamo rilevare in tutti i paesi economicamente sviluppati. In questi, il miglioramento delle condizioni socio-economiche ha avuto come conseguenza la riduzione del numero dei bambini abbandonati mentre, dall’altra parte il calo delle nascite ha fatto aumentare le richieste di adozione. Queste si sono indirizzate così verso l’unica strada possibile, quella internazionale.
La Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale è il principale strumento per garantire insieme i diritti dei bambini e i diritti di chi desidera adottarli, e per sconfiggere qualsiasi traffico di minori che possa instaurarsi a scopo di adozione. L’Italia ha aderito a questo patto con la legge 31 dicembre 1998 n. 476, le cui norme hanno modificato la legge 4 maggio 1983 n. 184 e regolano ora la procedura di adozione internazionale. Lo spirito della Convenzione e della legge italiana è basato sul principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale: l’adozione deve cioè essere l’ultima strada da percorrere per realizzare l’interesse di un bambino, quando non ci sia stata la possibilità di aiutarlo all’interno della propria famiglia (ove vi sia) e del proprio paese di origine.
L’adozione internazionale ha quindi una grande valenza civile, inoltre costituisce anche un tipo di scelta solidaristica nei confronti dell’infanzia abbandonata nei paesi più poveri. Ma non è l’unico: la legge italiana prevede infatti che gli enti autorizzati a svolgere le pratiche di adozione internazionale si occupino concretamente anche di altri progetti di aiuto e sostegno all’infanzia nei paesi esteri in cui operano.
Modalità
Gli aspiranti genitori adottivi presentano la dichiarazione di disponibilità al Tribunale per i Minorenni competente il quale, entro 15 giorni, deve trasmettere la domanda ai Servizi socio-territoriali competenti “richiedendo di provvedere – anche in collaborazione con le Aziende Sanitarie ed Ospedaliere – alle attività di informazione, preparazione e acquisizione degli elementi utili alla valutazione, a mezzo di equipe composta, almeno, da un’assistente sociale e da uno psicologo”. “Entro 4 mesi dalla ricezione della presente richiesta il Servizio invierà al TPM dettagliata relazione in ordine ad ogni elemento acquisito ed utile al fine di valutare l’attitudine dei coniugi ad adottare un minore ed in particolare in ordine a:
• la situazione personale, familiare, e sanitaria dei coniugi; • il loro ambiente sociale; • le motivazioni che li determinano ad adottare;
• le risorse e i limiti che caratterizzano i coniugi, nonché le loro aspettative e prefigurazioni rispetto alle situazioni problematiche che potrebbero loro prospettarsi;
• le caratteristiche particolari del minore o dei minori che i coniugi sono in grado di accogliere;
• il grado di consapevolezza raggiunto dai coniugi circa le finalità riparative dell’adozione verso il bambino abbandonato, nonché i gravi rischi evolutivi che potrebbero insorgere, tali da poter compromettere, anche in tempi lunghi, una positiva esperienza familiare;
• ogni eventuale ulteriore informazione che consenta al TPM di valutare l’idoneità all’adozione e di fornire anche indicazioni utili a favorire il migliore incontro tra gli aspiranti all’adozione ed il minore da adottare.”
Si richiede quindi una relazione psicologica e sociale, elaborata sulla base di una valutazione psicologica della coppia aspirante all’adozione mediante incontri e colloqui.
Gli strumenti operativi della valutazione:
1. Colloqui di coppia in co-conduzione
2. Colloqui individuali dello psicologo e dell’assistente sociale.
3. Visita domiciliare.
4. Riunioni d’equipe. Come si può organizzare un progetto di valutazione all’idoneità “tipo”:
• analisi delle specificità del mandato, con particolare riferimento alla tipologia di adozione, nazionale o internazionale;
• costruzione di un calendario degli incontri: l’assistente sociale e lo Psicologo definiscono un primo incontro con la coppia, durante il quale viene concordato il calendario degli incontri; ovviamente ulteriori incontri possono essere concordati in itinere se ritenuti opportuni. In linea generale la valutazione della coppia prevede l’approfondimento dei seguenti temi:
1. La storia personale dei coniugi: i dati anagrafici, (curriculum scolastico e lavorativo, descrizione dei rispettivi nuclei familiari di origine, eventuale presenza di figli biologici e/o adottivi, età e caratteristiche); la posizione dei familiari rispetto alla scelta adottiva; un’indagine anamnestica che approfondisca gli aspetti legati alle relazioni, ai modelli familiari ereditati, agli eventi significativi della storia individuale (separazioni, gravi malattie, lutti) al fine di una valutazione globale della personalità. A questo primo step partecipano sia l’AS che lo Psicologo, ciascuno per le rispettive competenze.
2. La storia della coppia: l’AS tratta prevalentemente i temi legati alla nascita della relazione, alla situazione socio economica, (reddito, descrizione della casa, del contesto ambientale), il lavoro e il tempo libero (interessi, hobbies, amicizie) e l’integrazione della coppia con il contesto ambientale), il lavoro ed il tempo libero (interessi, hobbies, amicizie) e l’integrazione della coppia con il contesto sociale e culturale. Lo Psicologo approfondisce le dinamiche di coppia: le modalità comunicative, la capacità di adattamento e di affrontare i cambiamenti.
3. Il progetto adottivo: dopo i colloqui “introduttivi” si entra nel tema centrale: lo psicologo approfondisce le motivazioni manifeste dell’adozione con i relativi vissuti emotivi, i tentativi di procreazione assistita e il percorso affrontato con l’accettazione della condizione di sterilità, fino alla consapevolezza dell’impossibilità di un figlio biologico.
La risposta che le coppie “aspiranti” danno alla domanda: “perché volete adottare un bambino?” è quasi sempre troppo semplice: “il desiderio di avere un figlio, cosa non possibile naturalmente”, ma questa risposta rischia di essere incompleta; dopo l’estenuante ricerca di un figlio naturale, la coppia fatica a riconoscere con chiarezza i propri bisogni personali, che possono anche essere diversi tra i due componenti: oltre al naturale e comprensibile desiderio, non raramente la richiesta adottiva è improntata ad ambivalenti bisogni di compensazione e “sostituzione” del figlio biologico mai arrivato, se non a motivazioni “ideologiche”, “far del bene a chi ha fatto del male abbandonando…” (Fatigati).
Si raccolgono gli elementi per valutare quanto la coppia abbia riconosciuto gli inevitabili vissuti dolorosi legati ai passaggi sopra descritti, e quale ne sia il livello di elaborazione: il desiderio di avere un figlio è certamente naturale e legittimo come detto, ma l’elaborazione di un vissuto così delicato come quello dell’impossibilità procreativa deve essere sufficiente a evitare che il figlio “ricevuto” corra il rischio di essere “strumentalizzato”, più o meno consapevolmente, per riparare frustrazioni personali e/o coniugali e per “riparare quelle ferite narcisistiche e quei sensi di colpa originati appunto dall’impossibilità di procreare”, come ben ci ricorda Camerini. L’obiettivo complessivo è di comprendere il livello di consapevolezza rispetto alla scelta adottiva, rilevando eventuali paure dubbi e incertezze, le immancabili aspettative rispetto al figlio adottivo, indagando le flessibilità emotive, la reale disponibilità a rispondere alle prioritarie esigenze del bambino, e le capacità di tollerare le frustrazioni che certamente non mancheranno.L’Assistente Sociale approfondisce gli aspetti più concreti legati alla tipologia di adozione, nazionale o internazionale, e le ipotesi organizzativo – gestionali della coppia rispetto all’accoglienza del bambino: la dimensione ambientale, l’organizzazione del tempo, la giornata lavorativa, le capacità di adattamento ai cambiamenti derivanti dall’arrivo di un bambino.
4. La competenza genitoriale: è il “cuore” della valutazione. Sottolineiamo alcune delle principali aree problematiche che si troveranno ad affrontare i novelli genitori adottivi e che devono pertanto esser ben analizzate in fase di valutazione dell’idoneità: i coniugi aspiranti sono chiamati a mettersi in gioco profondamente, per fare chiarezza rispetto alla loro scelta. Delle motivazioni si è già detto. 6. Le aspettative dei genitori: spesso non sufficientemente riconosciute ed elaborate queste possono scontrarsi con la realtà di un bambino che non vi corrisponde: Camerini parla ” della paura dei genitori adottivi di una possibile -eredità morale- trasmessa dalla famiglia di origine al minore, paura che pone ipoteche ad un -sano- rapporto educativo, poiché consente l’espulsione al di fuori del nucleo adottivo della causa di ogni comportamento disdicevole del bambino adottato.”
I genitori adottivi si occuperanno di un bambino che ha un estremo bisogno non solo di amore e accudimento, ma anche l’esigenza di essere accolto con il suo carico di passato “incancellabile”, passato che si porterà sempre dentro con un indubbia influenza concausale sul suo futuro sviluppo.
“Chi adotta non ha il compito di cambiare o cancellare il passato di suo figlio, ma quello di poter scrivere assieme a lui il presente ed il futuro, per meglio farlo convivere con quello che è successo prima”, ci ricorda Fatigati.
Situazioni di conflittualità educativa legati a queste variabili sono frequenti nelle situazioni post adottive e spesso sono causa di criticità e fatiche decisamente pesanti.
L’informazione del bambino circa la sua adozione: è un momento molto delicato per i genitori, spesso titubanti se non confusi sui tempi e sull’opportunità/necessità di questa comunicazione; sempre Camerini sottolinea come questa comunicazione ” sia spesso accompagnata da un’inconscia, (quando non esplicita) immagine denigratoria dei genitori naturali, elemento che non facilita certo l’accettazione realistica ed obiettiva da parte del bambino della sua storia passata al fine di una costruzione serena ed equilibrata della propria identità personale.”
L’età del bambino adottato: vanno conosciuti ed analizzati i rischi evolutivi presenti nei processi di adozione di bambini che sono rimasti istituzionalizzati anche per lunghi periodi o che hanno subito traumi in giovanissima età.
Nel complesso si approfondiscono le conoscenze che la coppia possiede rispetto al ruolo genitoriale, le fantasie connesse, e l’acquisizione e l’elaborazione dei modelli genitoriali che sono stati appresi nelle proprie famiglie di origine.
Questo il percorso “base”: sono previsti dei colloqui complementari in casi particolari, quali ad esempio presenza di altri figli biologici o adottivi. Queste specificità richiederanno l’approfondimenti di temi quali le relazioni tra genitori e figli, le dinamiche familiari, la preparazione dei figli all’arrivo del “fratello adottivo”.
Uno strumento che molti Servizi Sociali utilizzano è la psicodiagnosi, cioè l’utilizzo di test psicologici per la valutazione “profonda” della personalità.
Un’obiezione che è stata fatta all’uso di questi strumenti è che essi siano troppo generici rispetto al problema specifico del’idoneità adottiva: per questo motivo è stato messo a punto in Spagna dal Turno de Intervención Psicológica en Adopción Internacional (TIPAI) del Colegio Oficial de Psicólogos de Madrid, il “CUIDA”, “prendersi cura” (disponibile anche il Italia), test che ha dimostrato una grande potenzialità nel misurare le variabili affettive legate alla capacità di stabilire relazioni adeguate alla cura degli altri. Secondo gli autori la valutazione dei futuri genitori adottivi consiste nel determinare se essi possiedono caratteristiche che favoriscono la protezione, l’assistenza e l’inserimento sociale di un minore e quindi uno sviluppo psicologico adeguato del bambino.
Queste tre componenti sono quelle che costituiscono il Modello di personalità funzionale e adatto per un’adozione (Casadilla, Bermejo e Romero).
Il “CUIDA” è composto da 189 item che misurano variabili affettive, cognitive e sociali, legate alla capacità di stabilire relazioni finalizzate all’assistenza di altre persone.
Le scale primarie sono
Altruismo (Al): disposizione ad aiutare gli altri e a preoccuparsi del loro stato di salute in maniera disinteressata.
Apertura (Ap): condotta di fronte a esperienze nuove e strane, immaginazione attiva, gusto per la varietà, attenzione ai sentimenti e curiosità intellettuale.
Assertività (As): capacità di esprimere in modo adeguato emozioni sia positive che negative, fare e ricevere critiche, proferire e ricevere complimenti, accettare e rifiutare delle richieste e mostrare il proprio disaccordo.
Autostima (At): grado di soddisfazione per il proprio aspetto fisico, per le relazioni stabilite con persone significative, per i successi professionali.
Capacità di risolvere i problemi (Rp): identificare i problemi, studiare le diverse alternative, agire secondo un piano, essere flessibili e disposti a risolvere i conflitti.
Empatia (Em): capacità di riconoscere e comprendere i sentimenti degli altri.
Stabilità emotiva (Ee): capacità di controllare gli stati di tensione associati ad esperienze emotive forti e di mantenere il controllo sul proprio comportamento in situazioni di conflitto o disagio.
Indipendenza (In): capacità di compiere attività abituali senza l’aiuto e la protezione da parte di altri.
Flessibilità (Fl): capacità di percepire e accettare le diverse sfumature di ogni situazione, di riconoscerle e di adattarvisi.
Riflessività (Rf): capacità di parlare e agire in modo meditato e non impulsivo.
Socializzazione (Sc): facilità nello stabilire una relazione con l’altro, piacere di stare in compagnia, gusto per attività sociali.
Tolleranza alla frustrazione (Tf): capacità di accettare l’eventualità che un desiderio, un’aspettativa o un progetto non si compiano.
Capacità di stabilire legami affettivi o di amore (Ag): requisito fondamentale per un adeguato sviluppo evolutivo e per la costruzione di relazioni interpersonali.
Capacità di superare il dolore (Dl): capacità di elaborazione di una perdita nella vita personale, familiare o sociale di un individuo.
Come tutti i test anche il CUIDA presenta limiti, criticità e variabili, ma può essere utile nel fornire linee guida per il percorso di indagine e per uno schema riassuntivo dei risultati.
VISITA DOMICILIARE
L’incontro con la coppia in un setting ben diverso da quello asettico e formale dei locali del servizio sociale è un momento importante: un’occasione per incontrare gli aspiranti genitori nel loro ambiente, per rendersi conto dell’organizzazione della attuale vita familiare, dell’idoneità e dell’adeguatezza della casa ad ospitare un bambino, anche se è da sapere che certamente essi punteranno a dare la migliore immagine di sé e dell’ambiente in cui vivono; ma un operatore attento e preparato saprà indubbiamente cogliere tutti gli aspetti, quelli “artificiosi” e quelli naturali e comprendere quello che l'”organizzazione” della casa comunicherà.
LA RELAZIONE FINALE che conterrà tutti gli elementi sopra trattati sarà dapprima letta agli aspiranti genitori adottivi in un momento di restituzione, ed inviata poi al TpM richiedente entro il termine di 4 mesi.
BIBLIOGRAFIA
Camerini G.B., Aspetti legislativi civilistici e psichiatrico forensi nei procedimenti riguardanti i minori in Volterra V. (a cura di) Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica , Masson 2010
Commissione per le adozioni internazionali presidenza del consiglio dei ministri, per Adottare www.commissioneadozioni.it
Di Vita A.M, Cavanna D, (a cura di) Il gruppo Adottivo Franco Angeli Milano 2016
Fatigati A., Genitori si diventa, riflessioni, esperienze, percorsi per il cammino adottivo. Franco Angeli 2015
Giannini M, Rusignolo I, Berretti F., Quida, questionario per la valutazione dei richiedenti l’adozione, gli assistenti, i tutori, i mediatori. Giunti O.S., Firenze 2010
Lazzarini I., (a cura di) Generato non creato S.Paolo Edizioni 2014
Paradiso L., Prepararsi all’adozione, le informazioni, le leggi, il percorso formativo Unicopli Milano 1999