Il bilancio logopedico è uno strumento di individuazione dei quadri a rischio di disturbo primario del linguaggio. Vengono esaminati i fattori che rendono importante la sua intercettazione precoce e la tempestività dell’intervento, alla luce delle risultanze della Consensus Conference 2019.
Abstract 
Il Disturbo Primario del Linguaggio (DPL), precedentemente noto come DSL Disturbo Specifico di Linguaggio, è un disturbo del neurosviluppo tra i più insidiosi e un rilevante problema di salute pubblica, possibile fonte di serie conseguenze a lungo termine nella vita dell’individuo che ne è affetto, se non adeguatamente fronteggiato.
Nel presente articolo, alla luce dell’inquadramento nosografico del DSM-5 e sulla base delle risultanze della Consensus Conference di recente pubblicazione, si evidenziano le motivazioni a sostegno dell’importanza di una identificazione precoce delle difficoltà di linguaggio.
Il documento di consenso ha ribadito da un lato la necessità di identificare i fattori di rischio e dall’altro la difficoltà di reperire tali dati dagli screening. In quest’ottica il bilancio logopedico, atto dovuto della pratica del logopedista, potrebbe configurarsi come strumento di elezione da cui ricavare, a livello europeo, elementi utili a evidenziare i quadri a rischio e ad avviare un trattamento precoce mirato alle abilità linguistiche compromesse, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili a livello internazionale.
Autori
Dott.ssa Paola Montoro, Logopedista e Counselor. Studio di Logopedia Dott.sse P.Montoro –R. Sisti e Associati – Associazione Paroleincerchio, Catania.
Dott.ssa Raffaella Sisti, Logopedista. Studio di Logopedia Dott.sse P.Montoro –R. Sisti e Associati – Associazione Paroleincerchio, Catania
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[otw_shortcode_dropcap label=”L” background_color_class=”otw-no-background” size=”large” border_color_class=”otw-no-border-color” label_color=”#008185″][/otw_shortcode_dropcap]o sviluppo del linguaggio è – come ribadito dalla Consensus Conference sul Disturbo Primario del Linguaggio (a cura di CLASTA e FLI, 2019) – comunemente considerato un indicatore utile dello sviluppo complessivo del bambino e delle abilità cognitive (Schuster et al., 2000) ed è in relazione con altre abilità rilevanti per la vita di ogni giorno, come quelle scolastiche.
Il disturbo del linguaggio è un fenomeno complesso e dinamico, che può implicare difficoltà a diversi livelli (Law et al., 2000): nella combinazione dei suoni (fonologia), nell’acquisizione e nell’uso del vocabolario (semantica e lessico), nel riconoscere e utilizzare le unità minime di significato delle parole (morfologia), nell’acquisizione del sistema di regole per combinare le parole in frasi (sintassi), nell’acquisizione del sistema di regole per l’interpretazione delle frasi (semantica composizionale) e nell’uso della lingua in maniera appropriata rispetto al contesto (pragmatica).
Nel DSM-5 (APA, 2013), il Disturbo del Linguaggio è definito come un disturbo del neurosviluppo che include quadri clinici variegati, caratterizzati da ritardo o disordine in uno o più ambiti dello sviluppo linguistico, in assenza di deficit cognitivi, affettivi, sensoriali, motori, e importanti carenze socioculturali. Le novità introdotte in questa quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali riguardano la definizione del disturbo sulla base delle manifestazioni cliniche.
Nella macrocategoria dei Disturbi del Neurosviluppo vi è difatti una sottocategoria denominata Disturbi della Comunicazione, all’interno della quale troviamo:
– Disturbo del Linguaggio,
– Disturbo Fonetico-fonologico,
– Disturbo della Fluenza (balbuzie)
– Disturbo della Comunicazione sociale (pragmatica).
In questa sede si parlerà del Disturbo Primario di Linguaggio (DPL), secondo la definizione proposta nel 2014 da Reilly et al. e condivisa dalla maggioranza degli esperti della sopracitata Consensus Conference, in sostituzione della precedente etichetta diagnostica DSL o Disturbo Specifico del Linguaggio, in quanto la nuova definizione meglio esplicita alcune caratteristiche fondamentali del disturbo: la natura prettamente linguistica della difficoltà e l’aspecificità.
Le ricerche degli ultimi dieci anni infatti hanno mostrato che si tratta di un disturbo primario, in quanto non derivante da altri deficit, ma non specifico, in quanto frequentemente associato a difficoltà in altri ambiti evolutivi. Leonard nel 2014, fra gli altri, evidenzia l’associazione del disturbo di linguaggio con lievi difficoltà in diverse aree: coordinazione motoria, attenzione, memoria ed elaborazione delle informazioni.
Va ricordato che altri autorevoli autori, come Bishop et al. nel 2017, hanno proposto l’acronimo DLD, DevelopmentalLanguage Disorders ovvero Disturbo dello Sviluppo del Linguaggio, mettendo in risalto invece la natura evolutiva del disturbo, che spesso si mantiene nel tempo modificandosi.
L’importanza di intercettare precocemente il Disturbo di Linguaggio nasce da vari fattori:
- innanzitutto, questo disturbo è il più frequente in età evolutiva: i dati epidemiologici indicano una prevalenza in età prescolare pari al 5-7% circa dei bambini di questa fascia di età, in maggioranza maschi. Esso non rappresenta tuttavia una categoria diagnostica omogenea, in quanto può interessare la produzione ma anche la comprensione e può riguardare – come già detto – una o più aree del linguaggio.
- Circa 11–13% dei bambini tra i 18 e i 36 mesi presentano un ritardo nello sviluppo del linguaggio espressivo, che nei casi più gravi può riguardare anche il versante recettivo. Si tratta dei cosiddetti late talkers, parlatori tardivi (Chilosi et Al, 2019; Rescorla e Alley, 2001). Di questi, il 70% ha una prognosi favorevole entro i tre anni di età, soprattutto quando la comprensione è integra e quando non sussiste familiarità per i disturbi del linguaggio: il recupero della capacità linguistica può dunque avvenire spontaneamente, anche se in ritardo: la letteratura anglosassone utilizza in questo caso il simpatico termine Late Bloomer: il bambino che “sboccia tardi”.
Quando il disturbo persiste oltre i 3 anni, raramente viene recuperato spontaneamente e si configura il quadro del disturbo primario.
- Inoltre, secondo svariati autori, nel 40-50% dei casi la compromissione linguistica determina sequele neuropsicologiche negative (Rescorla, 2002). In particolare, le maggiori ripercussioni sono evidenti nell’ambito degli apprendimenti scolastici, soprattutto durante i primi due anni di scolarizzazione, periodo in cui l’instabilità del sistema fonetico si traduce in un’instabilità nel processo di alfabetizzazione. Chi è affetto dal disturbo di linguaggio, infatti, è esposto a un rischio di problemi di apprendimento stimato cinque volte superiore rispetto alla popolazione con sviluppo tipico del linguaggio (Catts et al., 2002). Gli studi longitudinali mostrano la persistenza del disagio anche in età adulta, con effetti non solo sulla quotidianità ma anche sulla scelta lavorativa e sul suo esito favorevole (Law et al., 2009).
Diventa quindi di fondamentale importanza identificare precocemente le difficoltà di linguaggio, intervenendo tempestivamente: sia per evitare che la difficoltà comunicativo-linguistica impedisca al bambino di relazionarsi adeguatamente con gli altri, sia perché interventi in questa fascia di età avranno esito maggiormente favorevole (CADTH, 2013).
La Conferenza di Consenso individua i 30 mesi quale età entro cui effettuare una prima valutazione del vocabolario espressivo e ricettivo, tenendo conto del livello di istruzione e socioeconomico dei genitori e della familiarità per il disturbo quali possibili predittori del DPL.
Nello stesso documento viene inoltre indicata la fascia di età compresa fra i tre anni e mezzo e i quattro quale periodo in cui è consigliato formulare la diagnosi accurata di DPL.
Viene infine ribadito il ruolo di genitori, insegnanti e personale sanitario che nella prima infanzia possono essere osservatori accurati nel rilevare segnali predittivi o concomitanti alla presenza di un ritardo/disturbo di linguaggio, come: assente/scarsa produzione di gesti dai 12 mesi e assente/ridotta comprensione e produzione lessicale tra i 15 e i 36 mesi. In particolare, secondo lo studio di Luke et al. (2016), l’assenza dell’indicazione con il dito a 12 mesi costituisce un indicatore fondamentale di ritardo di linguaggio a due anni, con accuratezza dell’85%.
La costruzione del profilo linguistico-comunicativo in età evolutiva tramite la stesura del bilancio logopedico permette al logopedista di ricostruire in un’ottica dinamica il funzionamento del bambino e la direzione dei cambiamenti possibili e auspicabili.
Si ottiene un profilo centrato sulla persona, descrittivo delle capacità messe in atto e di quelle impedite, delle strategie attuate per raggiungere uno scopo e della loro adeguatezza in termini di efficacia e di efficienza.
Alcuni AA. (Olswang e Bain, 1996) parlano di profilo statico e di profilo dinamico: statico nella misura in cui rende conto delle prestazioni attuali, dinamico nel senso che evidenzia il gap tra le prestazioni attuali e le capacità attese per l’età cronologica.
Gli strumenti utili sono: il colloquio anamnestico, l’osservazione clinica e la testatura.
Nel colloquio anamnestico è importante raccogliere tutti i dati rilevanti per intercettare gli indicatori precoci del rischio di un eventuale disturbo comunicativo/linguistico. A tal fine sarebbe auspicabile la stesura di un protocollo anamnestico condiviso a livello europeo, da utilizzare anche a fini di ricerca.
Dall’osservazione clinica, dall’analisi di questionari rivolti a genitori/insegnanti, dalla somministrazione dei test tarati e standardizzati disponibili per l’età, si ricavano le informazioni e gli elementi necessari per redigere il bilancio, atto professionale regolarmente dovuto, volto per definizione all’individuazione e alla soddisfazione del bisogno di salute del paziente.
Il bilancio logopedico:
- Conferma e chiarisce le informazioni raccolte in sede di anamnesi
- Realizza la sintesi dei molteplici dati raccolti in sede di valutazione
- Contiene la descrizione funzionale dei diversi sottocomponenti del linguaggio
- Consente di definire il percorso di aiuto più consono alle difficoltà del bambino: non presa in carico; trattamento differito con/senza monitoraggio; trattamento indiretto con azioni di counselling sui genitori; trattamento diretto in tempi brevi
- Permette di pianificare il trattamento diretto in maniera mirata basandosi sulle caratteristiche della difficoltà o del disturbo evidenziato nel bambino
- Include la programmazione sintetica dell’intervento con i relativi obiettivi in linea generale, da conseguire a breve, medio e lungo termine
- Contiene dati utili da condividere con altre figure professionali coinvolte per eventuali approfondimenti
- È elemento di riferimento e di confronto per valutare l’evoluzione del disturbo e l’efficacia del trattamento secondo i principi della EBM
- Rende possibili azioni di ricerca
Il bilancio logopedico, in un’ottica dinamica, si rivela quindi uno strumento essenziale di prevenzione primaria e secondaria nella pratica clinica logopedica, in particolar modo ai fini della ricerca di indicatori specifici per l’intercettazione precoce dei disordini della comunicazione e del linguaggio.
Bibliografia
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