Medicalive

Il mal di schiena. La prospettiva dell’Ortopedico e la prospettiva del Fisioterapista secondo una visione evidence-based

Dott. Roberto Urso – Dirigente Medico U.O. di Ortopedia e Traumatologia Ospedale Maggiore, Bologna

Dott. Valerio Barbari – Fisioterapista, OMPT – Orthopaedic Manipulative Physical Therapist, Rimini

La prospettiva dell’Ortopedico

[dropcap color=”#000000″ font=”0″]D[/dropcap]efinire la storia evolutiva del Dolore Lombare e del suo trattamento è molto complesso, sia per i fattori intrinseci (eventuali patologie pregresse, malattie), sia per i fattori estrinseci (cause predisponenti, sforzi, traumi), sia per la storia naturale favorevole e la sua risoluzione spontanea, come nella maggior parte dei casi.

prospettiva ortopedica

Dolore di natura meccanica, tende a modificarsi con il variare delle attività fisiche e lavorative, è un quadro doloroso prevalentemente del tratto lombo-sacrale, ma con propagazioni e coinvolgimenti di sedi a localizzazione sufficientemente precisa: lombo-sacrale-iliaco, glutea, zona coscia (anteriore o posteriore), con o senza irradiazione più o meno complessa all’arto inferiore (polpaccio, calcagno, dita dei piedi). La fase iniziale del DL è sempre acuta, quindi temporanea. Se la fase si prolunga nel tempo diventa cronica, identificando un vero e proprio stato di malattia. Il significato di sintomo è così perso, modificando completamente i meccanismi fisiopatologici del dolore.

L’esame anamnestico indaga sulla genesi del dolore, sullo stile di vita del paziente, sulle abitudini quotidiane, sul tipo di lavoro e le eventuali attività sportive praticate. L’esame clinico deve valutare la colonna vertebrale, come postura del paziente, deviazioni dell’asse, rotazioni, punti trigger, sedi di contrattura con relativa irradiazione del dolore. Una successiva indagine radiologica permette di inquadrare il globale assetto del rachide sui vari piani, i dismorfismi dei corpi vertebrali, la presenza di artrosi, eventuale deficit dell’accrescimento, aree osteolitiche su base metastatica o infettiva, modificazioni dei corpi vertebrali, asimmetrie dei dischi vertebrali.lesioni discali

La figura dell’ortopedico interviene, solitamente, come primo passaggio all’esordio dei sintomi dolorosi. Un’accurata visita ed esami strumentali corretti riescono, di solito, a portare a un’esatta diagnosi. Il paziente afflitto da DL a insorgenza acuta o già in cronicità da qualche tempo, vede spesso, nell’ortopedico la possibilità della soluzione di tutti i problemi, confidando in una terapia farmacologica che possa eliminare tutti i disturbi, se non addirittura un’operazione che possa asportare radicalmente tutti i problemi che il dolore porta.

È consuetudine, una volta che il DL si è presentato violentemente sul paziente, pensare alla tanto temuta “ernia”, ritenendo che il grave dolore sia sempre a essa legata. E la convinzione che l’intervento chirurgico sia la soluzione migliore è ancora tenace. Quest’atteggiamento è comprensibile: i dolori continui e invalidanti tendono a ricercare anche le soluzioni estreme.

La scuola americana, più di tutti tendeva verso la soluzione chirurgica, ma a seguito di uno studio che stabilì che i postumi e le limitazioni residue a dieci anni di distanza, erano assolutamente sovrapponibili, alle ernie trattate chirurgicamente; oggi tale approccio è lasciato esclusivamente a quegli episodi che determinano paralisi completa e quasi completa da sofferenza radicolare, per stenosi del canale, per esiti di lesioni fratturative o metastatiche.

lombalgia

Nell’ambito clinico, dopo diagnosi corretta del tipo di DL, l’ortopedico trova nel fisioterapista il perfetto alleato per la corretta strategia terapeutica idonea a migliorare prima, e risanare nel tempo, i gravi sintomi riferiti.

La prospettiva del Fisioterapista secondo una visione evidence-based

Introduzione e background

Il mal di schiena (low back pain – LBP), definito nello specifico come mal di schiena non specifico (non-specific LBP), rappresenta il disturbo muscolo-scheletrico più comune al mondo. Secondo i dati del Global Burden of Disease, infatti, la prevalenza globale del mal di schiena si stima essere pari al 9.17% (Hoy, 2010), mentre quella del corso della vita di ciascun individuo sembrerebbe collocarsi all’interno di un range compreso tra il 49% e il 90%(Scott, 2010) o tra il 50% e l’80% (Rubin, 2007), con un tasso di recidiva – a un anno dal primo episodio – estremamente elevato e pari al 33% (da Silva, 2017).

Non solo, il mal di schiena costituisce la principale causa di disabilità a livello mondiale (Vos, 2016) e, infatti, la letteratura scientifica riporta un tasso di ricerca di cura pari al 58% [IC: 32%-83%], con valori più elevati nelle donne, in pazienti con dolore più severo e disabilitante o con un basso livello di salute generale (Ferreira, 2010).

In linea generale, è possibile asserire con certezza che il mal di schiena si configura come un carico economico e sociale significativo sia dal punto di vista del paziente che dei servizi sanitari pubblici e/o privati. A supporto di questa considerazione, una recente meta-analisi pubblicata sul BMC Musculoskeletal Disorders (Edwards, 2017), sintetizzando le stime di prevalenza dei pazienti con mal di schiena recatisi presso le strutture di emergenza (emergency departments), ha riportato una prevalenza pari al 4.39% (3.67%-5.18%), consentendo agli autori di stabilire come il mal di schiena sia una problematica frequente anche presso le strutture di emergenza stesse.

La prevalenza e l’incidenza del mal di schiena sono in costante aumento nel corso degli anni (Meucci; 2015 Fatoye, 2019) e pertanto è ragionevole supporre che sia in termini di valutazione che in termini d’intervento (medico o fisioterapico) vi siano delle carenze concettuali, culturali elegate alla competenza che necessitano di essere colmate. Infatti, non tutti i fisioterapisti, con o senza specializzazione in riabilitazione dei disordini muscolo-scheletrici, aderiscono alle linee guida internazionali inerenti alla gestione di questo disturbo e, gli elementi ritenuti “barriere” all’aderenza alle linee guida stesse sembrerebbero essere la comprensione, la compatibilità con la propria pratica clinica, la rilevanza e il grado di accordo tra il professionista e la ricerca scientifica (Cotè, 2009). Questa considerazione solleva un problema che non deve essere in alcun modo sottovalutato in quanto, nel caso del mal di schiena, l’aderenza alle linee guide internazionali da parte dei fisioterapisti ha, infatti, il potenziale di ridurre il tasso di ricerca di cure da parte dei pazienti, di ridurne la disabilità percepita e, pertanto, di migliorare la qualità della vita (Rutten, 2010).

L’obiettivo di quest’articolo è di portare alla luce le più recenti acquisizioni provenienti dalla letteratura scientifica inerenti alla valutazione e al trattamento del paziente con mal di schiena. Assumendo sia propria di ogni fisioterapista la conoscenza degli step di ciascun momento dell’anamnesi e dei diversi momenti dell’esame fisico (dall’osservazione ai movimenti attivi fino ai test di provocazione del dolore), segue una panoramica scientifica sulla valutazione e sulla gestione dei pazienti con mal di schiena in linea con le più autorevoli prove di efficacia che chiuderà il cerchio del ragionamento clinico e si configurerà come complementare al background formativo fisioterapico relativo al dolore lombare, focalizzandosi principalmente sull’inquadramento del paziente, dei meccanismi di elaborazione dei sintomi e, infine, sulla gestione del disturbo.

La valutazione del paziente con mal di schiena

Il paziente affetto da mal di schiena è senza dubbio il paziente che più frequentemente i fisioterapisti ricevono nei propri studi professionali (vedi sezione 1. per i dati di prevalenza). Parallelamente a quest’aspetto, è degno di nota sottolineare come il sistema per cui i pazienti si rivolgono ai fisioterapisti privatamente come prima figura sanitaria di riferimento in caso di mal di schiena – accesso diretto – renda indispensabile una competenza professionale adeguata, avanzata e aggiornata. In questo senso, la specializzazione in riabilitazione dei disordini muscolo-scheletrici costituisce un background formativo necessario, nonché una garanzia di competenza, per la gestione di tali patologie e, in particolare, del mal di schiena.

In linea con i dati di uno studio scientifico pubblicato sul British Journal of General Practice, infatti, i pazienti con patologie muscolo-scheletriche possono essere valutati e gestiti in modo indipendente ed efficace dai fisioterapisti anziché dai medici di medicina generale (Downie, 2019). Gli autori concludono, inoltre, che questo aspetto possa avere il potenziale di ridurre il carico di lavoro per i medici di medicina generale visto il minimo supporto clinico e professionale richiesto a questi ultimi per la gestione dei pazienti con affezioni muscolo-scheletriche. La maggior parte dei pazienti, infatti, potrebbe essere gestita con appropriati referral al medico ortopedico, con feedback positivi da parte dei pazienti stessi, come riportato dalla pubblicazione in oggetto (Downie, 2019).

Nel caso del paziente con mal di schiena, il ragionamento clinico del fisioterapista specializzato in riabilitazione dei disordini muscolo-scheletrici, in linea generale, si fonda sui seguenti step irrinunciabili:

– esclusione delle patologie di pertinenza medica (anche solo momentaneamente) attraverso l’individuazione delle redflags (Ladeira, 2018; Verhagen, 2016; Ross, 2010) – non oggetto del presente articolo;

– conferma del coinvolgimento del rachide lombare in termini di contributo ai sintomi lamentati dal paziente (anamnesi, test attivi, test di provocazione del dolore, test passivi) – non oggetto del presente articolo;

– identificazione dell’etichetta “diagnostica” (inquadramento) secondo il triage clinico proposto in letteratura (Bardin, 2017);

– identificazione del meccanismo di elaborazione del dolore prevalente (Smart, 2012).

Il triage diagnostico – le raccomandazioni della letteratura scientifica

Diversi sono i triage o le raccomandazioni di buona pratica clinica proposti in letteratura per la valutazione iniziale del paziente con mal di schiena (Haswell, 2008; Murphy, 2013; Hooten 2015; Bardin, 2017, Buchbinder, 2018). Il più recente, completo, citato in letteratura e, non di meno, utilizzato nella pratica clinica a livello internazionale è il triage diagnostico pubblicato da Lynn D.Bardin e colleghi nel 2017, proposto con il fine ultimo di inquadrare correttamente il paziente con mal di schiena e collocarlo all’interno di un percorso di valutazione e di trattamento unico e differente dalle altre tipologie di pazienti con il medesimo disturbo (Figura 1.).

1. Paziente con mal di schiena
2. Anamnesi ed esame obiettivo. Esclusione delle patologie non spinali e viscerali come causa di mal di schiena
3. Triage diagnostico. Inquadramento del paziente nei 3 domini identificati come etichette “diagnostiche”.
a) Patologie spinali specifici:

– frattura vertebrale;

– tumore;

– infezione spinale

– sponsiloartrite

– sindrome della cauda equina

b) Sindrome radicolare:

– dolore radicolare

– radicolopatia

– stenosi lombare

c) Mal di schiena non specifico:

– dolore lombare di origine muscolo-scheletrica.

Figura 1. Triage diagnostico per il paziente con mal di schiena.

Referral: processo per cui il fisioterapista decide di inviare il paziente a un altro specialista per un ulteriore valutazione.

Redflags: segni e sintomi clinici indicativi di una patologia seria (dolore notturno, dolore costante di natura non meccanica, sintomi costituzionali, assenza di miglioramento dopo un mese di trattamento e altro).Per approfondimenti:

https://www.jospt.org/doi/full/10.2519/jospt.2010.0109;

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27376890;

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29686480;

Differential Diagnosis for Physical Therapists, Screening for Referral (Goodman C.).

Il triage in oggetto, infatti, offre un significativo supporto a tutti i fisioterapisti che operano in ambito privato e ricevono pazienti che giungono nelle proprie cliniche in accesso diretto. Come riportato in Figura 1., superati gli step precedentemente citati (anamnesi recente e remota in combinazione con l’esame obiettivo e l’esclusione delle patologie di interesse medico e delle patologie spinali specifiche), la letteratura insiste sull’inquadramento del paziente da un punto di vista eziologico, suddividendo l’etichetta “diagnostica” in sindrome radicolare (5%-10% di tutte le cause di mal di schiena) e mal di schiena non specifico (90%-95% dei casi).

La ragione per cui gli autori propongono l’esclusione dei quadri clinici etichettati come sindrome radicolare, prima di essere certi di essere di fronte a un paziente con mal di schiena non specifico, è legata al fatto che questi due quadri clinici hanno, secondo le prove di efficacia correnti in letteratura, un quadro clinico patognomonico e unico caratterizzato da segni e sintomi clinici che aiutano i professionisti della salute a identificarli in maniera sufficientemente riproducibile (Tabella 1.).

Tabella 1. Diagnosi differenziale del mal di schiena specifico (escluso il mal di schiena specifico di esclusiva competenza medica).

DisturboAnamnesiEsame Obiettivo
Dolore radicolareDolore all’arto inferiore generalmente maggiore rispetto alla gamba;

Dolore alla gamba descritto come lancinante, urente, profondo che aumenta con la manovra di Valsalva;

Localizzazione del dolore alla gamba unilaterale e secondo una distribuzione dermatomerica sufficientemente coerente.

Positività dei test di neurotensione (PKB o SLR);

Flessione lombare attiva estremamente limitata;

Esacerbazione del dolore durante i movimenti di estensione (in particolari se associati all’inclinazione omolaterale).

RadicolopatiaCaratteristiche simili al dolore radicolare in associazione con sintomi come debolezza o perdita della funzionalità (es: piede cadente).Positività all’esame neurologico per riduzione della forza, della sensibilità e/o dei riflessi osteo-tendinei.
Stenosi lombare

(più probabile nel paziente adulto-anziano)

Claudicatio neurogenica che limita la tolleranza alla deambulazione;

Dolore bilaterale associato a crampi con o senza mal di schiena;

Dolore ridotto dalla flessione lombare ed esacerbato dall’estensione.

Positività o negatività all’esame neurologico;

Presenza di posture antalgiche (flessione, posizione seduta);

Esacerbazione del dolore con l’estensione lombare e riduzione del dolore con la flessione lombare.

SLR: straight leg raise; PKB: prone knee bending.

Una volta collocato il paziente all’interno dell’etichetta “diagnostica” del mal di schiena non specifico, la proposta degli autori è di inquadrare il paziente da un punto di vista temporale:

– mal di schiena acuto (della durata inferiore alle quattro settimane);

– mal di schiena subacuto (durata compresa tra le quattro settimane e i tre mesi);

– mal di schiena cronico o persistente (durata superiore ai tre mesi).

Tuttavia, per quanto possa sembrare una stadiazione puramente temporale che non ha nulla a che vedere con la clinica del paziente, questa suddivisione, ricavabile dalle informazioni ottenute durante il primo colloquio, rappresenta un’informazione estremamente importante per la presa in carico del paziente, in particolar modo nel momento in cui l’attenzione del fisioterapista si orienterà verso le caratteristiche cliniche e specifiche del dolore. Infatti, i sintomi di un paziente che lamenta un intenso e trafittivo dolore lombare insorto pochi giorni prima a seguito di un’attività sarà sostenuto da una tipologia di meccanismi completamente diversi dal paziente che lamenta dolore lombare persistente insorto l’anno precedente. A questo punto del processo di ragionamento clinico, come ultimo passaggio della valutazione del fisioterapista, si configura necessaria la valutazione dei meccanismi di elaborazione del dolore.

Il problema dolore: la valutazione dei meccanismi di elaborazione dei sintomi

I meccanismi di elaborazione del dolore

I meccanismi di elaborazione dei sintomi costituiscono le modalità con cui il paziente affetto da mal di schiena avverte, percepisce ed elabora i sintomi stessi, tra cui il dolore.

Così come per il triage diagnostico proposto da Lynn D.Bardin e colleghi (2017) per l’inquadramento clinico del paziente con mal di schiena, in letteratura è stata proposta una serie di criteri clinici – emersi al colloquio iniziale con il paziente e durante l’esame obiettivo – che aiutano i clinici ad aumentare la probabilità di essere di fronte a un meccanismo di elaborazione del dolore piuttosto che a un altro. L’inquadramento di tali meccanismi rappresenta il requisito necessario per la pianificazione del trattamento del paziente.

I meccanismi di elaborazione del dolore proposti in letteratura (Smart, 2012;Smart, 2012;Smart, 2012) sono:

– Nocicettivo

– Neuropatico

– Sensibilizzazione centrale

Identificazione del dolore nocicettivo, neuropatico e sensibilizzazione centrale

Dolore nocicettivo

Di tutti i criteri clinici (anamnestici e dell’esame obiettivo) proposti in letteratura (Figura 2.) che dovrebbero incrementare la probabilità di essere di fronte a un paziente con un meccanismo di elaborazione del dolore di tipo nocicettivo (Smart, 2012), solo 6 sono stati identificati come sufficientemente appropriati per essere di supporto al clinico nell’identificazione di tale meccanismo di elaborazione dei sintomi. Infatti, con una sensibilità pari 90.9% (IC: 86.6-94.1), una specificità pari al 91.0% (IC: 86.1-94.6) e LR+ e LR- rispettivamente pari a 10.10 (IC: 6.49-15.72) e a 0.10 (IC: 0.07-0.15), i criteri clinici indicativi di dolore nocicettivo sono:

– natura meccanica/anatomica chiara, proporzionata e coerente con i fattori aggravanti e allevianti;

– dolore localizzato nell’area di lesione/disfunzione (con o senza dolore somatico riferito);

– dolore solitamente intermittente e acuto/tagliente alla provocazione meccanica o con il movimento; può essere un dolore più sordo e costante o pulsante a riposo.

Assenza di:

– dolore notturno/disturbi del sonno;

– associazione con altre disestesie;

– dolore descritto come lancinante, bruciante o simile a una scossa elettrica;

– Presenza di pattern posturali o di movimento antalgici.

Dolore neuropatico

Così come per il dolore nocicettivo, anche per il dolore neuropatico (Smart, 2012), tra tutti i criteri clinici proposti in letteratura (Figura 3.), con valori di sensibilità pari all’86.3% (IC: 78.0-92.3), di specificità pari al 96.0% (IC: 93.4-97.8) e di LR+ e LR- rispettivamente pari a 21.57 (IC: 12.84-36.24) e a 0.14 (IC:0.09-0.23),sono stati identificati 3 criteri come indicativi di questo meccanismo di elaborazione del dolore:

– storia di interessamento/lesione, patologia o compromissione meccanica del tessuto nervoso;

– dolore riferito secondo una distribuzione cutanea o dermatomerica coerente.

– dolore/sintomi provocati dai test (attivi o passivi, neurodinamici – SLR, ULTT) che muovono, “caricano” o comprimono/stressano il tessuto neurale.

Sensibilizzazione centrale

Per quanto concerne il terzo meccanismo di elaborazione del dolore identificato in letteratura (Figura 4.), sono 4 i criteri clinici – con un valore di sensibilità pari al 91.8% (IC: 84.5-96.4), di specificità pari al 97.7% (IC:95.6-99.0) e di LR+ e LR- rispettivamente pari a 40.64 IC: (20.43-80.83) e a 0.08 (IC: 0.04-0.16) – che lo identificano:

– comportamento del dolore imprevedibile, non meccanico, sproporzionato in risposta ai fattori aggravanti o allevianti;

– dolore sproporzionato rispetto alla natura e all’estensione della lesione o della patologia;

– forte associazione con fattori psicosociali disadattivi (comportamento di evitamento, paura del movimento, scarso livello di self-efficacy, emozioni negative, problematiche sociali, lavorative o familiari).

– aree diffuse e non anatomiche dolorose alla palpazione.

Nessuno dei precedenti meccanismi di elaborazione del dolore esclude gli altri. Infatti, seppur sia ragionevole ipotizzare che i sintomi di un paziente con dolore lombare persistente siano sostenuti da un meccanismo di elaborazione del dolore prevalente legato alla sensibilizzazione centrale, non vi sono regole in questi termini (Nijs, 2017). Inoltre, malgrado sia molto probabile che un dolore nocicettivo sia il meccanismo prevalente in un paziente con intenso dolore lombare acuto, non si può escludere che il medesimo meccanismo nocicettivo sia quello prevalente anche in un paziente con dolore lombare persistente dovuto a una stenosi lombare le cui caratteristiche cliniche (Figura 3.) sono coerenti tra anamnesi ed esame obiettivo (Smart 2012; Smart 2012; Smart 2012).

Al termine di questo processo, ovvero una volta escluse le bandiere rosse al nostro trattamento (redflags), inquadrata la corretta etichetta “diagnostica” (mal di schiena non specifico, sindrome radicolare o stenosi) e identificato il meccanismo di elaborazione del dolore prevalente, il fisioterapista specializzato in riabilitazione dei disordini muscolo-scheletrici sarà in grado di impostare un appropriato percorso riabilitativo del paziente.

Il trattamento

Gestire il paziente con mal di schiena tra scienza e clinica: il contributo delle linee guida

Come precedente evidenziato, l’aderenza da parte dei fisioterapisti alle linee guida internazionali inerenti alla gestione del mal di schiena comporta numerosi vantaggi sia dal punto di vista economico-sociale sia dal punto di vista clinico in termini di riduzione della disabilità e di miglioramento della qualità della vita (Rutten, 2010).

Le più recenti e autorevoli linee guida internazionali (Qaseem, 2017; Koes, 2010; Airaksinem, 2006; Delitto, 2012; Rossignol, 2007; NICE, 2016; Chou; 2017) inerenti alla gestione del mal di schiena condividono tre unici denominatori comuni:

– l’educazione del paziente, associata alla corretta informazione e alla rassicurazione;

– la terapia manuale;

– l’esercizio terapeutico.

Entrando nel merito della gestione di un paziente con mal di schiena, è doveroso sottolineare come l’aspetto più importante sia la presa in carico della persona: infatti, tutte le linee guida internazionali,insistono sulla corretta informazione rivolta ai pazienti. Questi ultimi, la cui problematica principale è data dal sintomo dolore, vogliono conoscere nel dettaglio le ragioni del proprio disturbo (Rönnberg, 2007; Moseley, 2003).

Nello specifico, tra le informazioni che ogni fisioterapista dovrebbe trasmettere al proprio paziente con mal di schiena, come parte della componente informativa ed educativa dell’intervento, ritroviamo:

– natura benigna del dolore lombare;

– ruolo del mantenimento di uno stile di vita attivo e rischi legati all’eccessivo riposo;

– decorso fisiologico del dolore lombare;

– cause del dolore lombare;

– fattori di rischio per la cronicizzazione del dolore;

– natura del dolore e meccanismo di elaborazione dei sintomi prevalente;

– ruolo dei fattori psicosociali (paura, ansia, stress, catastrofismo, evitamento);

– fattori contribuenti di tipo fisico, psicologico, lavorativo;

– ruolo della chirurgia nel dolore lombare con o senza dolore all’arto inferiore;

– ruolo dei farmaci e rischi legati all’abuso degli stessi;

– terapie più efficaci a oggi presenti nella letteratura scientifica;

– terapie di comprovata non efficacia;

– ruolo dell’esercizio terapeutico e della terapia manuale;

– influenza delle comorbidità e dello stato di salute generale;

– ruolo e importanza dell’attività fisica.

Una volta superata la fase di presa in carico del paziente, che servirà direttamente o indirettamente a conquistarne la fiducia per creare una solida ed efficace alleanza terapeutica indispensabile per il percorso riabilitativo, spetterà al fisioterapista offrire il trattamento più efficace per il paziente in questione, il quale avrà un proprio background clinico, un proprio meccanismo di dolore prevalente, le proprie credenze, i propri trascorsi riabilitativi o chirurgici, le proprie patologie concomitanti e altro ancora.

La terapia manuale e l’esercizio terapeutico

Tutte le linee guida internazionali (Qaseem, 2017; Koes, 2010; Airaksinem, 2006; Delitto, 2012; Rossignol, 2007; NICE, 2016; Chou; 2017), nelle proprie sezioni relative all’intervento fisioterapico, supportano l’efficacia della terapia manuale e dell’esercizio terapeutico nel mal di schiena. In linea generale, le raccomandazioni tendono a supportare l’efficacia dell’esercizio terapeutico in tutte le diverse etichette “diagnostiche” del paziente con mal di schiena – in particolare nei pazienti con dolore persistente – e la terapia manuale unicamente nel breve termine e come parte integrante dell’intervento in associazione all’esercizio terapeutico.

Nel dettaglio, le tecniche di terapia manuale di cui il fisioterapista dovrebbe avvalersi in caso di dolore lombare con o senza dolore all’arto inferiore sono:

– tecniche di mobilizzazione articolare a livello lombare;

– tecniche di mobilizzazione articolare a livello sacro-iliaco;

– tecniche di manipolazione articolare a livello lombare;

– tecniche di manipolazione articolare a livello sacro-iliaco;

– tecniche di modifica del sintomo;

– tecniche di trattamento dei tessuti molli.

Nonostante tali tecniche siano proprie del background formativo e tecnico di ciascun fisioterapista specializzato in riabilitazione dei disordini muscolo-scheletrici, le raccomandazioni provenienti dalle linee guida prevedono il ricorso alle tecniche di terapia manuale solo ed esclusivamente come parte integrante del trattamento che, necessariamente, deve includere anche l’esercizio terapeutico (NICE, 2016).

L’esercizio terapeutico, infatti, è una medicina (Pedersen, 2015). Proprio come per la somministrazione di un farmaco, l’esercizio deve essere prescritto secondo una precisa posologia e in funzione delle necessità individuali del paziente, delle sue preferenze e delle sue capacità psico-fisiche generali (NICE, 2016). L’esercizio ha la capacità di apportare effetti benefici sul sistema cardiovascolare, polmonare, muscolo-scheletrico, sulla sfera psicologica della persona, nonché sulla percezione del dolore. Infatti, l’efficacia dell’esercizio terapeutico, oggi, è supportata da robuste prove di efficacia (Delitto, 2012; Rossignol, 2007; NICE, 2016; Chou; 2017, Hayden 2005, van Middelkoop, 2010, Saragiotto, 2016, Searle, 2015, Wang, 2012).

Non esiste l’esercizio per il mal di schiena

Esiste l’esercizio, con la propria posologia, per un preciso paziente in un preciso momento del percorso riabilitativo.

Esiste l’esercizio fondato sull’esposizione graduale (gradedexposure) nel momento in cui la principale problematica del paziente con dolore lombare persistente legato alla sensibilizzazione centrale sia riconducibile alla paura.

Esiste l’esercizio fondato sull’attività graduale (gradedactivity) nel momento in cui la principale problematica del paziente con dolore lombare acuto di natura nocicettiva, sub-acuto o persistente di natura nocicettiva e allo stesso tempo di sensibilizzazione centrale, sia legata a una riduzione della tolleranza al carico.

Esiste l’esercizio aerobico o l’allenamento della forza nel momento in cui l’obiettivo del paziente e del fisioterapista sia quello di incrementare la tolleranza al carico e all’esercizio, di ridurre la paura del movimento e di ridurre il dolore percepito.

Esiste l’informazione per il paziente con dolore lombare acuto di natura prevalentemente nocicettiva insorto recentemente rispetto alla gestione della propria giornata, tra lavoro e attività fisica, dato unicamente dalle istruzioni sull’alternanza del carico (lavoro, sport, hobby) e del riposo nel rispetto dell’irritabilità dei sintomi.

Conclusioni

Il mal di schiena è il disturbo più comune tra le affezioni muscolo-scheletriche e una delle principali richieste di consulto da parte dei pazienti sia per quel che riguarda i medici di medicina generale o specialisti sia per quel che riguarda i fisioterapisti che operano in ambito privato. L’inquadramento e la gestione del paziente con mal di schiena richiedono una preparazione specialistica in ambito fisioterapico senza la quale, ragionevolmente, incrementa enormemente la probabilità di incorrere in errori sia dal punto di vista valutativo che di trattamento. La letteratura scientifica, escluse le bandiere rosse al nostro intervento come fisioterapisti, insiste su un’accurata anamnesi e un esaustivo esame obiettivo dal quale, necessariamente, devono emergere sia le etichette “diagnostiche” per l’inquadramento del paziente sia i criteri clinici per l’analisi dei meccanismi di elaborazione del dolore. In conformità a questi elementi, infine, il trattamento che deve essere proposto e “dosato” secondo una precisa posologia deve comporsi di educazione e rassicurazione del paziente associati a una combinazione di terapia manuale ed esercizio terapeutico.

Condividi il post

Gli altri articoli della rivista del mese