Medicalive

Le fratture dell’arto superiore e aspetti riabilitativi

Dott. Roberto Urso
Dirigente Medico U.O. di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Maggiore – Bologna

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Premessa

Le fratture dei grandi segmenti scheletrici, spesso legate ad eventi traumatici definiti ad alta energia, vengono quasi esclusivamente trattate chirurgicamente e spesso in regime di emergenza/urgenza.
Ma vi è un elevato numero di fratture che più comunemente, nell’ambito specialistico ortopedico di pronto soccorso, vengono trattate in modo conservativo e, quando questo trattamento di scelta non da un buon risultato, vengono a loro volta affrontate chirurgicamente.
Queste fratture sono state definite, da molti autori, lesioni minori, non per minore importanza, ma in quanto fratture gestibili con trattamento di pronto soccorso nella stragrande maggioranza dei casi.
Prenderemo in esame l’arto superiore, dove le fratture delle falangi e dei metacarpi della mano, le fratture di polso, le fratture di capitello radiale, le fratture del collo dell’omero, rappresentano patologie traumatiche che quotidianamente sono all’osservazione dello specialista ortopedico.
Come citato, il trattamento di tali fratture è frequentemente di tipo conservativo, in quanto la riduzione della frattura, se eseguita da mani esperte, porterà sempre ad una riduzione anatomica. L’immobilizzazione, eseguita con apparecchi gessati, bendaggio, tutori o steccature, porterà a guarigione, ma a patto che i presidi siano posizionati in modo corretto.
Nella pratica quotidiana del trattamento delle fratture vi è anche la programmazione della gestione temporale di tali casi; i controlli clinici ed rx-evolutivi sono necessari per monitorare nel tempo la riduzione della frattura.

Fisiologia e Tipizzazione

Fratture metacarpali e falangee: la mano è una struttura altamente complessa e rappresenta per l’uomo la prensione e il tatto e, data la perfezione della sua motilità, delle articolazioni delle quattro dita con il pollice, da luogo al movimento di opposizione e quindi ad uno dei movimenti più completi del corpo umano, diventando così l’organo di esecuzione dei movimenti.
La motilità delle ultime quattro dita con il dito opponente è talmente perfetta che determina, sincrono con la vista e il cervello, il senso di profondità e dimensionalità delle cose, risultando l’organo ideale per la percezione sensoriale e per la definizione e il controllo delle informazioni.
Una grave alterazione di questo equilibrio, in particolar modo la
adattabilità della forma della mano alle cose, determina una modificazione anche nella percezione delle cose e una successiva alterazione della funzionalità cervello-arto superiore.
Fratture della filiera carpica, metacarpali e falangee non trattate adeguatamente, possono determinare un grave disequilibrio, compromettendo la normale vita di relazione dell’individuo.
Le fratture di polso: la frattura di Colles e, in minor numero, la frattura di Goyrand, sono le fratture del polso più frequenti, provocate da caduta accidentale, con trauma in inversione-flessione o eversione-estensione. L’anziano è il soggetto più colpito, la donna più dell’uomo, spesso a causa della instabilità dello stesso e per la fragilità ossea. La frattura comporta una interruzione del profilo osseo a livello della epifisi distale del radio e della stiloide ulnare.
L’articolazione del polso è, per definizione, l’“articolazione distale dell’arto superiore”.
Il suo ROM (range of motion) è distinto, oltre che dalla flessione ed estensione, anche dal 3° grado di libertà, la prono-supinazione, che permette alla mano, durante i movimenti flesso-estensori, di orientare la stessa verso ogni angolazione, così da permettere la prensione di qualunque oggetto in qualunque direzione attraverso anche la abduzione-adduzione della radio-ulnare distale con la radio-carpica.
Fratture del capitello radiale: il gomito è la “articolazione intermedia” dell’arto superiore; è una struttura complessa perché unisce il movimento di leva, fra avambraccio e omero, al movimento di prono-supinazione del radio sull’ulna. L’omero sull’ulna rappresentano la unica vera articolarità, la flesso-estensione, mentre il radio ruota sul condilo per permettere la rotazione (prono-supinazione).
Comunemente le fratture di capitello sono da trauma indiretto, cioè l’energia impressa nel trauma del polso, viene scaricata verso il capitello e, sovente, tali fratture, se poco sintomatiche, possono essere misconosciute. E’ importante, quindi, l’attenta valutazione del paziente in ogni suo distretto dell’arto superiore.
Le fratture composte del capitello impongono un trattamento di immobilizzazione di breve durata, spesso anche senza l’uso di gomitiere o tutori. Quelle scomposte necessitano di un intervento chirurgico di osteosintesi, quando il capitello è riparabile, di protesi, quando il capitello è fratturato in maniera scomposta e comminuta.
Fratture della testa dell’omero: l’articolazione scapolo-omerale è anch’essa a 3 gradi di libertà ed è posizionata prossimalmente rispetto alle precedenti. Questi 3 gradi permettono all’omero di ruotare in flesso-estensione (antero-posteriore), in abduzione-adduzione e agire su un asse verticale, cioè una intersecazione che si sviluppa fra il piano frontale e sagittale.
L’importanza della scapolo-omerale deriva da questi movimenti, quasi sempre effettuati in modo sincronizzato; l’alterazione della sincronia che esiste fra abduzione, intra ed extra-rotazione è altamente invalidante.
Le fratture più comuni in tale sede sono le fratture della testa omerale (collo chirurgico e collo anatomico), spesso associate al distacco del trochite.

Trattamento

Ci soffermeremo prevalentemente sulle fratture che necessitano di un trattamento di tipo incruento e cioè di immobilizzazione, che se prolungata oltre i fisiologici bisogni riparativi, può indurre una rigidità post-trattamento rendendo assolutamente necessario l’approccio riabilitativo per dare ripristino alla funzionalità del segmento e ricondurre il paziente nelle migliori condizioni di recupero.
Le fratture operate, se la osteosintesi è stabile, possono essere quasi sempre lasciate libere, o al limite supportate da un tutore rimovibile o da splint protettivi, comunque con la possibilità di essere asportati quando si è in ambiente casalingo o comunque in ambiente protetto. Ne consegue che lo stesso concetto riabilitativo viene praticamente applicato già nell’immediato post-chirurgico.

Fratture falangee e metacarpali

Sono lesioni frequentissime. Rappresentano il numero più elevato di lesioni fratturative, distorsive e legamentose che si presentano alla osservazione del medico di pronto soccorso, ma allo stesso tempo sono le fratture più spesso sottovalutate. E tale sottostima porta sempre a risultati scarsi e invalidanti, compromettendo la funzionalità di un arto di estrema importanza, come già scritto nel paragrafo della tipizzazione delle fratture.
Se un osso è piccolo non significa che sia meno importante. Questo argomento è estremamente vasto e verrà trattato in modo più approfondito in un successivo elaborato.
La frattura di un metacarpo o di una falange, sia prossimale, intermedia o distale, richiede il trattamento più adeguato, conservativo o chirurgico che esso sia, per restituire la funzionalità completa ad un segmento scheletrico che, se mal funzionante, porterà ad un peggioramento della qualità della vita.
Da qui, sulla scia di trattamenti medici a volte inadeguati, ne deriva la prioritaria importanza della valutazione del medico Fisiatra e della successiva riabilitazione assistita, attiva e passiva, spesso associata all’uso di splint adeguatamente preformati da mani di esperti fisioterapisti e terapisti occupazionali, che si prendono carico della recupero funzionale del paziente traumatizzato.

Caso clinico 1

Frattura gravemente scomposta e ruotata del 3° distale del 5° metacarpo della mano sinistra.
In considerazione dell’età della paziente non viene data un’indicazione chirurgica, ma ci si limita ad applicare un apparecchio gessato riuscendo a mantenere una modesta variazione del quadro radiografico iniziale.
Dopo 35 giorni si asporta il gesso. Il callo osseo è scarso e l’articolazione, data la lunga immobilizzazione e l’età avanzata della paziente è rigida e dolente.
Non vengono applicati né altri gessi, stecche o tutori.
La valutazione fisiatrica opta per una paziente che deve essere lasciata libera ed iniziare immediatamente una rieducazione funzionale associata a magneto-terapia. Dopo altri 30 giorni e due cicli riabilitativi, si evidenzia un callo osseo comunque valido e una motilità dell’arto quasi equivalente al contro laterale. (figura 1)

Fratture di polso

Frattura molto frequente, soprattutto nell’età senile.
La donna è più colpita dell’uomo e l’incidenza aumenta anche nel cambiamento delle stagioni, raggiungendo il picco nei periodi invernali, a causa della instabilità stessa dell’anziano.
Il meccanismo fratturativo è dato sempre da una iperestensione dell’arto, come atto di difesa nella fase della caduta. Il polso è dolente e tumefatto, con atteggiamento a “baionetta” o “dorso di forchetta”, nelle più comuni fratture di Colles.
Questa non è una frattura della radio-carpica, ma una lussazione della articolazione radio-ulnare distale.
Il trattamento, se conservativo, deve avere lo scopo di dare un perfetto ripristino della articolazione.
Un disallineamento del polso provocherà una alterazione della funzione della mano sull’avambraccio.
La riduzione dovrà essere eseguita con massima attenzione, gli spostamenti dorsali e volari dei frammenti, la rotazione dorsale, la radializzazione e l’ingranamento, andranno superati e ridotti per portare la riduzione al più anatomico atteggiamento.

Caso clinico 2

Frattura di Colles, scomposta, in giovane uomo.
Riduzione manuale e posizionamento di gesso brachio-antibrachio-metacarpale (BAM). Riduzione ottimale nella proiezione antero-posteriore, ma disallineata in latero-laterale, con estensione dorsale ed ingranamento della epifisi distale del radio. Il trattamento non viene modificato e a 30 giorni viene asportato il gesso.
L’Rx non mostra una esuberanza di callo osseo, nonostante la giovane età.
L’epifisi distale del radio mantiene una viziata consolidazione in iperestensione.
In considerazione del caso clinico la decisione è quella di lasciare libero il paziente ed iniziare una precoce riabilitazione assistita, anche in visione del fatto che, se pur con il dolore provocato dalle manovre di mobilizzazione, l’osso può essere parzialmente rimodellato proprio da tali manovre assistite.
Il risultato finale, a 30 giorni e dopo 20 sedute di rieducazione funzionale è eccellente.
La motilità è completa e il dolore superato. (figura 2)

Frattura del capitello radiale

Fratture quasi esclusivamente determinate da un trauma indiretto, arto esteso, trauma al polso che scarica la propria energia verso il gomito, determinando la frattura dello stesso.
Le lesioni sono spesso associate e, non di rado, il dolore della frattura di polso maschera la lesione al gomito, restando misconosciuta con rischio di esiti invalidanti.
Per questo motivo l’approccio clinico al paziente deve essere attento e completo, perché a meno che non vi sia una lussazione franca del capitello, spesso non si determinano deformità tali da far percepire all’operatore tale frattura.
Il capitello, come già detto, stabilizza il gomito e l’avambraccio attraverso il contatto radio-omero contrastando i movimenti in valgo; la omero-ulnare permette la flesso-estensione del gomito nella sua conformazione a cerniera, la radio-omerale permette la prono-supinazione dell’avambraccio, da qui l’importanza del capitello nel doppio ruolo di due movimenti indipendenti.
La frattura, grande o piccola che sia, determina uno squilibrio in ambedue i movimenti.

Caso clinico 3

Caduta accidentale in cui la paziente riporta la frattura del capitello radilale con completa dislocazione del frammento in sede retro-condilare.
L’indicazione al trattamento può essere solo chirurgica, in quanto una frattura completa e comminuta al colletto del capitello determina una totale devascolarizzazione dello stesso.
Secondo la via di Boyd si esegue intervento di capitellectomia, sostituzione con protesi di capitello e reinserimento dei collaterali con ancoretta.
Nel post-operatorio tutore raggi-braccio e indicazione ad una precoce mobilizzazione. Indicazione assolutamente corretta, ma che spesso non porta a risultati immediati causa dolorabilità persistente che provoca spesso una rigidità, sia funzionale, che psicologica del paziente.
Il dolore spesso ferma la terapia. Il paziente, a volte, si accontenta anche del risultato appena discreto.
In questa occasione l’insistenza nell’eseguire movimenti assistiti, attivi e passivi forzati, ha dato risultato eccellente (figura 3)

Fratture della testa dell’omero

Le fratture della testa dell’omero o fratture dell’omero prossimale, sono molto comuni. Vari studi portano la percentuale a circa il 7% di tutte le fratture, colpendo prevalentemente l’anziano spesso affetto da osteoporosi.
La dinamica è prevalentemente rappresentata da una caduta con arto superiore in estensione e un trauma indiretto che, scaricando l’energia lungo l’asse, provoca la frattura. Su 100 casi di fratture dell’omero prossimale, l’80-85% è rappresentato da fratture composte o ingranate, che necessitano quasi esclusivamente di trattamento incruento e per un periodo di immobilizzazione non più lungo di 3-4 settimane.
Le classificazioni più usate nelle fratture della testa dell’omero sono la classificazione di Neer (classificazione a 4 frammenti) e la classificazione AO e usate in quella tipologia fratturativa che necessita quasi sempre di un trattamento chirurgico.
Per questo motivo le fratture composte non necessitano di una reale classificazione, portando a buona guarigione la lesione con il solo trattamento conservativo.
La pianificazione del trattamento è sempre condizionata da una diagnosi che deve esser il più accurata possibile.

Caso clinico 4

Caduta accidentale con trauma indiretto spalla sinistra. Frattura del collo dell’omero ingranata in varo. Indecisione se intervenire chirurgicamente con riduzione ed ostesintesi con placca. Si procede con trattamento conservativo: bendaggio desault per 30 giorni. La frattura si mantiene stabile. A fine cura il callo osseo è buono, ma la scarsa compliance della paziente porta
all’instaurarsi di una rigidità articolare da non uso.
Previa visita fisiatrica si decide per intenso programma rieducativo assistito, forzato. Il risultato finale darà ragione a questa scelta, dimostrando che un valido protocollo riabilitativo, se ben eseguito, porta sempre ad un risultato ottimale.

Osservazioni

Esiste una vastissima letteratura che descrive le più attuali tecniche ortopediche, sia chirurgiche, che conservative, atte a trattare le fratture più comunemente viste, ma l’intento di questo lavoro non vuole essere un’unica discussione dedicata alla validità di un intervento o del trattamento conservativo in quanto tale.
Si vuole invece esprimere un concetto a più ampio raggio, teso a colmare quel vuoto che spesso è presente nel post-chirurgico o nel post-trattamento conservativo, e cioè la mancanza di una vera informativa al paziente sul processo di guarigione e che coinvolga, nel processo evolutivo, figure ad alta specializzazione che devono intervenire quando il lavoro dell’ortopedico si è esaurito, come il Fisiatra e il Fisioterapista.
Spesso un eccellente lavoro chirurgico viene reso vano dall’assenza di un percorso riabilitativo adeguato successivo al primo trattamento; questo accade sovente a causa di linee guida spesso improvvisate, quasi empiriche, dalla mal risposta del paziente all’esigenza di continuare le cure presso altra struttura o con altra figura professionale.
La pratica ortopedica, che sia chirurgica o non chirurgica, è ricostruttiva e deve portare alla stabilizzazione ossea del segmento scheletrico danneggiato ma esaurito questo primo passaggio con la guarigione della frattura, ci si deve dedicare alla rieducazione del segmento danneggiato, per riportare la funzionalità meccanica il più vicino possibile alla perfezione iniziale pre-traumatica.
Terminologie come cinematica, isometria, isotonia, sinergia, frizione profonda, release mio-fasciale, stimolazione elettrica, ionoforesi e altro ancora non appartengono all’entourage dell’ortopedico, ma ad altre categorie di professionisti.
Da qui nasce l’esigenza assoluta di una approccio alla lesione del paziente completo e multidisciplinare, quale:
1) primo trattamento ortopedico,
2) valutazione fisiokinesiterapica,
3) trattamento riabilitativo.
La creazione di un pool medico e fisioterapico è essenziale per non rendere vano né il lavoro del primo, né quello dei successivi professionisti.
Da qui ne scaturisce il concetto di una triade professionale che debba prendersi cura del paziente affetto da patologie di tipo muscolo-scheletrico e tale concetto è pienamente espresso nella figura 5.

La terapia riabilitativa ha l’importanza fondamentale di permettere il recupero della capacità funzionale del paziente, lo deve aiutare nel reinserimento nell’ambiente, permettendone la totale adattabilità a tutto ciò che lo circonda.
Da qui gli obbiettivi prioritari dati dalla coordinazione delle figure specialistiche che lo circondano, il chirurgo, il fisiatra e il fisioterapista, che insieme devono creare la corretta strategia per ottenere il risultato di una restituito ad integrum del paziente stesso:
a) La ripresa funzionale del segmento scheletrico danneggiato
b) Prevenire la possibilità di una limitazione funzionale
c) Aumentare le capacità degli altri segmenti non colpiti dal trauma
d) L’attenta istruzione all’impiego di tutti gli strumenti e delle ortesi che necessitano nel periodo riabilitativo, in quanto deputate a ripristinare la funzione
e) Il riadattare il paziente al suo ambiente, quello in cui vive, in modo da consentirgli la ripresa della propria autonomia.
Il reciproco rispetto delle professionalità e degli obiettivi comunitari prefissati conducono solo ad eccellenti risultati, un tempo considerati impensabili.

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