Dott. Roberto Urso
Dirigente Medico U.O. di Ortopedia e Traumatologia
Ospedale Maggiore
Bologna
Abstract
Nel corpo umano, la caviglia è il raccordo fra la parte distale della gamba (tibia-perone) e il piede ed è rappresentata dall’articolazione tibio-tarsica; la stessa, a sua volta, è suddivisa in tibio-peroneale e tibio-astragalica. Quest’ultima, collocata tra tibia e astragalo, è la parte che in maggior misura sopporta il peso corporeo, mentre nell’altra il perone ha l’importante funzione di chiudere l’articolazione creando quella che viene denominata “pinza” tibio-peroneale.
Anatomia della tibio-tarsica.
L’articolazione della caviglia è una struttura estremamente complessa: la superficie articolare distale della tibia e i due malleoli (tibiale e peroneale) formano un incastro dentro cui è adattato il corpo dell’astragalo. Ma ciò che è determinante per la sua resa funzionale è la perfetta attività della capsula articolare, la quale è sì lassa nella sua zona anteriore e posteriore, ma rinforzata da robusti legamenti, il legamento collaterale peroneale e legamento collaterale tibiale. Il legamento collaterale peroneale ha 3 fasci indipendenti tra di loro, il peroneo-astragalico anteriore, peroneo-astragalico posteriore e peroneo-calcaneare. Il legamento collaterale tibiale, più comunemente chiamato legamento deltoideo, è formato da uno strato superficiale e profondo.
Nella pratica comune l’articolazione tibio-tarsica può essere considerata una puleggia che, saldamente ancorata nell’incastro tibio-peroneale, consente tutte le fasi del suo movimento – unico peraltro – di flesso-estensione, poiché i movimenti di rotazione e di pronazione si svolgono nella sotto-astragalica e nella medio-tarsica.
Questa lesione, di base, ha un meccanismo distrattivo che, a seconda dell’intensità della forza impressa, aumenta l’entità della lesione e la gravità stessa.
Con una rotazione all’esterno dell’astragalo attorno all’asse sagittale, cioè in pronazione, si avrà in primis una lacerazione del legamento collaterale tibiale, la frattura da strappo dell’apice del malleolo mediale tibiale e la frattura trasversa del malleolo stesso. Se la rotazione forzata prosegue si potrà avere un ulteriore lesione fratturativa a compressione a carico del malleolo peroneale e dell’astragalo.
Nell’ambito traumatologico le lesioni più complesse rimangono sempre le fratture sovra malleolari tibio-peroneali, le fratture-lussazioni della tibio-tarsica, le fratture-lussazioni dell’astragalo, le fratture complesse di calcagno, le fratture-lussazioni della filiera del tarso e dei metatarsi. (fig.1-2)
Nell’ambito delle fratture-lussazioni della caviglia, quelle esposte rappresentano le lesioni a più alto rischio: possono sviluppare infezioni e la non perfetta riduzione, causa gravissima comminuzione.
Sono le lesioni peggiori, in quanto il danno è tale che sovente porta a secondarie condizioni patologiche, quali la deformità dell’articolazione stessa se le fratture non sono trattate in maniera idonea, l’artrosi secondaria, nonché alla possibile rigidità articolare della tibio-tarsica data dal deterioramento della rima articolare. Tale condizione potrebbe infine portare a intervento chirurgico definitivo, un’artrodesi dell’articolazione, cioè a un blocco articolare che eliminerebbe i dolori articolari dati dalla deformità. L’intervento di sostituzione protesica rimane una possibilità, ma è sempre determinato dalla situazione anatomica confacente del distretto interessato. Gravissime deformità e disastri fratturativi a elevata comminuzione andranno sempre attentamente valutati.
Presentiamo qui un case report di lesione complessa della caviglia, assolutamente distinto dai gravi traumi maggiori a cui giornalmente abituati a confrontarci.
Case report
Uomo di anni 58, incidente stradale, moto contro auto. Grave trauma diretto alla caviglia destra, trauma cranico minore, contusione addominale.
Giunto a pronto soccorso veniva immediatamente attuato il protocollo per di Damage Control: esaurita in tempi brevi la diagnostica addominale e cranica si rivolgeva l’attenzione al trauma della caviglia destra, la quale si presentava con gravissima deformità, ma senza alcuna esposizione ossea. Associata una frattura del 5° metatarso.
Il quadro clinico appariva come una frattura-lussazione della caviglia; furono eseguiti radiogrammi di controllo che evidenziavano il quadro di lussazione grave della caviglia, ma senza gravi lesioni osse, a parte un piccolo distacco dell’astragalo; alcuni tentativi manuali di riduzione della lussazione diedero esito infruttuoso; la TAC di controllo permise di stabilire l’entità del danno (fig.3-4).
Le complessità della lesione era data dalla triplice lussazione:
1) Tibio-astragalica
2) Astragalo-calcaneare
3) Calcagno-medio tarsica.
Nell’immediato il paziente presentò un evidente crisi circolatoria al piede destro, determinata dalla compressione eccessiva sui fasci vascolo-nervosi.
Questa crisi vascolare, associata alla non riducibilità manuale della lussazione, portò a intervenire con urgenza sulla lesione.
Decisi di praticare una riduzione a cielo aperto. In sala operatoria furono eseguite 2 incisioni chirurgiche: la via accesso antero-laterale e la via di accesso antero-mediale, due vie che permettono di mettere in luce tutto l’apparato estensorio del piede e la capsula articolare. (fig.5)
La lesione si mostrò molto grave, in quanto tutti gli estensori del piede erano completamente usciti dalla loro sede anatomica, interponendosi fra le varie articolazioni lussate, impedendo, di fatto, la riduzione manuale della lussazione (già tentata presso il pronto soccorso).
In primo luogo furono sbrigliati i tendini estensori, poi venne eseguita la riduzione con il riposizionamento dell’astragalo sul calcagno, del calcagno sulla tibio-peroneale e successivamente la riduzione della medio-tarsica. Nell’immediato si presentò un ripristino del normale circolo periferico, con ottimale sanguinamento.
L’articolazione rimaneva instabile, causa la lacerazione capsulare e l’importante distasi post-traumatica insorta fra tibia e perone. Per mantenere la riduzione dell’astragalo sulla medio-tarsica fu inserito un filo di Kirshner da 1,6 di diametro; la distasi della pinza tibia-peroneale fu ridotta tramite una vite posizionata in sede sovra-sindesmosica (fig.6).
Fu poi suturata la capsula articolare, mantenendo un certo grado di instabilità e per sopperire a tale situazione fu data stabilità all’articolazione tibio-tarsica tramite la fissazione esterna temporanea, con ponte tibio-astragalico, includendo anche il 1° metatarso.
Tale sistema fu applicato non solo per mantenere in posizione corretta l’articolazione della caviglia, ma anche al fine di evitare la chiusura della stessa all’interno di un gesso, permettendo il quotidiano controllo delle ferite e della vitalità della cute e del circolo periferico.
Il paziente fu poi dimesso. Eseguiti i relativi controlli del caso, dopo 35 giorni dall’intervento venne rimosso il fissatore esterno, il filo di Kirshner e la vite sovrasindesmosica.
L’articolazione della caviglia, dopo un trauma di tale entità, si presenterà al successivo controllo mensile, rigida, dolente e con un aspetto algodistrofico provocato dal mancato uso dell’arto.
Nell’immediato fu prescritta una mobilizzazione attiva e passiva assistita.
Affidato alle cure dei fisioterapisti, il paziente iniziò già dopo pochi giorni un intenso protocollo rieducativo.
Fu prescritto un ciclo di biostimolazione con campi elettromagnetici che durò due mesi. La ginnastica propriocettiva portò la caviglia a dei livelli di guarigione eccellenti, in considerazione della gravità della lesione.
Dopo due mesi (fig.8) mostra l’eccellente risultato. Il paziente arrivò alla mia osservazione con un carico totalmente libero e una moderata attività ludico-sportiva.
Il risultato ottenuto non è dovuto unicamente alle capacità chirurgiche, ma anche alla tempestività del trattamento. La precocità dell’approccio chirurgico ha permesso di evitare danni vascolo-nervosi periferici, l’uso della fissazione esterna come stabilizzazione temporanea dell’articolazione che tendeva alla lussazione, nonostante la sintesi dei segmenti ossei interessati e come controllo della vitalità cutanea, l’immediata riabilitazione fatta da professionisti preparati che hanno portato come risultato finale l’assoluta ripresa della mobilizzazione.
Il paziente, rivisto dopo 2 anni dall’incidente, non mostra segni clinici negativi; interrogato sulla sua qualità di vita riferì di non avere problemi di sorta. I controlli clinici eseguiti nel tempo hanno sempre mostrato una caviglia con un aspetto radiografico, forse modicamente sofferente rispetto alla controlaterale, ma che nella realtà non aveva alcun riscontro clinico negativo.
La ripresa è stata talmente positiva che il paziente aveva da tempo ricominciato a praticare sport, corsa e attività di palestra, senza mostrare segni di dolore o cedimento della stabilità articolare, come si vede nelle immagini della fig. 9, scattate a 2 anni dal trauma.
Applicazione di tutti i protocolli della moderna traumatologia, tecnica chirurgica, velocità di esecuzione nella riduzione delle articolazioni lussate e approccio riabilitativo mirato e continuativo, hanno permesso di ottenere tale risultato.