La questione dell’insicurezza sociale e urbana è connessa con quella del percepirsi vittima.
Sia la paura del crimine che il pericolo di essere vittime nascono dall’insicurezza sociale che genera stress, sviluppando problematiche psicosociali e determinando un’insoddisfacente qualità di vita.
Il sentirsi vittime, la paura del crimine e l’insicurezza sociale, sviluppando fragilità interiori e problematiche di tipo psicosociale, finiscono per incidere negativamente sui costi del SSN.
Autore
Dott.ssa Annamaria Venere – Sociologa Sanitaria, Criminologa Forense, Socio AICIS (Associazione Criminologi per l’Investigazione e la Sicurezza), Amministratore Unico: AV eventi e formazione. Direttore editoriale: Medicalive Magazine – Catania. Sito personale: annamariavenere.it
Introduzione
[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L[/dropcap]a paura del crimine porta le persone al percepirsi vittime, ma non tanto del crimine in sé, quanto del timore di diventarlo in futuro.
Sia la paura del crimine che il pericolo di essere vittime sono scaturite dall’insicurezza sociale che, a sua volta, provoca nelle persone stress, andando a sviluppare in esse problematiche psicosociali e un’insoddisfacente qualità di vita.
Tali problematiche psicosociali spesso si traducono in fragilità interiori e psicologiche che, alla fine, incideranno significativamente, in termini economici, anche sul Sistema Sanitario Nazionale.
Il profilo storico dell’insicurezza sociale: il pericolo di essere vittime
La tematica dell’insicurezza sociale e urbana è connessa con quella del percepirsi vittima.
In epoca antica la vittima era colei cui si associava l’idea del sacrificio religioso, ovvero una sorta di patto individuale con gli Dei per espiare determinate colpe.
Successivamente, l’evoluzione delle strutture sociali più complesse ha portato a intendere il sentirsi vittima nei termini di un senso di insicurezza “collettivo”. A quest’ultimo concetto, si è nel tempo affiancata l’idea che la vittima non era tale se non era presente un crimine (Sicurella, 2012).
Nonostante la recente normativa, come il D.Lgs. n. 212/2015, recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, è venuta meno oggigiorno l’idea dell’individuo come appartenente alla collettività, in favore invece di un compromesso penale che la vittima deve raggiungere con chi ha commesso il crimine (Bardi et al., 2016).
La persona, infatti, non si sente più parte di una collettività che organizza la sicurezza e la protezione della stessa, ma è a tutti gli effetti un singolo cui deve essere garantita, dalla Stato, la difesa dei diritti sociali.
È proprio dalla concezione dell’individuo inteso come essere singolo, e non come appartenente a una collettività, che se ne deriva l’insicurezza sociale odierna.
Il pericolo di essere vittime porta cioè ad ampliare il senso di insicurezza interno, a causa della percepita assenza di uno Stato “buono” che non riesce a garantire né la difesa dei diritti sociali né, nel caso di crimini, la certezza della pena. In altre parole, lo Stato è percepito come incapace di garantire la sicurezza sociale e, quindi, di prevenire il pericolo di sentirsi vittime non tutelate.
Da ciò si origina la paura del crimine e la fragilità interiore di natura psicosociale, in grado di incidere negativamente sulla qualità di vita delle persone (Triventi, 2008).
La relazione tra la paura del crimine e il senso di insicurezza sociale
La mancanza della tutela dei diritti, di fronte al pericolo di sentirsi vittime, porta alla conseguente e inevitabile paura del crimine.
La paura del crimine provoca aumento della diffidenza e sfiducia tra cittadini e istituzioni, ma anche una considerevole riduzione della partecipazione alla vita sociale.
Il timore del crimine, pertanto, finisce per incidere in maniera significativa sulle abitudini quotidiane delle persone, con conseguenze importanti soprattutto sotto il profilo psicosociale (Triventi, 2008).
Con il termine di paura del crimine si intende la percezione del rischio di criminalità o, meglio, la preoccupazione nei confronti dei reati. Esso si collega, ma non in maniera diretta, con il senso di insicurezza sociale provato da ogni persona.
In molte ricerche, tuttavia, la paura del crimine non corrisponde in tutto al senso di insicurezza, in quanto spesso la paura della criminalità eccede la diffusione dei crimini stessi.
Se ne evince che la paura del crimine è un concetto complesso, giacché fa riferimento da un lato al timore di subire un reato, dall’altro al senso di insicurezza provato dalla persona nel momento in cui si trova in luoghi considerati pericolosi (Skogan, 1993).
All’interno della paura del crimine troviamo tre dimensioni. La prima è quella affettiva ed emotiva, ovvero la reazione emotiva della persona di fronte alla paura, che può essere di ansia, depressione, fuga o rabbia.
La seconda è quella cognitiva, che valuta il rischio e l’insicurezza di un determinato luogo. Infine, vi è quella comportamentale, cioè il comportamento che viene messo in atto in seguito alla paura.
Coinvolgendo queste tre dimensioni, la paura del crimine provoca inevitabilmente patologie psicosociali, quali disturbi ansiosi o depressivi, con ovvie conseguenze anche sulla qualità di vita (Triventi, 2008).
La riduzione della qualità di vita a causa della paura del crimine è dunque causata dall’attuale disordine sociale, poiché lo Stato viene per lo più inteso non come un “ombrello” sotto il quale ripararsi e sentirsi sicuri, ma come un’istituzione incapace di tutelare i diritti.
Insicurezza sociale e sistema sanitario nazionale: quale costo?
Il sentirsi vittime, la paura del crimine e l’insicurezza sociale, sviluppando fragilità interiori e problematiche di tipo psicosociale, finiscono per incidere negativamente sui costi del Sistema Sanitario Nazionale.
Questo perché anche la semplice percezione dell’insicurezza, o della paura, provocando, come abbiamo visto, stress nelle persone, obbliga queste ultime a ricercare dei metodi risolutivi per far fronte alle proprie ansie o alle proprie patologie psicofisiche (Triventi, 2008).
Per migliorare non soltanto la sicurezza sociale, ma anche la sostenibilità del sistema sanitario, è pertanto necessario diminuire la paura del crimine provata dalle persone, nonché il loro senso di insicurezza interiore, con interventi mirati di natura psicosociale che riescano a creare nelle persone una migliore percezione della società e, al contempo, dello Stato.
È solo diminuendo l’insicurezza sociale, e quindi la paura del crimine, che si potrà ridurre lo stress psicofisico e psicosociale, con un considerevole impatto positivo sulla qualità di vita delle persone.
Bibliografia
Bardi, M., Caracciolo, L., Corbari, E. (2016). Diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. Il recepimento italiano della Dir 2012/29/UE, International Journal of Criminological and Investigative Sciences, XI, 20-42.
Sicurella, S. (2012). Lo studio della vittimologia per capire il ruolo della vittima, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, VI, 3, 62-75.
Skogan, W.G. (1993). The various meanings of fear, in W.Bilky, Fear of crime and criminal victimization, Enke, Stuttgart.
Triventi, M. (2008) Vittimizzazione e senso di insicurezza nei confronti del crimine: un’analisi empirica sul caso italiano, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, II, 2, 137-159.