Il ruolo chiave dell’infermiere nell’assistenza al paziente con morbo di Parkinson nel caso di caregiver familiare carente.
Abstract
[otw_shortcode_dropcap label=”L” background_color_class=”otw-no-background” size=”large” border_color_class=”otw-no-border-color” label_color=”#008185″][/otw_shortcode_dropcap]’invecchiamento della popolazione e l’insorgenza di polipatologie invalidanti, come il Morbo di Parkinson ad esempio, ha contribuito a un aumento della richiesta assistenziale da parte della famiglia, che non sempre riesce ad essere presente.
Il dualismo tra dolore-paziente e dolore-famiglia è il problema più difficile da scavalcare. “L’infermiere di famiglia” gioca un ruolo chiave nell’interfaccia famiglia-dolore-paziente e si colloca nel caregiver sociale e nella terapia del dolore, laddove il burnout psicologico, a volte, è d’ostacolo e la visione olistica del paziente permette l’attuazione di un nursing assistenziale più congruo ai bisogni dell’assistito.
La continua formazione del professionista sanitario può essere di supporto all’intero nucleo familiare favorendo la corretta presa in carico del paziente e la sua reintegrazione nella società.
Abstract
[otw_shortcode_dropcap label=”P” background_color_class=”otw-no-background” size=”large” border_color_class=”otw-no-border-color” label_color=”#008185″][/otw_shortcode_dropcap]opulation aging and the onset of disabling polypathology, for example Parkinson, has contributed to an increase in welfare of the assisted requested by the family, which can’t always be present. and the dualism between pain-patient and pain-family is the most difficult problem to climb.
“The family nurse” plays a key role in the family-pain-patient interface and it ranks in the social caregiver and in pain therapy, where the psychological burnout is sometimes an obstacle , and the patient’s holistic view allows the implementation of a more appropriate nursing of the patients; the continuous training of health professional may be the support of the entire family, favoring the correct management of the patient and his reintegration into the society.
Autori
- Dott. Gianfranco Verna, Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Chieti.
- Dott. Bibian Zarlenga, Dottore in Infermieristica, Chieti.
- Dott. Flavio Di Benedetto, Dottore in Infermieristica, Venezia.
- Dott. Pietro Costanzo, Dottore in Infermieristica, Milano.
- Francesco Verna, Studente corso di laurea in Infermieristica, Chieti.
Introduzione
[otw_shortcode_dropcap label=”I” background_color_class=”otw-no-background” size=”large” border_color_class=”otw-no-border-color” label_color=”#008185″][/otw_shortcode_dropcap]l morbo di Parkinson deve il suo nome a James Parkinson, il medico inglese che, nel 1817, per primo la descrisse nel suo scritto sulla paralisi agitante, ovvero l’opera “An Essay on the Shaking Palsy”. La causa biochimica fu però individuata solo intorno al 1960.
La malattia di Parkinson o Morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa a eziologia sconosciuta caratterizzata principalmente dalla degenerazione di alcune cellule nervose situate in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera.
Il morbo di Parkinson è una delle numerose sindromi parkinsoniane (anche parkinsonismi) esistenti; il termine parkinsonismo, infatti, non è sinonimo di morbo di Parkinson, ma è piuttosto un termine generico che può sia indicare il morbo di Parkinson sia tutte quelle patologie in cui la sintomatologia è estremamente simile a quella di quest’ultimo.
Nel morbo di Parkinson, i neuroni producono la dopamina, neurotrasmettitore che trasmette messaggi ai neuroni in altre zone del cervello e che è indispensabile per il controllo dei movimenti automatici di tutto il corpo. Quando, a causa della progressione della malattia, il numero di neuroni produttori di dopamina si riduce di oltre il 50%, compaiono i sintomi del Parkinson (1).
Quello che di fatto viene a verificarsi in caso di morbo di Parkinson è che si ha una perdita dei gruppi cellulari il cui compito è quello di facilitare il movimento; anatomicamente si vengono a creare alcune alterazioni: depigmentazione della sostanza nera, diminuzione della popolazione neuronale e presenza dei cosiddetti corpi di Lewy (aggregati proteici anormali che si sviluppano all’interno delle cellule nervose).
La diagnosi nei casi tipici si basa principalmente sui sintomi, con indagini di neuroimaging come conferma. Il morbo di Parkinson è caratterizzato dalla presenza di tre segni caratteristici detti anche triade del morbo di Parkinson: acinesia, tremore e rigidità.
I principali sintomi motori della malattia di Parkinson sono il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia (lentezza dei movimenti automatici) e, in una fase più avanzata, l’instabilità posturale (perdita di equilibrio); questi sintomi si presentano in modo asimmetrico (un lato del corpo è più interessato dell’altro).
Il tremore non è presente in tutti i pazienti. All’esordio della malattia, spesso i sintomi non vengono riconosciuti immediatamente, perché si manifestano in modo subdolo, incostante e la progressione della malattia è tipicamente lenta. Nella malattia di Parkinson si possono presentare anche fenomeni non motori, che possono esordire molti anni prima della comparsa dei sintomi motori.
Si evidenziano più spesso nelle fasi iniziali della malattia e con frequenza massima in quelle più avanzate. I sintomi non motori più frequentemente osservati sono: i disturbi vegetativi (alterazione delle funzioni dei visceri), dell’olfatto, del sonno, dell’umore e della cognizione, la fatica e i dolori (2).
Secondo le ultime rilevazioni dell’ISTAT al 1º gennaio 2011 i giovani fino a 14 anni di età sono 35.000 in più rispetto all’anno passato e rappresentano il 14% del totale. Le persone con oltre 65 anni d’età risultano in aumento di 95.000 unità e ormai rappresentano 1/5 della popolazione. Anche i cittadini stranieri sono in costante aumento e costituiscono, al 1º gennaio 2013, il 7,4% del totale.
Sotto il profilo demografico l’Italia si conferma uno dei paesi con il più basso tasso di natalità al mondo; nel 2012 il numero medio di nascite per donna è stimato a 1,42, in calo rispetto all’1,46 2010 (3). Tale fenomeno costituisce un aspetto preoccupante sotto il profilo sociale, considerata la scarsa preparazione da parte della collettività a far fronte alle trasformazioni determinate dal progressivo allungarsi della vita media.
Negli ultimi tempi, sono diventate sempre più frequenti le richieste di supporto farmacologico per gestire le alterazioni comportamentali e sintomatologiche di soggetti affetti da Parkinson. La malattia di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più comune dopo la malattia di Alzheimer e la prevalenza della condizione nei Paesi industrializzati è di circa lo 0,3%.
In Italia i malati sono circa 200mila, con circa 12mila nuovi casi l’anno (4). La malattia è più comune negli anziani e la prevalenza aumenta dall’1% in quelli oltre i 60 anni di età, fino al 4% della popolazione sopra gli 80 anni.
L’età media di insorgenza è circa 60 anni; per completezza si deve però ricordare che studi recenti hanno evidenziato che circa il 5-10% dei malati di Parkinson ha un’età inferiore ai 40 anni (un esordio prima dei venti anni è possibile, ma è decisamente raro); si tratta di una forma precoce, nota anche come Parkinson giovanile, che provoca soltanto parzialmente la stessa sintomatologia della forma classica che interessa gli over 60.
Infatti, si è osservato che mentre i tremori che caratterizzano la malattia sono presenti sia nelle stesse modalità e nella stessa frequenza in anziani e giovani, in questi ultimi i problemi cognitivi e le difficoltà nella deambulazione e nell’equilibrio posturale sono meno frequenti.
Secondo alcune ricerche, determinate forme di Parkinson giovanile sarebbero di origine ereditaria. L’età è un importante fattore di rischio per la malattia di Parkinson. Tuttavia, nonostante l’attesa di vita degli italiani sia notevolmente aumentata, i tassi di incidenza di malattia di Parkinson non sono aumentati.
Ricercatori del Centro Parkinson ICP di Milano hanno analizzato i dati relativi a 6996 pazienti parkinsoniani nella banca dati del Centro Parkinson ICP alla ricerca di una spiegazione. Hanno rilevato che l’età media di esordio della malattia è aumentata nel tempo mediamente di 4 anni, in altre parole ci si ammala più tardi (5).
Trattamento
I moderni trattamenti sono efficaci per gestire i sintomi motori precoci della malattia, grazie all’uso di agonisti della dopamina e del levodopa. Col progredire della malattia, i neuroni dopaminergici continuano a diminuire di numero, i farmaci diventano inefficaci nel trattamento della sintomatologia e, allo stesso tempo, producono una complicanza, la discinesia, caratterizzata da movimenti involontari.
Una corretta alimentazione e alcune forme di riabilitazione hanno dimostrato una certa efficacia nell’alleviare i sintomi. La chirurgia e la stimolazione cerebrale profonda vengono utilizzate per ridurre i sintomi motori come ultima risorsa, nei casi più gravi in cui i farmaci risultano inefficaci (6).
La stimolazione cerebrale profonda DBS (Deep Brain Stimulation) è una procedura approvata dalla US Food and Drug Administration (FDA) utilizzata da anni per il trattamento di pazienti con morbo di Parkinson (PD, Parkinson disease) in fase avanzata con gravi complicanze motorie indotte da levodopa.
Nuove evidenze emerse da uno studio controllato suggeriscono che la DBS possa essere efficace anche nei pazienti affetti da Parkinson con complicanze motorie precoci. La terapia medica è efficace per il trattamento iniziale del morbo di Parkinson (7).
La chirurgia ablativa o la stimolazione cerebrale profonda viene in genere raccomandata solo nei pazienti con discinesie non tollerabili o fluttuazioni motorie durante il trattamento con levodopa. I candidati ideali alla chirurgia sono quelli le cui funzioni cognitive valutate all’esame neuropsicologico completo risultano relativamente conservate (8).
La stimolazione cerebrale profonda bilaterale del nucleo subtalamico mediante stimolazione elettrica continua ad alta frequenza generata da elettrodi impiantati nel cervello (collegati a un neurostimolatore impiantato nel torace) ha sostituito la chirurgia ablativa ed è attualmente il trattamento chirurgico prescelto per il morbo di Parkinson.
Dopo l’impianto, la programmazione del dispositivo può richiedere l’effettuazione di frequenti visite per settimane o mesi (9). In uno studio randomizzato di piccole dimensioni, della durata di sei mesi, condotto su pazienti aventi morbo di Parkinson in fase avanzata, la stimolazione cerebrale profonda bilaterale del nucleo subtalamico è stata più efficace della pallidotomia unilaterale nel ridurre i sintomi della malattia (10).
Il 40% dei pazienti trattati con DBS ha manifestato gravi eventi indesiderati, per lo più correlati all’intervento chirurgico o al dispositivo, rispetto all’11% dei pazienti sottoposti a terapia medica. L’effetto più frequente è stato l’infezione del sito chirurgico (9,9%) (11) nei pazienti sottoposti a DBS, un declino cognitivo è frequente nei soggetti con preesistenti deficit intellettivi e in quelli di età ≥70 anni.
La DBS può altresì aumentare l’incidenza di cadute e l’impulsività, con possibile aumento del rischio di gioco d’azzardo patologico (12). Il prestigioso Istituto NINDS (Istituto Nazionale Americano per le patologie neurologiche e l’Ictus) sta finanziando un serie di studi esplorativi con lo scopo di valutare se 12 molecole già in commercio, che hanno presentato effetti neuroprotettivi in colture cellulari e in modelli animali di Parkinson, hanno buone probabilità di rallentare la progressione della malattia di Parkinson nei pazienti. Uno di questi è lo studio FS-Zone.
In questa ricerca, a cui hanno partecipato 210 pazienti con malattia di Parkinson in fase iniziale, assegnati in maniera casuale a uno di tre gruppi ovvero ad uno di due dosaggi dell’antidiuretico pioglitazone (15 mg o 45 mg al giorno) oppure a un placebo (preparato dall’aspetto identico inerte) per 44 settimane, l’endpoint primario era il punteggio totale sulla scala UPDRS.
Il punteggio medio è stato mediamente inferiore a quello del placebo nei gruppi trattati con pioglitazone di meno di 2 punti. Questo risultato è stato giudicato clinicamente insignificante e NINDS ha dichiarato che è improbabile che il farmaco possa rallentare la progressione della malattia di Parkinson. Questo è già avvenuto anche per altre tre molecole (coenzima Q10, creatina e minociclina). Rimane da vedere come saranno i risultati con le altre 8 molecole (13).
Fino a non molti anni fa la definizione “caregiver”, (o carer) cioè “colui che presta le cure”, era quasi sconosciuta; ora, invece è entrata, stabilmente, nell’uso comune. Questo termine sta a indicare tutte quelle persone che sono impiegate nel prestare assistenza a un proprio congiunto ammalato e serve anche a fornire alle singole persone che si occupano di un ammalato un’identità e un ruolo sociale addizionale rispetto ad altri eventualmente esercitati (14).
L’impatto dell’assistenza a livello emotivo varia in misura notevole da individuo all’altro e dipende da vari fattori: la personalità, il rapporto tra il caregiver e la persona di cui si occupa, gli anni trascorsi ad assistere il congiunto, la capacità del carer di analizzare e comprendere i propri sentimenti.
È possibile che quando le aspettative personali si scontrano con la realtà della malattia ci si senta senza vie d’uscita, intrappolati nella quotidianità dell’assistenza e senza possibilità di progettazione per il proprio futuro. È la fase più subdola nella malattia dove ci si sente giudicati, non apprezzati, rifiutati, impotenti; subentra la depressione.
Quando in una famiglia ci si rivolge all’ammalato, con eccessivo criticismo o con ostilità ed è presente drammatizzazione dei sentimenti, auto sacrificio è possibile che le condizioni dell’ammalato peggiorino precipitosamente.
Infatti il fattore psicologico è fondamentale sia per l’assistito che per la famiglia che tende lei stessa a isolarsi e investire tutte le forze nel malato non capendo che egli stesso ha bisogno di confrontarsi con un ambiente stimolante e ricco di risorse. I caregivers devono essere consapevoli non solo dei problemi che il Parkinson pone ai loro cari, ma anche devono conoscere i modi in cui possono contribuire a mitigare i danni e aiutarli a mantenere una buona qualità di vita (15).
L’infermiere può avvicinarsi al malato di malattia di Parkinson sostenendolo, dandogli fiducia, senza sostituirsi a lui, grado di malattia permettendo, perché questo aumenterebbe soltanto il senso di inadeguatezza e di dipendenza impedendogli di emergere con nuove risorse.
La famiglia va educata a non isolarsi, a mantenere i rapporti, a parlare a confrontarsi con altre persone e non incentrare tutte le forze sull’assistito in modo tale da non opprimerlo, diventando così davvero efficaci. Aiuterà ed educherà il paziente affinché trovi modalità e strumenti nuovi per creare una diversa autonomia in modo tale che possa ancora lavorare o dedicarsi a alle proprie passioni, fare esercizio fisico e anche organizzando delle vacanze divertenti, ovvero tutte quelle attività che possono aumentare la loro speranza di vivere una vita serena, riuscendo a ridurre lo stress, evitando l’aggravarsi dei sintomi della malattia anche se purtroppo non potranno essere fatte più come un tempo.
La terapia nutrizionale nella malattia di Parkinson è di fondamentale importanza, necessaria per l’adeguamento delle abitudini alimentari, volta a mantenere un adeguato stato di salute, migliorare l’assorbimento della terapia farmacologia, aiutare l’effetto di un’adeguata terapia riabilitativa del paziente.
La dieta nei pazienti affetti da Morbo di Parkinson in terapia con levodopa è indispensabile, in quanto i pasti possono interferire con l’azione del farmaco: la levodopa è un aminoacido neutro che per essere assorbito, cioè passare dall’intestino al sangue e da questo al cervello, utilizza un trasporto attivo con dispendio di energia.
Di conseguenza qualunque processo che ritardi o inibisca questo assorbimento, può portare a una riduzione della quantità di farmaco disponibile, rendendo non costante la concentrazione intracerebrale dello stesso e riducendo di conseguenza l’efficacia della terapia farmacologia. Naturalmente una corretta dieta non può evitare né le medicine, né ridurre i rischi della malattia, ma può certo essere di aiuto nel ridurre le variabili non controllate che sono dovute all’assorbimento dei cibi e della terapia (16).
Nel mantenere un corretto stile di vita, il Parkinson non richiede necessariamente cambiamenti nello stile di vita durante la notte ma, col progredire della malattia, ci sarà bisogno di qualche cambiamento; la terapia fisica (fisioterapia) e le cure complementari possono essere necessarie per contrastare le difficoltà di movimento che appariranno nel corso del tempo, infatti i farmaci riescono a contrastare alcuni di questi problemi, ma alla lunga perdono la loro efficacia e deve essere fatta anche una terapia fisica.
Tenete presente che con l’avanzare dell’età tutti siamo soggetti a un decadimento fisico. Fare un’attività motoria è quindi indispensabile per tutti, indipendentemente dalla malattia. Ma c’è il rischio che il malato si “chiuda” più del dovuto in una vita sedentaria come conseguenza dei sintomi – ad es. la paura di cadere – e che ciò comporti un decadimento fisico più veloce. Occorrerà quindi motivarlo e stimolarlo a non lasciarsi andare.
Non esiste una cura nota per il morbo di Parkinson, anche se la ricerca si sta muovendo in questa direzione. Fino a quel momento, la malattia può solo essere gestita. L’efficacia delle cure dipende tanto dalla quantità e qualità di assistenza in casa, tanto da quella fatta in studio dal medico (17).
Ad Arzignano (VI), grazie alla Fondazione Silvana e Bruno (realtà no profit del vicentino) è stato aperto uno spazio dedicato ai malati di Parkinson e alle loro famiglie. Si tratta del primo Parkinson Café d’Italia, uno luogo aperto alla comunità, che ha l’obiettivo di coinvolgere i malati di Parkinson del territorio, favorire la socialità, il confronto, il movimento e soprattutto ridurre i casi di isolamento molto frequenti in chi è colpito dalla malattia.
L’idea del Parkinson Café, si ispira alla positiva esperienza anglosassone dove gli stessi sono una realtà attiva ormai da qualche anno. Vuole essere un’area di incontro, di condivisone e aggregazione per i malati di Parkinson, le famiglie e tutti coloro che vorranno contribuire e usufruire delle iniziative.
Uno spazio dove le iniziative e i ritmi di azione rispetteranno i nuovi tempi e le abilità dei malati che qui, con l’aiuto dei volontari e attraverso il confronto positivo con altri che vivono la stessa situazione, potranno reagire alla malattia e ritrovare il piacere di stare insieme, di uscire e ritrovare sé stessi (18).
Conclusioni
A parer nostro, alcune situazioni possono diventare insostenibili per la famiglia dell’assistito e diventa importante il fattore psicologico. Se il caregiver familiare è carente, è sicuramente d’aiuto l’affiancamento dell’infermiere, sia come professionista sanitario che si fa garante della corretta attuazione della parte tecnica, sia aiutando il paziente ad affrontare al pieno la giornata e in maniera dignitosa sostenendolo, sia empaticamente nel momento del bisogno con la promozione di attività presso organizzazioni assistenziali specifiche, sia educandolo che la vita va vissuta a pieno e che la malattia invalidante può dare soddisfazioni in attività che precedentemente non si consideravano.
Concludendo vorremo citare una frase celebre: “Ho capito presto che il tremore incontrollabile è un fenomeno puramente fisico, una distrazione. L’importante è che lo sia anche per chi mi guarda da fuori. Se siamo entrambi rilassati il Parkinson prende il suo giusto posto nella vita, come la pioggia e il mal di denti” (Michael J. Fox).
Bibliografia
1) Neurologia, Cambier-Masson-Dehen; Elsevier- Masson edizione XII 2013
2) Lezioni di neuropatologia, Salvatore Galatioto; Piccin 2008
3) elaborazioni dati ISTAT 2011
4) Parkinson Italia, confederazione associazioni italiane parkinson e parkinsonismi (ONLUS)
5) Later age at onset in Parkinson’s disease over twenty years in an Italian tertiary clinic. Pezzoli G, Klersy C, Cilia R, Canesi M, Zecchinelli AL, Mariani CB, Tesei S, Sacilotto G, Meucci N, Zini M, Isaias IU, Ruffmann C, Barichella M, Cassani E, Goldwurm S, Cereda E.
6) A review of current and novel levodopa formulations for the treatment of Parkinson’s disease. Jimenez-Shahed J. Ther Deliv. 2016
7) Farmaci per il morbo di Parkinson. Treatment Guidelines 2014, The Medical Letter
8) J.jankovic and w poewe; therapies in parkinson’s disease. Cur opin neurol 2012
9) MS okun. Deep-brain stimulation for Parkinson’s disease. New england Journal med 2012
10) RAJ esselink et al. Unilateral pallidotomy versus bilateral subthalamic nucleus stimulation in PD: a randomized trial. Neurology 2004
11) M Schuepbach et al. Neurosurgery in Parkinson disease: a distressed mind in a repaired body? Neurology 2006
12) HM smeding et al. Neuropsychological effects of bilateral STN stimulation in Parkinson disease: a controlled study. Neurology 2006
13) Pioglitazone in early Parkinson’s disease: a phase 2, multicentre, double-blind, randomised trial. NINDS Exploratory Trials in Parkinson Disease (NET-PD) FS-ZONE Investigators.
14) Heron C. aiutare i carer. Il lavoro sociale con i familiari impiegati nell’assistenza. Erickson, Trento, 2002
15) Pellegrino f. gestire la crisi emotiva; una guida pratica per il medico di famiglia. Mediserve, milano-firenze-napoli 2004
16) Dietary modifications in Parkinson’s disease: A neuroprotective intervention? Shah SP1, Duda JE2. Med Hypotheses. 2015
17) Cognitive Contributions to Freezing of Gait in Parkinson Disease: Implications for Physical Rehabilitation. Peterson DS, King LA, Cohen RG, Horak FB. Phys Ther. 2015
18) Corriere del Veneto Condivisione e ritmi lenti Apre il “Parkinson Cafè”