Dott. Massimo Agnoletti – Psicologo, Dottore di ricerca, Esperto di Stress,
Psicologia Positiva e Epigenetica, Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto, Direttore del Centro di Benessere Psicologico
Favaro Veneto (VE)
Il concetto di stress è spesso frainteso e distorto, suggerendo una versione, pericolosamente riduzionistica, che non coglie la complessità del fenomeno così importante per il nostro benessere psicofisico.
ABSTRACT
The aim of this paper is to solicit a reflection on the concept of stress, trying to counteractthe widespread and potentially dangerous reductionist tendencies that do not respect its complexity and therefore the implications of this mechanism, so essential for our psychophysical health.There is the need for an integrated and global vision of stress that captures the extraordinary heterogeneity of such a complex and important phenomenon of our life.
Questo scritto ha lo scopo di sollecitare una riflessione relativa al concetto di stress, cercando di contrastare le diffuse, e potenzialmente pericolose, derive riduzionistiche che non rispettano la sua complessità e quindi le implicazioni di questo meccanismo, fondamentale per la nostra salute psicofisica. Vi è, quindi, l’esigenza di una visione integrata e globale dello stress che colga la straordinaria eterogeneità di un fenomeno così articolato e importante per la nostra vita.
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Si può vivere senza stress? A questa domanda provocatoria una persona non particolarmente ferrata in scienze biomediche o psicologiche risponderebbe “si, certo… magari!”, mentre uno specialista esperto della materia risponderebbe che “no, non è possibile pensare ad una vita senza stress”.
Questa differenza nelle risposte non è dovuta al fatto che gli esperti della materia siano più pessimisti di chi non conosce dal punto di vista scientifico lo stress ma perché il concetto di stress è un concetto complesso che non può essere ricondotto monoliticamente ad una semplice dicotomia come, ad esempio, “buono o cattivo”.
Come vedremo lo stress è un ingrediente fondamentale ed imprescindibile della vita umana, sia in termini di salute e longevità sia in termini di qualità di vita, con moltissime ricadute pratiche nella nostra quotidianità, per questo vale la pena comprenderlo più approfonditamente.
Il presente elaborato non ha l’ambizione di spiegare nei dettagli ed esaustivamente cos’è lo stress, ma di divulgare alcuni concetti collegati a esso, stimolare un ulteriore approfondimento ed evitare facili, e talvolta pericolosi, fraintendimenti derivanti da una visione parziale e non integrata di questo fenomeno.
Espressioni come “riduzione dello stress”, “annullare lo stress”, “tecnica antistress”, “aiuto contro lo stress”, etc. (con buona pace di tanti corsi o libri che si propongono in questo modo) sono tutti termini tanto sensazionalistici e d’effetto quanto privi di significato dal punto di vista scientifico perché analoghi a proporre, ad esempio, per una problematica relativa il sangue, una presunta “riduzione del sangue” (un po’ quello che facevano in maniera clamorosamente sbagliata i medici fino alla fine dell’Ottocento utilizzando le sanguisughe…), “l’annullamento del sangue”, “una tecnica antisangue”, “un aiuto contro il sangue”, e via discorrendo.
Il concetto moderno e scientifico di stress, lungi dal significato attribuito generalmente quando ne parliamo informalmente (dove implica quasi sempre il concetto di difficoltà e fatica nell’affrontare una situazione), sintetizza oltre un secolo di studi e ricerche che hanno cercato di coglierne la complessità che, nell’essere umano, include gli aspetti psicologici, socioculturali, neurali, endocrini, cellulari ed epigenetici.
Questo scritto si propone di presentare il moderno concetto di stress in una forma principalmente contestualizzabile da due dimensioni quantitative (intensità e durata) e unadimensione qualitativa relativa il significato o la logica attribuita alla teleonomia (cioè lo scopo, le finalità) delfenomeno stressante stesso.
Unicamente dal considerare contemporaneamente queste tre dimensioni avremo la possibilità di cogliere le dinamiche dello stress soprattutto nella natura umana caratterizzata dalla sua straordinaria quanto talvolta disorientante complessità ed eterogeneità.
Negare di considerare simultaneamente ed integralmente tutte queste dimensioni non solo induce errori derivanti da un forviante riduzionismo (per esempio, la diffusa credenza che basta misurare la quantità di cortisolo per capire se siamo stressati o meno) ma anche crea grande confusione nel momento in cui cerchiamo di rendere coerenti molte informazioni che sono apparentemente discordanti se non proprio contradditorie (per esempio: “lo stress ci ammala”, “lo stress ci salva la vita”, “è un meccanismo che combatte potenziali attacchi batterici”, “è un meccanismo che debilita nel tempo le nostre difese immunitarie”, etc.).
I tratti del meccanismo dello stress comuni a tutte le specie animali che condividonoquesto apparato sono stati abbastanza bene identificati e compresi soprattutto per quanto riguarda le dimensioni quantitative dello stress.
Lo studio di questi aspetti dello stress ha beneficiato della possibilità di condurre la ricerca in molti animali diversi dalla specie umana, dal fatto che si è potuto godere del fatto che queste ricerche si sono appunto focalizzate sulle caratteristiche comuni (quindi generalizzabili e accumulabili) all’interno del regno animale in cui è presente il meccanismo dello stress e per il fatto che le dimensioni dello stress analizzate potevano essere più facilmente oggettivate e quantificate e misurate.
Gli aspetti specie specifici (soprattutto degli organismi molto complessi quali, ad esempio, i primati) sono invece tutt’oggi più difficili da cogliere per la loro imprescindibile e peculiare componente relativa l’unicità e la complessità dell’organismo in questione e, per quanto riguarda almeno i primati (specie umana inclusa), dalla loro dimensione qualitativa e soggettiva.
Da quando lo scienziato Cannon definì lo stress inizialmente nei termini di una reazione dell’organismo al perturbamento del suo precedente stato di equilibrio, vari autori tra i quali Selye, Lazarus, McEwen, Chrousos, Sapolsky, hanno arricchito di dettagli lo stesso concetto di stress (che deriva dalla parola “stringere”, “premere”) sottolineandone alcuni aspetti più di altri (per esempio l’aspetto di a-specificità rispetto l’agente stressante di alcune caratteristiche neuroendocrine attivate come risposta, il dettaglio di elaborazione a livello di sistema nervoso centrale prima di attivare la modalità acuta, la natura delle molecole implicate, etc.) ma forse non c’è stato finora uno sforzo concettuale altrettanto importante ed efficace per sintetizzarne la logica complessiva e per spiegare con altrettanta precisione la realtà spettacolarmente complessa della specie umana.
Individuare la natura e la logica dello stress è complicato per la molteplicità dei fattori coinvolti (lo stress nella specie umana, ad esempio, può essere un fenomeno consapevole o meno, può essere valutato cognitivamente come positivo o negativo, può essere vantaggioso o svantaggioso per la nostra salute psicofisica, presentarsi come reazione a qualcosa di specifico, breve ed intenso o del tutto aspecifico, cronico ed a bassa intensità, ecc.) che hanno contribuito in passato a rendere difficile la comprensione di questo fenomeno.
Il pluridecennale sforzo sperimentale e concettuale di migliaia di scienziati in tutto il mondo ha permesso comunque di cogliere il ruolo dello stress ed il suo funzionamento comune a molte specie animali (perlomeno di tutti i vertebrati conosciuti).
Non mi soffermerò qui nel citare i molteplici dettagli relativi le specifiche attivazioni che, ad esempio, coinvolgono l’asse psico-neuro-metabolicoe
che sono caratteristici della “reazione di attacco o fuga” (il cosiddetto stress acuto,molto intenso e molto breve) o degli aspetti che invece sono più peculiari dello stress cronico (a bassa intensità ma molto più duraturo) più tipico di molte situazioni peculiari della nostra attuale società occidentale.
Esiste già una ricca bibliografia di testi che spiegano adeguatamente questi aspetti generali dello stress e che, come già detto in precedenza, colgono con precisione gli aspetti comuni a tutte le specie che condividono almeno in parte il meccanismo dello stress.
Se dovessi riassumere queste ricerche in poche righe direi che lo stress viene in genere definito quale modalità per fornire energia e risorse finalizzate a ristabilire un equilibrio statico o dinamico (tecnicamente detto “omeostatico” o “allostatico”) perturbato da qualche fattore esterno all’organismo stesso (Bottaccioli &Bottaccioli, 2017; Charmandari, Tsigos, &Chrousos, 2005; Lazarus&Folkman, 1984;McEwen, 2007; Sapolsky, 2006; Selye, 1976).
Personalmente sono convinto che questa definizione non sia esaustiva per tutte le specie considerate perché esiste uno stress caratteristico di alcune specie animali, inclusa la specie umana, in cui questa disponibilità di risorse è diretta a scopi che non sono riconducibili alla conservazione o il ripristino di uno stato precedente (perturbato da qualche fattore) ma il raggiungimento di uno stato informazionale più complesso (Barbieri, 2003; Monod 1970; Morin, 1985; Prigogine, 1976).
Per la complessità e lo spazio che richiede questo argomento tratterò questo nuovo concetto di stress in uno scritto dedicato.
In questa sede mi limiterò a commentare alcuni errori e fraintendimenti che nascono dall’incompleta comprensione dello stress e le sue dinamiche espressi in genere sia dal pubblico dei cosiddetti “non esperti”, sia da molti professionisti del benessere psicofisico che non hanno compreso a fondo il concetto moderno di stress.
Sperando di essere maggiormente esplicativo, riassumerò i principali errori e fraintendimenti relativi lo stress in forma di domande provocatorie quanto diffuse.
- Lo stress è solo negativo?
Come già accennato, lo stress non è esclusivamente negativo, infatti, in una sua modalità specifica (intensa ma molto breve) chiamata anche “di attacco o fuga”, che viene attivata in seguito alla percezione di un potenziale pericolo per la sopravvivenza (la prossimità ad un predatore o, cosa molto più frequente nella nostra società occidentale, ad un veicolo che non accenna a rallentare mentre noi stiamo attraversando la strada), ha un ruolo generalmente positivo (esistono come vedremo alcune eccezioni a questa regola) perché finalizzato a preservare la nostra vita.
Questa specifica modalità dello stress, chiamata anche “acuta”, è stata particolarmente ben studiata ed identificata anche nei dettagli psicologici, neurali e metabolici nel senso che si conoscono i meccanismi sia psicologici che di attivazione del sistema nervoso centrale (corteccia prefrontale, amigdala, etc.) ed autonomo (branca simpatica e parasimpatica) ed ormonale (il cosiddetto asse ipotalamo-ipofisi-surrene, HPA).
La completezza di questa specifica modalità di stress è dovuta al fatto che è stata studiata in animali e che è descrivibile facilmente in termini quantitativi e per ilsuo auto-evidente significato legato alla sopravvivenza dell’organismo.
La logica che sottintende questa specifica modalità (iniziale aumento del livello di attivazione del sistema circolatorio per predisporre energicamente i muscoli appendicolari ad un funzionamento intenso, rendere velocemente disponibili maggiori quantità di zuccheri, vasocostringere i capillari periferici, etc.) è stata molto ben studiata anche nelle sue componenti fisiologiche e cellulari ma non può essere generalizzata a tutte le altre modalità di espressione dello stress.
Nel caso di stress con dinamiche non così intense e/o brevi o con significati differenti la logica di funzionamento può essere anche molto differente (per esempio un’esposizione virale o batterica).
- Lo stress che si esprime nella modalità di “attacco e fuga” è sempre positivo?
No, malgrado questa modalità sia sempre finalizzata a risolvere la situazione potenzialmente pericolosa per la sopravvivenza, esistono situazioni in cui la dinamica di questo fenomeno particolarmente intenso e veloce, anche negli sviluppi fisiologici, rappresenta una richiesta troppo sproporzionata rispetto lo stato generale dell’organismo (diventando quindi in questo specifico contesto un evento di stress negativo di per sé).
Un esempio di questo situazione è la sindrome di Takotsubo, un infarto miocardico che esordisce dopo un intenso stress emotivo che ha generalmente esiti mortali.
Lo stress acuto può avere quindi eccezionalmente anche una connotazione negativa per la salute se l’organismo non riesce in quel momento ad esprimere efficacemente la reazione di “attacco o fuga”.
- È vero che lo stress acuto prevede principalmente un’attivazione del sistema nervoso simpatico responsabile dell’accelerazione del battito cardiaco, dell’innalzamento della pressione sanguigna e altri fenomeni fisiologici?
È vero che la reazione dello stress acuto prevede l’attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico per innescare i cambiamenti fisiologici necessari ad ottimizzare la reazione di “attacco o fuga” ma dobbiamo ricordare che lo stress, come abbiamo già visto, nella sua definizione più generale prevede la disponibilità di energie e risorse al fine di ristabilire un equilibrio precedente la situazione di pericolo percepito.
Da questo se ne deduce che l’intera reazione di stress acuto prevede anche un altrettanto importante attivazione neurale della branca parasimpatica che ha il ruolo opposto perché finalizzato a far tornare ai parametri standard (di relativo riposo) il battito cardiaco, la pressione arteriosa, etc.
Se non fosse presente anche questa componente, forse meno eclatante ma altrettanto importante per la nostra sopravvivenza, ogni volta ci trovassimo di fronte ad un pericolo potenzialmente mortale, rischieremmo di soccombere probabilmente non per l’aggressione del possibile predatore ma per l’eccessiva e prolungata attivazione del sistema nervoso simpatico.
Più precisamente, peraltro, la reazione di “attacco e fuga” prevede che all’iniziale e specifica attivazione della branca simpatica corrisponda una contemporanea ed altrettanto specifica disattivazione di quella parasimpatica seguita dalla simmetrica ed opposta attivazione della componente parasimpatica orchestrata con la contemporanea disattivazione di quella simpatica nel momento in cui il pericolo viene percepito come “risolto” (o quando le risorse a disposizione per affrontarlo non sono più disponibili).
- Lo stress si esprime sempre nella modalità di “attacco e fuga”?
No, lo stress, inteso nella sua accezione moderna, anche nella specie umana non si limita unicamente alla modalità espressa dal sistema psico-neuro-endocrino descritto poco sopra. Nel caso di uno stress conseguente un “attacco” batterico o virale non vi è infatti il coinvolgimento delle medesime aree del sistema nervoso centrale caratteristico della modalità detta di “attacco o fuga”, prova ne è anche il fatto che non è nemmeno presente a livello di consapevolezza e/o di percezione del soggetto (almeno nelle prime fasi di reazione all’agente stressante e comunque mai in forma diretta).
La reazione fisiologica che accompagna uno stress percepito cognitivamente come pericoloso per la vita (o presunto tale) è differente nel caso si tratti di un agente stressante microscopico o nel caso si tratti di una dinamica stressante meno intensa ma più persistente infatti il picco di produzione di alcune molecole quali il cortisolo o l’adrenalina sono caratteristiche specificamente della reazione di “attacco o fuga” innescata dalla percezione almeno in parte conscia di un potenziale pericolo (o di un attacco di ansia/panico che innesca la medesima reazione anche se da un agente stressante autoindotto psicologicamente).
- È vero che lo stress negativo (detto distress) equivale alla condizione di basso controllo percepito degli eventi o di prevedibilità della situazione?
Non sempre, infatti nella specie umana può essere stressante per esempio anche la noia (dove comunque abbiamo la percezione di alto controllo situazionale) o possono essere stressanti anche fattori che non hanno una rappresentazione psicologica definita (si veda per esempio un attacco batterico).
Lo stress negativo (detto distress), nel contesto della specie umana, può consistere nella condizione di basso controllo percepito degli eventi o di prevedibilità della situazione ma è solo una delle sue modalità. Occorre inoltre ricordare che lo stress è presente in altre specie animali dove non possiamo affermare che sia così presente la componente di consapevolezza manifestata dalla specie umana e che, anche all’interno della specie umana, lo stress può manifestarsi almeno parzialmente al di fuori della coscienza.
- È vero che se il cortisolo è prodotto poco siamo in una situazione vantaggiosa per la salute psicofisica mentre se il cortisolo prodotto è elevato la nostra condizione psicofisica è peggiore?
No, perlomeno non sempre ed in qualsiasi condizione. Come già esposto lo stress non è riducibile unicamente ad una sola variabile quantitativa come il cortisolo, o qualunque altro parametro assoluto. Se è vero che un’eccessiva produzione di cortisolo prodotto per un periodo di tempo prolungato è senza dubbio dannoso per la nostra salute (si veda ad esempio la sindrome di Cushing) non è vero il contrario cioè che se viene prodotto poco questa condizione è di per sé segno di un buon benessere psicofisico (si veda per esempio la malattia di Addison).
Esistono condizioni in cui lo stress cronico arriva al punto in cui la produzione di cortisolo si abbassa sempre più con tutte le conseguenze negative del caso (si veda, ad esempio, la condizione di infiammazione di basso grado sistemica).
- Il cortisolo (chiamato anche ormone dello stress) è un ormone negativo per la nostra salute?
Il cortisolo è un importante ed imprescindibile ormone del nostro organismo che ha una molteplicità di funzioni che interagiscono con molti sistemi quali il sistema cardiovascolare, il metabolismo degli zuccheri, il sistema nervoso centrale, il sistema immunitario, il sistema muscolo scheletrico, etc.
Malgrado, in maniera del tutto forviante ed approssimativa, venga spesso associato solo agli aspetti negativi per la salute, il cortisolo non viene prodotto solo nel momento in cui abbiamo uno stress acuto per attivare la cascata di eventi cellulari chiamati di “attacco o fuga” ma viene prodotto in maniera assolutamente fisiologica e quotidiana per in corretto e sano funzionamento dell’organismo.
Il cortisolo quindi non è una molecola che meno è presente meglio è per la nostra salute perché c’è la fisiologica necessità di produrlo nelle quantità corrette sia per affrontare la quotidianità (distribuzione circadiana corretta di tale produzione durante la nostra giornata standard) sia per affrontare situazioni piuttosto rare ma particolarmente pericolose per la nostra sopravvivenza (per attivare lo stress acuto).
- È vero che lo stress è positivo se l’attivazione psicofisica favorisce un nostro comportamento/performance mentre è negativo se questa attivazione non è più funzionale al medesimo comportamento/performance?
No, non sempre è vera questa affermazione perché in questo contesto il termine “positivo” o “negativo” è riferito al grado di efficacia del comportamento o della performance ma questo non
equivale ad affermare che sia sempre “positivo” (eustress) o “negativo” (distress) per il vissuto esperienziale dell’individuo e quindi al significato attribuito dalla persona.
Abbiamo visto come lo stress nella sua definizione più generale abbia a che fare con la disponibilità di energia e risorse finalizzate ad uno specifico scopo. Globalmente il livello delle attivazioni/disattivazioni fisiologiche derivanti dallo stress viene anche chiamato tecnicamente “arousal” e riflette la differenza di funzionamento generale tra quando siamo tranquillamente sdraiati in divano durante una rilassante lettura ed il correre freneticamente per poter salire sull’autobus che ci sta passando davanti e che si fermerà alla fermata che si trova a 150 metri da noi.
In questo contesto la reazione di stress acuto corrisponde quindi ad un generale innalzamento dell’arousal per mobilitare la disponibilità energetica richiesta per effettuare la performance comportamentale desiderata.
Nei primi anni del Novecento due psicologi di Harvard, Robert Yerkes e John DillinghamDodson identificarono una legge conosciuta oggi appunto come “legge di yerkes e dodson”che mette in relazione il livello di arousal psicofisico con la prestazione o performance complessa realizzata dall’organismo.
Questa legge descrive il fatto che all’aumento dell’arousal corrisponde un aumento della performance fino ad un punto ottimale oltre il quale un’ulteriore attivazione equivale ad una prestazione più scadente.
In questo senso, per esempio, continuare a fornire di energia un muscolo che ha prodotto molto acido lattico non migliora le sue performance.
Esiste quindi una performance ottimale caratterizzata da un arousalné troppo basso né troppo alto, ma la valenza “positiva” o “negativa” viene qui attribuita rispetto la performance non al vissuto soggettivo di chi compie tale comportamento (cioè eustress e distress).
In altri termini la performance potrebbe anche essere “positivamente” associata alle risorse disponibili ma malgrado questo ci potremmo trovare nella situazione di vivere tale contesto come stress negativo (pensiamo ad esempio a molte situazioni lavorative/professionali dove la performance viene eseguita in maniera ottimale ma viene vissuta psicologicamente come stressante negativamente per la non piacevolezza o la bassa motivazione nello svolgere quell’attività).
- Lo stress al quale attribuiamo un significato positivo dal punto di vista psicologico è sempre salubre per la nostra salute?
No, almeno non sempre. Anche se in genere lo stress che possiamo definire eustress (stress positivo) è in genere associato ad una vantaggiosa attivazione di molti sistemi fisiologici (asse ipotalamo-ipofisi-surrene, epigenetica che codifica le citochine anti-infiammatorie, etc.) se particolarmente intenso e/o protratto per molto tempo può anch’esso rappresentare un rischio per la nostra salute.
Sotto questo aspetto risulta emblematico il lavoro pionieristico condotto in particolar modo dalla psicologa ElissaEpel e dalla biologa molecolare premio Nobel Elisabeth Blackburn che dimostra l’importanza dell’efficacia della gestione dello stressnell’influenzare la dinamica della telomerasi, cioè degli enzimi che contrastano l’accorciamento dei telomerii quali determinano la nostra longevità e la probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari, immunitarie, oncologiche e altre problematiche (Epel et al. 2004; Agnoletti; 2018).
Lo studio ha dimostrato che le persone che gestivano meno efficacemente lo stress cronico derivante dall’accudire quotidianamente e per molti anni un loro caro (come assistere un figlio con problematiche croniche) avevano un’aspettativa di vita ridotta di circa 13 anni rispetto coloro che non avevano questo impegno così prolungato.
Senza alcun dubbio nei soggetti di questo studio il grado di significatività ed il livello motivazionale attribuito nell’accudire un caro è molto alto ma ciò non toglie che la continua persistenza di questa assistenza nel tempo possa implicare svantaggi dal punto di vista del benessere psicofisico e cellulare dei caregiver.
La definizione di eustress è un concetto quindi che implica la significatività o la piacevolezza attribuita al contesto comportamentale di riferimento ma non può essere considerato avulso dalle dinamiche quantitative relative la sua intensità e la durata.
BIBLIOGRAFIA
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