Avv. Angelo Russo
Avvocato Cassazionista, Diritto Civile,
Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario, Catania
A quasi da due anni dall’insorgenza della pandemia Covid 19 è possibile tracciare alcuni punti fermi in ordine alle problematiche derivanti dall’obbligo vaccinale, in varie forme imposte dallo Stato, e dai connessi profili risarcitori.
Sul punto della legittimità e del fondamento costituzionale dell’obbligo vaccinale, essa è stata recentemente ribadita dalla sentenza n. 7045/2021 del Consiglio di Stato che ha fissato, in modo estremamente preciso e puntuale, i motivi di necessità che lo giustificano a tutale di una società democratica.
Il Supremo Organo della Giustizia Amministrativa, in sintesi, ha chiarito:
“Il legislatore, in una situazione pandemica che vede il diffondersi di un virus a trasmissione aerea,
altamente contagioso e spesso letale per i soggetti più vulnerabili per via di malattie pregresse – si pensi ai pazienti cardiopatici, diabetici od oncologici – e dell’età avanzata, ha il dovere di promuovere e, se necessario, imporre la somministrazione dell’unica terapia – quella profilattica – in grado di prevenire la malattia o, quantomeno, di scongiurarne i sintomi più gravi e di arrestare o limitarne fortemente il contagio”.
“Questa scelta dello Stato avviene nella consapevolezza sia di rischi a breve termine che dell’esistenza del c.d. “ignoto irriducibile”, cioè del margine di incertezza, che nonostante tutti gli sforzi della ricerca scientifica, rende impossibile prevedere il rapporto rischio/beneficio degli effetti del vaccino nel lungo periodo.”
L’iter motivazionale del Consiglio di Stato sottolinea, pur nella centralità della tutela della persona, la legittimità dell’imposizione di un trattamento sanitario che possa recare qualche rischio, anche sconosciuto, per la salute.
L’obbligo vaccinale, invero, non viola il primato della persona, “e ciò non perché (come afferma chi enfatizza e assolutizza l’affermazione di un giusto valore concepito però come astratto bene) la persona receda a mezzo rispetto ad un fine o, peggio, ad oggetto di sperimentazione, in contrasto con il fondamentale principio personalista, a fondamento della nostra Costituzione, che vede nella persona sempre un fine e un valore in sé, quale soggetto e giammai oggetto di cura, ma perché si tutelano in questo modo tutti e ciascuno, anzitutto e soprattutto le persone più vulnerabili ed esposte al rischio di malattia grave e di morte, da un concreto male, nella sua spaventosa e collettiva dinamica di contagio diffuso e letale, in nome dell’altrettanto fondamentale principio di solidarietà, che pure sta a fondamento della nostra Costituzione (art. 2), la quale riconosce libertà, ma nel contempo richiede responsabilità all’individuo”.
Il Consiglio di Stato chiarisce, in linea con l’orientamento della CEDU, che “in un ordinamento democratico la legge non è mai diritto dei meno vulnerabili o degli invulnerabili, o di quanti si affermino tali e, dunque, intangibili anche in nome delle più alte idealità etiche o di visioni filosofiche e religiose, ma tutela dei più vulnerabili, dovendosi rammentare che la solidarietà è la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dalla Costituzione”.
Sul punto della presunta lesione del diritto all’autodeterminazione, la sentenza sottolinea (e stigmatizza) la “logica dei diritti tiranni e, cioè, di diritti che non entrano nel doveroso bilanciamento con eguali diritti, spettanti ad altri, o con diritti diversi, pure tutelati dalla Costituzione, e pretendono di essere soddisfatti sempre e comunque, senza alcun limite”.
La pretesa autodeterminazione (che non accetta l’imposizione vaccinale) per il Collegio è estranea ad un ordinamento democratico, quant’è vero che “il concetto di limite è insito nel concetto di diritto”.
Il Consiglio di Stato, poi, mette un punto fermo sulla tesi della “sperimentalità” del vaccino.
Il vaccino anti-Covid19, per il Consiglio di Stato, non è sperimentale (contrariamente a quanto si sente spesso ripetere in modo acritico e improprio).
I vaccini anti-Covid19 non hanno carattere “sperimentale”, ma hanno ricevuto piuttosto un’ autorizzazione all’immissione in commercio condizionata che può essere rilasciata anche in assenza di dati clinici completi, “a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari”.
La questione è centrale anche in relazione alle possibili richieste di indennità o di risarcimento.
Il carattere condizionato dell’autorizzazione, sottolinea il Consiglio di Stato, non incide sui profili di sicurezza del farmaco ma impone unicamente al titolare di «completare gli studi in corso o condurre nuovi studi al fine di confermare che il rapporto rischio/beneficio è favorevole».
Il discorso, quindi, si sposta su effetti e reazioni avverse.
Le reazioni, dopo la somministrazione del vaccino, sono distinte in:
Evento avverso: episodio sfavorevole non e necessariamente causato dall’aver ricevuto la vaccinazione.
Reazione avversa: risposta nociva e non intenzionale alla vaccinazione, per la quale è possibile stabilire una relazione causale con la vaccinazione stessa.
La differenza si fonda sulla possibilità di risalire a una causa legata al vaccino e non è sufficiente che l’evento si sia verificato a breve distanza dalla vaccinazione.
Effetto indesiderato è l’ effetto non intenzionale connesso alle proprietà del vaccino, che non è necessariamente nocivo ed è stato osservato in un certo numero di persone.
Si tratta, quindi, di un possibile effetto noto, verificatosi nel corso del tempo e considerato accettabile.
A loro volta le segnalazioni di eventi a seguito della somministrazione del vaccino si distinguono in:
Correlabile allorquando l’associazione causale fra evento e vaccino è considerata plausibile.
Non correlabile allorquando altri fattori possono giustificare l’evento.
Indeterminata se l’associazione temporale è compatibile, ma le prove non sono sufficienti a supportare un nesso di causalità (fonte AIFA).
Quanto ai numeri degli effetti avversi di una certa gravità (gli unici suscettibili di essere indennizzati o risarciti), alla data della sentenza del Consiglio di Stato (fine settembre 2021) l’AIFA
segnalava 120 segnalazioni di “sospette reazioni avverse” ogni 100 mila dosi somministrate, (101.110 segnalazioni su un totale di 84.010.605 di dosi) indipendentemente dal tipo di vaccino e dalla dose.
Le segnalazioni riguardavano soprattutto Comirnaty , che è stato il più utilizzato, mentre in minor misura Vaxzevria e Spikevax.
L’85% degli eventi avversi sono classificati come eventi non gravi.
Il 14,4% come reazioni avverse (17 ogni 100 mila dosi) con esito in risoluzione completa o miglioramento nella maggior parte dei casi.
Afferma il Consiglio di Stato che “Le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il SARS-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica”.
La presenza di una tutela indennitaria per i danni causati dal vaccino, costituisce, come noto, uno dei presupposti per la legittimità dell’obbligo vaccinale.
La compatibilità con l’art. 32 Cost della legge impositiva di un trattamento sanitario è data dalla presenza di alcune condizioni, indicate dai giudici di legittimità:
- a) Il trattamento deve essere diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri.
- b) Non deve incidere negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili.
- c) Nell’ipotesi di danno ulteriore, deve essere prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.
Occorre, sul punto, precisare la differenza tra indennizzo e risarcimento.
Il risarcimento del danno, presuppone sempre l’esistenza di un nesso tra un fatto illecito ed un danno ingiusto.
Il diritto all’indennizzo, invece, prescinde dalla colpa e non richiede la prova di un illecito, ma sorge per il solo accertamento che la menomazione irreversibile sia stata causata dalla vaccinazione.
Se il danno causato dal vaccino è, pertanto, legato ad un errore del medico curante (che ad esempio, pur conoscendo una determinata patologia del paziente non ha sconsigliato la somministrazione del vaccino), o all’esecuzione dell’iniezione da parte del personale sanitario, oppure ancora alla somministrazione di una fiala proveniente da un lotto difettoso, o comunque da altro comportamento colposo di uno dei soggetti coinvolti nella catena di somministrazione della dose vaccinale, è possibile cumulare l’indennizzo con la tutela risarcitoria.
In tutti gli altri casi in cui gli effetti avversi si sono verificati in seguito al vaccino, senza che vi sia alcun responsabile e alcuna colpa, sarà possibile accedere comunque alla tutela indennitaria, la quale trova la propria ragione “nell’inderogabile dovere di solidarietà che in questi casi incombe sull’intera collettività ” che trae beneficio dal trattamento vaccinale del singolo.
L’indennizzo, in altre parole, ha natura equitativa e consente agli interessati una protezione certa e predefinita per legge (C. Cass. n. 118 del 1996, C. Cost. n. 268/2017).
La vaccinazione Anticovid-19, obbligatoria per gli esercenti le professioni sanitarie (Decreto-legge n. 44/2021, articolo 4) e per tutta la popolazione over 50, rientra a pieno titolo, nell’art. 1 della L. 25.2.1992, n. 210, in base al quale “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge”.
In base alla citata norma, e secondo le regole della tutela indennitaria, il danneggiato dovrà provare di aver subito lesioni o infermità di tale intensità da aver causato una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica (sono dunque irrilevanti eventuali febbri passeggere, o modesti disturbi transitori) e che il danno subito è conseguenza della vaccinazione.
L’indennizzo da vaccino obbligatoria ha copertura costituzionale trattandosi di misura di sostegno economico, fondato sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua dei citati art. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno, misura che trova fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari predisposti nel settore.
Dal 2001, come noto, la competenza per la procedura di indennizzo è stata trasferita dal Ministero della Salute alle Regioni (D.lgs. 31 marzo 1998 e D.p.c.m. 26 maggio 2000), con la sola eccezione della Sicilia.
La domanda di indennizzo è presentata dall’interessato alla ASL di residenza, la quale svolge l’istruttoria, verificando la completezza della documentazione allegata e il possesso dei requisiti previsti dalla legge.
Al termine della fase istruttoria, l’Azienda sanitaria invia il fascicolo alla Commissione medica ospedaliera (CMO) competente, che deve convocare a visita l’interessato.
È compito della CMO accertare l’esistenza del nesso causale tra l’infermità ed il vaccino, qualificare il grado di infermità e la tempestività di presentazione della domanda.
Il verbale della CMO è notificato al richiedente, che ha 30 giorni di tempo dalla notifica per presentare eventuale ricorso contro la decisione al Ministero della Salute.
L’importo dell’indennizzo è calcolato sulla base della tabella B allegata alla L. 177/1976 (come modificata dall’art. 8 L. 111/1984) rivalutabile annualmente e da una somma pari all’indennità integrativa speciale (L. 324/59 e D.P.R. n. 834 del 1981), anch’essa per la giurisprudenza soggetta a rivalutazione.
L’assegno di indennità è reversibile per 15 anni.
I danneggiati da vaccino obbligatoria possono presentare ulteriore domanda per ottenere un assegno una tantum, pari al 30% dell’indennizzo dovuto per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo.
In caso di successivo aggravamento dell’infermità già riconosciuta, l’interessato ha 6 mesi di tempo dalla conoscenza dell’evento per presentare all’Azienda sanitaria la domanda di revisione dell’indennizzo (art. 6 L. 210/1992)
Se invece emerge l’esistenza di un’ulteriore patologia direttamente connessa al vaccino, è possibile ottenere un indennizzo aggiuntivo per “doppia patologia”, di importo pari al 50% di quello previsto per la categoria corrispondente alla patologia più grave (art. 1 comma 7 L. 238/1997)
Se poi il danneggiato muore in conseguenza delle patologie per le quali è stato riconosciuto l’indennizzo, gli aventi diritto (coniuge, figli, genitori, fratelli) potranno presentare all’Azienda sanitaria di residenza del defunto, una domanda per ricevere un assegno una tantum, in unica soluzione o reversibile in 15 anni dell’importo di Euro 77.48, 53.
La L. 29 ottobre 2005, n. 229 (disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie) riconosce ai titolari di indennizzo per danno da vaccinazione obbligatoria, un ulteriore indennizzo, consistente in un assegno mensile vitalizio di importo pari:
A sei volte la somma percepita dal danneggiato per le categorie dalla prima alla quarta della tabella “A” annessa al testo unico in materia di pensioni di guerra (D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 ), e successive modificazioni, a cinque volte per le categorie quinta e sesta, a quattro volte per le categorie settima e ottava. Infatti, al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra di cui sono annesse diverse tabelle, tra le quali la tabella “A” relativa alle lesioni e le infermità che danno diritto a pensione vitalizia o ad assegno temporaneo.
La domanda in questo caso va presentata al Ministero della Salute (e non alla Regione) competente per l’istruttoria, che redigerà una graduatoria sulla base del criterio cronologico di presentazione delle istanze, dei parametri della gravità dell’infermità o delle difficoltà economiche dei richiedenti e dei loro nuclei familiari (D.M. 21/10/2009, n. 9).
Il decreto di liquidazione in caso di accoglimento della domanda, viene comunicato direttamente all’interessato.
Ferma la piena applicazione della L. 210/1992 a tutti i casi nei quali il vaccino Anticovid 19 è stato reso obbligatorio per legge, resta da valutare il profilo dei danni che dovessero eventualmente colpire le categorie attualmente non obbligate.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi più volte sull’argomento delle vaccinazioni raccomandate (C. Cost. n. 268/2017), e di recente, in pieno periodo pandemico, lo ha fatto con la sentenza 23 giugno 2020, n. 118.
Per la Corte di legittimità, non c’è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione, il cui comune obiettivo è quello di assicurare la più ampia immunizzazione, essendo “del tutto irrilevante, o indifferente, che l’effetto cooperativo sia riconducibile, dal lato attivo, a un obbligo o, piuttosto, a una persuasione o anche, dal lato passivo, all’intento di evitare una sanzione o, piuttosto, di aderire a un invito” (sentenza n. 107 del 2012).
Anche se “la raccomandazione” appare sempre preferibile sul piano politico “per la sua spinta “gentile”, (che) accompagna e favorisce lo sviluppo dell’autodeterminazione, benché anche questa spinta incida anch’essa in profondità sul processo formativo del volere nel consenso informato, senza la costrizione e l’extrema ratio dell’obbligo, aumenta la fiducia dei cittadini nella scienza e nell’intervento pubblico” (Cons. St. n. 7045/2021).
Le vaccinazioni raccomandate, invero, sono caratterizzate dalla presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore dei trattamenti vaccinali, idonee ad ingenerare un affidamento della popolazione nei confronti di quanto viene consigliato dalle autorità sanitarie, fatto questo che rende la scelta individuale di vaccinarsi come votata alla salvaguardia non di un interesse personale ma dell’interesse collettivo della comunità.
Atteso che il singolo ha aderito alla vaccinazione in ragione delle esigenze di solidarietà sociale, lo Stato deve farsi carico delle eventuali conseguenze negative della sua integrità psico-fisica; sarebbe ingiusto, invece, consentire che fossero i singoli danneggiati a sopportare il costo di un beneficio anche collettivo.
La Corte, ritenuto quindi che la funzione dell’indennizzo è quella di completare il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di salute, e che sia necessaria la “traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi” che conseguano al vaccino, ha stabilito che la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli art. 2, 3 e 32 della Costituzione.
All’indennizzo può essere aggiunto, peraltro, anche il risarcimento dei danni, nel caso in cui l’infermità subita dall’interessato sia imputabile al fatto colposo altrui.
Un caso può essere quello della responsabilità della casa farmaceutica, quando ad esempio il lotto vaccinale dal quale è stata estratta la fiala somministrata, sia risultato difettoso.
Sono generalmente due i rimedi esperibili a tutela del danneggiato.
- Azione di responsabilità per esercizio di attività pericolose
Il primo rimedio contro la casa farmaceutica è previsto all’art. 2050 c.c., “responsabilità per l’esercizio di attività pericolose”, nelle quali la giurisprudenza fa rientrare anche l’attività di vendita e somministrazione di vaccini e medicinali da parte delle aziende di farmaci
La responsabilità ex art. 2050 c.c. alleggerisce il danneggiato dell’onere della prova, dando luogo, secondo la prevalente interpretazione, ad una responsabilità oggettiva.
La prova del danno e del nesso causale deve essere fornita dal danneggiato, mentre la casa farmaceutica può liberarsi dalla responsabilità solamente dimostrando di “avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.
La Corte di Cassazione, sul punto, ha escluso la responsabilità della casa farmaceutica che fornisca la prova di avere osservato, prima della produzione e immissione sul mercato del farmaco, i protocolli di sperimentazione previsti dalla legge, e di avere fornito un’adeguata informazione circa i possibili effetti indesiderati dello stesso, aggiornandola – se necessario – in relazione all’evoluzione della ricerca (Cass. Civ. n. 6587/2019).
Con riguardo alla prova liberatoria dell’adeguata informazione, la Cassazione ha precisato anche che non basta una qualunque informativa, ma “è necessario che l’impresa farmaceutica svolga una costante opera di monitoraggio e di adeguamento delle informazioni commerciali e terapeutiche, allo stato di avanzamento della ricerca, al fine di eliminare o almeno ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi e di rendere edotti nella maniera più completa ed esaustiva possibile i potenziali consumatori ” (Cass. Civ. n. 6587/2019).
Il secondo rimedio contro l’azienda farmaceutica è previsto dal D.P. R. n. 244/1988.
Si tratta di norme a tutela del consumatore, che sanciscono la responsabilità extracontrattuale del produttore per il danno cagionato dal prodotto difettoso.
L’art. 4 prevede che il danneggiato fornisca la prova del danno, del difetto del prodotto e della connessione causale tra difetto e danno.
La prova del difetto (art. 117) comporta la dimostrazione che il prodotto non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenendo conto di tutte le circostanze tra cui:
- a) il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche
palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite;
- b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione
ad esso, si possono ragionevolmente prevedere;
- c) il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.
Altro profilo che interessa il danno da vaccino è quello relativo alla responsabilità del Ministero della salute.
La giurisprudenza ha escluso, in questo caso, l’applicabilità dell’art. 2050 c.c. e ha inquadrato la responsabilità del Ministero nell’art. 2043 c.c.
In particolare, perchè si configuri un risarcimento, in aggiunta all’indennizzo già dovuto per legge in caso di vaccinazione obbligatoria, è necessario fornire la prova che, all’epoca della somministrazione del vaccino, era conosciuta o conoscibile – secondo le migliori cognizioni scientifiche disponibili – la pericolosità dello stesso alla stregua di tali conoscenze.
Il rispetto del fondamentale principio di precauzione avrebbe imposto di vietare tale tipo di vaccinazione o di consentirla con rigorose modalità tali da minimizzare i rischi ad essa.