Dott. Mario Bentivegna
Reumatologo specialista in terapia del dolore e Coordinatore Rete Reumatologica Provinciale ASP 7 Ragusa
La patologia degenerativa della colonna vertebrale rappresenta una delle cause più frequenti di astensione al lavoro con un impatto notevole sulla spesa sanitaria nazionale.
Si calcola che l’80% degli adulti abbia almeno un episodio di lombalgia nella propria vita, complicato o no di sciatalgia. La fascia d’età più colpita è fra i 30 e i 50 anni.
Considerando esclusivamente i conflitti disco-radicolari da erniazione discale va
sottolineato come il 90% delle ernie si localizzi a L4-L5 ed L5-S1.
Negli ultimi anni sono stati complessivamente chiariti i meccanismi fisiopatologici del dolore lombare e le alterazioni anatomo-patologiche del complesso disco-articolare. Anche la storia naturale delle ernie discali è stata recentemente chiarita da studi prospettici longitudinali.
Il disco intervertebrale è costituito da fibre collagene immerse in una matrice di proteoglicani, glicoproteine e acqua, la cui diversa distribuzione e concentrazione dà origine a due componenti: il nucleo polposo al centro del disco e l’anulus fibroso perifericamente. Il nucleo polposo è una piccola massa gelatinosa, ovoide, che contiene il 90% di acqua, fibre collagene tipo II, immerse in un abbondante matrice di proteoglicani, racchiuso tra i rivestimenti di cartilagine ialina che ricoprono i piatti somatici e l’anulus fibroso. L’anulus fibroso è formato da collagene tipo I e II.
Il nucleo polposo è differenziabile dall’anulus solo nel giovane, mentre con l’invecchiamento vi è una progressiva perdita dei confini tra i due per invasione nel nucleo polposo da parte di fibre collagene tipo I. L’idratazione diminuisce soprattutto a livello del nucleo polposo e l’anulus comincia a fissurarsi. Anche la cartilagine ialina, va incontro a degenerazione, con comparsa di fissurazioni e di reazioni infiammatorie all’interno della spugnosa subcondrale.
L’invecchiamento precoce del disco può essere favorito da microtraumatismi ripetuti da fattori genetici e nutrizionali. Complessivamente quindi l’invecchiamento dell’unità disco-somatica comprende una disorganizzazione delle fibre dell’anulus, un riassorbimento del nucleo polposo, con conseguente riduzione dello spazio intersomatico e reazione ossea dei piatti vertebrali di tipo osteoaddensanteed osteofitosico.
L’ernia discale è per definizione la fuoriuscita di frammenti di nucleo polposo attraverso una breccia dell’anulus fibroso verso il canale vertebrale o il forame di coniugazione. Negli ultimi anni è insorta una certa confusione nella terminologia dell’ernia discale. Recentemente è stata proposta un’uniformità di linguaggio.
Ogni modificazionefocale del margine del disco deve essere considerata come ernia discale e differenziata dalla semplice protusione discale in cui non vi è una completa deiscenza dell’anulus, che ha una sporgenza armonica e non focale. La protusione corrisponde, infatti, ad una sporgenza globale dell’anulus dei piatti somatici.
La protusionecirconferenziale è sinonimo di degenerazione discale. Può essere delimitata, ma il raggio di curvatura è sempre più ampio di quello dell’ernia.
Le ernie discali possono essere classificate secondo tre criteri:
Rapporti con il legamento longitudinale posteriore
– ernia sottolegamentosa: corrisponde ad una migrazione del nucleo polposo attraverso una fissurazione radiale delle fibre dell’anulus, con sollevamento, ma senza rottura del legamento longitudinale posteriore. L’ernia può migrare superiormente od inferiormente al di sotto posteriore del legamento longitudinale posteriore rimanendo a contatto del muro posteriore del corpo vertebrale.
-ernia transegamentosa o estrusa; corrisponde al passaggio di materiale discale attraverso una lacerazione del legamento longitudinale posteriore. Il nucleo polposo erniato si mantiene in continuità con la porzione centrale del disco, oppure può staccarsi e successivamente migrare. Anche in questo caso l’ernia può risalire o migrare inferiormente.
-frammento libero: il nucleo polposo perfora la dura. Sono molto rare.
Topografia trasversale
– ernie mediane: sono più rare in quanto il legamento longitudinale posteriore ha un’azione di rinforzo sull’anulus. Sono responsabili di lombalgia, più raramente di lombosciatalgia mono o bilaterale.
-ernie paramediane o postero-laterali: sono le più frequenti a causa della maggior fragilità della parte laterale del legamento longitudinale posteriore. Sono responsabili di compressione radicolare monolaterale della radice emergente dal sacco durale.
-ernie laterali o foraminali: rappresentano il 5-11% dei casi, sono più frequenti ad L3-L4 ed L4-L5 e sono responsabili di compressione della radice nervosa che decorre al di sopra del disco all’interno del forame di coniugazione.
-ernie extraforaminali: possono produrre sintomatologia solo nel caso siano di grosse dimensioni.
-ernie anteriori che sollevano il legamento longitudinale anteriore.
Topografia verticale
-ernia migrata cranialmente
-ernia migrata caudalmente
-frammento libero
La sintomatologia legata alla presenza di un’ernia discale è variabile a seconda delle strutture coinvolte. La parte periferica dell’anulus anteriormente è fusa con il legamento longitudinale posteriore ed è innervata dal nervo ricorrente di Luschka; la compressione del legamento longitudinale posteriore da parte di un’ernia può essere causa di lombalgia. La correlazione tra sede e aspetto morfologico dell’ernia con la sintomatologia spesso non è precisa. La compressione della radice nervosa all’emergenza del sacco durale o nel forame di coniugazione è ritenuta responsabile della sintomatologia dolorosa che insorge come primo sintomo, seguita da parestesie o ipoestesie e, come ultima tappa, da deficit motori nel territorio innervato dalla radice motoria. Recentemente è stato tuttavia dimostrato che più l’effetto meccanico esercitato dall’ernia sulla radice nervosa, sono responsabili della sintomatologia dolorosa mediatori chimici rilasciati dal tessuto di granulazione che si forma intorno all’ernia.
L’ossigeno-ozono:
E’ ormai codificato l’effetto antalgico e antinfiammatorio dell’ozono con conseguente diminuzione con conseguente diminuzione dell’edema radicolare. Ma cosa succede o non succede a livello del disco, dell’ernia durante i trattamenti, e a distanza di tempo per ora lascia spazio solo a delle ipotesi. Per il momento non si è in grado di fornire una risposta a questo quesito. Tuttavia, ritengo che l’ozonoterapia agisca in modo determinante sui piatti vertebrali, terza componente dell’unità funzionale “disco intervertebrale”. Piatti vertebrali che, nell’adulto svolgono un’importante ruolo di tipo metabolico, consentendo la diffusione di sostanze nutrienti dalla spongiosa vascolarizzata dalla vertebre al disco, che nell’adulto è avascolarizzato. Tali scambi metabolici avvengono mediante diffusione di sostanze dalla spongiosa vertebrale al disco attraverso la parte centrale dei piatti cartilaginei.
Purtroppo la permeabilità di queste strutture cartilaginee diminuisce con il passare degli anni, e a partire dai 18-20 anni di età, comincia una graduale deposizione di Sali di calcio con progressivo riassorbimento dei piatti articolari e la loro sostituzione con tessuto osseo. Nel processo degenerativo discale, oltre all’invecchiamento dei piatti cartilaginei, intervengono fenomeni di senescenza e degenerazione degli spazi vascolari della spondilosa vertebrale: l’ispessimento di pareti di arteriole, capillari e venule, presenti nella spongiosa, rallenta il passaggio di sostanze dai vasi all’osso e quindi alla cartilagine ed al disco. Le conseguenze di questa serie di modificazioni, si ripercuote a carico del nucleo polposo che perde la sua plasticità e resistenza e diventando incapace di trasferire all’anulus le forze meccaniche trasmessegli dalle vertebre attraverso i piatti cartilaginei. L’ossigeno-ozonoterapia, migliorando la microvascolarizzazione locale a livello dei piatti vertebrali, garantendo, quindi un apporto metabolico adeguato e bloccando i fenomeni di degenerazione degli spazi vascolari della spongiosa vertebrale, sarebbe in grado di arrestare il meccanismo fisiopatologico della degenerazione discale. In conclusione, considerando globalmente i pazienti trattati con l’ossigeno-ozonoterapia, nel 70% dei casi si è ottenuto un risultato ottimale e questo risultato deve essere considerato come una spinta ulteriore verso la ricerca e la comprensione del meccanismo d’azione di questa terapia nei conflitti disco-radicolari.
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