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Cassazione, non serve la “Madia”: nella “Pa” valido il licenziamento per i furbetti del cartellino

Avv. Angelo Russo,
Avvocato Cassazionista, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario – Catania

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All’indomani (anzi, più correttamente, lo stesso giorno) del deposito della sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 25.11.2016 (con la quale sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi quattro articoli del Decreto Legislativo n. 116/16 (meglio noto come “Riforma Madia”) testate, anche autorevoli, hanno levato altissimi lai affermando, in sintesi, che la bocciatura della Corte Costituzionale avrebbe avuto un effetto paradossale e, cioè, che “gli statali assenteisti non potranno più essere licenziati per demerito, e chi è già stato licenziato può fare ricorso, vincerlo e tornare al posto di lavoro.”
Nel tritatutto dell’informazione di massa, che eleva Google a bussola del sapere, si è preferito cavalcare l’onda della notizia gossippara in luogo della lettura (assai più complessa e difficoltosa) della corposa sentenza della Corte Costituzionale che, sul punto relativo, absit iniuria verbis, ai “furbetti” del cartellino, non legittima, in alcun modo, l’idea che “gli statali assenteisti non potranno più essere licenziati per demerito.”
Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 25750 del 14 dicembre 2016) ha sancito che è valido il licenziamento del dipendente pubblico che si allontana senza timbrare il cartellino.
Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, il dipendente non aveva alterato il sistema posto a presidio del rilevamento della presenza né aveva chiesto ad un collega di timbrare l’uscita al suo posto; egli si era allontanato, senza alcuna autorizzazione, nello spazio temporale tra la timbratura d’ingresso e quella d’uscita, omettendo di registrare le timbrature intermedie, con correlata attestazione non veritiera sulla effettiva presenza nel posto di lavoro.
Nei due gradi di giudizio di merito, i Giudici avevano escluso che siffatta condotta potesse legittimare il licenziamento sul rilievo della non dimostrata sussistenza di modalità fraudolente da parte del dipendente.
L’Inps (ricorrente in Cassazione) assumeva, invece, che ai sensi dell’art. 55 quater del D. Lgs. 165/2001, “l’uso fraudolento delle apparecchiature atte a documentare la presenza sul luogo di lavoro e l’utilizzo alterato di queste ultime non si consuma solo nella commissione di condotte volte ad alterare fisicamente il sistema di rilevazione delle presenze ovvero nel far timbrare il cartellino da altri colleghi, ma anche nell’omessa registrazione dell’uscita dal luogo di lavoro e nella attestazione non veritiera sulla effettiva presenza sul luogo di lavoro.”
La Suprema Corte, condividendo il ragionamento dell’Inps, ha accolto il ricorso.
In particolare ha chiarito che “L’art. 55 quater c. 1 lett. a) del D. Lgs 165/2001 (nel testo applicabile “ratione temporis” alla vicenda dedotta in giudizio, realizzatasi prima delle modifiche introdotte dall’art. 3 c. 1 del D.Lgs 116/2016, “Riforma Madia”) sanziona con il licenziamento la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente e la giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia.”
L’iter argomentativo della Corte si fonda sul rilievo che “La chiara formulazione della disposizione ed anche la sua “ratio” (potenziamento del livello di efficienza degli uffici pubblici e contrasto dei fenomeni di scarsa produttività e di assenteismo), inducono ad affermare che la registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro è corretta e non falsa solo se nell’intervallo compreso tra le timbrature in entrata ed in uscita il lavoratore è effettivamente presente in ufficio, mentre è falsa e fraudolentemente attestata nei casi in cui miri a far emergere, in contrasto con il vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita.”
La condotta rilevante ai fini disciplinari si realizza, dunque “non solo nel caso di alterazione/manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita.”
La condotta di chi, allontanandosi dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza economicamente apprezzabili è, pertanto, “idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e costituisce, ad un tempo, condotta penalmente rilevante ai sensi del c. 1 dell’art. 55 quinquies del D. Lgs n. 165 del 2001.”
Ciò chiarito, la Corte di Cassazione precisa che utili elementi a conforto della innanzi esposta ricostruzione della condotta tipizzata dal legislatore nella lett. a) del c. 1 dell’art. 55 quater possono desumersi dall’art. 3 c. 1 del D.Lgs. n. 116 del 2016 (Riforma Madia).
Tale norma, invero, ha introdotto nell’art. 55 quater il comma 1 bis che dispone che “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.”
La Suprema Corte sottolinea, sul punto, che “se è innegabile che l’intervento additivo, sicuramente non qualificabile come fonte di interpretazione autentica, non ha efficacia retroattiva è, nondimeno, indiscutibile la potestà del legislatore di produrre norme aventi finalità chiarificatrici, idonee, sia pure senza vincolare per il passato, ad orientare l’interprete nella lettura di norme preesistenti, in applicazione del principio di unità ed organicità dell’ordinamento giuridico.”

In altre parole, indipendentemente dall’intervento operato con la “Riforma Madia”, la legittimità del licenziamento era, comunque, evincibile dal tenore letterale della disposizione dal quale non si ricava alcun elemento che consenta di affermare che nel passato la condotta tipizzata fosse individuabile nei soli casi di alterazione/manomissione del sistema di rilevazione delle presenze.

Un’ultima considerazione è doverosa.
E’ decisamente aberrante l’idea che possano fornirsi, ad una platea indistinta di persone, informazioni così superficialmente erronee tanto più pericolose quanto più legittimanti il convincimento che la “scorciatoia” della furbizia non sia produttiva di conseguenze negative per il pubblico dipendente.

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