Virgilio P. D.,PhD in Scienze Sociali e giuridiche, Pedagogista, Ricercatrice, Docente UNISOM
Vaccara A. ,Dirigente Scolastico MIUR, Docente, Studiosa Esperta di Formazione Continua
Pagano V.,Pedagogista, Educatore e Studiosa di Neuroscienze
Renda N., Psichiatra, Psicoterapeuta Università degli Studi di Parma
Abstract
Educational poverty is linked to the social, cultural and relational context that young people experience in their daily lives and it is connected to elements of discomfort concerning health, cognitive skills, relationship skills and values. In order to effectively combat educational poverty, specific actions are needed to ensure educational richness from the earliest years of a child’s life, both in the family and in the surrounding context. Nowadays, the phenomenon takes part in the political choices and it is considered a priority for the upcoming years (Marucci, M., &Porcarelli, C., 2022).
The recent Covid 19 health emergency has contributed to exacerbating the whole problem (Gozzelino, G., & Matera, F., 2021). Indeed, society has to deal with the explosion of problems such as mental distress among adolescents and pre-adolescents and the effects of social isolation on young people and families.
School closures, restrictions on activities imposed by the government and reduced interactions outside the home are measures that have caused a significant (and stressful) psychological impact on children and adolescents (Okuyama, J., et al., 2021).
Riassunto
Le povertà educative si legano al contesto sociale, culturale, relazionale che il giovane sperimenta nella sua quotidianità e si collega a componenti di disagio che riguardano la salute, le capacità cognitive, le capacità relazioni e i valori. Per contrastare efficacemente le povertà educative servono azioni capaci di garantire ricchezza educativa fin dai primi anni di vita del bambino sia in famiglia che nel contesto che la circonda. Il fenomeno ha, oggi, un posto nelle scelte politiche ed è considerato una priorità per i prossimi anni (Marucci, M., & Porcarelli, C., 2022).
La recentissima emergenza sanitaria da Covid 19 ha contribuito ad acuire il complesso problema (Gozzelino, G., & Matera, F. (2021).La società, infatti, fa i conti con l’esplodere di problematiche come il disagio mentale tra adolescenti e preadolescenti e con gli effetti dell’isolamento sociale su giovani e famiglie.
La chiusura delle scuole, le restrizioni alle attività imposte dal governo e le ridotte interazioni fuori casa, sono misure che hanno avuto un notevole impatto psicologico (stressante) su bambini e adolescenti (Okuyama, J., et al., 2021).
Premessa
Affrontare il complesso tema delle povertà educative implica la necessità di individuare i molteplici aspetti di un fenomeno estremamente articolato inferendone le diverse connotazioni, attraverso specifici determinanti, utili al fine di realizzare una mappatura che consenta un approccio sistemico al problema e alle sue ramificate conseguenze sui minori (Ruggeri, F. 2005).
Studi recenti evidenziano, infatti, la necessità di tener conto di diverse categorie di determinanti che permettano, andando oltre l’esclusiva considerazione della variabile economico-reddituale, di evidenziare ulteriori aspetti di vulnerabilità focalizzandosi su possibili elementi di rischio per l’insorgere di condizioni di patologia, malessere fisico o psichico.
Nella raccomandazione della Commissione Europea del 20 febbraio 2013 sul tema “Investire nell’infanzia” leggiamo dell’importanza di prevedere ed attuare strategie integrate volte a supportare le famiglie non solo provvedendo ad assicurare adeguati sostegni finanziari, ma promuovendo l’inserimento professionale dei genitori, tutelando i minori e il loro futuro attraverso la garanzia dell’accesso ai servizi essenziali, come un’istruzione (prescolare) di qualità, l’assistenza sanitaria, servizi nel settore degli alloggi e servizi sociali, e prevedendo l’offerta ai minori di occasioni di partecipazione alla vita sociale e di esercizio dei loro diritti al fine di promuovere pienamente la realizzazione del loro potenziale e aumentare la loro capacità di resistenza alle avversità.
Appare, pertanto, funzionale inquadrare lo studio delle diverse forme di disagio che hanno insorgenza concreta e quotidiana, su un orizzonte analitico che si dipana nell’area funzionale-organica, attraverso quella cognitivo-comportamentale e socioambientale-relazionale, fino a ricomprendere quella valoriale e spirituale.
L’incidenza e l’intensità della povertà vissuta da una popolazione viene, oggi, misurata con un indicatore composito, il MultidimensionalPoverty Index (MPI) che attraverso 3indicatori, ovvero la salute, l’educazione e lo standard di vita, consente di inferire i diversi tipi di privazione che gli individui sperimentano contemporaneamente. Ovviamente il valore di ciascun indice va valutato contestualmente ai valori degli altri 2 indici, al fine di poter esprimere una rilevazione esaustiva ed ecologica.
L’MPI, del resto, è positivamente correlato con l’indicatore AROPE usato da Eurostatal fine di migliorare la valutazione dell’aspetto multidimensionale della povertà e dell’esclusione sociale utilizzando tre indicatori: il tasso di rischio di povertà educative, il tasso di grave deprivazione materiale e il tasso di intensità di lavoro molto bassa, misurati sulla base di tre criteri: reddito, spese non monetarie e occupazione/lavoro. Nel dettaglio, però, si osserva che la correlazione tra l’AROPE e i sottoindici dell’MPI globale varia assestandosi su coefficienti più elevati nel caso dell’MPI-standard di vita (coefficiente 0,870), inferiori nel caso dell’MPI-salute (0,754)e decisamente più limitati nel caso dell’MPI-istruzione (0,275). (cit. Vignola et al. 2016). L’MPI-istruzione rileva, infatti, la povertà in relazione al livello di istruzione posseduto: nel target dei giovani tra 16 e 24 anni, ad esempio, l’indice si abbassa nei casi in cui non si frequentino i percorsi di istruzione superiore al termine della terza classe di scuola secondaria di primo grado, quindi, costituisce indicatore di «povertà educativa» il mancato adempimento del diritto/dovere formativo che, oggi, garantisce la frequenza scolastica fino a 16 anni e il conseguimento di almeno una qualifica triennale entro il 18 anno. Similmente, in relazione al target successivo, giovani dai 24 anni in su, è la mancata prosecuzione degli studi dopo il diploma a rappresentare un indicatore di povertà.
Di recente alcuni studi sostengono l’opportunità di aggiungere 33 potenziali indicatori per rafforzare l’MPI globale (Alkire, S., et al., 2021).
Ad ogni buon conto, l’MPI rappresenta un “metodo di conteggio” che consente di effettuare comparazioni tra paesi, regioni e nazioni e, all’interno dello stesso paese, fra le fondanti categorie caratteristiche di una comunità.
Così, gli indicatori pubblicati annualmente per ciascuna nazione consentono di mappare, appunto, una cartina delle povertà educative, evidenziando la situazione rilevata nei diversi paesi: ad oggi, hanno indici migliori Slovacchia, Danimarca, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Svezia, Lituania, Austria, Lettonia; mentre hanno indici peggiori e, quindi, un più alto livello di povertà educativa, Portogallo, Malta, Italia, Spagna, Grecia.
La presente ricerca non si interroga, dunque, su quale logica risulti più idonea per porre in essere interventi adeguati e proficui relativamente al complesso fenomeno delle povertà e, nello specifico, delle povertà educative, poiché, l’approccio multidisciplinare consente la rilevazione di una ricca molteplicità di elementi di valutazione e di inferire conseguentemente la complessità della realtà. Ci si propone, invece, partendo dai dati dell’evidenza scientifica, di valutare i nessi tra le povertà educative e le condizioni psicologiche ed esistenziali di maggiore vulnerabilità nella vita del minore(Yoshikawa H., et al., 2012), trattando delle possibili ripercussioni che esitano in fenomeni di disagio giovanile e malesseri mentali.
Partendo dall’assunto che non vi è proficuità nel pensare alle povertà educative come la mancanza di qualcosa, si ritiene significativo focalizzare l’attenzione sui problemi che dalle povertà derivano e sulle potenzialità di interventi specifici e di prevenzione. Ferma è la convinzione che solo approcci di studio, ricerca e intervento dialoganti, sinergici e coordinati consentano considerare come facce di una stessa medaglia “limiti e potenzialità” per ottenere esiti positivi e, soprattutto, verificabili(Canali C. e altri, 2011) funzionali, anche, a sollecitare idonee politiche governative incisive e sostenibili.
Status socio-economico e sviluppo neurocognitivo
La relazione tra povertà e salute dei bambini è affrontata da studi e ricerche recenti che hanno consentito, a titolo di esempio, di associare nella popolazione scolare condizioni reddituali molto basse e un volume ridotto di materia grigia nelle strutture subcorticali (ippocampo e amigdala) e, anche, in regioni corticali che supportano l’elaborazione del linguaggio e il funzionamento esecutivo (Merz et al., 2017).
Studi, recenti, condotti in Gran Bretagna, riferiscono di indagini in rapporto a diverse condizioni di povertà, compresa quella relativa al reddito e alla deprivazione materiale; uno studio, in particolare, evidenzia un’associazione dei vari determinanti, nel breve termine, a forme di ritardo e di scompenso con riferimento in particolare all’obesità, all’asma e alla carie dei denti; nel lungo periodo, invece, a una maggiore incidenza di malattie mentali e cardiache; i dati raccolti hanno rilevato una correlazione anche relativamente alle morti premature (Wickham et al., 2016).
In altri studi, anche i livelli di stress materno per effetto, per esempio, di persistenti difficoltà economiche risultano influire sulla sfera sociale, emotiva e comportamentale dei figli, mentre il più forte predittore dello sviluppo cognitivo dei bambini è il livello di istruzione dei genitori correlato, insieme all’educazione, con il volume di alcune aree corticali in età compresa tra i 4 e i 18 anni. Anche il nutrimento che i genitori assicurano ai figli influisce sullo sviluppo volumetrico dell’ippocampo e, di conseguenza, sulla memoria a breve e lungo termine in età compresa tra i 4 e gli 8 anni. Significativa appare, anche, la correlazione appurata da evidenze scientifiche tra la crescita dell’area frontale e parietale del cervello nei bambini in età compresa tra 1 mese a 4 anni, nonché con lo sviluppo volumetrico nell’ippocampo e nell’amigdala (emozioni) in età compresa tra i 4 e i 22 anni e il reddito e il livello di istruzione della madre. Approfondire le relazioni tra povertà e salute si pone, dunque, non solo come strumento di individuazione dei possibili determinanti sociali dei problemi di salute, ma come impulso alla riconnessione, in un processo virtuoso, di diagnosi, prognosi e interventi(Blanden J. e Machin S., 2010; Sullivan A. e Brown M., 2014; Hair N.L. e altri, 2015; Noble K.G. e altri, 2015b; Veltro, F., et al., 2020).
Nuove sfide ai sistemi sanitari saranno poste proprio dalla correlazione tra la persistente povertà legata all’insufficiente capacità educativa, all’inadeguata alimentazione, alle sfavorevoli condizioni socio-ambientali, e alle conseguenze dai risvolti patologici. Ciò, infatti, costituisce un fenomeno rilevante sul piano clinico ed epidemiologico, a fronte del quale diventa necessario attuare una revisione delle pratiche sanitarie affinché, attraverso un approccio ecologico alla persona, possa essere garantito un contrasto più efficace di quello che esita dall’adozione di strategie compensatorie attraverso il supporto farmacologico o prestazionale(Racine,2016).
Gli studi psicologici e neuroscientifici confermano le conseguenze delle povertà educative sullo sviluppo cognitivo, sulla salute mentale, emozionale e comportamentale.
Per meglio chiarire la correlazione tra povertà educative e sviluppo cognitivo, successo scolastico, prospettive educative e di successo in età adulta, diversi ricercatori hanno confrontato paradigmi neurocognitivi per i bambini, come la capacità di attenzione, la memoria a breve termine, la consapevolezza fonologica, la capacità di prendere decisioni, con i diversi livelli di status socio-economico SES(Urashe A. e Noble K.J., 2016). È possibile affermare che le evidenze scientifiche registrano effetti duraturi delle esperienze di povertà, anche di breve durata, nella prima infanzia e un’incidenza sullo sviluppo cognitivo e non cognitivo (Lazzari A. e Vandenbroeck M., 2013).
Lo status socio-economico (SES) consente di valutare sulla scorta di 3 indici, reddito, livello di istruzione, occupazione dei genitori, gli effetti della deprivazione materiale consentendo di stabilire una correlazione inversamente proporzionale, durante i primi 20 anni di vita, tra livello socioeconomico e i disturbi di apprendimento ed il tasso di abbandono scolastico (Bradley R.H. e Corwyn R.F., 2002;Scialdone A., & Padova P., et al., 2020).
Infatti, alcuni studi, dimostrano come ilSES e lo sviluppo cerebrale in aree rilevanti e sensibili che interessano la memoria, le emozioni, le funzioni cognitive, le abilità linguistiche siano correlati; quelli che definiamo «mediatori ambientali» (Johnson et al. 2016) come, ad esempio, la mancanza di nutrimento biologico e mentale, la mancanza di giocattoli e di qualcuno con cui giocare, le carenze comunicative e linguistiche, lo stress sperimentato in presenza di conflitti familiari, la mancanza di cura e decoro oil sovraffollamento dell’ambiente domestico, sono forieri di nocumento per lo sviluppo dei minori sul piano relazionale ed emotivo.
È importante sottolineare come alcuni dei determinanti considerati, come ad esempio lo stress provocato da relazioni familiari poco serene, incidono anche sui bambini appartenenti alle famiglie abbienti, ma ciò che differisce sostanzialmente è la vulnerabilità agli effetti sfavorevoli sulla salute dei predetti fattori di rischio: i bambini «poveri» sono più esposti a taluni determinanti e possono contare su minori risorse per attutirne la severità degli effetti.
L’attenzione degli studiosi si focalizza sulla valutazione della possibilità di prevenire l’impatto delle povertà educative nella sfera cognitiva e comportamentale e, contestualmente sulla reversibilità dei processi neurocogniti viavviati. Studi longitudinali che consentono una visione diacronica di tali processi, permetteranno una migliore conoscenza dei «mediatori» tra povertà e sviluppo cognitivo e consentiranno di ottenere informazioni cruciali sull’eventuale reversibilità degli stessi. Inoltre, studi suggeriscono che“l’intelligenza emotiva ha un ruolo di essenziale importanza nella promozione e prevenzione della salute mentale dei giovani”(Cooper K. e Stewart K., 2013; Johnson et al. 2016;Veltro, F.,et.al., 2020).
Alcuni studi longitudinali, DALSC (DanishLongitudinalSurvey of Children) e CRESCERE(Barbero Vignola G. et al., 2016), ci consentono di evidenziare la correlazione tra le povertà educative e la sfera relazionale, evidenziando l’importanza della costruzione di un rapporto dialogante tra genitori e figli e della comprensione da parte dei genitori di quanto attiene l’educazione e la crescita dei propri figli. Ciò in ragione del fatto che questo fondante rapporto con i genitori consente di sperimentare la percezione di essere protetti e supportati, sviluppare fiducia in se stessi e autostima.
Un ulteriore fondante rapporto è quello che i ragazzi sviluppano a scuola quando il contesto può essere vissuto come luogo in cui star bene, studiare per crescere e non solo per imparare. Infatti, quando si sperimentano esperienze positive di successo formativo e si ottengono risposte adeguate ai propri bisogni(Lucisano, P.,et al., 2018), benessere e motivazione si alimentano a vicenda innescando un circuito virtuoso. Buone pratiche in tal senso sono registrate da molteplici studi e ricerche in ambito psico-pedagogico.
Conclusioni
È opportuno richiamare, se pur brevemente, una riflessione, anche sul ruolo della spiritualità nell’ambito delle povertà educative. Ad oggi, esiste poca letteratura sul tema relativamente al bambino e all’ adolescenza. Molti studi, infatti, fanno riferimento agli adulti e alla religione, ma non al tema più vasto che lega valori e spiritualità (Rich Y. e Cinamon R.G., 2007). Riteniamo queste dimensioni importantissime per la salute e il benessere di ogni persona. Ogni individuo lo sperimenta in modo diverso e lo vive nella cultura, nella storia familiare, nei contesti in cui vive. Una interessante ricerca evidenzia come, in un gruppo di adolescenti intervistati, “la spiritualità non è solo trascendenza, ma anche una modalità per comprendere gli altri e il mondo intorno, dove sviluppare comportamenti, scelte, guardando al futuro”(King et al., 2014)
Nonostante le poche ricerche, è possibile identificare, nelle fasi di vita di un bambino, alcune connessioni spirituali sin dalla vita nell’utero materno. Questa esperienza potremmo definirla di “connessione”oltre che di protezione. Nelle fasi successive alla nascita è possibile evidenziare, invece, l’esperienza dell’attaccamento, quella della cura, della fiducia e dell’amore percepito. Anche le fasi successive in cui il bambino sperimenta l’appartenenza, l’altro e i valori sociali sono individuabili come esperienze spirituali.
Considerando la relazione come vissuto spirituale possiamo pensare ai rapporti tra figli e genitori come esperienza spirituale che influenza la crescita e non possiamo non tener conto di momenti come quelli del gioco o del disegno in cui i bambini esperiscono la realtà che li circonda ed esprimono la loro percezione di essa. È vero, del resto, che l’individuo ha bisogno di esplorare i modi con cui la spiritualità consente la visione e comprensione dell’umanità, delle relazioni con gli altri e dell’ambiente circostante, nel silenzio e nell’esuberanza (Bezzeet al., 2014). Queste due visioni ci inducono a determinare che la spiritualità nel bambino o nell’adolescente, la si incontra nei luoghi e nei momenti in cui egli vive il suo essere al mondo(Milan G., et al., 2016).Un mondo, quello di oggi, globale, veloce, virtuale, che circonda e ingloba, che rischia di impoverire e trasformare il bene potenziale in deprivazione esistenziale.
In futuro sarebbe importantissimo investire in ricerca sullo sviluppo del cervello nel feto e nei primi giorni di vita post natale. Per esempio, studi su stati depressivi materni in gravidanza riferiscono una compromissione funzionale di amigdala e corteccia pre-frontale nei figli. Posnerha evidenziato che gli effetti sono gli stessi sui bambini cresciuti in un contesto socio-economico basso (Posner et al., 2016). Inoltre, un reddito basso e uninadeguato supporto sociale sono fattori di rischio depressione in gravidanza (Lancaster et al., 2010). Sarebbe, pertanto, interessante studiare se e come le variabili socio-demografiche dei genitori possano influenzare losviluppo neurale del figlio già durante la vita intrauterina oltre che prenatale.
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