Dott.ssa Annamaria Venere
Sociologa Sanitaria, Criminologa Forense,
Amministratore Unico: AV eventi e formazione, Catania
Introduzione
La crisi sanitaria legata al coronavirus ha evidenziato come le professioni sanitarie (infermieri, medici, operatori sociosanitari, ecc.) siano tra le più cruciali e impegnative da svolgere, ma anche tra le più stressanti e rischiose dal punto di vista psicosociale (CNOP, 2020). Il lavoro di un professionista della salute richiede una grande capacità di adattamento, resilienza e gestione dello stress; in assenza di queste risorse, il rischio di burnout e di altri disturbi psicologici aumenta in modo significativo (Petyx et al., 2008).
A supporto di tale affermazione, sotto un profilo statistico, una ricerca condotta nel 2020 da Medscape ha confermato che il 42% dei medici statunitensi considera il proprio lavoro estremamente stressante; percentuali simili sono riscontrabili in Europa, dove circa il 43% degli operatori sanitari afferma di soffrire di disturbi ansiosi legati al lavoro (Celso Arango et al., 2018). Per quanto riguarda il contesto italiano, in particolare, a causa della carenza di personale e dell’intensificazione delle richieste imposte dalla pandemia di COVID-19 (CNOP, 2020), nonché delle restrizioni socio-sanitarie introdotte a livello politico, la percentuale di operatori sanitari che denuncia livelli elevati di stress sale addirittura al 63%, con punte che toccano il 71% negli ultimi due anni (Conti, 2022).
Per comprendere meglio questo fenomeno, i disturbi specifici che ne possono derivare e le possibili soluzioni da adottare, è importante analizzare i fattori che contribuiscono maggiormente al rischio psicosociale sul posto di lavoro di un professionista sanitario. Tra questi, vanno considerati quelli psicologici e sociali.
All’origine del rischio psicosociale
Quando si riflette sui fattori psicologici, è necessario fare riferimento alle credenze, alle aspettative personali, ai modelli di pensiero e alle strategie di coping che un sanitario, ma non solo, adotta nel proprio contesto lavorativo. Ad esempio, alcuni possono nutrire aspettative irrealistiche o perfezionistiche riguardo a sé stessi e al proprio lavoro, in particolare quelli che si trovano alle prime esperienze. Quando si confrontano con una realtà più complessa e difficile da gestire, possono provare un senso di delusione o fallimento nel non riuscire a soddisfare le aspettative che si erano precedentemente impostate. Questo fenomeno può condurre a sintomi di stress e ansia.
Lo stesso discorso vale per le strategie di coping, necessarie per gestire lo stress: la loro carenza può incidere in modo significativo sul rischio psicosociale di un individuo (Di Bisio, 2009).
Mentre i fattori psicologici agiscono prevalentemente a livello interiore, i fattori sociali intervengono con modifiche esterne, sia positive che negative. I professionisti che dispongono di una solida rete di supporto sociale, come amici e familiari, tendono ad avere una maggiore capacità di far fronte allo stress lavorativo. Allo stesso modo, un buon ambiente di lavoro che promuove la condivisione delle informazioni e l’apertura al dialogo favorisce il coinvolgimento dei professionisti, contribuendo a ridurre il rischio di burnout (Di Bisio, 2009).
Parallelamente, l’organizzazione del lavoro è un altro fattore che può influenzare la salute mentale dei lavoratori. Un carico di lavoro eccessivo o irregolare, la carenza di risorse adeguate e la mancanza di autonomia decisionale possono aumentare considerevolmente il rischio di stress. Ma quali sono i disagi che derivano da un elevato rischio psicosociale per un professionista sanitario?
Rischio psicosociale e possibili disturbi
Il burnout rappresenta una forma di stress lavorativo estremo, favorito da un senso di esaurimento emotivo, una ridotta realizzazione personale e un cinismo nei confronti del proprio lavoro. Gli operatori sanitari ne sono particolarmente esposti a causa della natura altamente impegnativa e delle responsabilità legate alle loro mansioni.
La sindrome da stress da lavoro correlato (STS), invece, è caratterizzata da persistenti sintomi ansiosi, che può avere un impatto significativo sulla salute e sulla qualità della vita. In particolare, la STS può manifestarsi a seguito di esperienze traumatiche sul luogo di lavoro, come in situazioni di emergenza o la cura di pazienti gravi o terminali. È importante sottolineare che i rischi psicosociali non riguardano solo i professionisti sanitari in senso stretto, ma anche coloro che lavorano in altri settori ad alta intensità di impegno e attenzione, come i soccorritori e i militari.
Il professionista che presenta questi disturbi, può sperimentare gli effetti anche sul piano familiare e nelle relazioni sociali quotidiane. Di conseguenza, la qualità complessiva della vita può risultare significativamente compromessa.
Quelle soluzioni che tutti sanno, ma pochi applicano
Molte sono le misure che, in teoria, potrebbero essere adottate a scopo preventivo. Numerosi sono i racconti di operatori sanitari che vorrebbero e potrebbero fare di più, ma che non riescono a farlo a causa delle difficili condizioni sociosanitarie attuali, in particolare in Italia: carenza di personale, turni massacranti e inadeguatezza delle strutture. Nulla di nuovo, soprattutto nell’epoca post-pandemia. Il coronavirus aveva messo in evidenza le criticità su cui era necessario intervenire, sia a livello istituzionale che operativo (CNOP, 2020), ma con il diminuire dell’emergenza sanitaria, anche la questione del rischio psicosociale sanitario sembra essere passata in secondo piano.
In generale, le organizzazioni e le istituzioni sanitarie dovrebbero attuare programmi di prevenzione e intervento volti a garantire la salute e il benessere dei propri dipendenti. Questi programmi potrebbero includere il sostegno psicologico, l’accesso alle risorse per la gestione dello stress, la formazione sulla gestione dello stress e la promozione di un ambiente di lavoro sano e sicuro. Tali iniziative dovrebbero prevedere sessioni di terapia individuale o di gruppo, nonché programmi di coaching e di sviluppo personale. Inoltre, le organizzazioni sanitarie potrebbero offrire formazione specifica sulla gestione dello stress e sull’autocura, per supportare i dipendenti nel mantenimento di un buon stato di salute mentale.
La sensibilizzazione e l’educazione pubblica, anche se implementate, potrebbero non essere sufficienti a tal fine. È necessario un intervento sistemico, a livello sanitario, lavorativo, politico e amministrativo, affinché si possa sviluppare una nuova concezione di salute e di lavoro sanitario, che integri il benessere mentale di chi fornisce tali cura.
Bibliografia
Celso Arango, M.D., Covadonga, M.D., Sommer, E.I., Vorstman, J.A., Rapaport, J., McGorry, P. (2018). Preventive strategies for mental health, The Lancet, May.
Consiglio Nazionale Ordine Psicologi (2020). Gestione dello stress e prevenzione del burnout negli operatori sanitari nell’emergenza Covid-19, Inail.
Conti, L. (2022). Medici stanchi e stressati, rapporto di fiducia con i pazienti compromesso. La Fnomceo accende i riflettori sulla “Questione Medica” e lancia un Manifesto in 20 punti con i sindacati “per una nuova assistenza sanitaria”, Quotidiano Sanità, 21 Aprile.
Di Bisio, C. (2009). I rischi psicosociali, in Psicologia della sicurezza sul lavoro. Rischio, benessere e ricerca del significato, Giunti, Milano.
Medscape (2020). National Physician Burnout & Suicide Report 2020, in https://www.medscape.com/slideshow/2020-lifestyle-burnout-6012460.
Petyx, M., Deitinger, P., Persechino, B., Valenti, A., Iavicoli, S. (2008). Stress e burnout. Come riconoscere i sintomi e prevenire il rischio, ISPESL, Roma.