Dr. Massimo Agnoletti
Psicologo
Dottore di ricerca
Esperto di stress e
Psicologia positiva
Titolare del Centro di Benessere Psicologico
Favaro Veneto (VE)
Abstract
Telomere and telomerase’s scientific research has shown how what we call aging process does not possess characteristics that distinguished the old paradigm characterized by being an exogenous, passive and irreversible process.
Implications resulting from the new aging paradigm mark a dramatic change in our health, well-being, quality of life as well as our longevity.
La ricerca scientifica sui telomeri e la telomerasi ha dimostrato come ciò che chiamiamo processo di invecchiamento non possiede le caratteristiche che contraddistinguevano il vecchio paradigma caratterizzato dall’essere un processo esogeno, passivo ed irreversibile.
Le implicazioni conseguenti il nuovo paradigma relativo l’invecchiamento segnano un cambiamento drammatico per quanto riguarda la nostra salute, il benessere la qualità di vita oltre che la nostra longevità.
Introduzione
Pochi anni fa il principale concetto d’invecchiamento cellulare e psicofisico umano consisteva nel considerarlo come un progressivo accumulo di problematiche cellulari che con il passare del tempo diminuivano la funzionalità della cellula, e di conseguenza dell’intero organismo, per effetto di una graduale degradazione delle strutture biomolecolari implicate.
In altri termini, dinamiche quali lo stress ossidativo, l’accumulo sempre più frequente di errori di copiatura del DNA cellulare ed altri fenomeni legati al secondo principio termodinamico per cui nel tempo globalmente aumenta sempre l’entropia e quindi la disorganizzazione di strutture complesse come i sistemi viventi, conducevano ad una visione dell’invecchiamento come un processo passivo, irreversibile ed imposto da fattori esterni all’organismo (esogeno).
Queste tre parole (“passivo”, “irreversibile” e “esogeno”) identificano il concetto di invecchiamento come inteso da centinaia di anni ma, come vedremo tra poco, possiamo attualmente affermare che abbiamo solide evidenze scientifiche che mettono in serio dubbio ciascuna di queste caratteristiche ed il concetto stesso di invecchiamento associato ad esse.
Solo negli ultimi vent’anni, con l’intensificarsi delle conoscenze relative i telomeri(le strutture all’apice dei cromosomi che hanno la funzione di proteggere strutturalmente il materiale genetico), il paradigma di riferimento relativo il concetto di invecchiamento cellulare ha cominciato ad essere sempre più incoerente con le evidenze scientifiche che si stavano accumulando lasciando il posto ad un concetto molto più complesso ed articolato.
In estrema sintesi si è scoperto che i telomeri sono una successione ripetitiva di basi (i “mattoncini” che compongono il DNA) che non sono codificate (non vengono quindi “tradotte” in aminoacidi e successivamente in proteine) molto importanti per definire l’età biologica della cellula.
Le ricerche condotte soprattutto dai premi Nobel Elisabeth Blackburn, Jack W. Szostak e Carol Greider hanno chiarito il ruolo dei telomeri e, utilizzando una metafora molto usata nel settore, potremmo dire che si è capito che così come i finali di plastica (i “cappuccetti”) dei lacci delle scarpe servono per preservare la struttura stessa dei lacci scongiurandone lo sfilacciamento, i telomeri hanno la funzione di evitare che il contenuto di DNA immagazzinato nei cromosomi perda la propria struttura scomponendosi in tanti filamenti decretando quindi la morte cellulare derivata dall’irreversibile incapacità di recuperare le informazioni genetiche.
Sfruttando la metafora appena menzionata, possiamo dire che gli studi successivi hanno anche compreso che ad ogni replicazione cellulare questi finali di plastica si accorciano per effetto del processo stesso di copiatura dell’informazione genetica e, se inizialmente (dal momento della cellula fecondata) i telomeri dispongono di circa 20 mila coppe di basi di DNA, già nel momento del parto queste strutture sono composte da circa 15 mila basi ma nel momento in cui questo quantitativo arriva a circa 5 mila basi succede che la struttura dei telomeri non è più sufficiente a garantire la struttura del cromosoma.
Quando i telomeri si accorciano fino ad arrivare a circa 5 mila basi, i “cappucci” molecolari del nostro cromosoma sono talmente deteriorati che avviene lo sfilacciamento dell’informazione genetica e la conseguente morte cellulare che, a livello di organismo pluricellulare come una persona, viene espressa come una progressiva perdita di funzionalità da prima localizzata ma che con il coinvolgimento esteso a sempre più cellule, compromette la funzionalità di tessuti ed organi fino a determinare la morte dell’individuo.
Attualmente la lunghezza dei telomeri è considerata l’orologio biologico cellulare più preciso ed affidabile che conosciamo proprio perché analizzando e misurando la lunghezza residua dei telomeri,a parità di altre condizioni, possiamo prevedere statisticamente la longevità residua cellulare e quindi dell’intero organismo.
Come in un orologio analogico le lancette si muovono in una direzione, a ogni divisione cellulare avviene un avanzamento del nostro orologio biologico; dopo circa quindici mila di questi avanzamenti l’orologio si ferma stabilendo la morte cellulare.
Già lo studioso LeonardHayflick negli anni Sessanta del Novecento aveva dimostrato che esiste un limite massimo al numero di replicazioni che una cellula somatica può eseguire (il noto “limite di Hayflick”) notando che una cellula “giovane” aveva una capacità residua di duplicarsi molto superiore rispetto una più “vecchia”. Come dire l’orologio biologico cellulare ha un quantitativo massimo di ticchettii e grazie alla recente scienza dei telomeri adesso conosciamo anche il meccanismo molecolare attraverso il quale funziona questo orologio.
Naturalmente, come sappiamo anche dalla semplice osservazione clinica ed anche più generale, la velocità con la quale avviene questa mortale progressione varia a causa di molti fattori e, grazie alle scoperte ancora più recenti sui processi telomerici sappiamo anche perché.
Grazie al lavoro pioneristico di scienziati tra i quali il dr. Bill Andrews, che ho l’onore di conoscere personalmente, ed il suo gruppo di ricerca alla Geron corporation si è anche capito che i telomeri sono supportati da uno speciale enzima (detto “telomerasi”) che parzialmente ripara i telomeri stessi aggiungendo basi alla loro struttura e quindi allungandoli.
Usando le metafore appena citate, potremmo dire che la natura ci ha dotati di speciali “macchinette” biologiche che riparano la plastica dei “cappuccetti”dall’usura o che il nostro orologio muove le lancette più lentamente quando i processi di telomerasi sono attivi.
Mentre alcuni fattori “accelerano” l’accorciamento dei telomeri perché riducono l’azione di ricostruzione operata dalla telomerasi (pensiamo al fumare, al dormire poche ore, la sedentarietà, soffrire di stress cronico, il rimuginio frequente, la depressione, alimentarsi scorrettamente, etc.) altri fattori “rallentano” l’accorciamento standard telomerico dovuto alla replicazione cellulare perché attivano più efficacemente la telomerasi (meditazione, una regolare attività motoria, una corretta nutrizione, etc.).
Di particolare rilievo sia per la magnitudo del potenziale impatto epigenetico sui telomeri (circa 13 anni di longevità) che per le conseguenze sul modo di concepire l’interazione mente-corpo, sono da notare gli studi della dott.ssa Blackburn e della dott.ssa Epel (Blackburn, 1990; O’Donovan, 2009; Jacobs et al., 2011) in merito lo stress cronico, le differenti modalità di gestirlo e l’atteggiamento mentale.
Segnando una svolta epocale nel settore della psicologia ho coniato il termine Psicologia Epigenetica (Epigenetic Psychology) per identificare quello specifico settore di studi scientifici che si focalizzano proprio sull’influenza epigenetica derivante dai fattori psicologici cognitivi, emotivi e motivazionali (Agnoletti, 2018).
L’orologio in tutti questi casi citati compie sempre i propri spostamenti nella solita direzione ma vi è una grande variabilità sulla velocità con la quale avvengono i ticchettiidelle lancette.
A causa di un effetto quantitativo relativo l’impatto dei fattori psicocomportamentali e nutrizionali appena citati sulla capacità di ricostruire i telomeri, è possibile quindi temporaneamente accelerare o rallentare il consumo telomerico ma rimane irrealizzabile invertire il processo determinando un allungamento dei telomeri stessi.
Esiste anche la possibilità teorica (esplorata da più di un laboratorio di ricerca a livello mondiale ma soprattutto dal biologo molecolare dr. Bill Andrews) di aumentare l’efficacia della telomerasi al punto di invertire, anche se temporaneamente, il processo di consumo dei telomeri allungando quindi i telomeri.
Per ora ci sono già evidenze di quest’applicazione ma sono per adesso limitate a tessuti cellulari umani e a roditori ma i risultati sono molto promettenti perché smentiscono l’ipotetica correlazione tra l’alta attività della telomerasi e un presunto sviluppo tumorale mai dimostrato (Andrews & Cornell, 2017).
Tornando alla metafora dell’orologio, le lancette non solo possono rallentare il loro corso fino a fermarsi ma anche, temporaneamente tornare indietro.
E’ chiaro qui che le implicazioni relative il concetto di invecchiamento sono davvero rivoluzionarie e ricche di implicazioni ancora da esplorare nelle ricadute individuali e sociali che potenzialmente possono comportare.
Esistono già delle cellule che non invecchiano accorciando i loro telomeri infatti le cellule sessuali che contribuiscono a generare una cellula fecondata hanno una telomerasi talmente attiva che compensa interamente l’accorciamento telomerico dovuto alla loro replicazione.
Questo spiega, infatti, come, dalla riproduzione sessuale di un organismo che già possiede un limitato numero di longevità residuo (nella specie umana, infatti, si è potenzialmente riproduttivi, solo dopo molti anni dalla nascita) ci sia sempre la possibilità di generare una cellula, che nel tempo si differenzierà in trilioni di cellule prodotte da essa, che inizialmente possiede il massimo di longevità residua evitando il problema di “ereditare” la longevità residua parentale.
Come abbiamo visto le implicazioni di queste dinamiche della biologia molecolari sono assolutamente pervasive e riguardano il nostro concetto d’invecchiamento non solo dal punto di vista strettamente biologico ma anche psicosociale e culturale.
La specie umana si trova per la prima volta nella sua storia a comprendere che quello che prima era inteso come un fenomeno passivo, dettato da fattori esterni e irreversibile ha una natura molto diversa: attiva, determinato dai processi molecolari delle nostre cellule ed in parte reversibili.
Una delle conseguenze di questa nuova concezione dell’invecchiamento è considerarlo più come un processo che può essere compensato, mitigato o curato in maniera analoga ad altri processi invalidanti come l’osteoporosi o il diabete o l’Alzheimer.
Anche se culturalmente è difficoltoso accettare una versione così radicalmente distante da ciò che consideriamo comunemente per invecchiamento, la conoscenza scientifica ci presenta oggi una realtà moltopiù complessa che, in misura senza dubbio notevolmente maggiore rispetto a prima, riconducealla nostra capacità di compiere delle scelte consapevoli gran parte dell’esito della nostra vita.
La responsabilità che deriva da questa visione dell’invecchiamento è un fattore assolutamente più impattante rispetto il passato perché una volta che questi processi saranno culturalmente accolti, i processi decisionali personali e sociali non potranno esserne indifferenti.
Il potere potenziale di controllare anche questi aspetti delle nostre vite determineranno delle dinamiche sia biologiche che psicologiche che socio-culturali ancora da esplorare ma senza dubbio, almeno in parte, saranno diverseda quelle precedenti.
I potenziali effetti placebo/nocebo relativi la capacità/possibilità di modificare l’assetto genomico dei nostri telomeri avrà un grande impatto sul nostro benessere psicofisico e la nostra longevità oltre alla nostra qualità di vita.
Bibliografia
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