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Una impetuosa transizione di genere attraversa la sanità italiana con un impatto non inferiore a quella demografica ed epidemiologica. Oggi la sanità è donna, grazie ad una crescita, numerica e professionale, costante al punto da divenire già maggioranza tra i nuovi medici.
Questo fenomeno – commenta il segretario nazionale Anaao Assomed Costantino Troise – tarda però ad entrare nelle proposte strategiche delle organizzazioni, comprese quelle sindacali, fino a rappresentarne una parte essenziale e costitutiva per dare anche una compiuta visione di genere ad esigenze e legittimi interessi di categorie professionali in rapida mutazione.
Una visione di genere che occorre assumere nei contratti di lavoro, nelle leggi, nella prassi che non possono rimanere quelle di dieci anni fa, arroccate a vecchi paradigmi, come se la crescita delle donne fosse semplicemente un fenomeno di costume.
Spetta a tutti assumere l’impegno di rileggere teoria e prassi delle organizzazioni alla luce della differenza di genere e far sì che cresca la rappresentanza e la partecipazione delle nuove intelligenze professionali.
L’ingresso delle donne in medicina non è neutro, ma portatore di domande che obbligano a ragionare su modifiche dell’organizzazione del lavoro positive per tutti, a pensare a nuovi modelli che recuperino i valori professionali ed i tempi di vita, che si prendano cura del nostro lavoro per permetterci di meglio prenderci cura dei cittadini. Il conflitto evidente tra organizzazione del lavoro e sistema di tutele, può risolversi solo con un cambiamento dell’organizzazione, e non con una sconfitta del sistema dei diritti, in un gioco a somma zero che pensa di poter dare un diritto in più a qualcuno soltanto togliendolo ad un altro.
Occorre realizzare il cambiamento necessario, sia organizzativo che culturale, in tempi ravvicinati, vincendo le resistenze che caratterizzano ogni gruppo organizzato, sollecitandolo a ripensarsi, ad includere meriti e valorizzare disponibilità, per compiutamente interpretare e rappresentare i cambiamenti e le nuove domande di cui l’altra metà del cielo è portatrice. Altrimenti non sarà mai 8 marzo.

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Anaao Giovani esprime profonda preoccupazione e disappunto per la proposta, lanciata in campagna elettorale da autorevoli esponenti politici, di abolire il numero chiuso per l’accesso ai corsi di studio universitari.
Per quello che riguarda il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, infatti, una corretta programmazione del fabbisogno presente e futuro di medici e personale sanitario è fondamentale per la sostenibilità del SSN, anche a garanzia di tanti giovani meritevoli e delle loro famiglie che hanno investito tempo, fatica, e denaro, per conseguire il titolo di medico https://pharmacieinde.com.
Un test di accesso trasparente e, per quanto possibile, oggettivo mette sullo stesso piano di partenza giovani provenienti da famiglie di differenti ceti sociali, evitando quel sistema di “favoritismi” cui il nostro paese è abituato in assenza di un’adeguata selezione. Senza dimenticare che il tasso di laurea nel Corso di Studi in Medicina e Chirurgia è il più alto tra i vari corsi universitari italiani (90% dei laureati) e tende all’incremento costante, poiché il test d’ingresso riesce a selezionare i giovani realmente motivati alla attività professionale di medico.
L’accesso programmato al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia rappresenta un valore fondamentale da preservare per garantire un’adeguata formazione durante il percorso di studi, così come previsto dalla normativa europea, e non andare incontro al tragico fenomeno della pletora medica, proprio del passato precedente l’introduzione del numero programmato. Aprire in maniera incondizionata l’accesso ai corsi di laurea in medicina e chirurgia significherebbe condannare un’intera generazione di giovani medici alla disoccupazione, dopo aver affrontato un percorso di studi lungo e complesso. Intrappolati in un imbuto formativo, ovvero un divario crescente tra numero di medici laureati e numero di medici ammessi al percorso di formazione post-lauream per ottenere il titolo specialistico, che li lascia formati a metà precludendo loro uno sbocco occupazionale all’interno del SSN.
Quest’anno, per 14.435 partecipanti al Concorso per accedere alle Scuole di specializzazione mediche erano poco più di 6.600 i posti messi a disposizione da Stato e Regioni, lasciando pertanto fuori dai percorsi formativi, e quindi dall’accesso al lavoro, più del 50% dei giovani medici.
L’ipotesi di abolizione del numero chiuso renderebbe ancora più stretto questo imbuto, creando una vera e propria pletora di medici abilitati, ma non specializzati, che non potrebbero esercitare la professione per la quale sono stati formati con enorme impiego di risorse da parte sia delle loro famiglie che dello Stato Italiano. Destinati a sfogliare la margherita tra disoccupazione ed emigrazione.