Psicologia

Dott.ssa Claudia Beccarini, Psicologa, psicoterapeuta, formatrice. Libera professionista – Roma

Dr. Marco Guidi,
Psicologo clinico, formatore e consulente esperto di ricerca-intervento – Roma

blank

Lo scopo del presente articolo è duplice: a) illustrare un metodo di intervento psicologico volto al trattamento dei disturbi riguardanti la sfera sessuale e b) sostenerne l’utilità nell’ambito dellacollaborazione interprofessionale fra medici e psicologi.

La riflessione che segue è il frutto di un progetto che gli autori hanno avviato a partire dal comune interesse a esplorare le richieste di consultazione psicologica concernenti la sessualità, in particolare ricevute da parte di uomini.

Nel corso della nostra attività clinica, non raramente ci capita di osservare come le richieste di consultazione riguardanti problematiche sessuali siano precedute da richieste rivolte a professionisti di altra natura (ad es., imedici di base, ma anche, naturalmente, urologi,andrologi, endocrinologi). E,molto spesso, appare chiaro come la richiesta di consultazione psicologicasi arrivi a esprimere non tanto e non solo perché le persone pensano alla psicologia come a uno strumento realmente efficace per risolvere il proprio problema[1].Più sovente queste si sentono quasicostrettea farlo per via del fatto che non sono riuscitea risolvere il problema altrimenti o comunque a risolverlo in manierapienamente soddisfacenterispetto alle proprie attese,oppure ancora perché ilmedicoleha esortatea consultare uno psicologo per trattare delle questioni palesatesicome di natura più squisitamente psicologica o relazionale.In tutti i casi, siamo di fronte alla situazione paradossale che una collegaironicamente sintetizzava come il “paradigma di Agatha Christie”:la scrittrice, si sa, faceva spesso dire ai protagonisti dei suoi gialli come,una volta escluse tutte le altre possibili cause, per risolvere il mistero sidovesse per forza far riferimento a delle cause psicologiche.

Di fronte alla domanda di intervento sui disturbi sessuali si assiste, quindi, a una marginalizzazione della psicologia quale prassi di intervento, che la porta a collocarsi su un gradino subito prima del “se non funziona neanche questo, allora non resta che andare a Lourdes”, come recitava il vecchio adagio.Rimaniamo peraltroconvinti che la marginalità della psicologia non siaun evento sfortunato; semmai costituisce un’opportunitàdi sviluppo per la nostra professione, in quanto ci forza a concepire metodi opportuni per trattare le problematiche concernenti certearee di domanda, e soprattutto ad analizzare i modi con cui tali aree di domanda si costruiscono.E la sfera della sessualità costituisce un’area di domande cheancora oggi faticanoad arrivare alla psicologia[2].

La riflessione ora fatta ci ha portato, da due anni a questa parte, a implicarci nella costruzione di un progetto riguardante lo sviluppo di una rete di relazioniprofessionalicon andrologi e urologi che si sono mostratiinteressati a lavorare con noi in rapporto alle istanze problematiche concernenti la relazione coi loro pazienti(es. situazioni recidivanti, resistenze ai trattamenti proposti, problematiche sul piano delle relazioni ecc.).

L’idea progettualein questione muove dadue considerazionidi fondo.

  1. Da un lato consideriamo che qualsiasi richiesta di intervento rivolta a un professionista non possache prendere le mosse dal riconoscimento di una qualche esigenza da parte di colui chela rivolge o di altre persone che siano con lui in rapporto. La richiesta di consulenza è sempre, per definizione, mediata dai significati che le vengono attribuiti.

È chiaro che tale considerazione non si riflette allo stesso modo nella pratica di medici e psicologi.

Per il professionista di area medica, i significati proposti dal paziente sono da intendersi come il modo attraverso il quale egli viene informato sull’area problematica che più o meno esplicitamente gli viene segnalata. Mediante i suoi modelli di riferimento e un’opportuna anamnesiil medico definirà un piano di cura pertinente alla problematica presentatagli. Non è necessarioche chi esplicita il problema coincida con chi vive il problema perché egli possa pensare un intervento.

Per esemplificare tale situazione, pensiamo a un uomo che si rivolga all’andrologo su insistenza della compagna, la quale lamenti insoddisfazione per rapporti sessuali che“si concludono troppo precocemente”. Attraverso la consultazione l’uomo in questione cercherà di capire se effettivamente egli abbia un problema, oppure se sia la compagna ad esseretroppo esigente nei suoi confronti.

Il medico, posto di fronte a questa situazione, potrà informarsi sulla durata dei loro rapporti e comprendere, sulla base delle conoscenze a sua disposizione, se sia il caso di intervenire in qualche modo, senza che necessariamente a porgli la richiesta sia la persona che “avverte il problema”.

Per il professionista di area psicologica, invece, quei significati non hanno senso in sé, ma necessitano di essere interpretati alla luce della richiesta avanzata dal consultante. In altre parole, chi avanza la richiesta è, per lo psicologo, colui che in qualche modo sta significando come utile per sé l’intervento psicologico.

Pensando alla situazione clinica prima riferita, immaginiamo che la stessa sia adesso rivolta a uno psicologo. In questo caso, invece che ragionare sull’appropriatezza della durata dell’attività sessuale, il professionista potrà cominciare apensare che l’uomo stia provando, mediante la sua richiesta di consultazione,a cercarein luiun alleatocon il cui supporto mettere a tacere una compagnaavvertita come persecutoria nel suopretendere maggiore prestanza nella relazione sessuale. E la richiesta di consultazione, in tal caso, assumerebbe per l’uomo laformadi una fantasia di potere (ad es., allearsi con un professionista percepito competente)con cui indebolire le richieste della compagna, vissuta come colei che mette in discussione le sue capacità amatorie.

  1. Nel campo dei disturbi a carico della sfera sessuale, la richiesta alla psicologia è spesso preceduta da tentate soluzioni di auto-guarigione e/o dalla richiesta di intervento rivolta ad altri professionisti nell’ambito della salute. La richiesta che lo psicologo riceve ha spesso a che fare con una situazione che non solo riguarda problemi a carico della sfera sessuale, ma anche l’inefficacia delle soluzioni finora tentate o l’insoddisfazione per le cure e i trattamenti ricevutiin precedenza per risolvere tali problemi.A fianco del vissuto di inadeguatezza o magari paura, sconforto e anche angoscia rispetto a un problema, si va ad aggiungere il senso di fallimento, di impotenza e forse anche di disperazione per quel trattamento risultato inefficace. Aiutare le persone a comprendere le emozioni vissute in relazione ai problemi di natura sessuale che lamentano è, dal nostro punto di vista, l’intervento più rilevante che uno psicologo può proporre a chi si rivolge a lui. Questa è un’operazione importante e complessa, che si fonda a partire dall’analisi della modalità con cui la persona organizza la sua stessa richiesta,che, nella nostra ipotesi di lavoro, assume un elevato valore pragmatico per lo sviluppo della consulenza[3].

A nostro parere, la psicologia non è semprecapace di esplorarele richieste che riceve nei termini dei significati emozionali che tali richieste fanno emergere, maanzi spesso si limita a riconoscere e trattarele stesse richieste in chiave tecnica… della serie: “a domanda risponde”[4].

Pensando, invece, dal vertice di un modello teorico di natura psicodinamica e semiotica insieme (Salvatore&Freda, 2011), che le richieste che lo psicologo riceve siano sempre definite e influenzate dalle interazioni che chi le esprime ha con altri per lui significativi (fra cui, non ultimi, i medici e gli specialisti che spesso ha incontrato prima di rivolgersi a uno psicologo e dai quali ha magari ricevuto indicazione di contattarci), riteniamo che nel caso dell’intervento psicologico si debba costruire un sistema di relazione e intervento che fa dell’analisi delle esigenze della persona il suo focus principale. Pensiamo, cioè, che sia pur in un processo di faticosa costruzione di modelli di lettura delle domande ricevute, la psicologia possa trovare la sua cifra nell’attivare una funzione riflessiva sulle narrazioni proposte dai propri clienti e sulle emozioni a esse connesse. E questoperché il suo scopo precipuo è in definitiva quello di promuovere e far attivare, presso gli stessi clienti, una specifica capacità di pensare su quelleche sono le criticitàda loro vissute; capacità che possa a sua volta comportare uno sviluppo della problematica sperimentata e avviare un processo di trasformazione coerente con le loro attese. L’ipotesi di fondo, non certo esclusivo appannaggio della psicologia, ma diffusa in molte discipline scientifiche (sociologia, linguistica, management…), è evidentemente quella che sottolinea come sia il pensiero a orientare il comportamento umano.

Il nostro modello si propone, al ricevere di una richiesta di consultazione,di mettere in evidenza e sollecitare una funzione riflessiva non solo sull’oggetto sintomatico o problematico che la persona esprime nella consultazione, ma anche su quelle che si evidenziano essere le fantasie di rapporto con lo psicologo e la psicologia, ossia le attese che quella personaha maturato circa il modo con cui la psicologia può essergli utile per risolvere il problema concernente l’area sessuale.

Vediamo adesso di approfondire la questione ora posta a partire da una richiesta di consultazione ricevuta da uno di noi.

 

Il caso di Luigi

Luigi (40 anni) arriva in consultazione inviato da un andrologo che,per telefono,descrive il paziente come disturbato da frequenti “defaillance edepisodi di insuccesso sessuale”, con l’accenno anche auna compagnadescritta come “molto esuberante e invadente”.

Nel corso del primo colloquio,Luigi racconta delsuo problemadi perdita dell’erezione – che abitualmente si presenta subito dopo aver iniziato la penetrazione –e dell’impossibilità di recuperarla in seguito a successiva stimolazione. Il problema è dunque tale da impedire rapporti completi.Al momento, i casi di successo nel rapporto sessuale sono sporadici.

La principale promotrice della decisione di rivolgersi a uno psicologo sembra essere Cinzia, la fidanzata di Luigi,che vive con angoscia il protrarsi della situazione problematica, specialmente perché il suo desiderio esplicito sarebbe quello di fare famiglia.

A seguito del fallimento dell’ultima cura a base di testosterone, che ha portato Luigi a un peggioramento del sintomo,il paziente ha sviluppato una forte ansia da evitamento,che lo assale ogni volta che deve mettersi a letto e che sembra avere il potere di annullare persino l’effetto dei farmaci contro l’impotenza.

Luigi si rende conto che “un uomo non può sempre sottrarsi ai rapporti” e afferma di “aver ormai finito le scuse” con cui rispondere alle insistenze della compagna. La sua confusione appare evidente: un minuto prima funziona tutto, il minuto dopo niente, e Luigi, incredulo,sente di non avere alcun controllo sulla situazione.

Nel corso del suo discorso, Luigi afferma di aver chiarito alla fidanzata che da parte sua non c’è fretta di sposarsi, né tantomeno di avere figli. Aggiunge che, dopo tanti anni di rapporto, ancora non è riuscito a procedere a una convivenza con la donna: non si sente infatti pronto a rinunciare alla sua vita abituale, ai suoi interessi e ai suoi spazi.Afferma inoltre che il suo più grande timore nei confronti delle relazioni è la routine, ossia la paura di finire per annoiarsi. Vorrebbe sentirsi sempre come nella fase iniziale delle relazioni, fase in cui tutto appare eccitante e divertente, e il suo desiderio è che non ci fossero mai dei cambiamenti o delle evoluzioni.

Prima di proporre delle interpretazioni sul caso, esplicitiamo alcuni criteri con i quali riteniamo utile orientarne la lettura.

Iniziamo col dire che il concetto stesso di sessualità si collega, pur senza esaurirsi in esso, al concetto di relazione sessuale, dunque rimanda in modo chiaro alla dimensione di contatto e scambio instaurata tra individui nel contesto della propria intimità ed entro specifiche e molteplici cornici di senso definite sempre sia soggettivamente che socio-culturalmente (es. ciò che in una cultura viene considerato detestabile o addirittura disgustoso, in un altro contesto culturale può essere benissimo vissuto come divertente o addirittura “normale”).

Può essere anche utile soffermarci a riflettere su come la sessualità sia, tutt’oggi, l’ambito più fortemente intriso di codici culturali che orientano ruoli e significati, fin quasi a dettare le tracce entro cui uomini e donne plasmano e interpretano le proprie aspettative e il proprio coinvolgimento nelle questioni di coppia, di intimità, di amore. Pensiamo ad es. a come in molte società il ruolo maschile sia, spessorigidamente, ancorato ad alcuni stereotipi oltre i quali poco spazio sembra restare all’individuo per proporsi – e pensarsi– in maniera differente: un’idea di uomo quale attore designato dell’iniziativa sessuale, ossia naturale prodotto di una dimensione istintiva innata e di un ingaggio socio-culturale dalle precise determinanti. Un concetto di identità maschile fondata sulla potenza sessuale e quasi sempre giocata nella competizione con altri maschi (Simonelli, 2006).

Ricordiamo come il nostro Luigiespliciti (dunque per certi versi si renda conto) come a un certo punto egli abbia sentito di aver finito le scusecon cui sottrarsi alla relazione con la propria compagna. Le scuse sembrano avereper lui ilsignificato di soluzioni di compromesso;costituiscono il modoper rappresentare e rappresentarsi, al contempo, il peso dell’intimità da lui vissutae forse la difficoltà a esprimersi in tale sfera, ma anche il bisogno di mantenere sufficientemente intatta la propria immagine di maschio,oltre che legittimarla socialmente (vedi la frase “un uomo non può sempre sottrarsi al rapporto sessuale”, dove per uomo diventa utile capire cosa il nostro Luigi voglia intendere).

Quest’ultimo punto ci sembra molto rilevante. L’impatto dei significati culturalmente condivisi non va sottovalutato. La dimensione di scarto da un’idea conclamata, socialmente istituita e condivisa, può facilmente tradursi, per la persona in cui viene messa in evidenza, nel crollo di un modo consolidato di intendere il proprio ruolo sessuale. Dal non essere sufficientemente intraprendente e/o prestante si può precipitare, in certi casi facilmente e velocemente, nel non essere sufficientemente uomo, o nel non sentirsi più tale.

Da questi primi elementi, possiamo cominciare a vedere come il sintomo sessuale, nella nostra ipotesi, venga a definirsi come intrinsecamente relazionale.

Esso è tale perché nel suo stesso esprimersi richiama la relazione simbolica con un altro, indipendentemente dal fatto che l’altrosia reale o fantasticato. Il sintomo sessuale, in altri termini, si colloca in un contesto simbolico che fa da cerniera fra la dimensione intrapsichica e le relazioni:da un latoesso richiama l’affettività della persona; dall’altro il suo sistema di rapporti con il mondo.

In questo senso, potremmo dire che i sintomi a carico della sfera sessuale siano per certi versi più evoluti di altre sintomatologie tipiche, come quelle di natura psicosomaticache invece si collocano su un versante più individualistico, al confine fra la dimensione intrapsichica e il corpo.

L’utilità di fare questa distinzione è per noi massima in rapporto alla riflessione che ci accingiamo a proporre. Facendo l’ipotesi che l’emergere di un sintomo a carico della sfera sessuale sia per sua natura fortemente connesso ai vissuti che la persona ha delle sue relazioni (banalizzando, potremmo dire che tali sintomi parlano delle relazioni che una persona vive), pensiamo anche che tali sintomiabbiano una buona possibilità di essere pensati e compresi se dispiegati all’interno di una relazione adeguata,come quella con lo psicologo,in cui è possibile trovare loro un significato nuovo, che non solo porti la persona a non sentirsipiù imprigionatanella situazione problematica, ma anzi a sentire di poterla superare. E, per esperienza, va detto che spesso il superamento del sintomo avviene anche in tempi brevi (per quanto non immediati).

La nostra ipotesi di intervento è dunque quella di considerare il sintomo non come un elemento a sé, ma come un significato organizzato e complesso che aiuta a comprendere la domanda che, attraverso il sintomo stesso, è stato possibile esprimere. Il sintomo, in altre parole,parla di quello che la persona sta vivendo e facendo.

Già a una prima lettura del caso, a molti sarà balzato agli occhi come la descrizione del problema sessuale proposto da Luigi mantenesse forti analogie con il racconto del disagio da lui vissuto nella relazione con la fidanzata. Il sintomo sembra sottolineare la sua incapacità a mantenere una relazione; come se la modalità di funzionamento relazionale che Luigi sperimenta come non del tutto soddisfacentecontenesse un nucleo problematico che viene appunto ricalcato nel sintomo.

Il sintomo, in altre parole, nella richiesta di consultazione allo psicologo, può essere visto operare come un significante (Salvatore, 2006; 2012) che, nei termini del suo valore di indizio psichico, è atto a evidenziare uno specifico modello di funzionamento relazionale problematico. Possiamo allora dire che diventa utile “occuparsi del sintomo”, ma non per trattare il sintomo in quanto tale, quanto piuttosto per cogliere la dimensione emozionale che organizza la relazione con lo psicologo nel momento in cui la richiesta prende forma.

Tornando a riferirci al caso di Luigi,proviamo adesso a prendere in considerazione alcuni aspetti più ampi della sua storia.

Scopriamo in questo modo che il problema sessuale era presente anche in alcune relazioni precedenti e che molte di esse sembrano riprodurre uno schema di rapporto del tutto analogo a quello che attualmente l’uomo vive con la fidanzata:a seguito di un forte investimento emotivo nella fase iniziale del rapporto, Luigi comincia ad avvertire un bisogno di distacco e allontanamento, che fino a oggi è sempre culminato con la chiusura del rapporto di coppia,dietro sua iniziativa. Potremmo anche cogliere,nella ricorsività di tale modo di funzionamento, un’apparente coincidenza:di volta in volta, la scelta di rottura si palesa a Luigi come un’urgenzache emerge in concomitanza conl’esprimersi di aspettative di impegno a lungo termine da parte della partner di turno.

A porsi come interessante è anche il racconto dei periodi “da single”, in cui Luigi si dedica alla conoscenza di donne attraverso l’utilizzo di siti, chat e annunci. A muoverlo in questo tipo di frequentazioni saltuarie e occasionali, si viene a sapere,è soprattutto la curiosità e la voglia di vivere incontri in modo libero, al di fuori di vincoli e preoccupazioni, senza il desiderio di instaurare relazioni serie, ma senza neanche essere dichiaratamente indirizzato a incontri sessuali.

Come riflessione, ci sembra di poter considerare come l’utilizzo abituale di siti internet e annunci per la conoscenza di donne, quale modalità preferenziale plausibilmente in grado di mediare e moderare il livello di implicazione, appaiagovernato da una fantasia solipsistica dove,pur entro una dimensione di incontro fisico, l’altro non appare davverosentito come altro reale,ma come una persona disegnata dal proprio immaginario, dalle proprie fantasie. In tal senso, Luigi sembra prediligere relazioni in cui la sessualità appare svincolata da dimensioni di legame,di implicazione,di coinvolgimento, quasi ad assumere le caratteristiche di una modalità “masturbatoria”, nella quale, di fatto, è possibile rintracciare il prototipo di un modo di stare in relazione che può riconoscersicome antitetico a un concetto di rapporto con l’altro fondato sullo scambio e la reciprocità.

Stiamo in tal modo affermando che Luigi è– ed è sempre stato –refrattario alle relazioni serie?

Per provare a rispondere a questa domanda, proviamo di nuovo a cogliere degli indizi utili a partire dal sintomo che Luigi ha esplicitato nella sua richiesta di consultazione.

A ben guardare, la perdita di erezione durante il rapporto non evidenzia l’incapacità di intraprendere una relazione sessuale, né la presenza di alcun problema nel raggiungere l’eccitazione e iniziare un rapporto coitale, bensì puramente di mantenerla, attraverso cioè una manifestazione che potremmo considerare metaforica della capacità di permanere in un rapporto con l’altro. Le relazioni “serie”, allora, sembrano farsi rappresentazione proprio di quello che pare avvenire nella sfera sessuale: Luigi inizia la relazione con l’altro e imposta il profilo di un rapporto che, sulla carta, avrebbe tutti i requisiti per essere portato fino in fondo; il rapportosembra seguire tutte le “tipiche” fasi, che vanno dal primo innamoramento all’ipotesi della costruzione condivisa di un progetto di vita, ma, nel momento in cui la relazione arriva a crescere al punto tale da richiedere una concretizzazione di tali progetti, quando cioè si tratta di “concludere” e portare a compimento il rapporto stesso, Luigi comincia a sentire il bisogno di tirarsi indietro, di fallire. Particolarmente evocativa, a tal proposito, appare anche l’espressione con cui Luigi era stato presentato dall’andrologo inviante: un paziente disturbato da “defaillance”, dove tale parola indica letteralmente un venire meno, un momento di debolezza o di mancamento, una crisi.

E anche qui, pensiamo, abbiamo a disposizione un elemento che ci aiuta a comprendere come l’andrologo abbia potuto cogliere un aspetto centrale della proposta problematica che Luigi gli ha presentato e che lui, pur non essendo chiamato a trattare tale aspetto, ha potuto trasmettere allo psicologo nei termini con cui lo aveva esperito nella relazione col paziente.

Che la manifestazione del sintomo si riveli nella sua somiglianza con le modalità di Luigi di rapportarsiall’altro(non solo nella relazione sessuale) apre nondimeno ad ulteriori considerazioni.

Da una parte, il funzionamento sessuale di Luigi sembra esprimere un limitato interesse nei confronti dell’altro, un non avere desideri verso l’altro in sé, che lo porta a vivere la sessualità entro una fantasia in cuil’altro è funzionale al perseguimento di un godimento individualisticoe quindicome uno strumento o un oggetto più o meno soddisfacente (ricordiamo gli incontri saltuari, le relazioni occasionali di cui Luigi ha parlato negliincontri). Un aspetto, questo, ci intessa sottolinearlo,evidente anche nel modo che Luigi ha di porsi nell’interazione con lo psicologo: sin da subito egli risulta una persona che non lascia al professionistaspazi per inserirsi, che non si attende vere interpretazioni, che interrompe ma non si lascia interrompere, che satura lo spazio dell’incontro coi suoi racconti, quasi come se non fosse lì anche per ascoltare e prendersi qualcosa dall’altro, ma solo per depositare qualcosa di proprio.

Dall’altra parte, pensiamo che questa modalità di stare in relazione appaiafinalizzata prevalentemente all’espressione di un bisogno lamentatorio da parte di chi la propone, in nome del quale l’obiettivo della relazione non sembra quello di trovare possibili soluzioni al problema avanzato, ma unicamente di “evacuare” l’emozione che vi si accompagna, esaurendo, in questo modo, il senso della richiesta di intervento nella messa in atto della lamentela stessa.Non crediamo di avanzare un’ipotesi azzardata nel ritenere che con pazienti come Luigi la medesima modalità tenda a riprodursi in tutte le relazioni di cura e accudimento – pensiamo,oltre all’interazione con lo psicologo, anche a quella con il medico. In tal senso, l’esperienzache il professionista può faredel paziente si può sintetizzare con l’interrogativo: “ma cosa sta mai cercando da me questa persona”?

Proseguendo su questa linea, potremmo ancora aggiungere che Luiginon sembra farsi portavoce di uno scarso interesse solo verso l’altro, ma anche verso sé stesso, verso cioè la sua stessa possibilità di interrogarsi sui propri desideri nei confronti delle relazioni, osulla loro assenza.È questo, a nostro avviso, un aspetto cruciale del lavoro di analisi della domanda connessa alla richiesta di intervento, se pensiamo a un’ottica di lavoro con una persona che pone un problema come quello proposto da Luigi.Il percorso compiuto da Luigi verso la progressiva esclusione di cause di natura organica del problema espresso a livello sessuale – percorso che lo ha portato ad approdare alla consulenza psicologica–ha progressivamente spogliato Luigi stesso della fantasia di un problema fisico connessoal suo disturbo, richiedendogli di prendere contatto, seppur per mero processo di esclusione, con la natura interna, affettiva, personale della situazione critica.

Possiamo pensare ragionevolmente che le persone che si trovano ad arrivare alla consulenza psicologica – e che più facilmente riescono a rimanere e trarre giovamento da un percorso di elaborazione e riflessione, come questo si caratterizza – siano appuntoquelle che, per propria iniziativa o magari grazie all’aiuto del proprio medico curante, almeno in minima parte riescano a intuire che la questione problematica che li coinvolge ha (anche) a che fare con sé stessi e, di conseguenza, con le proprie relazioni.

Se senz’altro questa evidenza si pone come decisiva per la possibilità stessa di immaginare l’avvio di un lavoro psicologico, va anche riconosciuto che per molti individui proprio tale evidenza rappresenta il nucleo che più spaventa e che il maggiore livello di conflitto e difficoltà coincide con la necessità di riconoscere e venire a patti con quelle personalicomponenti affettivee relazionali che impedisconoun “funzionamento” coerente coi propri desideri.

La stessa evidenza, dunque, se è vero che si ponequale premessa del lavoro, pensiamo ne rappresential tempo stessola sfida e, per certi versi,anche il possibile prodotto.

In fondo – l’abbiamo chiarito prima – parlando di problematiche sessuali parliamo di problematiche della relazione ed è esattamente questo il livello che siamo chiamati a trattarein quanto psicologi, soprattuttoladdove ci siamo dichiarati legittimati ad aspettarcidi venire coinvolti dal cliente in configurazioni di rapporto analoghe a quelle vissutenel suo contesto relazionale abituale.

Questo livello della relazione si palesa anche al medico, che quasi sicuramente sarà in grado di osservarlo o riconoscerlo nel rapporto andrologico di cura – ricordiamocome l’andrologo inviante avessechiaramente percepito il contributo problematico della “fidanzata esuberante e invadente” rispetto al sintomo di Luigi, accennandolo già in fase di telefonata! La differenza,però, è che il medico non è chiamato, per mandato, ad occuparsene[5]. Crediamo, allora, che proprio sulla possibilità di trattare tale livello della relazione possa inserirsi lo spazio della professionalità psicologica ed è su questo specifico segmento di intervento che ha preso avvio la nostra proposta di collaborazione con le figure mediche dell’andrologo e dell’urologo.

Dal canto nostro infatti, rispetto a Luigi (o chi come lui), come non chiedersi perché mai dovrebbe intraprendere una “relazione seria” con noi, lui che non ne ha mai intrapresa una? Perché dovrebbe “portare a termine” il rapporto, questa volta?

Muovendoci da queste premesse la questione sembra allora rimandare innanzitutto alla possibilità di costruire spazi di intervento che mettano la personain condizione, letteralmente, di coinvolgersi in una relazione terapeutica, che a sua volta possa divenirepremessa di una rinnovata capacità della persona di pensare il proprio funzionamentonelle sue relazioni, sessuali e non.

Siamo alla conclusione di questo articolo. Come ampiamente sottolineato, nella nostra prospettiva la conoscenza del sintomo e la sua integrazione nei sistemi di relazione della persona fanno parte di uno stesso processo: la persona, il suo contesto di relazione e il sintomo sessuale non vanno guardate come entità a sé stanti.Il senso del progetto di rete fra andrologi/urologi e psicologi che siamo andati pensando nel corso del tempo risiede nella costruzione di un dispositivo in cui poter lavorare sulle istanze di desiderio della persona: dalla loro conoscenza al loro sviluppo in termini di relazione con il mondo.L’intervento psicologico a sostegno dell’intervento andrologico qui propostoè volto alla promozionedi un sistema di significati che permettano alla persona che sperimenta un disagio nella sfera sessuale dicostruire dei modelli per pensare a sé, al proprio problema e alle proprie relazioni, che siano più efficaci e chepossano,in futuro,portarlaalla riorganizzazione del sistema di relazioni stesso e al venire meno della sintomatologia evidenziata nella sfera sessuale.

Bibliografia

Carli, R., & Paniccia, R. M. (2003). Analisi della domanda. Teoria e tecnica dell’intervento in psicologia clinica.Bologna: Il Mulino.

Carli, R., &Giovagnoli, F. (2011). A Cultural Approach to ClinicalPsychology. Psychoanalysis and Analysis of the Demand. In S. Salvatore, & T. Zittoun (Eds.). Cultural Psychology and Psychoanalysis. Pathways to Synthesis (pp. 117-150). Charlotte, NC: Info Age Publishing.

Masters, W. H., & Johnson, V. E. (1970). Human sexual inadequacy. Boston: Little, Brown.

Salvatore, S. (2006). Models of knowledge and psychological action. Rivista di Psicologia Clinica, 1(2-3).

Salvatore, S. (2012). Social Life of the Sign: Sensemaking in Society. In J. Valsiner (Ed), The Oxford Handbook of Culture and Psychology (pp. 241-254). Oxford: Oxford Press.

Salvatore, S., & Freda, M. F. (2011). Affect, Unconscious and Sensemaking. A Psychodynamic, Semiotic and Dialogic Model. New Ideas in Psychology, 29, 119-135.

Simonelli, C. (2006).L’approccio integrato in sessuologia clinica.Milano: Franco Angeli.

[1] È evidente che, sebbene solo in piccola parte, chi richiede un colloquio un po’ deve pur “desiderarlo”.

[2] Questo discorso, evidentemente, non vale tanto per la sessuologia clinica che, nel suo stesso definirsi, richiama l’area problematica di cui si occupa. E tuttavia, come avremo modo di vedere più avanti, il metodo di intervento da noi proposto vuole differenziarsi dalle pratiche abitualmente utilizzate dalla sessuologia clinica per superare le disfunzioni sessuali (in particolare ci riferiamo a quelle prassi che si ispirano ai principi della Terapia Sessuale– cf.  Masters& Johnson, 1970 – ricorrendo alla prescrizione di pratiche di comportamento basate sui principi della terapia cognitivo-comportamentale), richiamandoci invece all’esigenza di analizzare la domanda di chi richiede l’intervento psicologico.

[3]La richiesta diventa il principale rivelatore di quel complesso emozionale e relazionale che egli sta vivendo e che si struttura come l’elemento fondamentale che viene agito entro la consultazione psicologica, sull’analisi del quale la stessa consulenza ha poi possibilità di svilupparsi. L’analisi della domanda in psicologia (inter alia Carli &Giovagnoli, 2011; Carli & Paniccia, 2003) è il metodo con cui comprendere e trattare il significato che un consultante associa alla sua richiesta di consultazione (ad esempio, per capire che tipo di problema propone allo psicologo, oltre al modo che sceglie per raccontarlo; ma anche per capireperché si sia scelto quel professionista e non un altro, se si sia optato per un professionista scelto casualmente o seci si sia mossi dietro raccomandazione di qualcuno; ecc.).

[4]Questo discorso richiederebbe un articolato approfondimento che, per ragione di spazi e opportunità, non verrà proposto in questa sede. Basti sottolineare come, per la linea logica del nostro ragionamento, riteniamo utile pensare ai sintomi in sé non come all’oggetto di interesse principale del nostro intervento (se fosse così, sarebbe come se interpretassimo il sintomo confondendolo per la causa, piuttosto che come l’esito di un evento problematico), ma come il rilevatore di una problematica che quel sintomo al contempo esprime e rende evidente.

[5] Chiariamo che per occuparsene intendiamo il trattare la relazione quale significante della configurazione problematica espressa attraverso il sintomo. Affermiamo questo soprattutto per i medici che si propongano di trattare la problematica sessuale con soluzioni sessuologiche che il paziente è invitato ad applicare nel rapporto di coppia, in quanto pratiche riferite a un uso tecnicale e pragmatico della relazione che bypassano il significato emozionale, senza elaborarlo.

Cardiologia

Dott. Aniello Ascione, Cardiologo
Ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli – Napoli

blank

Da molti anni esperti ricercatori dibattono con punti di vista spesso divergenti quale possibile ruolo abbia il processo infiammatorio nella genesi delle patologie cardiache, da quelle più comuni e conosciute a quelle meno frequenti e di origine più incerta ma altrettanto pericolose.[1,2]
I recenti progressi dell’immunologia laboratoristica e clinica hanno consentito di svelare molti dei meccanismi patogenetici legati ai processi immunitari ed alla risposta flogistica che questi attivano nel cuore, dimostrando il loro ruolo attivo nello sviluppo del danno biologico che porta alla manifestazione della  malattia cardiaca espressa dalle  aritmie e/o dal danno funzionale della pompa.
Gli esempi sono molteplici ed eterogenei : essi vanno dalla risposta infiammatoria nella placca ateromasica ulcerata che attiva la formazione del trombo all’interno delle arterie coronarie (e quindi all’infarto) alla reazione flogistica presente nella parete vascolare arteriosa che, col tempo, ne compromette la proprietà elastica, portando alla rigidità di parete tipica del paziente iperteso  anziano. Si tratta della frequente condizione che porta all’esordio  dell’ insufficienza cardiaca  con funzione contrattile conservata. Tra le diverse tipologie di danno flogistico del miocardio va sottolineata la componente infiammatoria sviluppata  nel muscolo cardiaco che, colpito da insulti di diverso tipo
( frequentemente virus e batteri ma anche alcune malattie infiammatorie sistemiche) diviene il bersaglio diretto della risposta immunitaria  che si origina ed autosostiene, sviluppando un danno prima  della funzione e poi anatomico che può diventare irreversibile sino all’exitus in poco tempo.[3].È’ il caso di morti improvvise  da aritmie fatali di alcuni atleti professionisti [4], spiegate da un miocardite pregressa sottovalutata e trascurata, così come il recente caso di una giovane donna deceduta in pochissimi giorni per insufficienza cardiaca fulminante esordita con una apparente “banale influenza”. Si tratta , quindi, del vasto ambito delle malattie infiammatorie del miocardio di cui sappiamo ancora poco per arrivare alla loro tempestiva diagnosi ed impostarne la terapia appropriata.Stiamo imparando che tra queste  cause vi sono farmaci ed agenti fisici (come la radioterapia) che vengono  somministrati per malattie temibili come i tumori.[5,7]
Queste terapie sono, a tutti gli effetti, agenti iatrogeni di cui spesso si sottostima la portata cardiotossica o, peggio se ne ignora l’azione cardiolesiva.[6].In alcuni casi, pur sapendolo, il medico si è autoassolto postulando che l’effetto cardiotossico dovesse costituire un necessario corollario all’efficacia terapeutica sul bersaglio tumorale. L’esempio rappresenta un forte richiamo alla necessità che abbiamo d’imparare in questo settore della medicina cardiologica. Rimane la speranza che, grazie all’impegno che si sta infondendo nella ricerca in questa area, nuove conoscenze acquisite consentano alla medicina cardiovascolare di abbattere la morbilità e la mortalità

Bibliografia
1.Maestroni S, et al. Recurrent pericarditis: autoimmune or autoinflammatory? Autoimmunity Reviews 2012; 12:60-65.
2.Cantarini L, et al. Role of autoimmunity and autoinflammation in the pathogenesis of idiopathic recurrent pericarditis. Clinic Rev Allerg Immunol 2013; 44:6-13.
3. Viral Myocarditis : follow-up to long-term of patients submitted a myocardial biopsy
J Am Coll Cardiol  2012; 59:1604-1615.
4. Miocarditi e aritmie : quale ruolo per l’ ICD?GIAC-Vol 15-Suppl 1 al n.1 2012.
5.Jaworski C, Mariani JA, Wheeler G, Kaye DM. Cardiac complications of thoracic irradiation.J Am Coll Cardiol. 2013 Jun 11;61(23):2319-28
6.Chargari C, Riet F, Mazevet M, Morel E, Lepechoux C, Deutsch E. Complications of thoracic radiotherapy. J Am Coll Cardiol 2013;61:2319–28)
7. Lee MS, Finch W, Mahmud E Cardiovascular complications of radiotherapy. Am J Cardiol. 2013 Nov 15;112(10):1688-96.

Diritto Sanitario

Avv. Angelo Russo
Avvocato Cassazionista, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario, Catania

blank

In un precedente scritto (pubblicato su questa Rivista, n. 7 di luglio/agosto 2015) ci siamo occupati della questione (ricca di problematiche non solo squisitamente giuridiche) della rettifica dei dati anagrafici di un transessuale e, specificamente, se la rettifica debba essere, necessariamente, preceduta dall’operazione chirurgica di cambio del sesso.

La Corte di Cassazione (sez. I Civile, sentenza 21 maggio – 20 luglio 2015, n. 15138), come si ricorderà, dopo avere proceduto ad un esame analitico delle norme di diritto positivo interno applicabili nella specie e fatto corretto riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 161 del 1985 (con la quale il diritto al cambiamento di sesso viene ricondotto nell’area dei diritti inviolabili della persona) sancì che nel sistema creato con la Legge n. 162 del 1984, deve escludersi che l’esame integrato degli artt. 1 e 3 della Legge n. 162 del 1984 conduca, univocamente, a ritenere necessaria la preventiva demolizione (totale o parziale) dei caratteri sessuali anatomici primari.

Seguì, poi, la recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 221 del 5.11.2015) con la quale si precisò che “Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica”, sottolineandosi che “La prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione – come prospettato dal rimettente −, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”.

Il Tribunale di Savona (sentenza n. 357 del 30.3.2016) ha, recentemente, confermato l’orientamento giurisprudenziale che esclude la necessità dell’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso per la declaratoria del diritto alla rettificazione dell’attribuzione di sesso.

La fattispecie all’esame del Tribunale di Savoia, peraltro, si connota per la peculiarità che il richiedente il mutamento di sesso era (ed è) sposato e padre di tre figlie.

Esponeva nell’atto di citazione che “il matrimonio, la nascita delle tre figlie, le responsabilità familiari e le convenzioni sociali l’avevano portato inizialmente ad obliterare la propria vera essenza ed a celare la propria identità finchè tale costrizione non era diventata insopportabile con conseguente inevitabile crisi coniugale e separazione dalla moglie”.

Proprio la moglie si opponeva all’accoglimento della domanda di mutamento dell’attribuzione di sesso.

Sull’opposizione della moglie, il Tribunale di Savona sottolinea che “pur comprendendo le ragioni, anche umane, che ispirano tali considerazioni, è innegabile che la domanda riguardi la sfera di un diritto costituzionalmente tutelato, ossia il diritto indisponibile, e non suscettibile di contestazione da parte della moglie, al riconoscimento della vera identità di genere al soggetto che desidera rettificare il sesso che gli è stato attribuito alla nascita”.

La sentenza si segnala, peraltro, per alcuni passaggi fondamentali uno dei quali sottolinea che “Il Legislatore non ha disciplinato tutti gli aspetti del transessualismo ma solo i profili attinenti alla rettificazione dell’attribuzione, trascurando tutti gli altri. Anzi sembra che la Legge non guardi immediatamente alla realtà del transessualismo ma si preoccupi della mancata corrispondenza tra il sesso attributo ad una persona con l’atto di nascita a quello che, a causa di <<intervenute modificazioni>> possa essere stato riscontrato in una fase successiva”.

Parole, senza dubbio, forti che non possono non sollecitare il ricordo alla recentissima vicenda del D.D.L. Cirinnà che, nato per regolamentare le così dette “unioni civili”, è stato stravolto a seguito di un dibattito parlamentare nel quale “posizioni preconcette e pregiudizi” hanno, sovente, preso il sopravvento su un ragionamento “laico” in ordine alle delicatissime questioni all’attenzione del Legislatore.

Non v’è dubbio, quindi, che il Legislatore, ancora una volta in notevole ritardo, sarà chiamato a regolamentare non solo la fase della rettificazione dell’attribuzione di sesso ma, con una visione più generale, i molteplici aspetti del transessualismo, nel quale il disagio conseguente all’impossibilità di riconoscersi in un corpo che non corrisponde al proprio sentire è aggravato dagli stereotipi sociali che, nell’immaginario collettivo, assimilano la condizione delle persone con disturbi dell’identità di genere a realtà quali la prostituzione e la perversione.

Uno di questi aspetti riguarda, specificamente, la delicatissima questione del consenso informato che, in subiecta materia, non può non ricoprire una ruolo fondamentale attesa, fra l’altro, la sostanziale irreversibilità della scelta di modifica dell’attribuzione di sesso.

La particolarità del consenso informato è tale da avere, opportunamente, suggerito l’adozione, da parte delle Aziende Sanitarie, di un protocollo integrato del percorso di adeguamento che si fonda sugli standards adottati dall’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (O.N.I.G.).

I predetti standards muovono dalla premessa che il transgenderismo e la transessualità sono condizioni esistenziali per le quali le persone non si riconoscono nel proprio sesso biologico e vivono o desiderano vivere in conformità con la propria identità di genere, sottolineando che “La ricchezza di una cultura si fonda sulle differenze individuali e sul principio di non discriminazione. Il benessere della comunità non può prescindere dal diritto della persona di vivere in relazione con il proprio contesto secondo la propria identità, ne’ può prescindere dal bisogno di facilitare un’evoluzione culturale generalizzata e basata sulla conoscenza e il confronto. Le condizioni esistenziali, le modalità di vivere e di operare scelte individuali trovano il loro nucleo essenziale nel principio di autodeterminazione e nel rispetto dei diritti e della libertà altrui”.

Sul presupposto, quindi, che “vivere coerentemente all’identità di genere cui si sente di appartenere coinvolge sia la realtà intrapsichica che quella interpersonale e sociale” le Linee Guida rilevano che “i disagi che possono emergere nel processo psicofisiologico di costruzione dell’identità richiedono percorsi terapeutici differenziati, ma basati su criteri di intervento condivisi che consentano omogeneità di trattamento nei diversi Servizi specialistici del territorio nazionale, garantendo il rispetto e il benessere del cittadino e un terreno comune di confronto e ricerca tra professionisti che operano nel campo”.

Tenuto conto, peraltro, che “le terapie ormonali possono produrre effetti irreversibili e che i cambiamenti somatici ottenuti chirurgicamente sono definitivi, e’ da ritenersi essenziale e prioritario un percorso psicologico mirato all’elaborazione e al sostegno delle varie fasi e dei diversi aspetti dell’iter di adeguamento”.

I Servizi Sanitari, in quest’ottica, non potranno che “basare la loro attività su un lavoro interdisciplinare di operatori con una competenza specifica e qualificata in collegamento e secondo procedure concordate con i servizi territoriali (ASL, Scuole, …), le agenzie sociali (Sindacati, Movimenti, Associazioni,…) e altre strutture (Tribunali, Pubblica Amministrazione, …)” sì da consentire che “Ogni relazione tra gli operatori e gli utenti dei servizi sia caratterizzata da una corretta ed esauriente informazione reciproca, nel pieno rispetto dell’autodeterminazione della persona e della libertà professionale dell’operatore”.

Muovendo dai predetti concetti, le Linee Guida precisano che:

  1. a) I percorsi di adeguamento medico-chirurgico e psico-sociale, nonché il percorso legale di riattribuzione di sesso secondo la legge n. 164 del 1982, devono iniziare con una approfondita analisi della domanda del cliente e con una indagine della personalità e dell’ambiente socio – familiare, al fine di evidenziare le motivazioni, le aspettative e il contesto che hanno portato la persona alla richiesta di riattribuzione di sesso, e verificare quanto questa possa inscriversi nel quadro di una problematica di genere.
  2. b) Ogni professionista (medico di base, endocrinologo, chirurgo,psichiatra, psicologo…) deve collegarsi con operatori specializzati o inviare il cliente a strutture specialistiche, per la valutazione della transessualità, al fine di concordare e pianificare con il cliente stesso e con gli altri professionisti un progetto complessivo, integrato e individualizzato.
  3. c) Ogni fase del progetto concordato deve ritenersi parte di un più ampio percorso psicofisiologico e pertanto prevedere un rapporto terapeutico costante sia sul piano medico-chirurgico che psico-sociale.
  4. d) In presenza di diagnosi di rilievo psichiatrico o di altre problematiche psicologiche o comportamentali (ad es. tossicodipendenze) la cui risoluzione viene ritenuta primaria rispetto alla richiesta di riattribuzione medico – chirurgica di sesso, va data precedenza alle procedure terapeutiche comunemente adottate per tali condizioni.

L’ingresso nel percorso di riattribuzione medico – chirurgica prevede “in fase preliminare che la persona venga informata circa tutte le procedure e le terapie, nonché su tutti i rischi che queste comportano e la irreversibilità di alcune di esse, al fine di far esprimere all’utente un consenso informato scritto, inerente il progetto di riattribuzione concordato.

A partire dalla richiesta di riattribuzione “il percorso psicologico, parallelo e integrato con tutto il percorso di adeguamento medico-chirurgico, si sviluppa secondo modalità individuate caso per caso, mira alla verifica continua dell’assunzione di responsabilità nei confronti delle proprie scelte ed ha la finalità di sostenere e di elaborare le modificazioni ormonali e somatiche, nonché le esperienze relazionali e sociali del cliente. L’iter psicoterapeutico mira più specificatamente all’elaborazione del conflitto di identità e dei conflitti cognitivi ed emozionali che si presentano durante il percorso.

In considerazione di alcuni effetti irreversibili e delle implicazioni psicologiche legate all’assunzione di ormoni – avvertono le Linee Guida – “l’inizio della terapia ormonale prevede che il cliente abbia instaurato e portato avanti, secondo modalità concordate, una relazione psicoterapeutica di almeno sei mesi. La somministrazione ormonale deve essere subordinata alla valutazione degli specialisti, sentito il parere dello psicologo o psicoterapeuta che ha in carico il cliente.

Particolare rilievo, infine, le Linee Guida ascrivono al follow – up sul con la finalità di verificare l’inserimento sociale e le condizioni psicofisiologiche connesse con gli adeguamenti effettuati.

Le Linee Guida, molto opportunamente, non possono non dedicare particolare attenzione alla prevenzione, predicando l’istituzione di “Servizi di osservazione per i comportamenti attinenti l’identità di genere in età evolutiva, nonché la diffusione di una adeguata formazione-informazione di genitori e insegnanti a partire dalle scuole materne” ed ammonendo “viste le implicazioni sociali relative alla condizione di transessualità” sulla improrogabilità di una corretta e approfondita formazione – informazione delle figure professionali e sociali che svolgono funzioni attinenti questo campo (personale paramedico e della pubblica amministrazione).

L’auspicio, in conclusione, è che la materia, ricca di implicazioni di varia natura, sia affrontata con la massima attenzione e sensibilità da parte di tutti i soggetti protagonisti (strutture sanitarie, medici, psicologi, legali, pubblica amministrazione) con un atteggiamento quanto più possibile scevro da condizionamenti dichiaratamente ideologici ed improntato al rispetto di un diritto garantito e tutelato dalla Costituzione.