La SIOT lancia l’allarme: ogni anno infortunate 150 mila persone ai legamenti del crociato.
Ogni anno infortunate 150 mila persone ai legamenti del crociato, la maggior parte delle quali sono atleti. Il dramma sportivo che ha colpito il calciatore vittima ieri della rottura del legamento crociato al ginocchio nel corso del big match dell’Olimpico tra Roma e Juventus, è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più esteso.
È quanto risulta dalle statistiche della SIOT, la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, secondo cui si tratta di un tasso di incidenza tra gli infortuni sportivi particolarmente elevato e in aumento nel calcio visto l’elevato numero di praticanti.
Secondo il Professor Francesco Falez, Presidente SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) “il numero delle lesioni ai legamenti del ginocchio tra i calciatori è in aumento proprio per l’alto numero di quanti praticano questo sport.
Gli infortuni si registrano infatti a livello amatoriale, tra i semi professionisti e tra i professionisti del “pallone”.
Proprio a causa della natura di questo sport, che comporta salti, torsioni e cambi di direzione improvvisi, oltre ad un forte impatto fisico, le lesioni legamento crociato anteriore sono un incidente comune sui campi di calcio di tutto il mondo”.
Fortunatamente la maggior parte di questi infortuni può essere efficacemente trattata grazie a tecniche chirurgiche ormai collaudatissime e a un percorso riabilitativo corretto. Tuttavia è anche possibile ridurre il rischio di questi infortuni con un adeguato programma di prevenzione.
“Oggi tutti possono tornare tranquillamente a praticare attività sportiva dopo un periodo di 6 mesi di recupero – spiega il Professor Falez – .
Grazie ai moderni trattamenti chirurgici, con tecniche spesso personalizzate a seconda dell’età, del tipo di sport praticato e del livello dell’atleta colpito da tale lesione, ed uniti ad un valido programma riabilitativo che segue all’intervento chirurgico, ”.
Secondo la SIOT per diminuire i rischi e arrivare preparati all’evento sportivo è fondamentale seguire un programma di prevenzione. Gli ortopedici si soffermano così sulle misure da prendere e sulle varie modalità di esercizio:
Attuare un allenamento mirato per la forza muscolare
Eseguire un programma di allenamento mirato al potenziamento muscolare degli arti inferiori è il primo step. Infine migliorare la propriocezione degli arti , che riduce il rischio di infortuni soprattutto con il gesto atletico tipico del calcio (cambi di direzione, contrasti, etc.).
Non ultimo un buon programma di allungamento muscolare (stretching) è necessario per completare un corretto programma di preparazione atletica mirata anche alla prevenzione.
Il ruolo dello specialista in medicina dello sport
Fondamentale individuare potenziali carenze muscolari e tendinee (valutazione con il medico dello sport) e personalizzare, in questo caso, il programma di prevenzione.
La SIOT è attivamente impegnata nell’informazione e nella prevenzione degli infortuni sportivi e ha certificato il convengo “Soccer Diseases”, a cura della Fondazione C. Rizzoli per le scienze motorie in programma il 24 gennaio a Bologna e dedicato all’esame completo degli infortuni e delle patologie più frequenti che interessano il corpo nella pratica del calcio.
Dott.ssa Barba Elena,
Fisioterapista, Reparto di Medicina lungodegenza Casa di Cura “Villa Iris” – Pianezza (To)
Dott. Giuliani Gian Carlo,
Medico, Specialista in Medicina Interna, Responsabile Reparto di Medicina Lungodegenza Casa di Cura “Villa Iris” – Pianezza (To)
Con il termine Terapie fisiche si intendono quei trattamenti sanitari che utilizzano, per scopi curativi, l’energia fisica prodotta da apposite apparecchiature elettromedicali. Tali Terapie rappresentano uno strumento in più, oltre ai farmaci, che il personale sanitario ha per la propria lotta al dolore inutile, specie quello cronico. Malattie osteoarticolari e altre patologie mediche che presentino dolore e infiammazione possono così essere meglio curate, integrando le altre terapie mediche.
Nell’ambito del processo di valutazione della appropriatezza e dell’efficacia dei percorsi diagnostico-terapeutici all’interno del reparto di Medicina post-acuzie (o lungodegenza) della Casa di Cura “Villa Iris” di Pianezza (To) si è deciso:
– sia di definire le caratteristiche della popolazione costituita dai pazienti che hanno usufruito (anche) di un trattamento di Terapia fisica nel corso della degenza
– sia di valutare i risultati ottenuti dalla principale Terapia fisica utilizzata, vale a dire la TENS.
Chi sono i pazienti che usufruiscono di tali Terapie?
Valutando le 5.000 cartelle cliniche raccolte in apposita banca dati negli ultimi 10 anni si evidenzia come il 6 % dei Pazienti usufruisca di tali Terapie, stante le indicazioni mediche (in particolare 300 su 5.000 pazienti). Nel confronto (effettuato tramite le principali Scale di Valutazione) con i pazienti che non beneficiano di tale Terapia, i pazienti sottoposti a Terapie fisiche (vedere Tabella n° 1):
presentano una ben più bassa mortalità (2,8% circa vs 26,42% circa) ma richiedono una degenza più lunga (67,22 gg. vs 52,69 gg.);
sono più giovani (79,16 anni vs 80,96 anni circa) e prevalentemente femmine (30% vs 38,36% dei maschi);
migliori sono le condizioni di salute (Norton all’ingresso di 14,89 vs 12,71) e il livello di autonomia ADL, sempre all’ingresso (11,45 vs 13,74);
minore è il numero di patologie attive presenti (4,37 vs 4,51 dei non trattati) nonché la comorbilità alla scala CIRS (11,21 vs 12,30);
minore è anche il rischio per caduta alla scala Conley (3,49 vs 4,16) nonché minore risulta anche il deterioramento cognitivo (con 2,66 errori all’SPMSQ vs 4,75 dei non trattati);
la percentuale di non autosufficienti (77,80% vs 90,70%);
maggiore è il consumo di farmaci antidolorifici (42,80%vs 29,82%);
minore è la percentuale dei pazienti cateterizzati all’ingresso (14,80% vs 27,64%) nonché quella dei pazienti con lesioni da pressione (10,80% vs 22,82%);
non presentano differenti percentuali in termini di nuove lesioni da pressione (1,20% vs 3,36%) e/o di nuove cadute (12,80% vs 11,41%);
tutte i gruppi di patologie sono rappresentati, ma mentre nel gruppo dei non trattati predominano le neoplasie, nei gruppi dei pazienti trattati con Terapie fisiche predominano quelle ortopediche. I pazienti oncologici, comunque, anch’essi usufruiscono di tale trattamento in discreta %, rientrando anch’esso nell’ambito della terapia del dolore;
in particolare nei pazienti trattati risultano più frequenti diabete mellito e sindromi depressive (mentre in quelli non trattati lo sono le neoplasie e le demenze senili) presentando inoltre minori bisogni di tipo infermieristico e assistenziale (con 9,92 alla scala Iris Lun vs 17,11):
circa l’evoluzione della degenza chi necessita di Terapie fisiche più frequentemente rientra al domicilio e meno frequentemente viene inserito in RSA
Quasi tutti questi confronti sono dotati di significatività statistiche particolarmente elevate, definendo così 2 popolazioni particolarmente differenti tra loro, pur all’interno di un campione di pazienti anziani fragili e comorbidi. Di queste la prima, quella trattata con Terapie fisiche, è composta da pazienti più giovani, prevalentemente femmine, meno compromesse sul piano cognitivo, più autonome e meno comorbide, dotate di minori rischi per lesioni e cadute, meno cateterizzate e meno decubitate all’ingresso, che rientrano più facilmente al domicilio e meno vengono inserite in RSA, ricorrendo maggiormente ad una terapie del dolore, presentando però minori bisogni infermieristici e assistenziali.
A differenziare maggiormente le 2 popolazioni abbiamo (in ordine decrescente): il livello cognitivo, le condizioni generali, il tasso di mortalità, i bisogni infermieristici e l’autonomia nelle ADL.
L’insieme di questi dati sottolinea come:
– esista una reale utilità dell’utilizzo di tali terapie anche in quei reparti non riabilitativi ma che ricoverano anziani fragili post-acuti che necessitano, per un ottimale rientro al domicilio, anche di un trattamento di riattivazione per il recupero dell’autonomia accompagnato da una riduzione del dolore inutile; – tale bisogno di cure antidolorifiche sia prevalente a carico dei pazienti geriatrici che risultano meno deteriorati sul piano cognitivo e meno compromessi su quello fisico, oltre che più giovani e collaboranti;
– le cure antidolorifiche risultino maggiormente proponibili laddove sia possibile una adeguata e affidabile valutazione quantitativa del dolore;
– la presenza di sintomi riconducibili a una sindrome depressivo-ansiosa condizioni significativamente la presenza e le caratteristiche del dolore;
– contrariamente a quanto si possa intuitivamente pensare, le patologie più frequentemente accompagnate da dolore non siano quelle oncologiche bensì quelle osteo-articolari.
Prendendo in considerazione i dati generali del reparto che evidenziano differenze tra la popolazione dei pazienti che assume farmaci antidolorifici (dai dati simili a quelli della popolazione che pratica terapie fisiche) e la popolazione che non assume farmaci per il dolore (dai dati simili a quelli della popolazione che non pratica terapie fisiche), si deve sottolineare come le peculiarità dei pazienti che praticano Terapie fisiche rappresentano una estremizzazione di quelli dei pazienti che praticano una terapia farmacologica antidolorifica.
Nella Tabella 1 è comunque possibile valutare le differenze tra le popolazioni, nonché le significative statistiche di tale confronto.
Efficienza della T.E.N.S.
Tra le principali Terapie fisiche, quella più nota risulta essere la TENS, ossia stimolazione elettrica nervosa transcutanea (Trans Cutaneous Electrical Nerve Stimulation), una tecnica medica complementare utilizzata per controllare alcune condizioni dolorose acute e croniche con finalità analgesico-antalgiche, particolarmente efficace per il trattamento di molte patologie neuronali,
osteo-articolari, dei legamenti e dei tendini.
La TENS consiste nell’applicazione sulla cute di lievi impulsi elettrici, che attivano fibre nervose di grosso diametro riducendo la percezione del dolore. Stimolando le fibre nervose con impulsi TENS di frequenza appropriata si possono neutralizzare gli impulsi del dolore, i quali non giungendo al nostro cervello non verranno percepiti. Allo stesso tempo, questi impulsi TENS stimolano il nostro corpo a produrre sostanze che hanno gli stessi effetti della morfina, completando l’azione analgesica con totale scomparsa della sintomatologia dolorosa.
Durante l’applicazione della TENS il paziente avvertirà una costante e piacevole sensazione di formicolio che dovrà essere mantenuta per tutta la durata della seduta. Perché questo avvenga si dovrà agire regolando l’intensità di stimolazione degli impulsi per evitare una certa assuefazione allo stesso stimolo elettrico evitando, però, di aumentare troppo l’intensità, rischiando di provocare anche minime contrazioni muscolari, compromettendo in tal modo i risultati.
La TENS è indicata in diverse patologie dolorose: dorsalgie, lombalgie, dolore da fratture, traumi fisici acuti, neuropatia diabetica, neuropatia herpetica, epicondiliti, tendiniti, cervicalgie, epitrocleite, cervicobrachialgie, sindrome del tunnel carpale, gotta, così come in patologie mediche tipo la claudicatio e l’incontinenza urinaria.
È tassativamente controindicata in pazienti portatori di pace maker, nelle donne in stato di gravidanza, se si è affetti da epilessia, da disturbo del ritmo cardiaco, da gravi malattie della pelle, da lesioni da pressione o ferite. Risulta, infine, sconsigliato utilizzare la TENS sulla parte anteriore del collo, in quanto potrebbe causare uno spasmo laringeo.
L’effetto antalgico è immediato, ma tende a esaurirsi altrettanto velocemente dopo 4/5 ore, risultando necessario, per avere un’importante risoluzione del problema, effettuare un ciclo di 10-15 ma anche fino a 20 sedute della durata di almeno 30 minuti ciascuna.
La TENS provoca pochi effetti collaterali, ma occasionalmente può causare degli arrossamenti nel punto in cui vengono applicati gli elettrodi.
All’interno della popolazione che ha usufruito di Terapia fisica ben 180 dei 300 pazienti hanno usufruito di una terapia con la TENS, per un totale di 220 trattamenti, con una media di 1,22 sedi trattate a paziente.
Per la valutazione del dolore e di tale terapia è stata utilizzata una versione ridotta e revisionata del “questionario per il follow-up del dolore” del “Medical College of Wisconsin”. Per la compilazione di tale test, l’operatrice dovrà raccogliere le impressioni dei pazienti relativamente a entità e durata del dolore e delle loro evoluzioni a seguito del trattamento.
Le voci da compilare sono, oltre quelli anagrafici, il reparto di appartenenza, il trattamento praticato e la zona interessata:
A) l’entità dolore nella sua fase migliore (individuando il parametro numerico segnalato dal paziente come corrispondente all’entità del proprio dolore nella sua fase migliore e compreso tra 0 e 10);
B) l’entità dolore nella sua fase peggiore (individuando il parametro numerico segnalato dal paziente come corrispondente all’entità del proprio dolore nella sua fase peggiore e compreso tra 0 e 10);
C) generalmente l’entità del dolore (individuando il parametro numerico segnalato dal paziente come corrispondente all’entità del proprio dolore generalmente presente e compreso tra 0 e 10);
D) la durata del dolore – ore al giorno, (individuando il Parametro Numerico segnalato dal Paziente come corrispondente al numero di ore giornaliere in cui è presente il proprio dolore e compreso tra 0 e 24);
E) la capacità del paziente di reazione al dolore (individuando il parametro numerico segnalato dal paziente come corrispondente alla capacità del paziente di reagire al dolore e compreso tra 0 e 10).
Altri parametri considerati sono: i giorni di trattamento effettuati, il giorno di inizio benefico, l’eventuale utilità di altra Terapia fisica e il giorno di massimo beneficio.
I pazienti arruolati che hanno praticato almeno un Ciclo di TENS sono stati 180, Femmine 120 e Maschi 60.
Questi i risultati ottenuti, presenti nelle Tabelle 2, 3, 4 e 5 (relativamente alle popolazioni studiate) e nella Tabella 6 (relativamente alle sedi di trattamento).
Dolore percepito e risultati per distribuzione di sesso
Nella Tabella n°2 è possibile valutare i risultati ottenuti alla somministrazione del “Questionario per il follow-up del dolore” (popolazione totale)
Nella Tabella n°3 è possibile valutare i risultati ottenuti alla somministrazione del “Questionario per il follow-up del dolore” (popolazione femminile)
Nella Tabella n°4 è possibile valutare i risultati ottenuti alla somministrazione del “Questionario per il follow-up del dolore” (popolazione maschile)
Nella Tabella n°5 è possibile valutare i risultati ottenuti alla somministrazione del “Questionario per il follow-up del dolore” [confronto popolazione Maschile (M) vs popolazione femminile (F)].
L’insieme dei dati ottenuti evidenzia come:
– Circa la popolazione arruolata predominino le femmine con una % particolarmente più elevata rispetto ai maschi (66,6% vs 33,34%), percentuali simili alla popolazione generale ricoverata giornalmente in tale tipo di reparto, anche se deve sottolineare come in età geriatrica spesso la presenza di dolore venga tenuta nascosta da parte del paziente, specie di sesso maschile, per paura di perdita del proprio ruolo sociale, per paura di provvedimenti medici o assistenziali ecc …
– Particolarmente elevato sia il punteggio dichiarato relativamente alla percezione del sintomo dolore localizzato in una particolare zona del corpo. Dobbiamo però ricordare come si tratti di pazienti poco-nulla deteriorati e come il dolore, in quanto sintomo soggettivo, debba, in linea generale, essere creduto da parte degli Operatori Sanitari.
– Prevalgano (come logica) i punteggi relativi al dolore nella sua fase peggiore, seguiti da quelli dell’entità generale e, infine, da quelli della fase migliore.
– Tutte e 3 le valutazioni del dolore subiscono, al termine del trattamento, una riduzione particolarmente significativa sul piano statistico, apparentemente prevalente (in ordine decrescente) al dolore medio, quindi al dolore in fase peggiore e poi al dolore in fase migliore.
– Tale fenomeno risulta, pur ricordando l’elevata significatività statistica dei dati ottenuti, maggiore nelle femmine che nei maschi.
– Relativamente alle differenze tra i 2 sessi si sottolinea come i punteggio del dolore siano più elevati nei maschi rispetto alle femmine, ma come tale differenza sia statisticamente significativa solo nel caso del punteggio del dolore nella sua fase migliore nella fase pre-trattamento (p<0,05).
- La durata del dolore diminuisce in maniera particolarmente significativa al termine del trattamento, apparentemente meglio nel sesso femminile rispetto a quello maschile.
- L’esperienza del dolore permette alla popolazione in generale, ma in realtà alle sole femmine di poter dichiarare di sentirsi “più capace di saper reagire al dolore” (p<0,05), pur presentando minori capacità generali di reazione.
- Relativamente al numero di sedute praticate non vi sono differenze tra i 2 sessi, risultando superiori ai 13 giorni di trattamento.
- Relativamente al giorno di iniziale beneficio le femmine lo raggiungono prima dei maschi (5,74 gg vs 6,54, con un p di significatività statistica <0,05).
- Relativamente al giorno di massimo beneficio le femmine lo raggiungono prima dei maschi, ma questa volta non in maniera significativa (10,32 gg. vs 10,87).
- Relativamente alla necessità di successiva ulteriore terapia fisica (8% circa dei casi) non si segnalano differenze significative tra i 2 sessi.
Concludendo, l’esame dei (pochi) casi valutati ci indica come tale terapia fisica risulti utile nell’ambito delle cure rivolte ai pazienti con dolore, che reagiscono alla stessa in maniera particolarmente significativa. Talora tale beneficio risulta essere molto, quasi troppo, significativo, ma non dobbiamo dimenticare come una qualunque terapia fisica presenti una componente di “aspetti aspecifici” più elevata rispetto a un comune farmaco, in quanto viene anche percepita e sentita, viene somministrata direttamente sulla sede del dolore e tranquillizza circa eventuali effetti collaterali, interferenze o eventi avversi possibili, invece, con una terapia farmacologica.
Il dolore pare percepito peggio dai maschi, che ottengono lo stesso, dopo il trattamento, buoni risultati, pur dichiarando di riuscire a sopportarlo meglio fin dall’inizio. Le femmine, invece, risultano essere più capaci di sopportare il dolore al termine del trattamento, una volta conclusa l’esperienza del dolore locale.
Dolore percepito e risultati per sede di trattamento
Relativamente alle sedi di trattamento quelle maggiormente coinvolte sono risultate essere innanzitutto la colonna vertebrale (soprattutto zona lombo-sacrale e cervicale e meno quella dorso-lombare), seguita dalle articolazioni di spalla e ginocchio e, a seguire, dagli arti e da altre, occasionali, localizzazioni.
Valutando i punteggi ai singoli items del Questionario per il follow-up del dolore per le sedi con almeno 20 casi, si ottengono i risultati presenti nella Tabella n° 6.
Tabella n°6: Punteggi del “Questionario per il follow-up del Dolore” a seconda della sede trattata.
L’analisi di tali dati indica non solo il raggiungimento di elevata significatività nei risultati ottenuti dalla TENS nel confronto tra prima e dopo il trattamento, ma anche come la colonna vertebrale sia la zona che maggiormente necessiti di trattamenti, provochi dolori quantitativamente maggiori rispetto alle altre sedi, ottenendo anche i risultati statisticamente migliori, specialmente nel tratto lombare/lombo-sacrale. Non esistono differenze tra il numero di sedute praticate per ogni sede, mentre la sede dorsale/dorso-lombare raggiunge prima un beneficio e quella lombare/lombo-sacrale lo raggiunge dopo, mentre il massimo beneficio viene raggiunto per primo dal rachide cervicale e per ultimo da quello lombare/lombo-sacrale. Il dolore dorsale/dorso-lombare, infine, risulta quello più difficile da sopportare.
L’insieme dei dati raccolti e qui esposti, pur nella loro ridotta casistica, ci segnalano l’utilità dell’utilizzo delle Terapie fisiche (TENS in particolare) anche nei pazienti anziani fragili, potendosi anche sfruttare la loro “componente aspecifica” presente in ogni trattamento, componente che risulta spesso particolarmente utile in un sintomo costituito da più componenti in continua evoluzione quale il dolore (inutile).
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