Fisioterapia Medical News

La paralisi del VII nervo cranico, o nervo facciale, è una condizione patologica che può avere diverse cause e può evolvere in differenti quadri clinici. Le cause più diffuse sono riconducibili ad infezioni acute, traumi ossei, malformazioni intracraniche, tumori ed eventi cardiovascolari.

La paralisi di questo nervo è una condizione invalidante sotto più punti di vista, che può influenzare il soggetto nelle attività di vita quotidiana ed in modo non meno importante per quanto riguarda l’aspetto psicologico e sociale. Una valutazione completa che tenga conto della diagnosi differenziale ed un intervento riabilitativo mirato, fondato sulle recenti scoperte riguardanti la neuroplasticità e la capacità del sistema nervoso di creare nuove interazioni neuronali, rappresenta un valido strumento per un recupero ottimale di questa condizione così invalidante.


francesco giuseppe materazzi
Francesco Giuseppe Materazzi PT, D.O. Dottore in Fisioterapia, Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara Osteopata ( F.N.O.I.), Master in Neuroriabilitazione, Università “La Sapienza” di Roma. Membro Gruppo di Interesse Specialistico GIS Neuroscienze. Membro Associazione Italiana di Fisioterapia – AIFI. Referente Regionale Comunicazione AIFI Abruzzo.


[dropcap color=”#008185″ font=”0″]I[/dropcap]l nervo facciale viene classificato come un nervo misto, ovvero un nervo che ha come funzioni quella motoria di innervazione dei muscoli principali del volto, funzione prevalente, e delle ghiandole salivari e lacrimali, dei muscoli stilo ioideo, stapedio e digastrico, e la funzione sensitiva responsabile della sensibilità gustativa dei 2/3 anteriori della lingua.

Il decorso di questo nervo è abbastanza complesso e singolare in quanto origina dal nucleo ponto cerebellare del tronco encefalico fino ad arrivare all’innervazione dei muscoli del volto. Questo decorso si suddivide in intracranico, intratemporale ed extracranico.

Durante il tragitto intracranico questo nervo attraversa la superficie del tronco encefalico, da cui prende origine,  girando intorno al  VI nervo cranico (il nervo abducente, uno dei nervi responsabili della motricità oculare), fino a raggiungere l’osso temporale, passando per il canale uditivo interno e fuoriuscendo dal foro stilo mastoideo, da dove inizia la porzione extracranica.

Questa vicinanza del nervo al canale uditivo riconduce alla stretta correlazione esistente tra le patologie del nervo facciale e le patologie vestibolari. Una volta uscito dal forame stilo mastoideo entra nella ghiandola parotide, la ghiandola salivare più grande del corpo umano, situata tra la mandibola ed il padiglione auricolare, ramificandosi in quelli che costituiranno i cinque rami principali del nervo facciale:  temporale, zigomatico, vestibolare, mandibolare e cervicale, i quali si andranno a distribuire nell’emivolto corrispondente al nervo.

La muscolatura innervata dal nervo facciale non è situata nel tessuto sottocutaneo, bensì nel derma, infatti la sua contrazione non provoca lo spostamento di capi ossei ma della cute, determinando le varie espressioni del volto. Da ciò consegue che il nervo facciale gioca un ruolo fondamentale nella vita di relazione poiché la comunicazione, in particolare quella non verbale, si realizza in gran parte attraverso la mimica facciale.

Nella porzione superiore del viso, i muscoli innervati dal nervo facciale sono responsabili della azione di chiusura dell’occhio, sia riflessa, come in caso di pericolo, sia volontaria. L’efficacia della chiusura palpebrale è fondamentale per detergere ed umidificare la cornea: un deficit nella esecuzione di tale gesto, come nel caso di lesione del nervo facciale, provoca la cosiddetta cheratosi.

Nella porzione intermedia del viso, i muscoli innervati dal nervo facciale sono responsabili dei movimenti della narice durante la respirazione ed il gesto di annusare. Nella porzione inferiore, invece, sono ausiliari nella masticazione e nella fonazione, poiché impediscono la fuoriuscita del cibo dal cavo orale e modificano la posizione delle labbra per consentire la produzione dei fonemi.

La paralisi del nervo facciale si manifesta con asimmetria del viso, evidenziabile dall’allargamento della rima palpebrale, dallo spianamento delle rughe della fronte, dall’appiattimento del solco naso-genieno dal lato colpito, dallo stiramento della connessione labiale del lato sano e dall’abbassamento di quella del lato colpito con perdita di saliva dal lato leso.

La chiusura volontaria dell’occhio risulta impossibile e, nel tentativo di eseguire tale gesto, l’occhio devia verso l’alto e all’esterno; questo fenomeno chiamato lagoftalmo può portare a lacrimazione incontrollata. Impossibili sono, inoltre, i gesti del soffiare, annusare, mostrare i denti, gonfiare le guance e trattenere l’acqua e l’interessamento dei muscoli masticatori determina la presenza di residui di cibo nella cavità orale.

La lingua può apparire lievemente inclinata verso il lato colpito a causa del deficit dei muscoli stiloioideo e digastrico posteriore, mentre una metà del collo può mostrarsi più sottile per deficit del muscolo platisma. Se è leso il muscolo stapedio, può comparire iperacusia per i toni bassi.

Ricordiamo che la muscolatura del volto riceve un’innervazione periferica da parte del nervo facciale dello stesso emilato ed un’innervazione di origine centrale da parte della corteccia cerebrale contro laterale.

L’innervazione di tipo centrale è bilaterale per la metà superiore del volto come nei muscoli frontali e orbicolari dell’occhio e monolaterale per la metà inferiore del volto. Per questo motivo, nelle paralisi di tipo periferico (come la Paralisi di Bell) si avrà una paralisi completa dell’emilato colpito mentre nelle paralisi di tipo centrale, come nel caso di un ictus, sarà conservata in parte la metà superiore del volto (Figura 1). Questa distinzione è molto utile nel fare diagnosi differenziale.

paralisi del VII nervo cranico - paralisi periferica - paralisi centrale - fig 1

Figura 1: Differenze della muscolatura mimica tra le paralisi periferiche e le paralisi centrali del VII nervo cranico (“Managing Peripheral Facial Palsy”, Aris Garro et al.)

L’eziologia della paralisi del nervo facciale è varia, ritroviamo tra le cause più comuni quelle idiopatiche, quelle infettive, quelle traumatiche, iatrogene, cardiovascolari e neoplastiche. Tra le paralisi di causa idiopatica la più frequente è senz’altro la Paralisi di Bell, che si risolve nell’80% dei casi in maniera spontanea dopo circa 8-12 settimane; la causa di questa infiammazione acuta del nervo facciale non si conosce ancora del tutto, ma spesso è riconducibile a sbalzi di temperatura a livello del volto.

Tra le cause infettive della paralisi del nervo facciale, invece, le più conosciute sono quelle dovute alle infezioni da varicella Zoster che provoca la cosiddetta sindrome di Ramsay Hunt, spesso associata a dolore all’orecchio e confusa con la Paralisi di Bell da Herpes Zoster. L’infezione da Borrelia burgdorferi,  diffusa tramite le punture di insetto e responsabile della malattia di Lyme, è anch’essa confusa con la paralisi di Bell.

Tra le cause traumatiche vi sono le lacerazioni dell’assone del nervo dovute a fratture delle ossa craniche limitrofe ad esso, in particolar modo le fratture dell’osso temporale. Le cause cardiovascolari sono associate ad eventi ischemici o emorragici e che vanno ad interessare quindi la sede centrale del nervo provocando una sintomatologia tipica del motoneurone superiore (in seguito faremo la distinzione tra lesione del motoneurone superiore ed inferiore).

Infine ritroviamo le cause neoplastiche, ovvero le paralisi dovute a compressioni nervose da parte di tumori ( quelli che interessano maggiormente il VII nervo cranico sono il Neurinoma o Swhannoma e gli Emangiomi) e le cause iatrogene ovvero da complicanze post chirurgiche.

Come abbiamo visto le cause della paralisi del VII nervo cranico sono molteplici. Ciò che determinerà la riuscita ottimale di un intervento riabilitativo sarà determinato da una corretta diagnosi. È fondamentale effettuare diagnosi differenziale tra le varie tipologie di paralisi del nervo facciale, le sfaccettature e le differenze che si possono presentare sono sottili e a volte, sotto il nome di “Paralisi di  Bell”, si mascherano tipologie di paralisi che originano in realtà da cause diverse.

La Paralisi di Bell di norma si fa per esclusione dopo aver eliminato dalle ipotesi diagnostiche tutte le altre patologie del nervo che richiedono un approccio specifico e che possono essere campanello d’allarme per il sospetto di una causa più grave e sulla quale bisogna intervenire tempestivamente.

Innanzitutto bisogna ricostruire la storia del paziente che si presenterà dal medico con un’alterata motricità dei muscoli di un emivolto o di tutto il volto. Una paralisi derivante da una causa intrinseca del nervo (come ad esempio un tumore) ha spesso un’ insorgenza progressiva, a differenza delle paralisi infiammatorie che il più delle volte sono improvvise.

È compito del medico specializzato fare esclusione di patologie primarie alla paralisi del nervo. Per escludere la presenza di un tumore del nervo facciale, ad esempio, il medico potrà effettuare esami come l’otoscopia della membrana timpanica che, in caso di presenza di un tumore, potrà mostrare una massa anomala dietro la membrana; si prosegue in questi casi richiedendo una TAC ad alta risoluzione che fornisce subito gli elementi necessari per la diagnosi precisa.

La risonanza magnetica con mezzo di contrasto la si consiglia qualora si fosse davanti ad una lesione più ampia oppure in caso di una lesione interna al canale uditivo, dentro il quale passa il nervo.  Fondamentale durante l’anamnesi è la distinzione tra patologia del nervo facciale causata da un deficit del motoneurone superiore e da un deficit del motoneurone inferiore. Questa distinzione nella maggior parte dei casi risulta immediata tramite la valutazione muscolare del muscolo orbicolare dell’occhio e del muscolo frontale, dello stesso lato del nervo interessato.

Se la paralisi è di lieve entità ed è parziale si effettueranno controlli programmati a distanza con monitoraggio del paziente tramite farmaci, fisioterapia mirata e check up diagnostico; se invece la paralisi è completa si potrebbe optare per l’intervento chirurgico consistente nella rimozione dell’eventuale corpo estraneo, o di una porzione del nervo, con successivo trapianto tramite un nervo dello stesso soggetto o tramite l’innesto del nervo trigemino.

È stato riscontrato nella gran parte dei casi che con questo iter terapeutico e soprattutto con un buon piano riabilitativo, si ha una prognosi favorevole nella maggior parte dei casi dopo circa 8-10 mesi. Gli esiti di una riparazione del nervo facciale tuttavia sono molto soggettivi e dipendono dall’intervento chirurgico e dalla riabilitazione. Tuttavia, nonostante la numerosità degli interventi chirurgici descritti in letteratura, non vi è ancora un consenso comune riguardo quello che può essere il trattamento ottimale.

Per massimizzare i risultati di una procedura di riparazione nervosa, un piano di rieducazione facciale con la Fisioterapia è essenziale e gli stessi pazienti devono esserne consapevoli ancor prima dell’intervento chirurgico.

La modalità di cura dei pazienti sottoposti all’intervento e la riabilitazione del nervo facciale dovrebbe coinvolgere un team completo di operatori sanitari che include: un neurochirurgo, un chirurgo maxillofacciale, un chirurgo plastico, un radiologo, un logopedista, un fisioterapista, uno psicologo ed un infermiere per la cura delle eventuali ferite. È consigliata anche la collaborazione con un farmacista e con un medico del dolore per aiutare, insieme al fisioterapista, il paziente nella gestione del dolore.

Vista l’entità multimodale dell’intervento, l’approccio biopsicosociale per la gestione delle problematiche del paziente risulta essere l’approccio migliore che determinerà il successo terapeutico e, di conseguenza, l’aumento della qualità della vita dei pazienti.

Come abbiamo precedentemente detto, il paziente affetto da paralisi del nervo facciale, oltre a manifestare il disagio fisico, potrebbe soffrire in maggior misura dell’impatto psichico e sociale. Esso vedrà alterata l’immagine e l’idea del sé influendo negativamente sull’autostima e sulla vita sociale e portandolo persino ad evitarsi allo specchio.

Il paziente, che si sentirà privato della propria immagine e della propria consapevolezza del sé, tenderà pian piano ad isolarsi, e questa diminuzione delle interazioni sociali, unite alla scarsa autostima innescheranno l’inizio di sindromi depressive che potrebbero rappresentare un ostacolo non indifferente nella riabilitazione.

Una revisione sistematica del 2020 (Matthew Hotton et al. ) ha analizzato il coinvolgimento delle variabili psicologiche nella paralisi periferica del nervo facciale ed ha mostrato che l’ansia e i sintomi compatibili con la depressione sono frequenti nei pazienti con paralisi periferica del nervo facciale. Da un punto di vista clinico, i risultati della revisione sottolineano la necessità di valutare a fondo gli aspetti psicologici come ansia e sintomi depressivi nei pazienti con paralisi del facciale e mirare al miglioramento della qualità di vita.

Tra le scale di valutazione maggiormente usate per valutare l’entità delle lesioni nel nervo facciale vi sono la Scala di House Brackmann e la Scala di valutazione Facciale Sunnybrook (Figura 2), tuttavia la scala di Sunnybrook risulta essere quella più indicata per la valutazione funzionale del Fisioterapista in quanto la prima risulta essere poco oggettiva e non tiene conto delle minime variazioni, mentre la seconda consente di valutare il paziente a riposo, durante il movimento volontario ed analizzare le eventuali sincinesie confrontando l’emivolto colpito da paralisi con il lato sano.

Le sincinesie sono dei movimenti facciali involontari che si presentano al momento di un gesto motorio (come ad esempio la chiusura della palpebra durante il sorriso), dipendenti probabilmente da una re-innervazione eccessiva o errata dei muscoli facciali, spesso conseguenti a scelte terapeutiche poco mirate o ad un’eccessiva dose di stimoli durante la fase acuta nel caso si una paralisi di tipo centrale e possono rappresentare un ostacolo nella riabilitazione.

paralisi del VII nervo cranico - scala di valutazione facciale sunnybrook fig 2

Figura 2: Scala di valutazione facciale di Sunnybrook. La versione italiana è stata validata e pubblicata per la prima volta nel 2013 e risulta essere paragonabile all’originale. Essa assegna un punteggio da 0 a 100 dove 0 indica una paralisi completa e 100 una funzionalità normale.

La sintomatologia nella paralisi del nervo facciale comprende: dolore cutaneo sul lato interessato, disturbi di sensibilità tattile e cinestetica, iperacusia omolaterale e deficit della funzione motoria che può evolvere il paralisi totale oppure in casi più lievi a paresi.

Il paziente si troverà impossibilitato ad effettuare azioni come sollevare le sopracciglia, arricciare il naso, strizzare l’occhio, arricciare la fronte, sorridere a bocca chiusa o mostrando i denti simmetricamente, fischiare, soffiare, gonfiare le guance trattenendo l’aria, mandare un bacio. Queste difficoltà avranno ripercussioni sul suo linguaggio, sull’alimentazione e sulla comunicazione verbale e non verbale compromettendo la vita relazionale, sociale e portando alla comparsa di fenomeni come ansia e depressione.

La riabilitazione nei pazienti con paralisi del VII nervo cranico avrà l’obiettivo di promuovere l’utilizzo  e la funzionalità ottimale dei muscoli da esso innervati ed il graduale ritorno alle attività di vita quotidiana e sociale. Il Fisioterapista in particolare partirà da un accurata anamnesi e valutazione del paziente facendo attenzione a capire quali sono le azioni e i muscoli maggiormente compromessi e deciderà quale tipologia di approccio sia più indicata al caso specifico valutando i fattori contestuali e la storia del paziente.

Come abbiamo visto prima, è importante conoscere la causa effettiva della paralisi e la sua origine, se centrale o periferica e soprattutto qualunque sia la scelta terapeutica, essa non può prescindere da un’attenta analisi degli aspetti psicologici del paziente. Ansia, depressione, solitudine, scoraggiamento, sono tutti fattori comuni dei pazienti affetti da paralisi del facciale ed ognuno di essi può influire negativamente sulla riuscita ottimale della riabilitazione.

Le tecniche riabilitative per sfruttare al meglio il fenomeno della neuro plasticità e favorire la neuro genesi ed  il cosiddetto “sprouting” neuronale, ovvero la ramificazione periferica del nervo dopo una lesione, sono molteplici. La neuro plasticità è un fenomeno costantemente presente nell’essere umano e varia in base al soggetto e all’età. Le tecniche più utilizzate in riabilitazione sono la fisioterapia tramite facilitazioni neuromuscolari progressive (Kabat Concept), introdotte in Italia dal professor Giuseppe Monari e l’approccio di riabilitazione di tipo neuro cognitivo, ideato dal professor Carlo Perfetti e diffuso successivamente in tutto il mondo.

Le facilitazioni neuromuscolari secondo Kabat consistono nel somministrare al paziente stimoli ben precisi per facilitare una risposta motoria di un muscolo o gruppo di muscoli, tenendo conto di parametri quali la durata, la direzione, la frequenza e l’intensità dello stimolo. I fenomeni neurofisiologici e le teorie su cui si basa questa tecnica derivano principalmente dalle leggi di Sherrington e sono:

  • La legge dell’induzione successiva, che illustra come la contrazione richiesta di un muscolo sia maggiore se preceduta dalla contrazione tanto intensa del suo antagonista se le due contrazioni si susseguono immediatamente. In questo modo possiamo sfruttare l’azione dell’antagonista per stimolare un muscolo deficitario;
  • La legge dell’innervazione reciproca, nella quale l’esistenza di circuiti inibitori midollari promuove il rilasciamento di un muscolo al momento della contrazione del proprio antagonista. Questo fenomeno è utile per facilitare il rilasciamento di un muscolo spastico.
  • Il fenomeno dell’irradiazione, in cui la contrazione di un gruppo di muscoli dà l’input a muscoli sinergici più deboli, come per richiedere ulteriore aiuto per svolgere un compito. E questo risulta essere molto utile qualora si volesse richiedere la contrazione di un muscolo deficitario.
  • Il fenomeno della sommazione spaziale, che consiste nella propagazione dello stimolo eccitatorio da parte di diverse sinapsi verso un unico neurone, il quale dopo aver raggiunto la soglia eccitatoria necessaria genera un nuovo potenziale d’azione. Questo fenomeno nella pratica clinica si traduce nella somministrazioni di più stimoli ed intensità maggiori per ottenere una risposta specifica aumentando quindi il numero di motoneuroni coinvolti.
  • Il fenomeno della sommazione temporale, in cui stimoli ripetuti a brevi intervalli di tempo aumentano la risposta motoria.
  • Il fenomeno dello stiramento prolungato, nel quale vengono stimolati gli organi tendinei del Golgi a conduzione lenta tramite un allungamento muscolare prolungato, riuscendo ad inibire l’azione riflessa contrattile dei fusi neuromuscolari a conduzione rapida.
  • La ripetizione del movimento, che secondo le ricerche del medico fisiologo russo Pavlov contribuisce alla formazione di nuove reti ed integrazioni neuronali tramite il processo di corticalizzazione.

Nella riabilitazione del VII nervo cranico secondo il metodo Kabat si suddivide per comodità il nervo in tre fulcri principali corrispondenti alle sue tre branche maggiori e ai rispettivi muscoli che esse innervano. Questi fulcri principali sono: il fulcro superiore, il fulcro intermedio ed il fulcro inferiore (Figura 3).

Il fulcro superiore: comprende i muscoli frontale, corrugatore ed orbicolare dell’occhio.

Il fulcro intermedio: comprende il muscolo elevatore dell’ala del naso e del labbro superiore, il muscolo dilatatore della narice ed il muscolo mirtiforme;

Il fulcro inferiore: comprende i muscoli grande zigomatico, piccolo zigomatico, risorio, orbicolare delle labbra, triangolare del labbro inferiore, mentoniero e buccinatore.

paralisi del VII nervo cranico - divisione in tre fulcri del nervo facciale fig 3

Figura 3: illustrazione della divisione in tre fulcri del nervo facciale con i rispettivi muscoli che ne vengono innervati.

Il nervo facciale essendo responsabile dell’innervazione dei muscoli della mimica, ricopre un ruolo centrale nella comunicazione verbale e non verbale e quindi nelle emozioni; risulterebbe quindi assai riduttivo per il fisioterapista soffermarsi solamente sul singolo reclutamento muscolare.

Recenti studi hanno dimostrato che l’innervazione del nervo facciale è regolata dalla via cortico-bulbare, deputata alla contrazione di tipo volontario e dalla via extrapiramidale e del sistema limbico, responsabile delle espressioni spontanee tipiche delle emozioni. Capiamo bene quindi come la partecipazione emotiva ed emozionale del paziente non può essere trascurata nella riabilitazione del VII nervo cranico.

A tal proposito l’integrazione con l’approccio neurocognitivo risulta essere una valida alternativa terapeutica. L’utilizzo della motor imagery , ovvero dell’immagine motoria, per il paziente potrebbe cambiare il suo modo di vedere l’espressione del viso come immagine visiva e ripensarla come un’azione generata per compiere uno scopo, ossia una vera e propria immagine motoria.

Non meno importanti sono la stimolazione per la sensibilità tattile e cinestetica, saper riconoscere ad esempio la consistenza, la forma o la ruvidità di un oggetto o di un ausilio tramite l’utilizzo delle labbra o di altre porzioni del viso, permette di incrementare sia la sensibilità batiestetica che quella epicritica. Le espressioni del volto sono possibili grazie allo sviluppo di tali sensibilità.

Vi sono anche altre ipotesi riabilitative come ad esempio quella dell’elettrostimolazione, ancora oggi presa spesso in considerazione. Bisogna specificare che non vi sono ancora evidenze significative sulla sua efficacia ed inoltre non tiene conto della partecipazione e dell’attenzione del paziente. Tra le altre controindicazioni inoltre ritroviamo quella della re-innervazione aberrante dei rami collaterali degli assoni che può portare alla comparsa di sincinesie.

Possiamo concludere che nelle paralisi del VII nervo cranico, una corretta diagnosi ed un trattamento riabilitativo mirato possono rappresentare gli alleati perfetti per la migliore prognosi del paziente, tenendo sempre in considerazione le sue caratteristiche psico-sociali e la sua partecipazione al progetto terapeutico.

paralisi del VII nervo cranico - paziente con diagnosi di schwannoma fig 4

Figura 4: Caso Clinico – Paziente con diagnosi di Schwannoma di I grado asportato chirurgicamente per compressione del tronco encefalico con conseguente compromissione del VII nervo cranico. Nelle figure A, B e C vediamo la paziente con viso a riposo rispettivamente all’ inizio del trattamento, dopo 5 sedute e dopo 10 sedute.

Sono state eseguite terapie di facilitazione neuro cinetiche progressive Kabat per due volte a settimana abbinate ad esercizi domiciliari mirati alla funzione del gesto motorio. La paziente non ha ancora terminato il suo ciclo di terapie, tuttavia nelle foto si possono riscontrare i primi miglioramenti estetici dati dal reclutamento dei muscoli più deficitari della bocca.

Il recupero neurologico varia in base all’età e alle caratteristiche del soggetto ed i miglioramenti talvolta possono essere visivamente quasi impercettibili ma determinanti nel miglioramento della funzione.

BIBLIOGRAFIA:

F Agostini , et al. “Idiopathic facial palsy: umbrella review of systematic reviews and meta-analyses”

Nathan R. Walker , et al. “Facial Nerve Palsy”

Elizabeth George , et al. “Facial Nerve Palsy: Clinical Practice and Cognitive Errors”

Su Jin Kim Ho Yun Lee  “Acute Peripheral Facial Palsy: Recent Guidelines and a Systematic Review of the Literature”

Tom Shokri Babak Azizzadeh Yadranko Ducic  “Modern Management of Facial Nerve Disorders”

Diogo C. de Castro Luiz C. Marrone  “Neuroanatomy, Geniculate Ganglion”

Fargher KA, Coulson SE (2017) “Effectiveness of electrical stimulation for rehabilitation of facial nerve paralysis”

Eyal Gur , et al. “Incomplete Facial Paralysis: The Use of the Ipsilateral Residual Facial Nerve as a Donor Nerve for Facial Reanimation”

Peitersen E (2002) “Bell’s palsy: The spontaneous course of 2,500 peripheral facial nerve palsies of different etiologies”

Nneoma Set al.”Physical Therapy for Iatrogenic Facial Paralysis

A Systematic Review”

Feng Xu et al.“Intracranial facial nerve schwannomas: current management and review of the

Literature”

Alaani A, Hogg R, Saravanappa N, Irving RM (2005) An analysis of diagnostic delay in unilateral facial paralysis.

Mara Wernick Robinson Jennifer BaiungoFacial Rehabilitation: Evaluation and Treatment Strategies for the Patient with Facial Palsy”

Ciriello, M. Calabrese “The Role of Rehabilitation in Peripheral Paralysis of the Facial Nerve: A Case Report of a Patient Treated with a Neuro-Cognitive Approach”

Wenjuan Zhang et al. “The etiology of Bell’s palsy: a review”

Matthew Hotton et al. “The psychosocial impact of facial palsy: A systematic review”

Knott M, Voss DE. “Proprioceptive neuromuscular facilitation, pattern and techniques.”

Maya Zaidman et al.” Assessment of eye closure and blink with facial palsy: A systematic literature review”

Kabat H. “Proprioceptive facilitation in therapeutic exercise”.

Aris Garro et al.”Managing Peripheral Facial Palsy”,

Medical News Psicologia

I recenti studi relativi il microbiota umano e l’epigenetica sostengono il ruolo della mente come complesso sistema integrato di gestione delle teleonomie dell’olobionte costituito dalle cellule umane e dai molti microorganismi che colonizzano il nostro organismo.


English abstract 

The epigenetic paradigm and the so-called “microbiota revolution” implicitly converge and support a vision that envisages the human mind as an integrated system that not only seeks to satisfy the bio-psycho-social teleonomies implemented by the DNA of the human species but also contemplates the ecosystem’s teleonomies represented by the set of microorganisms of the microbiota that do not share our DNA and that globally we can consider an holobiontic unit.

Italian abstract 

Il paradigma epigenetico e la cosiddetta “microbiota revolution” implicitamente convergono e supportano una visione che prevede la mente umana come sistema integrato che non solo cerca di soddisfare le teleonomie bio-psico-sociali implementate dal DNA della specie umana ma contemplano anche le teleonomie dell’ecosistema rappresentato dall’insieme di microorganismi del microbiota che non condividono il nostro DNA e che globalmente possiamo considerare un’unità olobiontica.

Autore

Dott. Massimo Agnoletti – Psicologo, Dottore di ricerca esperto di Stress, Psicologia Positiva e Epigenetica. Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto, Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE).


[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L’[/dropcap]organismo umano è costituito da circa 30 mila miliardi di cellule che contengono DNA umano e, secondo stime molto recenti (Sender, Fuchs, & Milo, 2016), in media, un numero circa pari o superiore di un terzo di batteri che, insieme a virus e funghi, compongono quello che viene definito microbiota cioè la massa di circa un kilogrammo di microorganismi che popolano il nostro organismo e che possiedono un contenuto genetico diverso da quello umano.

Sulla “nostra” pelle, nelle mucose della “nostra” bocca e delle vie respiratorie, e soprattutto nell’intestino, questo complesso ecosistema con un DNA diverso dal nostro svolge un ruolo fondamentale ed indispensabile per la nostra salute e la nostra sopravvivenza.

Dalle funzioni digestive a quelle metaboliche o immunitarie, il microbiota è essenziale per il funzionamento del nostro organismo e possiede un microbioma, ovvero l’informazione genetica totale contenuta dai suoi microorganismi, stimata essere circa 100 volte più grande del genoma umano.

Diversamente da quanto creduto nel passato è dunque lecito domandarsi se, quando parliamo del “nostro” organismo, ci riferiamo esclusivamente all’insieme delle cellule che condividono il DNA della specie umana trasmesso dai nostri genitori o sia più corretto considerare con questo termine anche il complesso ecosistema che comprende tutte le cellule con un DNA “extra” umano che ci permettono di sopravvivere e prosperare.

Già in passato, anche prima di quella che viene comunemente definita “microbiota revolution” per l’enorme impatto su molti paradigmi fondamentali delle scienze biomediche, alcuni biologi evoluzionisti e microbiologi avevano sentito l’esigenza di coniare il termine, “olobionte”, per descrivere un organismo vivente caratterizzato dalla convivenza simbiotica di organismi che non condividono lo stesso DNA.

La nota biologa Lynn Margulis, che propose negli anni 60 del secolo scorso la teoria dell’endosimbiosi in riferimento soprattutto a strutture biologiche intracellulari (si veda ad esempio il ruolo dei mitocondri), è stata forse la maggiore sostenitrice del concetto di olobionte.

Questa idea è caratterizzata dagli aspetti simbiotici di strutture biologiche di varia natura che, pur condividendo una prossimità spaziale e funzionale, non possiedono lo stesso DNA e possiedono una propria autonomia cellulare (non si trovano cioè all’interno della stessa cellula come nel caso dell’endosimbiosi).

Ogni organismo eucariote (quindi caratterizzato da più cellule che condividono il medesimo DNA concentrato e separato in una struttura chiamata nucleo cellulare)del regno animale, vegetale o fungino vive in simbiosi con microorganismi appartenenti agli altri due regni biologici (batteri e archaea) ma fino alla formalizzazione della “microbiota revolution” abbiamo fatto fatica a comprendere concettualmente la molteplicità di implicazioni che le dinamiche simbioti che comportano soprattutto nel contesto dell’organismo umano.

L’epigenetica e gli studi sul microbiotasupportano il concetto di mente quale unità integrata dell'olobionte umano-microbiota - img1Sia, ad esempio, la produzione di molecole biologiche quali la serotonina e la dopamina, che la funzione di elaborazione ed assorbimento degli alimenti che assumiamo, che il ruolo fondamentale di apprendimento nei confronti del nostro sistema immunitario, definiscono il microbiota quale protagonista finora grandemente sottostimato dalle scienze biomediche relativamente l’eziologia di molte problematiche di natura sia organica (si veda ad esempio la celiachia, l’obesità o la colite ulcerosa) che psicologica (per esempio l’ansia, la depressione e molte psicopatologie quali l’autismo, la schizofrenia, etc.) (Caio et al., 2019; Cheung et al., 2019; Kelly et al. 2016; Li & Zhou, 2016; Sharon et al., 2019; Foster &McVey Neufeld; 2013; Garrett et al. 2007; Mangiola et al., 2016; Rodrigues-Amorim et al., 2018; Simpson et al., 2021).

Grazie alle ricerche sul microbiota sappiamo ad esempio che, soprattutto i primi anni di vita dell’organismo umano attraverso esperienze quali il parto, l’allattamento, la presenza di altri esseri viventi (per esempio animali domestici), l’assunzione o meno di antibiotici, la tipologia di stress psicosociale percepito, etc. (Koenig et al., 2011; Ottman et al., 2012).

I primi anni di vita sono fondamentali per la definizione del microbiota ma questo non significa che la sua composizione non cambi nel tempo e che non possa essere influenzata da molteplici fattori che hanno un impatto globale sulla salute e la qualità di vita della persona.

Le conoscenze sul microbiota stanno cambiando i paradigmi sia delle scienze biomediche che di quelle psicologiche (Agnoletti, 2021).

Alla luce dei dati acquisiti recentemente in questo settore possiamo affermare che, ad esempio, molti modelli di patologie o disturbi che finora avevamo considerato non trasmissibili in realtà possono esserlo (vedi ricerche sul trapianto di microbiota relative l’ansia, la depressione, l’obesità, ecc.) fornendoci anche nuove potenzialità terapeutiche.

A titolo d’esempio pensiamo a come diversamente potrebbe essere considerata da un professionista, come uno psicologo od un medico, una persona che soffre di stati d’ansia o di depressione malgrado affermi di aver vissuto una vita percepita dalla persona stessa come serena e tranquilla e comunque priva di episodi particolarmente stressanti.

Le scienze del microbiota ci forniscono una possibilità interpretativa aggiuntiva molto interessante da approfondire che esula dalle varie forme di riduzionismo e di determinismo rappresentabili, ad esempio, dall’improduttiva ricerca di inesistenti traumi infantili “negati” o dalla semplicistica spiegazione in termini di squilibri chimici.

A questa nuova visione più ampia e complessa del funzionamento globale del nostro organismo si aggiunge il moderno paradigma dell’epigenetica caratterizzato dallo studio dei fattori che determinano l’espressione selettiva del contenuto genetico.

L’epigenetica e gli studi sul microbiotasupportano il concetto di mente quale unità integrata dell'olobionte umano-microbiota - img2

Questo paradigma propone un nuovo concetto relativo il rapporto Self-Ambiente profondamente diverso rispetto quello precedente focalizzato sul contenuto del DNA (Agnoletti,2020a) restituendo un ruolo ugualmente fondamentale a molti aspetti non genetici inclusa la psicologia (Agnoletti, 2020b).

In una prospettiva epigenetica lo studio del microbiota può assumere un significato nuovo dovei rapporti simbiotici tra i microorganismi di questo ecosistema e le cellule umane acquistano un significato aggiuntivo e dove alla psicologia dell’organismo può essere attribuito il ruolo fondamentale di complesso sistema di gestione integrata dell’olobionte umano/microbioma (non solo funzionale esclusivamente alla teleonomia del DNA umano).

L’epigenetica e gli studi sul microbiotasupportano il concetto di mente quale unità integrata dell'olobionte umano-microbiota - img3Il paradigma dell’epigenetica ha ormai rivoluzionato, il cosiddetto “dogma centrale” della biologia molecolare, adottato dalla maggioranza degli accademici e operatori del settore biomedico e psicologico da più di cinquanta anni dimostrando che l’informazione biologica non fluisce esclusivamente e unidirezionalmente, dal genotipo (rappresentato dal DNA) al fenotipo (rappresentato dagli aminoacidi, i “mattoncini” fondamentali del nostro organismo) ma include anche la direzione opposta attraverso l’azione di vari meccanismi che selezionano attivamente quali porzioni di DNA “esprimere” in molecole fisicamente e chimicamente attive e quali invece “silenziare” (rendendole virtualmente assenti in termini di molecole biologicamente attive nell’organismo).

Per diversi decenni il mainstream accademico biomedico ha sostenuto il dogma centrale della biologia e, anche se molti studiosi non appoggiarono l’idea di un DNA “impermeabile” alle informazioni biologiche provenienti dall’ambiente, finora generalmente si è largamente assunto che la maggior parte delle scelte comportamentali che compiamo quotidianamente sono finalizzate ad ottimizzare gli scopi teleonomici di quello che consideriamo il “nostro” self biologico rappresentato dal nostro DNA.

Questo scenario concettuale ha implicitamente prodotto in passato concezioni biologiche e psicologiche della persona umana coerenti con queste radici epistemologiche basate sulla suddivisione tra un Self (sostanziato dal DNA della specie umana) e un Non-Self (il cosiddetto “ambiente”), rappresentato da tutto ciò che non è informazione genetica umana.

Chiaramente questa visione ipersemplificata e gene-centrica non è più sostenibile alla luce delle molteplici funzioni fondamentali ormai riconosciute del microbiota.

Nella pratica clinica, per varie categorie di professionisti, quali ad esempio medici, psicologi, biologi, etc. è spesso stata evidente l’esigenza di trattare l’organismo umano (e non solo) quale entità integrata, almeno in parte autonoma rispetto la sola memoria genetica, ma questo aspetto è stato quasi sempre riconosciuto come concettualmente incoerente con il paradigma largamente condiviso dalla comunità accademica che sosteneva pienamente il dogma centrale della biologia.

Comportamenti quali ad esempio il celibato o il fatto di dedicare la propria vita a teleonomie diverse da quella strettamente biologica (si pensi all’arte, al supporto sociale, etc.) spesso sono quindi state viste da una parte come comportamenti tipicamente umani dall’atra come difficilmente contestualizzabili nel paradigma gene-centrico (se non talvolta addirittura considerati come aberrazioni semi-patologiche espresse dalla complessità umana).

La celebre metafora del DNA come software di un computer che dirige la costruzione di un hardware rappresentato dalle molecole attive nel mondo fisico-chimico organico, ed il noto concetto di “gene-egoista” (Richard Dawkins), dove l’informazione genetica aveva come unico scopo quello di massimizzare la replicazione di se stessa, sono state tanto efficaci dal punto di vista comunicativo quanto incoerenti con la realtà complessa descritta dagli studi bio-psico-sociali e recentemente anche dal settore del microbiota.

La recente sovrapposizione concettuale dell’epigenetica e dello studio del microbiota permette di superare il riduzionismo che prevedeva un Self identificato dal DNA umano ed un “non Self” che corrispondeva a tutto ciò che non si trovava nel contenuto informativo dei geni.

Con l’epigenetica, il Self non ha più una sua collocazione spaziale così ben definita e discriminabile mentre con la “microbiota revolution” si afferma l’importanza vitale degli altri microorganismi che coabitano lo stesso contesto fisico.

L’epigenetica e gli studi sul microbiotasupportano il concetto di mente quale unità integrata dell'olobionte umano-microbiota - img5In questo panorama più complesso si perde la definizione dei confini precisi di un Self/non Self così come si perde il concetto netto di ambiente interno ed esterno dal momento che alcuni confini fisici che siamo abituati a considerare come “interni” al nostro organismo sono invece aree “esterne” rispetto alcuni nostri commensali (si pensi ai batteri intestinali ad esempio).

Considerando quanto già sappiamo sull’ecosistema che chiamiamo microbiota all’interno del paradigma epigenetico è possibile quindi comprendere come il comportamento umano e la sua fitness sia il risultato di una continua negoziazione tra le esigenze del genotipo umano e quello delle migliaia di specie che colonizzano il nostro corpo che si riflette nella complessità delle nostre spinte motivazionali e delle scelte che compiamo quotidianamente.

In questo contesto, la Psicologia Epigenetica, ossia lo studio scientifico dell’influenza dei fattori psicologici sui processi epigenetici dell’organismo (Agnoletti, 2018) rappresenta una nuova sfida concettuale per il fatto che comprende anche l’impatto che possiede sulla memoria epigenetica del microbiota funzionale alle varie teleonomie dell’organismo umano (biologica, psicologica e socio-culturale).

Abbiamo visto come la stessa nozione di “self” (cosa consideriamo e percepiamo come “nostro” nel senso di legato alla nostra identità) e cosa invece giudichiamo essere “altro” rispetto a noi, assumeun nuovo significato nello scenario appena descritto caratterizzato dal paradigma epigenetico (Agnoletti, 2020) soprattutto contestualizzato all’interno di un organismo che riconosce l’importanza di un ecosistema come il microbiota (Agnoletti, 2021).

Lo studio del microbiota è solo recente ma già così rappresenta un profondo rinnovamento dei paradigmi finora considerati dalle scienze psicologiche e biomediche per le molteplici implicazioni relative la salute ed il benessere umano.

Le teleonomie dell’organismo olobiontico non sono quindi più riconducibili né esclusivamente al DNA umano né a quello esclusivamente riconducibile a quello del microbiota, ma ad un dialogo in cui la mente, e quindi le scienze psicologiche, (ri)acquisiscono un valore ed un ruolo più importante rispetto al recente passato proprio perché solo attraverso la modifica della nostra stessa complessità psicologica possiamo ambire a migliorare il nostro organismo in modo intenzionale e cumulativo.

Le recenti scoperte relative il microbiota e la loro divulgazione sono un esempio molto attuale e concreto di come la consapevolezza derivante dalle conoscenze scientifiche culturali che stiamo accumulando nel tempo possono modificare i nostri stili di vita, la nostra longevità, il nostro benessere psicofisico.

L’epigenetica e gli studi sul microbiotasupportano il concetto di mente quale unità integrata dell'olobionte umano-microbiota - img4Il ruolo della mente in questo processo cumulativo ed intenzionale è assolutamente unico e prioritario.

Si può, quindi, affermare che la specie umana rappresenta la specie animale dove la componente epigenetica è la più complessa perché include tra l’altro anche memorie extra-somatiche simboliche oltre al contributo di memorie extra-genetiche umane.

Solo l’atto di consapevolezza umana può promuovere un cambiamento intenzionale operante sulle varie memorie (genetiche, epigenetiche, psicologiche, culturali, umane e non) che compongono sia l’organismo che l’ambiente nel quale interagisce il nostro olobionte.

L’Homo Sapiens è infatti, a mio avviso, l’unica specie animale conosciuta che, attraverso la motivazione può scegliere di selezionare consapevolmente le proprie esperienze in funzione di modificare la “propria” memoria epigenetica (intesa relativamente il DNA umano) insieme a quella dei propri ospiti (intesa relativamente il microbiota) per perseguire un migliore benessere psicofisico globale.

BIBLIOGRAFIA

Agnoletti, M. (2021). Perché lo studio del microbiota sta rivoluzionando le scienze psicologiche oltre che quelle biomediche. Medicalive Magazine, 2, 12-18.

Agnoletti, M. (2020a). L’epigenetica ridefinisce il concetto di Self nelle scienze biomediche e psicologiche. Medicalive Magazine, 1, 35-40.

Agnoletti, M. (2020b). L’epigenetica e la sovrastima della componente genetica negli studi gemellari. Medicalive Magazine, 2, 11-16.

Agnoletti, M. (2018). La nuova frontiera della psicologia: la Psicologia Epigenetica. State of Mind,10.

Caio, G., Volta, U., Sapone, A., Leffler, D. A., De Giorgio, R., Catassi, C., & Fasano, A. (2019). Celiac disease: a comprehensive current review. BMC medicine, 17(1), 142. https://doi.org/10.1186/s12916-019-1380-z

Cheung, S. G., Goldenthal, A. R., Uhlemann, A. C., Mann, J. J., Miller, J. M., & Sublette, M. E. (2019). Systematic Review of Gut Microbiota and Major Depression. Frontiers in psychiatry, 10, 34. https://doi.org/10.3389/fpsyt.2019.00034

Foster, J. A., & McVey Neufeld, K. A. (2013). Gut-brain axis: how the microbiome influences anxiety and depression. Trends in neurosciences, 36(5), 305–312. https://doi.org/10.1016/j.tins.2013.01.005

Garrett, W. S., Lord, G. M., Punit, S., Lugo-Villarino, G., Mazmanian, S. K., Ito, S., Glickman, J. N., &Glimcher, L. H. (2007). Communicable ulcerative colitis induced by T-bet deficiency in the innate immune system. Cell, 131(1), 33–45. https://doi.org/10.1016/j.cell.2007.08.017

Kelly, J. R., Borre, Y., O’ Brien, C., Patterson, E., El Aidy, S., Deane, J., Kennedy, P. J., Beers, S., Scott, K., Moloney, G., Hoban, A. E., Scott, L., Fitzgerald, P., Ross, P., Stanton, C., Clarke, G., Cryan, J. F., &Dinan, T. G. (2016). Transferring the blues: Depression-associated gut microbiota induces neurobehavioural changes in the rat. Journal of psychiatric research, 82, 109–118. https://doi.org/10.1016/j.jpsychires.2016.07.019

Koenig, J. E., Spor, A., Scalfone, N., Fricker, A. D., Stombaugh, J., Knight, R., Angenent, L. T., & Ley, R. E. (2011). Succession of microbial consortia in the developing infant gut microbiome. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 108 Suppl 1(Suppl 1), 4578–4585. https://doi.org/10.1073/pnas.1000081107

Li, Q., & Zhou, J. M. (2016). The microbiota-gut-brain axis and its potential therapeutic role in autism spectrum disorder. Neuroscience, 324, 131–139. https://doi.org/10.1016/j.neuroscience.2016.03.013

Mangiola, F., Ianiro, G., Franceschi, F., Fagiuoli, S., Gasbarrini, G., &Gasbarrini, A. (2016). Gut microbiota in autism and mood disorders. World journal of gastroenterology, 22(1), 361–368. https://doi.org/10.3748/wjg.v22.i1.361

Ottman, N., Smidt, H., de Vos, W. M., &Belzer, C. (2012). The function of our microbiota: who is out there and what do they do?. Frontiers in cellular and infection microbiology, 2, 104. https://doi.org/10.3389/fcimb.2012.00104

Rodrigues-Amorim, D., Rivera-Baltanás, T., Regueiro, B., Spuch, C., de Las Heras, M. E., Vázquez-Noguerol Méndez, R., Nieto-Araujo, M., Barreiro-Villar, C., Olivares, J. M., &Agís-Balboa, R. C. (2018). The role of the gut microbiota in schizophrenia: Current and future perspectives. The world journal of biological psychiatry : the official journal of the World Federation of Societies of Biological Psychiatry, 19(8), 571–585. https://doi.org/10.1080/15622975.2018.1433878

Sender, R., Fuchs, S., & Milo, R. (2016). Revised Estimates for the Number of Human and Bacteria Cells in the Body. PLoS biology, 14(8), e1002533. https://doi.org/10.1371/journal.pbio.1002533

Sharon, G., Cruz, N. J., Kang, D. W., Gandal, M. J., Wang, B., Kim, Y. M., Zink, E. M., Casey, C. P., Taylor, B. C., Lane, C. J., Bramer, L. M., Isern, N. G., Hoyt, D. W., Noecker, C., Sweredoski, M. J., Moradian, A., Borenstein, E., Jansson, J. K., Knight, R., Metz, T. O., … Mazmanian, S. K. (2019). Human Gut Microbiota from Autism Spectrum Disorder Promote Behavioral Symptoms in Mice. Cell, 177(6), 1600–1618.e17. https://doi.org/10.1016/j.cell.2019.05.004

Simpson, C. A., Diaz-Arteche, C., Eliby, D., Schwartz, O. S., Simmons, J. G., & Cowan, C. (2021). The gut microbiota in anxiety and depression – A systematic review. Clinical psychology review, 83, 101943. https://doi.org/10.1016/j.cpr.2020.101943

Medical News Scienze Infermieristiche

Il codice rosa è un codice che identifica un percorso di accesso al Pronto Soccorso, riservato ai casi in cui particolari categorie di persone come donne, bambini, anziani, soggetti fragili come i pazienti psichiatrici e  diversamente abili,  sono vittime di violenza nelle forme proprie della “violenza di genere”.


English abstract 

The code pink identifies an access pathway to the Emergency Department where particular categories of people such as children, elderly, disabled patients and especially women are victims of violence. The role of the nurse is to assist the woman in all her phases, from the moment she enters the hospital to the moment she is discharged, collaborating with the doctor and other specialists to achieve a common goal.

The phenomenon of violence against women continues to be serious and quite widespread: suffice it to say that 31% of women aged between 16 and 70 (about 7 million women) have been victims of physical or sexual violence. Another alarming and highly significant fact concerns the consequences of these attitudes: more than half of the victims suffer from a loss of confidence and self-esteem. This is why the role of the nurse responsible for caring for these women is highly complex as it involves a series of technical, caring and relational assessments and measures.

Italian abstract 

Il codice rosa identifica un percorso di accesso al Pronto Soccorso in cui particolari categorie di persone come bambini, anziani, pazienti diversamente abili;  ma  in particolare le donne sono vittime di violenza. Il ruolo dell’infermiere è quello di assistere la donna in tutte le sue fasi, dall’accesso in ospedale fino al momento della dimissione collaborando con il medico e altre figure specialistiche per il raggiungimento di un obiettivo comune.

Il fenomeno della violenza sulle donne continua ad essere grave e abbastanza diffuso: basti pensare che il 31% delle donne di età compresa fra i 16 e i 70 anni (circa 7 milioni di donne) sono state vittima di violenza fisica o sessuale. Un altro dato allarmante e altamente significativo riguarda le conseguenze derivanti da questi atteggiamenti: più della metà delle vittime soffre di perdita di fiducia e autostima. Ecco perché il ruolo dell’infermiere responsabile all’assistenza a queste donne è altamente complesso in quanto racchiude una serie di valutazioni e accorgimenti di natura tecnica, assistenziale e relazionale.

Autori

Dott. Gianluca Bello – Dottoressa in Infermieristica,  Chieti
Dott. Abramo Mammarella –  Dottore in Infermieristica, Chieti
Dott. Gianfranco Verna – Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Chieti
Francesco Verna – studente corso di Laurea in Infermieristica, Chieti

[dropcap color=”#008185″ font=”0″]I[/dropcap]l codice rosa è un codice che identifica un percorso di accesso al Pronto Soccorso, riservato ai casi in cui particolari categorie di persone come donne, bambini, anziani, soggetti fragili come i pazienti psichiatrici e  diversamente abili,  sono vittime di violenza nelle forme proprie della ” violenza di genere”.

È importante sottolineare come il codice rosa non sia un vero e proprio codice di priorità,  ma un percorso che viene definito “percorso rosa” in cui la vittima inizialmente accede al pronto soccorso, viene valutata al triage,  assegnato un codice di priorità  (bianco, verde, giallo, rosso) in base all’entità della lesione subita e successivamente  indirizzata  in ambito di inquadramento patologico/psicologico idoneo.

La task force che si attiva immediatamente, è composta da personale sanitario (medici, infermieri), psicologi,  Forze di Polizia,  personale socio sanitario. Obiettivo è la presa  in carico del soggetto,  e consentire allo Stesso di essere inserito in una vera e propria rete di protezione ed arriva a garantire, in casi selezionati, l’anonimato al soggetto che ha subito violenza.

Con il termine “violenza di genere” si definisce qualsiasi atto di violenza rivolto a donne e bambine e che mette in luce la dimensione “sessuata” del fenomeno. L’assemblea generale delle Nazioni Unite che ha stilato la Dichiarazione sulla eliminazione della violenza contro le donne (1993) la definisce come: “ogni atto fondato sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, le coercizioni o la privazione arbitraria della libertà, che avvengono nella vita pubblica o privata”. Tale definizione riconosciuta nella Dichiarazione delle Nazioni Unite nel 1993 ha finalmente portato ad una consapevolezza sociale del fenomeno e della sua multidimensionalità.

L’OMS definisce la violenza come l’uso intenzionale della forza fisica o del potere o la minaccia di tale uso rivolto contro se stessi, contro un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che determini o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o privazione.

La violenza sulle donne è un fenomeno trasversale che può colpire donne di ogni condizione culturale o sociale, non circoscrivibile in precisi contesti socio‐economici.

La violenza può manifestarsi in molte forme diverse e caratterizzare ambiti differenti della vita di una donna: violenza fisica1, violenza psicologica1, violenza sessuale, molestie sessuali, violenza economica, violenza morale, stalking, mobbing.

Definiamo le forme di violenza meno conosciute:

Violenza economica: ci si riferisce a comportamenti rivolti a impedire alla partner della sua indipendenza economica, per poter esercitare su di essa un controllo implicito 2. Questa forma di violenza toglie alla donna la libertà di prendere decisioni e di comportarsi autonomamente rispetto ai propri desideri e decisioni di vita.

Violenza morale: atteggiamenti che minano o distruggono il credo culturale o religioso delle donne ridicolizzandolo, penalizzandolo o costringendo le donne ad abbracciare un’altra religione.

Stalking: comportamenti persecutori protratti nel tempo tesi a far sentire la vittima continuamente controllata, in stato di pericolo e tensione costante, come pedinamenti, molestie telefoniche, appostamenti sotto casa e sul luogo di lavoro, minacce, danneggiamenti all’auto e/o ad altre proprietà della donna. Sono frequenti soprattutto dopo un’eventuale separazione.

Mobbing: serie di atti o comportamenti vessatori, spesso protratti nel tempo e posti in essere nei confronti di una lavoratrice da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserita o dal suo “Capo”, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dall’ambiente di lavoro.

codice rosa - approccio al triage di pronto soccorso - img1

Lo studio sulla Sicurezza delle donne, condotta dall’Istat tra maggio e dicembre 2014 e finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità, ha permesso di aggiornare i dati concernenti il fenomeno della violenza contro le donne tenendo conto della componente celata non rilevabile attraverso le denunce o altre fonti di dati sulla violenza.

Il fenomeno della violenza sulle donne continua ad essere grave e diffuso, il rapporto mostra che il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Le donne subiscono anche molte minacce (12,3%). Spesso sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). 3

Sono meno frequenti invece le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi. Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono quelle fisiche (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%).

La  principale funzione  del gruppo operativo è l’assistenza sanitaria alle vittime, la completa refertazione degli elementi di prova e l’individuazione e l’emersione di tutti quegli episodi di violenza, spesso avvenuta all’interno delle mura domestiche, nelle quali le vittime faticosamente raccontano di esserne oggetto;  un silenzio dovuto spesso dalla paura di ritorsioni ma anche per la mancanza di consapevolezza di essere vittime. L’obiettivo ultimo è quello di prevenire e contrastare il fenomeno della violenza, rintracciando e attribuendo pene adeguate a coloro che effettuano tali violenze. 4

La formazione in questi casi risulta essenziale all’interno del gruppo operativo, in quanto permette di incrementare le conoscenze, condividere le procedure operative, sviluppare la collaborazione e la motivazione.

All’arrivo in Pronto Soccorso la vittima sarà inserita nel seguente percorso:

  • accoglienza al triage (riconoscere il problema assicurando riservatezza e privacy, instaurare  un rapporto di fiducia, approfondire le cause delle lesioni o dei disturbi, informare la persona in merito agli interventi da attuare);
  • anamnesi (colloquio svolto in ambiente riservato e protetto, va condotto con il paziente da solo e senza accompagnatori, possibilmente alla presenza di altri operatori a testimonianza);
  • visita medica (la visita da parte del Medico di Pronto Soccorso deve essere tempestiva e devono essere descritte con puntualità le lesioni riscontrate. A seguire il Medico di  Pronto Soccorso  può avvalersi, ove necessario,  di consulenze specialistiche cliniche come quella psichiatrica, ginecologica o pediatrica).

Ottenere un consenso scritto da parte del paziente prima dell’esame fisico: le vittime di violenza sessuale devono decidere se dare o meno il loro consenso a tutte le procedure. Il consenso informato è un processo continuo e complesso. Se sotto stress, molti pazienti possono non capire o ricordare le ragioni o il significato di tutte le procedure.

Perciò, tutte le procedure devono essere spiegate accuratamente e ripetutamente, in modo che il paziente possa capire ciò che il personale sanitario sta facendo e perché. Quando si è ottenuto il consenso informato, questo non deve essere interpretato come “carta bianca” per sottoporre il paziente a test o porre domande. Se il paziente esprime resistenza o non-cooperazione, il personale sanitario deve interrompere immediatamente la procedura. In ogni caso il paziente ha diritto di rifiutare uno o più esami e rifiutarsi di rispondere a qualsiasi domanda.

Avere un senso di controllo è una parte importante nel processo di guarigione di questi pazienti, specialmente durante le prime fasi di esame fisico e interrogatorio. Esame ispettivo extra genitale: vanno cercate su tutta la superficie corporea, descritte e possibilmente documentate fotograficamente tutte le lesioni presenti specificandone l’aspetto, la forma e il colore, la dimensione e la sede.

Nei casi di violenza sessuale le lesioni coinvolgono più frequentemente il capo, il collo e le estremità (tipiche ad esempio le ecchimosi sulla superficie interna delle cosce, dovute alla forzata divaricazione degli arti inferiori).5

Esame ginecologico: può essere effettuato ad occhio nudo, ma sarebbe meglio utilizzare una lente di ingrandimento. Il colposcopio permette di evidenziare lesioni anche meno evidenti e di effettuare una documentazione fotografica. Va segnalata la presenza di lesioni recenti (arrossamenti, escoriazioni, soluzioni di continuo superficiali o profonde, aree ecchimotiche, sanguinamento o altro), specificandone la sede (grandi e piccole labbra, clitoride, meato uretrale, forchetta, perineo e ano).

Screening delle malattie sessualmente trasmesse: va obbligatoriamente attivato fin dalla prima visita e in sede dello stesso esame obiettivo sarà utile prevedere la contemporanea raccolta di materiale biologico per l’effettuazione dei seguenti esami microbiologici; Chlamydia (tampone endocervicale con apposito terreno di trasporto), Gonococco (tampone endocervicale con apposito terreno di trasporto), Trichomonas (tampone vaginale con 0.5 ml di sol. Fisiologica).6 I prelievi ematici da eseguire al basale (entro 7 gg dall’esposizione) e ripetere a 1-3-6 mesi comprendono HBsAG, HCV, HIV, VDRL-TPHA.

Esistono kit appositamente preparati per l’esame e la raccolta di prove in caso di violenza sessuale; ove non disponibili  può essere necessario prepararli al momento. Il kit per l’esame fisico contiene: buste bianche, 3 vetrini con contenitori,2 piccoli pettini, provette per prelievi del sangue, lima per unghie, 4 tamponi ciascuno per orifizio vaginale, cavo orale, retto, 2 tamponi per ogni superficie corporea, 2 buste per ogni altra prova che deve essere inclusa. Le altre attrezzature comprendono: contenitori per le urine, forbici, lampada di Wood , luce UV, modulistica, microscopio, asciugamani, nastro adesivo, catetere, colposcopio, pennarelli indelebili, speculum vaginale, acqua sterile per irrigazioni, righello in cm, guanti, macchina fotografica.

Un esame fisico deve essere effettuato in tutti i casi di violenza sessuale, senza tenere conto del tempo trascorso. Se l’aggressione è avvenuta entro 72 ore, bisogna utilizzare un kit per la raccolta delle prove. Il personale sanitario e le forze dell’ordine valuteranno ogni caso.  Oltre  72 ore dall’aggressione, l’uso di un kit per la raccolta delle prove può non essere necessario perché è improbabile che ci siano ancora delle prove sul paziente. In ogni caso, però, le prove possono ancora essere raccolte documentando qualsiasi cosa si trovi  (lesioni o lacerazioni,  impronte di morsi…) e il racconto dell’accaduto da parte del paziente.

È importante preservare l’integrità delle prove: la corretta custodia di ogni kit di raccolta e dei campioni  dal momento della raccolta al momento in cui verrà utilizzato in tribunale come prova. Quindi chiunque maneggi le prove deve etichettarle con le proprie iniziali, la data, la fonte del campione, il nome del personale sanitario di assistenza e il nome del paziente. Tutti i contenitori devono essere sigillati.

Per quanto riguarda gli esami del DNA sulle prove di violenza sessuale le ricerche degli ultimi anni hanno rivelato nuove opzioni per l’identificazione nelle indagini di reati. L’analisi del materiale biologico e la ricerca del DNA hanno largamente aumentato le possibilità di identificazione dei colpevoli. Questo è significativo per quei casi in cui non ci sono testimoni oculari disponibili per un’identificazione.

Frequentemente, il vestiario contiene le prove più importanti in caso di violenza sessuale perché fornisce una superficie su cui possono essere trovate tracce di materiale estraneo, come lo sperma, la saliva, il sangue, i peli, le fibre dell’assalitore e anche detriti della scena del crimine.

Il ruolo dell’Infermiere Forense nell’assistenza alle donne vittime di violenze: è la figura professionale specializzata nell’assistenza alla vittima. Quest’ultimo è  in grado di fornire un’ assistenza completa ed efficace in modo da permettere di valutare le conseguenze non solo fisiche ma anche quelle psicologiche di un’esperienza altamente traumatica, nonché di iniziare il processo di guarigione ed elaborazione.

L’infermiere forense ha la possibilità, quindi, di rendere più semplice e meno traumatico il processo di raccolta delle prove che serviranno per l’identificazione dell’assalitore, nonché le conseguenze della violenza. La violenza sessuale può avvenire in forme differenti, in ambienti differenti ed in circostanze differenti: può esserci un violentatore o più di uno, può trattarsi di un progetto ben pianificato o di un attacco a sorpresa, può avvenire in casa della vittima, del violentatore o al lavoro, a scuola, in carcere, in macchina, per la strada, in luoghi appartati. La salute e il benessere della vittima sono le priorità assolute. Va posta molta attenzione alla vittima nel garantire la dignità in un momento in cui si sentirà sicuramente umiliata e degradata.

Conclusione

La violenza di genere è argomento molto discusso e diffuso,  ma nello stesso tempo delicato  e di opinioni contrastanti.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno  più diffuso rispetto a quello che appare; in buona parte dei casi la donna evita la denuncia  alle autorità competenti per il timore che la situazione possa diventare ancora più critica.

La complessità della tematica porta gli operatori sanitari a valutare le varie situazioni  in modo scrupoloso, coscienti del fatto che dietro a una donna in attesa di essere valutata e visitata ci sia una piccola voce che chiede aiuto. E forse il percorso “codice rosa”, aiuta in questo complicato processo, garantendo ascolto e riservatezza.

Bibliografia

  1. Bianchi  M., La Violenza fisica sulla donne (Agosto 2015)
  2. Galasso S. e Ricci M.E.,  Prendersi cura della violenza sulle donne oggi (2016)
  3. ISTAT e Dipartimento per le Pari Opportunità, la violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia (2014)
  4. Dente P., Triage: Codice Rosa, una Task Force per le vittime di violenze (2013)
  5. Viganò G. et al., Protocollo di presa in carico multidisciplinare delle vittime di violenza di genere (Dicembre 2015)
  6. Procedura unica inter-aziendale Assistenza alle vittime di violenza di genere in età adulta (Dicembre 2013)
Medical News Sociologia

L’adolescenza è un momento di profonde trasformazioni dal punto di vista organico, psico-affettivo e relazionale e tali cambiamenti assumono diversi significati a seconda del contesto culturale e si esprimono determinando conseguenze psicosociali. Adolescenti e sessualità: più informazione, ma a chi spetta? Gli adolescenti iniziano a sperimentare la sessualità in età sempre più precoce e senza consapevolezza dei rischi.


Dott.ssa Annamaria Venere – Sociologa Sanitaria – Criminologa Forense – Socio AICIS (Associazione Criminologi per l’Investigazione e la Sicurezza). Amministratore Unico: AV eventi e formazione – Direttore editoriale: Medicalive Magazine – Catania – annamariavenere.it.


L’adolescenza e la sessualità: trasformazioni del corpo e della mente

Durante il proprio ciclo di vita ogni individuo svolge svariate funzioni tipiche di ciascun periodo di sviluppo. Se queste funzioni sono svolte e completate con risultati positivi, l’individuo proverà sentimenti di soddisfazione e aumenterà la propria autostima; contrariamente, emergeranno sentimenti di tristezza e disautostima che potranno minare il suo normale sviluppo psicofisico.

L’adolescenza è il periodo in cui, più che in altri, vi è un complesso intreccio fra compiti biologici e compiti sociali, fra cui lo sviluppo sessuale. Quest’ultimo possiamo differenziarlo in sviluppo puberale e sviluppo sessuale vero e proprio: con la prima locuzione si intende lo sviluppo dei tratti somatici tipici dell’uomo e della donna, con la seconda, invece, intendiamo lo sviluppo psicologico che dovrebbe andare in parallelo alla maturazione corporea (Vianello, 2004).

adolescenti e sessualità - quali conseguenze psicosociali nell’era digitale - img1Dal punto di vista biologico, all’incirca all’età di nove anni, le ragazze iniziano ad aumentare la produzione di estrogeni e progesteroni, causando un aumento della dimensione degli organi sessuali sia interni (ovaie) che esterni (seni). Negli anni successivi compaiono progressivamente i primi peli pubici, finché all’incirca a tredici anni avviene il menarca e, quindi, la prima ovulazione.

Intorno ai sedici anni, infine, si completa la crescita dei peli pubici, degli organi sessuali e del seno. Per quanto concerne i ragazzi, invece, la produzione di testosterone inizia solitamente intorno ai 10 anni, cui consegue un aumento dei testicoli e dello scroto, fino alla crescita del pene intorno ai 12 anni. Nel periodo successivo, 16-18 anni, vi è un aumento della comparsa di peli e una crescita proporzionata dei muscoli (Palmonari, 1997; Berger, 1994).

Le maturazioni puberali e ormonali tipiche dell’adolescenza influenzano in primo luogo il parallelo sviluppo psicologico sessuale, mediato da fattori e conseguenze culturali, sociali e di personalità.

Adolescenti e sessualità: sviluppo sessuale e riflessi psicosociali

Lo sviluppo sessuale ha dei riflessi a livello psicologico e sociale specialmente quando il cambiamento corporeo e lo sviluppo fisico comportano un cosiddetto vissuto di estraneità nei confronti del soma. Nel caso in cui, infatti, lo sviluppo sessuale sia particolarmente scoordinato o disarticolato, precoce o ritardato, può capitare che il ragazzo non sia disposto ad accettare il cambiamento cui il proprio corpo sta andando incontro. In alcuni adolescenti ciò comporterà una divaricazione tra lo sviluppo psicologico e lo sviluppo sessuale biologico sottostante, con una conseguente ricaduta a livello sociale e della stima di sé, nonché del sentirsi accettato dal gruppo dei pari.

Sappiamo che durante l’adolescenza il confronto con altri ragazzi è particolarmente intenso, giacché è il periodo in cui il giovane si approccia all’altro sesso, in cerca di intimità e dei primi rapporti sessuali. Qualora il ragazzo abbia uno sviluppo sessuale ritardato o, all’opposto, precoce, ciò rivelerebbe a sé, e agli altri, lievi difetti fisici, reali o presunti, come ad esempio avere una corporatura troppo bassa o troppo obesa, oppure uno sviluppo dei tratti sessuali troppo accentuata o troppo poco marcata rispetto alla normalità. A scapito dell’autonomia individuale, pertanto, in questi casi l’adolescente sarà portato all’isolamento, pur di rifuggire dal confronto con l’altro sesso e dal gruppo dei pari con cui non si sente “all’altezza” (Vianello, 2004).

La precocità o il ritardo dello sviluppo sessuale (supposta o reale che sia) corrisponderebbero a un mancato sviluppo psicologico del Sé che, non trovando riscontro nella crescita somatica del proprio corpo, condurrà il soggetto alla ricerca di fonti alternative di piacere. Il sesso sarà cioè usato in termini narcisistici, utile soltanto per confermare il proprio Sé psicologico e non in ragione di una vera necessità biologica. La ricerca di fonti alternative di piacere potrà così condurre alla promiscuità che spesso, in estremi casi, potrà anche determinare situazioni di grave devianza psicosociale o di dipendenze patologiche da sostanze, di tipo affettivo o relazionale (Palmonari, 1997, 2001).

Negli ultimi decenni a contribuire a un maggior rallentamento/acceleramento dello sviluppo sessuale in adolescenza è stata l’esponenziale crescita del mondo digitale.

Era digitale, adolescenti e sessualità: quale via di fuga?

Lo sviluppo del digitale e dei canali social ha permesso una grande diffusione di immagini e siti pornografici. L’esposizione a un certo tipo d’immagini accelera/decelera il normale processo di sviluppo sessuale dei ragazzi che, però, il più delle volte non corrisponde con lo sviluppo puberale sottostante. Di conseguenza, il ragazzo impara che l’esperienza sessuale può essere vissuta senza alcun coinvolgimento emotivo e di affetto, esattamente come avviene nei siti online, eleggendo così il prototipo della stessa relazione online a fondamento delle sue relazioni interpersonali, con tutte le conseguenze sociali che questo comporta. Non è tuttavia solo per un appagamento sessuale che l’adolescente ricorre a internet. In una società votata all’immagine, pur di non restare indietro rispetto ai propri amici, l’adolescente vive tutto come fosse una gara, vivendo il corpo come un oggetto del piacere e nient’altro, ricercando sempre nuove forme di compiacimento (sessuale) che non trova né in sé né nelle relazioni sociali vere e proprie (Vrioni, 2019).

Tra queste ricerche alternative di piacere dobbiamo rilevare il fenomeno digitale del sexting, ovvero l’invio e la ricezione di testi, video o immagini sessualmente espliciti, pur di ottenere un “like” e un interesse sessuale da parte di un pubblico sconosciuto. Il fattore scatenante il sexting è multiplo: bassa autostima, disturbi depressivi, ansia, frustrazione, problematiche familiari o con i pari. Le problematiche, tuttavia, vanno ben oltre la semplice pubblicazione di immagini pornografiche di sé, poiché le conseguenze del sexting, qualora i video circolassero senza controllo attraverso i media,  potrebbero indurre l’individuo a un ulteriore isolamento sociale più radicale, che comporterebbe in lui un danno irreparabile  dal punto di vista sia psicologico che sociale.

Il sexting è però soltanto una delle modalità attraverso cui il mondo digitale influenza lo sviluppo sessuale degli adolescenti. Altro fenomeno rilevante, sotto il profilo anche penale, è il grooming, ovvero l’adescamento online del ragazzo/a che ha accesso al mondo dei social. Il grooming fa leva proprio sulle fragilità psicologiche dell’adolescente per invitarlo ad atteggiamenti pornografici e all’invio di materiale erotico che spesso coinvolge anche i minori.

Quale via di fuga quindi da un mondo digitale sempre più connesso con lo sviluppo sessuale degli adolescenti? Non c’è una strada tracciata più sicura di un’altra, ma l’educazione, la scuola e la famiglia possono di certo fare la loro parte.

adolescenti e sessualità - quali conseguenze psicosociali nell’era digitale - img3

Bibliografia

Berger, K.S. (1996). Lo sviluppo della persona, Zanichelli, Bologna.

Palmonari, A. (1997). Psicologia dell’adolescenza, Il Mulino, Bologna.

Palmonari, A. (2001). Gli adolescenti, Il Mulino, Bologna.

Vianello, R. (2004). Psicologia dello sviluppo: infanzia, adolescenza, età adulta, età senile, Edizioni Junior, Bergamo.

Vrioni, V. (2019). Adolescenza virtual. L’impatto delle nuove tecnologie sullo sviluppo cognitive e sociale, Youcanprint.

Senza categoria

Nasce in Sicilia un nuovo percorso clinico e riabilitativo coordinato presso il Trauma Center di Villa Sofia a Palermo. Tra gli obiettivi, la creazione di un software del Registro Regionale Traumi e il software operativo della rete assistenziale mielolesioni traumatiche.


Autore

Salvo Falcone – Giornalista, Media Consultant, Direttore Responsabile Medic@live Magazine.

[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L[/dropcap]e mielolesioni traumatiche rappresentano una fra le più importanti cause di mortalità e disabilità nel mondo con elevati costi sia per i pazienti che per la società anche perché colpiscono spesso persone in età giovanile (prevalentemente di sesso maschile).

Un progetto di supporto specifico denominato “Mielolesioni traumatiche e non – percorso clinico e riabilitativo” è stato ufficialmente presentato a Palermo nella sede dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri.

mielolesioni traumatiche - img1Le lesioni midollari sono per la maggior parte di origine traumatica, causate da incidenti stradali, cadute accidentali, incidenti sportivi e sono i giovani i soggetti più colpiti: l’80% di queste persone ha un’età compresa tra i 20 ed i 40 anni. Il progetto sulle mielolesioni traumatiche è stato illustrato dal Dott. Antonio Iacono responsabile scientifico del progetto e del Trauma Center di Villa Sofia.

“Il progetto sulle mielolesioni traumatiche, realizzato con fondi del Piano sanitario nazionale – ha evidenziato il Dott. Iacono – vede come capofila l’Azienda Ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello e Asp 6, ha lo scopo di attivare un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale per la gestione del paziente affetto da lesioni del midollo. E’ un progetto articolato che prevede vari momenti, anche nelle scuole, per un tema che ha bisogno di maggiore attenzione poiché gravato da numerose problematiche. La Partita della Vita fa parte di questo progetto come momento di massima visibilità per focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica, attraverso quello che sarà un momento di festa dove coinvolgeremo le famiglie e in particolare i bambini, perché è proprio dai più piccoli che deve partire una coscienza ed una sensibilità diversa”.

AZIONI E TARGET

“Le azioni – ha aggiunto il Dott. Iacono – sono indirizzate a differenti target, per il raggiungimento di obiettivi specifici, e si articoleranno su due città sedi di Hub della Rete Regionale del Trauma, Palermo e Catania. Il progetto, che avrà durata biennale si declinerà in tre azioni: interventi formativi per il personale medico, infermieristico e fisioterapista delle USU (unità Spinali Unipolari); l’implementazione del software (Registro Trauma) per la Rete Regionale del Trauma; attività di sensibilizzazione”. “L’Azione “Interventi formativi” – ha sottolineato  il responsabile scientifico del progetto – vede il coinvolgimento del personale medico coinvolti a vario titolo nella Rete del Trauma attraverso un corso di formazione.

L’Azione “Software dedicato” ha i seguenti obiettivi: creare un software del Registro Regionale Traumi e il software operativo della rete assistenziale mielolesioni traumatiche. Grazie a tale strumento informatico sarà possibile avere non solo un database sempre aggiornato dei dati socio-sanitari regionali tracciando il percorso del paziente lungo tutto il suo percorso clinico, individuando le criticità cliniche ed epidemiologiche, fornendo preziose informazioni alle unità di riabilitazione e tracciando il percorso delle gravi lesioni cerebrovascolari e fornirebbe un valido strumento al CRT Siciliano per l’individuazione dei potenziali donatori.

UN PROGETTO DI SENSIBILIZZAZIONE

L’Azione 3 “Sensibilizzazione” è rivolta agli studenti delle scuole secondarie di I e II grado e all’opinione pubblica, con l’obiettivo di informare sui rischi connessi a comportamenti pericolosi attraverso una campagna di prevenzione, informazione ed educazione sui traumi midollari”. “L’attività di informazione sui contenuti e obiettivi progettuali – ha detto il Dott. Iacono – sarà trasversale e di accompagnamento a tutte le attività del progetto e prevede le seguenti attività: Diffusione dello spot di sensibilizzazione della campagna, dal titolo “La tua vita è preziosa…proteggila”!!! realizzato nella precedente edizione del Progetto con la partecipazione del testimonial d’eccezione, Fabrizio Pizzuto nei panni di Catarella de “Il giovane Montalbano”; realizzazione di giornate di prevenzione e informazione nelle scuole in occasione della Giornata Nazionale delle Mielolesioni che si svolgerà nel mese di Aprile 2022 Palermo; realizzazione di giornate di prevenzione e informazione nelle piazze in occasione della Giornata Regionale delle Mielolesioni che si svolgerà nel mese di Maggio 2022; evento sportivo a Palermo (I anno) 2022 e a Catania (II anno) 2023 il cui incasso sarà devoluto alla FAIP Regione Sicilia”.

Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo, membro del direttivo della Federazione nazionale Fnomceo, collegato via web, ha sottolineato che “il Trauma Center è già una realtà importante per la Sicilia sul piano terapeutico e riabilitativo. Se integrata con un piano spiccatamente formativo e attività di comunicazione, informazione ed educazione, può trasformarsi in un polo strategico su più livelli, non solo per la Sicilia. Personalizzazione delle cure, presa in carico consapevole dei familiari del politraumatizzato, trasferimento ai medici del territorio di quelle competenze al servizio della disabilità spesso difficili da comunicare, sono tutte risposte che mancano a questi pazienti e che si possono realizzare solo attraverso la costruzione di una rete e un approccio multidisciplinare”.

mielolesioni traumatiche - img1

IL PUNTO DI VISTA DELLE ASSOCIAZIONI DI PARA-TETRAPLEGICI

“Un progetto ambizioso – evidenzia Vincenzo Falabella Presidente nazionale FAIP, Federazione delle Associazioni Italiane Para-Tetraplegici – che pone al centro la Persona con lesione al midollo spinale. Sensibilizzazione, contaminazione e prevenzione sono tre aspetti fondamentali per arrivare nelle comunità di appartenenza e costruire una società più aperta e solidale dove le persone con lesione al midollo spinale vengano riconosciute al pari di ogni altro cittadino cosi come sancito dall’art. 3 della nostra Carta Costituzionale”. “Nel registro traumi – ha aggiunto il Dott. Iacono – sarà prevista un’applicazione che permetterà, con la collaborazione dei medici di famiglia, di effettuare il censimento regione sulle disabilità sia fisiche che mentali”.

Il deputato regionale Salvatore Lentini, Presidente del Gruppo Popolari ed Autonomisti – Idea Sicilia, evidenziando l’importanza e la validità del progetto, ha portato i saluti dell’assessore regionale della Famiglia, delle politiche sociali e del lavoro Antonio Scavone.

Maria Mantegna assessore alla Cittadinanza Solidale del Comune di Palermo ha definito il progetto “ambizioso, bello e interessante” facendo una riflessione sul possibile ruolo che l’amministrazione comunale potrebbe avere all’interno del progetto, mettendo a sistema tutte le attività del soggetto interessato, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e il percorso riabilitativo.

Alessandro D’Acquisto del Dipartimento per la Pianificazione Strategia – assessorato regionale della Salute, portando i saluti del dirigente generale Mario La Rocca,  ha focalizzato l’attenzione sullo sviluppo del 118 digitale con la geolocalizzazione del mezzo, la possibilità di interagire con il personale e la dematerializzazione del cartaceo. Beppe Virzì presidente della Federazione medici sportivi di Palermo ha ricordato il ruolo del CONI nella vaccinazione e prevenzione nell’ambito dello sport.

Antonio Palma professore ordinario in Scienze Psicologiche, Pedagogiche, dell’Esercizio Fisico e della Formazione del corso di laurea in Scienze motorie dell’Università degli Studi di Palermo, delegato al coordinamento delle politiche sportive di Ateneo, a curare i rapporti con il CUS e a presiedere il Comitato per lo Sport Universitario (CSU), ha dato la propria disponibilità a supportare il progetto su alcuni specifici ambiti.

Vincenzo Messina comandante della Polizia Municipale di Palermo ha sottolineato l’importanza del codice della strada per la prevenzione degli incidenti stradali e la sensibilizzazione dei cittadini nel rispetto delle regole.  Filippo Mannino Responsabile Innogea per lo Sviluppo IT in area Digital, nel corso del suo intervento, ha illustrato il registro traumi.

Nel corso dei lavori sono intervenuti telefonicamente: il presidente del gruppo parlamentare del Pd all’Ars Giuseppe Lupo che ha dato la propria disponibilità a sostenere lo sviluppo del progetto, sottolineando “l’importanza della sinergia tra le istituzioni”; il presidente della nazionale di calcio Dj Guido Gheri che con entusiasmo ha confermato la presenza della sua squadra a Palermo per sostenere il progetto; il presidente del CONI Sicilia Sergio D’Antoni che ha evidenziato “l’importanza dello sport anche al raggiungimento della felicità per tante persone”.

Alla conferenza stampa erano presenti, fra gli altri, Ignazio Beninati presidente Us Acli Palermo, Fabio Genco direttore Centrale Operativa 118 Pa/Tp, Giovanni Imburgia presidente dell’Associazione medici Palermo sportiva e componente U.S. Acli, Ninni Gambino consigliere nazionale FAIP e consigliere nazionale della Federazione Italiana Nuoto Paraolimpico e Isidoro Farina C.S.A.In. Palermo.

mielolesioni traumatiche - img3

Partner istituzionali del progetto sono: l’assessorato regionale della Salute; l’assessorato regionale dell’Istruzione e della formazione professionale; l’assessorato regionale della Famiglia, delle politiche sociali e del lavoro; l’Ufficio Scolastico Regionale, il Comune di Palermo e il Comune di Catania, l’Ordine dei medici di Palermo, la FAIP, Federazione delle Associazioni Italiane Para-Tetraplegici, CittadinanzAttiva, l’Università degli Studi di Palermo; il CONI; l’Associazione Medico Sportiva Palermo; l’Azienda Ospedali Riuniti “Villa Sofia-Cervello” e l’Asp 6 con la collaborazione delle società di promozione sportiva U.S. Acli e C.S.A.In. Palermo, la Palermo F.C. e la Catania Calcio.