Senza categoria

La frattura pertrocanterica è un tipo di frattura del femore che interessa prevalentemente grandi anziani, le donne più degli uomini, senza però “risparmiare” i pazienti più giovani (con tale frattura provocata spesso per trauma della strada o caduta in trauma su sport di contatto), con un range medio sui 75-80 anni di età.


Abstract

Nelle fratture laterali del femore prossimale, l’intervento di osteosintesi con chiodo bloccato è considerato, soprattutto nel grande anziano, il gold standard poiché caratterizzato da tempi di attesa brevi, da ridotta perdita di sangue dato dalle piccole incisioni, dalla velocità di esecuzione e dall’immediata stabilizzazione della frattura e precoce riabilitazione.

Il chirurgo ortopedico risolve il problema frattura con uno dei migliori e pratici device presenti oggi sul mercato, ma non risolve il problema del post-chirurgico. Secondo alcune scuole, quella tedesca per esempio, già dal giorno successivo l’intervento il paziente dovrebbe mettersi in piedi e iniziare la deambulazione ma, come spesso capita, il paziente grande anziano non mostra la compliance necessaria per fare questo.

Per tal motivo in questa sessione si tratta l’importanza di un protocollo riabilitativo che sia portato a termine dal fisioterapista che, nel dopo intervento, rappresenta la figura determinante per una valida ripresa funzionale e una successiva buona guarigione che conduca il paziente verso una restitutio ad integrum e la ripresa di una buona qualità di vita con il successivo reinserimento sociale.


Autori

Dott. Roberto Urso – Dirigente Medico U.O. di Ortopedia e Traumatologia Ospedale Maggiore, Bologna.
Dr.ssa Marta Maria Magda – Fisioterapista Titolare FisioSportLife – Milano.

Introduzione

Le fratture extracapsulari del femore prossimale sono le fratture basicervicali, intertrocanteriche e pertrocanteriche; la definizione viene data a seconda della linea che attraversa la frattura stessa.

Le fratture extracapsulari, rispetto alla frattura del collo del femore, hanno una maggiore morbilità e mortalità ed è questo il motivo per cui la rapidità dell’approccio chirurgico è fondamentale per ridurre tali rischi.

Le cause di questo tipo di fratture sono molteplici: innanzitutto l’età avanzata che porta a un disequilibrio del soggetto, associata ad una maggior fragilità ossea che, negli anziani di sesso femminile è maggiore e inizia nel periodo post-menopausale.

Molte altre concause intervengono nella eziologia fratturativa, come la sedentarietà, le patologie associate o gravi comorbidità che impediscono all’anziano di potersi mantenere attivo, patologie ossee invalidanti (osteoporosi grave) e anche i secondarismi metastatici, fino ad arrivare alle rarissime fratture da stress.

L’approccio chirurgico di queste fratture viene programmato in base alle condizioni cliniche del paziente: meno comorbidità, più veloce l’esecuzione dell’intervento.

L’intervento chirurgico è definito “mini-invasivo” in quanto le incisioni cutanee sono minime e permettono di evitare gravi perdite ematiche. Per questo motivo lo stesso intervento, che potrebbe apparire di semplice esecuzione, necessita invece di una importante curva di apprendimento.

Come si evince nei vari passaggi (fig. 2), la frattura viene allineata sotto controllo amplioscopico e con piccole incisioni, si procede all’inserimento del filo guida e successiva osteosintesi per mezzo di un chiodo bloccato a forma di gamma Y. (fig.3)

Questa metodica permette un’ottima stabilità della frattura consentendo una precoce mobilizzazione e deambulazione del paziente, riducendo sensibilmente i rischi di stasi venosa e tromboembolismo che si evidenziano negli allettamenti prolungati.

Le basi del recupero post-operatorio

Da quanto descritto si intuisce che lo strumento indispensabile per il rapido svezzamento dal ricovero e il recupero funzionale del fratturato, soprattutto se un grande anziano, è una precoce riabilitazione (Halbert et al 2007, Handoll e Sherrington, 2007, Toussant e Kohia, 2005).

Ma incerte rimangono alcune informazioni riguardanti la durata, la frequenza e i più indicati trattamenti fisioterapici (Handoll e Sherrington, 2007; Toussant e Kohl, 2005). Altri fattori possono influenzare negativamente il percorso riabilitativo, quali gli out-come, indipendente dal programma di recupero stabilito; il grado funzionale del paziente precedente al trauma; lo status cognitivo e di vita (spesso vivono soli); le comorbidità associate, il livello del dolore o uno scarso trofismo muscolare (Kagaya et al, 2005; Ogawa et al, 2008; Svensson et al, 1996; Williams et al,2006).

In base ad uno studio (Patrella ed al, 2000) si dimostra che, in riferimento all’equilibrio del paziente, il miglioramento sul piano funzionale non prosegue di pari passo con la diminuzione della paura di cadere, quindi questo timore diventa un rischio elevato per la perdita di fiducia che il  paziente ha nei confronti della guarigione. È fondamentale instaurare un valido rapporto fra il fisioterapista e il paziente. Un rapporto basato sulla fiducia reciproca e la costante rassicurazione da parte del fisioterapista possono portare verso l’obiettivo comune, la guarigione.

Le statistiche

La maggior parte delle fratture pertrocanteriche del femore colpiscono prevalentemente la popolazione anziana. Nella fascia di età fino a 60 anni gli uomini sono i più colpiti, ma negli over 70, le donne sono le  più esposte al rischio. Le statistiche mostrano che oltre i 60 anni più del 75% delle donne soffre di fragilità ossea, contro una media del 50-55% degli uomini.

Nel 2018 la stima annua era di circa 175.000 fratture di femore, vertebre e polso su base traumatica (incidenti stradali, traumi sportivi, cadute accidentali e fratture su patologie correlate).

I rischi, nel post-operatorio non calano immediatamente, ma permangono ugualmente elevate (pari al 33%) fino ad almeno il 6° mese nel post-chirurgico. Ad un anno, il rischio varia dal 9% al 25% a seconda dei sottogruppi valutati, con la media di 12% (e aumenta del 33% nel caso di persone over 75). Un decesso precoce si ha in circa il 4-5% delle fratture di femore, mentre il 15-25% dopo un anno dall’accaduto.

Si stima che nell’anno successivo alla frattura si ha frequentemente l’instaurarsi di una disabilità motoria con la perdita definitiva delle capacità deambulatoria autonoma nel 20-30% dei casi.

La totale autonomia è conservata soltanto nel 30-40% dei casi (dati raccolti dal Ministero della Salute nel periodo 2000-2007 su soggetti con età superiore ai 45anni).

Diagnosi radiologica

Quali radiologie sono necessarie nella diagnostica della fratture pertrocanteriche? La radiologia classica è sempre prioritaria perché dirimente sulla tipologia fratturativa. Altri esami possono essere eseguiti, ma come approfondimento sul dubbio diagnostico.

Radiografia (RX) del bacino per anca in proiezione antero-posteriore e assiale dell’articolazione interessata. Questo radiogramma è utile anche nello studio delle lesioni del cotile o negli episodi di lussazione della coxo-femorale.

Tomografia assiale computerizzata (TAC): utile per evidenziare rime di frattura non visibili agli Rx tradizionali, per fare una ricostruzione tridimensionale della porzione ossea interessata, per valutare se vi è la presenza di frammenti intra-articolari.

Risonanza MagneticaNucleare (RMN): utile nel post-riabilitazione per valutare la presenza di deficit della spongiosa, la necrosi avascolare della testa del femore, i danni articolari a carico del pannicolo cartilagineo, le lesioni muscolo-tendinee.

Quale intervento:

La tipologia dell’intervento chirurgico è sempre data dal tipo di frattura, dall’entità della lesione stessa, dall’età del paziente, dalla mobilità prima dell’evento, dalle condizioni cliniche, dallo stile e aspettative di vita.

La frattura per trocanterica permette un approccio chirurgico mini-invasivo (il chiodo Gamma) a bassa perdita ematica intra-operatoria che può essere eseguito in tempi brevi portando il paziente in una condizione clinica che permette la precoce ripresa funzionale.

La riabilitazione pre-operatoria

Obiettivo di questa fase è preparare al meglio il paziente sia all’operazione che e al programma riabilitativo post-chirurgico.

Si valuta il precedente stato pre-morboso, le attività di base e strumentali del vivere quotidiano del paziente, eventuali livelli di dolore. Si valuta il paziente al letto, prestando attenzione a eventuale correzioni di assetto posturale degli arti (arto sano) rispetto al tronco.

Si aggiungono presidi quale il materasso antidecubito, l’archetto e il triangolo a protezione dell’arto interessato dalla frattura. Nell’ambito della risposta funzionale del paziente si cerca di insegnarli la corretta respirazione durante il decubito supino da tenere durante gli esercizi isotonici degli arti superiori e quelli isometrici ed isotonici dell’arto inferiore non fratturato.

Il fisioterapista

Gli obbiettivi da raggiungere nel post-chirurgico rendono fondamentale la figura del fisioterapista.

Quali obbiettivi?

-Prevenire i rischi dell’allettamento prolungato: come piaghe da decubito, trombosi venosa profonda (TVP)

-Il ripristino della mobilità articolare(ROM),

-Il miglioramento dell’equilibrio e la coordinazione del paziente,

-Insegnamento della corretta postura e il giusto posizionamento dell’arto operato

-L’aiuto nella gestione il dolore e dell’evoluzione della cicatrice,

-Ripristino del trofismo muscolare e della forza,

-Aiuto nel recuperodell’autonomia, nei passaggi posturali e per una rapida verticalizzazione,

-Ripristino della propriocettività.

I parametri fondamentali per la completa realizzazione del progetto riabilitativo sono:

-Un intervento chirurgico che permetta in pochi giorni il carico sull’arto operato

-Buon controllo del dolore, dei parametri cardio-respiratori e della pressione,

-Valutazione ortopedica e radiografica nell’immediato post-operatorio

con  prescrizione al carico (totale, parziale progressivo o senza carico) e il tipo di ausilio.

Valutazione funzionale

L’esame fisico del paziente comincia dalla valutazione delle capacità funzionali, che dipendono in prima linea dal carico concesso. Viene valutata la postura in stazione eretta, durante la deambulazione e la resistenza, attraverso il Six-Minute Walking Test, con cui viene chiesto al paziente di percorrere la massima distanza durante 6 minuti. Durante la camminata viene valutata la continuità del passo, la simmetria e la lunghezza, l’altezza (quando si alza il piede dal pavimento durante la fase di oscillazione), deviazione del passo, ampiezza della base, stabilità di tronco e sicurezza del passo. Prima e dopo il test dovrebbe essere misurata la frequenza cardiaca e la pressione del sangue.

Il test di equilibrio statico e dinamico aiuta a valutare il potenziale rischio di caduta. Il test Timed Up & Go misura i secondi che necessitano al paziente per alzarsi dalla sedia, aiutandosi con i braccioli, camminare per tre metri, girarsi, e ritornare alla posizione seduta, e altri test che misurano l’equilibrio.

Il Semi Tandem Standing Balance Test e il Tandem Standing Balance Test consistono nel chiedere al paziente di mantenere l’equilibrio durante 30 secondi, tenendo i piedi uno davanti all’altro con il tallone di un piede che tocca l’alluce dell’altro. Il test muscolare manuale valuta la forza muscolare. In caso di carico parziale si chiede al paziente di vincere con i suoi movimenti la forza di gravità. La mobilità articolare – ROM (Range of Motion) – svolta con movimenti attivi seguiti da sovra-pressione, movimenti passivi e il joint play, testerà la resistenza e il joint play solo quando il carico completo sarà concesso.

I muscoli che hanno perso maggior forza sono: gli abduttori, gli intra-rotatori dell’anca, i quadricipiti e gli estensori dell’anca. L’estensibilità muscolare viene valutata con il test Ober per la fascia lata e il tratto ileo-tibiale. Il test di Kendall, che viene svolto in posizione supina con la flessione dell’anca e di ginocchio al petto, valuterà i muscoli ileopsoas, il tensore di fascia lata, il quadricipite, il sartorio e il tratto ileo-tibiale.(fig.6)

In posizione da seduto, si valuta, invece l’estensibilità dei muscoli ischio-crurali: bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso. (fig.6)

Si prosegue con la valutazione della cicatrice e della zona operata per valutare eventuali segni di infiammazione.

Per completare la valutazione fisioterapica viene misurata la lunghezza degli arti inferiori. Se la lunghezza risulterà diversa non andranno applicati rialzi per compensare la differenza, almeno nel primo anno dall’operazione.

Protocollo Riabilitativo Individuale

Riabilitazione postoperatoria precoce. Fase I (0-3a settimana).

Nel post-operatorio il paziente va seguito secondo un percorso riabilitativo, mirato e personalizzato, il P.I.R.(Programma Riabilitativo Individuale):

-esercizi propriocettivi, esercizi di potenziamento muscolare, esercizi di mobilità articolare (attivi e passivi), esercizi di correzione della postura del paziente, esercizi respiratori e allungamento della catena muscolare posteriore.

La riabilitazione postoperatoria è l’anello fondamentale nel percorso della gestione post-chirurgica della frattura del femore e per questo motivo il fisioterapista deve iniziare la precoce mobilizzazione già in 2° giornata post-operatoria (salvo controindicazioni o situazioni ciniche che lo impediscano).

La terapia inizia al letto del paziente. La presa in carico inizia entro le 48 ore successive all’intervento per facilitare la rapida ripresa funzionale.

La prima fase riabilitativa postoperatoria dura tre settimane e comprendendo:

1) addestramento alla mobilità a letto

2) passaggi posturali

3) percezione del carico concesso

4) utilizzo corretto degli ausili

5) allenamento dalla posizione seduta e della stazione eretta per periodi progressivi

6) esercizio al movimento

Giorno 0 – immediato post-intervento.

Dopo il risveglio dall’anestesia, sia essa subaracnoidea che generale, il fisioterapista misura il livello di dolore (quello a riposo), controlla la postura e la presenza dei presidi idonei (materasso antidecubito, archetto, triangolo) e si assicura della presenza delle calze elastiche con la compressione graduale e/o dei sistemi di compressione pneumatica intermittente, utili a prevenire le complicazioni tromboemboliche su entrambi gli arti inferiori. Per il controllo del dolore e dell’infiammazione vengono utilizzate applicazioni di ghiaccio sulla parte dolente (15 minuti e ogni 2-3 ore). Si impostano cambi posturali per la prevenzione delle piaghe da decubito. Già qualche ora dopo l’operazione, il paziente potrebbe raggiungere la posizione seduta al letto per ridurre il rischio di peggioramento del funzionamento dell’apparato circolatorio e muscolo-scheletrico.

Giorno 1.

La preparazione del paziente ha inizio con l’educazione riabilitativa-posturale: viene controllato il livello di dolore attraverso la scala analogico – visiva (VAS). La valutazione del dolore si riferisce a:

1) dolore a riposo

2) durante la deambulazione

3) in posizione seduta

4) durante il carico sull’arto operato

5) durante la deambulazione.

Vengono insegnati i trasferimenti letto/carrozzina, la postura giusta del tronco e dell’arto operato.

In questo primo giorno il paziente rimane seduto con gli arti fuori dal letto per circa 20 minuti. L’obiettivo è evitare posture sbagliate, favorire l’aumento del ROM, aumentare la forza muscolare, ripristinare la propriocettività. Ogni esercizio viene spiegato e mostrato in modo tale che il paziente possa ripeterlo autonomamente o con l’aiuto dei famigliari.

Con un paziente partecipativo, si inizierà subito con l’attivazione della pompa drenante attraverso esercizi a letto. Vengono fatte eseguire flesso-estensioni, prono-supinazioni e circonduzione dei piedi. L’esercizio della flesso-estensione dei piedi va ripetuto ogni 30 minuti per circa 16 ripetizioni al minuto.(Fig.7A).

Successivamente il fisioterapista spiega e aiuta ad eseguire le contrazioni isometriche dei muscoli quadricipiti, glutei, adduttori e ischio-crurali (10 secondi di contrazione seguito da 10 secondi di riposo). Gli esercizi isometrici possono essere associati a una mobilizzazione attiva-assistita, rispettando i parametri del dolore.

Il training isometrico del muscolo quadricipite si effettua spingendo con il ginocchio contro il lettino e tenendo il piede a martello per almeno 7-8 secondi, o facendo compressione con la mano posizionata sotto il cavo popliteo e ripetendo l’esercizio con delle serie progressivamente maggiori (da 10 a 20 e da 20 a 30 ripetizioni).(Fig.7 B-C-D)

Per eseguire le contrazioni isometriche dei muscoli glutei, al paziente, in posizione supina, va chiesto di metterli in tensione per 10 secondi, per poi per altri 3 secondi fare la pausa. Invece il rinforzo dei muscoli adduttori si svolge nel seguente modo.(Fig.8A)

Il paziente comincia a muovere con cautela l’arto operato, prima attraverso la mobilizzazione passiva, poi attivo-assistita, flettendo il ginocchio (l’articolarità deve essere compresa tra 0 a 90°). Nella mobilizzazione in flessione dell’anca deve essere posta attenzione ai movimenti a rischio di lussazione, (eseguite lentamente e rispettando la comparsa di dolore). (Fig.8B), questo esercizio può essere proposto anche come esercizio propriocettivo in scarico. Segue esercizio di abduzione e adduzione dell’arto, inizialmente assistito e si prosegue con movimenti passivi e attivi assistiti di abduzione e adduzione dell’anca, facendo scivolare il tallone sul lettino. (Fig.8C).

Esercizi di mobilizzazione attiva in flessione ed estensione (fig.9A-)

Durante il periodo riabilitativo vengono eseguiti esercizi respiratori di tipo diaframmatico, toracico e di tipo misto, utili a migliorare l’ossigenazione di tutto corpo. (Fig.9C). In casi di pazienti affetti da BPCO si svolgono esercizi di respirazione costale alta, respirazione diaframmatica e viene insegnato il modo più idoneo di tossire.

Per prevenire la diminuzione dell’estensibilità di alcuni gruppi muscolari come quelli ischio-crurali e il tricipite femorale, si utilizzano tecniche di stretching passivo o attivo. Se non vi sono controindicazioni e il paziente risulta emodinamicamente stabile, si potrà dare inizio all’uso del deambulatore con la percentuale di carico consentito.

Nel caso di carico sfiorante, l’addestramento può essere facilitato attraverso l’utilizzo di un sensore.

Per il progressivo incremento del carico viene utilizzata una normale bilancia, oppure un disco propriocettivo, per abituare il paziente a modulare il trasferimento di carico nel ROM concesso. Allenamento, questo, che si fa alternando l’apertura e la chiusura degli occhi.(Fig.9D)

Come fine seduta, il paziente svolge l’esercizio di allungamento dei muscoli ischio – crurali e tricipiti.

Per la deambulazione sono sempre consigliate le scarpe chiuse con suola antiscivolo. Il primo training di deambulazione con ausilio e concessione al carico ha una percorrenza di circa 5 metri, sempre curando il corretto assetto e lo schema del passo. (Fig.10 A-B-C)

Al secondo giorno dall’intervento, dopo consulto con il chirurgo, il paziente inizia la deambulazione con gli ausili e carico sfiorante. Gli esercizi sopra descritti costituiscono un set della durata media di 15 minuti. (8- 10 ripetizioni per 4 volte al giorno rappresentano l’ideale).

La resistenza all’esercizio viene misurata attraverso il Six-Minute Walking Test. Nel percorso di 5 metri, invece, il fisioterapista deve correggere lo schema deambulatorio e la correttezza del passo, valutando l’equilibrio e il bilanciamento per ridurre il rischio caduta. Si prosegue con esercizi per la flesso-estensione delle ginocchia in posizione supina e seduto. Dalla posizione supina, con il piede a martello, si compiono abduzioni della gamba operata mantenendo l’altra in posizione flessa; si ripetono gli esercizi con elastico al piede mantenendo il ginocchio flesso a 90° eseguendo estensioni della gamba contro resistenza (fig.9°). Si prosegue con esercizi in posizione supina per articolazione dell’anca con la gamba in scarico e le abduzioni con piede a martello ed alluce in estensione (evitando le rotazioni della gamba). (fig.8B-C)

L’esercizio finisce con la postura eretta, scaricando il peso corporeo sull’arto controlaterale, cercando di migliorare sempre di più l’equilibrio.

Il terzo giorno il paziente viene posizionato in poltrona per almeno tre volte e proseguendo il suo percorso riabilitativo in palestra, dove continuerà il protocollo rieducativo che consiste in esercizi di rinforzo muscolare, riequilibrio nella fase statica e dinamica, esercizi di trasferimento di carico da una gamba all’altra, con doppio appoggio, singolo e senza appoggio (solo per fratture laterali), con passo della gamba operata in avanti, esercizi di spostamento sulle punte e sui talloni, esercizi di recupero dello schema di marcia ed equilibrio, come in seconda giornata, ed è in questa fase che il paziente viene aiutato solo se in reale difficoltà.

Quarto giorno: ripetizione del esercizi eseguiti nella giornata 2 e 3 e successivo insegnamento alla deambulazione in salita e in discesa.

In palestra si inizia la salita delle scale con il corrimano bilaterale e dosando la sequenza del passo, prima con l’arto non operato, poi con quello operato appoggiandolo sullo stesso gradino. Nell’esercizio della discesa prima l’arto operato e poi il controlaterale sullo stesso gradino. (Fig. 10 D-E-F)

Quinto giorno: inizio dell’insegnamento alla deambulazione con stampelle (canadesi o ascellari). Lo schema del passo è a due tempi e tre appoggi con apprendimento dell’andatura crociata. Nel tempo, il paziente, acquistando maggior sicurezza, inizierà la deambulazione con una sola stampella per poi abbandonarla nel tempo. L’uso delle calze antitromboemboliche non viene mai dismesso.

La dimissione dal reparto di traumatologia può avvenire verso il 5°-6° giorno dal post-operatorio.

Nel caso di valida autonomia e sicurezza, soprattutto nei passaggi posturali dal letto all’ortostasi e se il paziente è in grado di deambulare autonomamente e/o con 1 o 2 ausili per almeno 15 metri e usare autonomamente i servizi, si potrà prendere in considerazione l’uscita dall’ambiente domestico per affrontare le prime passeggiate.

Per un risultato completo e soddisfacente al paziente deve essere garantito un servizio di Fkt domiciliare per il mantenimento e continuità del programma di recupero funzionale impostato in ambiente ospedaliero con serie di esercizi che verranno ripetuti almeno due volte, per una durata totale di 2 serie di almeno 20 – 30 minuti. È stato dimostrato che il livello delle cure ed assistenza domiciliari sono pari, se non superiori, rispetto a interventi rieducativi in strutture residenziali, specialmente per i pazienti anziani fragili.

Fase 2 di riabilitazione postoperatoria precoce (4a-12a settimana)

Rappresenta il 2° step di recupero funzionale, quella della mobilità articolare, della forza, del controllo motorio, della resistenza e autonomia nel cammino, del recupero dell’equilibrio.

Importante l’assenza di segni infiammatori alla cicatrice con condizioni cliniche stabili e livello di dolore sopportabile.

Il carico aumenterà progressivamente di 5/10 kg ogni settimana, fino a raggiungere il carico completo. Le stampelle vanno utilizzate finché il paziente non raggiunge la sopportazione completa del carico monopodalico. Utilizzerà un bastone, se necessario, finché non raggiungerà una deambulazione priva di zoppia e senza Trendelemburg. Tutti gli esercizi della prima fase verranno ripetuti e altri ne aggiungeranno, con aumento dell’intensità e più ripetizioni fino al raggiungimento dell’abbandono degli ausili o alla deambulazione con una solo stampella o bastone. Nella prima settimana di questa 2° fase gli esercizi andranno ripetuti 2- 3 volte al giorno e nelle settimane successive ogni serie sarà ripetuta in 3/5 serie per 3 volte la settimana. Per aumentare la forza e la resistenza andranno usati elastici e piccoli pesi, sfruttando la forza di gravita. In questa fase ci sarà l’inizio all’uso della cyclette (contro la resistenza minima o nulla).

Nel 2005, Shumway e Cook sottolinearono che chi ha subito una frattura del femore dopo una caduta rischia una ricaduta nel 53% dei casi. Si deve cercare sempre di migliorare la deambulazione con cambi di direzione e simmetria giusta del passo, facendo attenzione alla qualità e alla sicurezza del cammino, aumentando gradualmente la velocità e le distanze percorse.

Un training riabilitativo va sempre gestito con cura e iniziato attuando un accurato stretching di allungamento, soprattutto dei muscoli ischio-crurali, del quadricipite e del tricipite femorale. (fig.11 A-B-C)

Per il recupero del ROM concesso, si utilizzano: automobilizzazione in flessione, abduzione, adduzione, rotazione interna ed esterna.

Esercizio in catena muscolare chiusa come il ponte lasciando la distanza giusta tra le ginocchia. (Fig.12 A-B)

-Rinforzo dei l’adduttori in ortostatismo. (Fig.12 C-D)

-Esercizi attivi del rinforzo del anca – in ortostatismo – movimenti circonduzione in avanti e in dietro, all’interno ed all’esterno e interno. Bisogna fare particolare attenzione sulla postura corretta durante l’esecuzione degli esercizi. Molto importante risulta il potenziamento, specialmente in ortostatismo, dei muscoli glutei che aiutano ad aumentare l’equilibrio e la propriocezione. Rinforzo di medio gluteo viene eseguita in ortostatismo (Fig.12 D-E) e anche in posizione di decubito laterale (Fig.12 F), rinforzo di grande gluteo in ortostatismo e posizione prona (Fig.13 A-B-C).

-Mini squat bipodalici. (Fig.13 D-E).

-Esercizi attivi dell’articolazione del ginocchio e del anca – in posizione eretta – con le mani appoggiate sulla parete – esegue affondi anteriori, alternando le gambe – e piegando tutte e due le ginocchia – abbassando la sua posizione, poi senza appoggio. (Fig.14 A-B-C)

-Affondi laterali – in piedi con le mani appoggiate sul tavolo o una sedia- esegui flessioni laterali caricando e flettendo un ginocchio – con altra gamba, che rimane distesa. (Fig.14 D-E)

-Esercizi attivi per l’articolazione tibio – tarsica –con le mani appoggiate – esegui ritmiche salite sulle punte (mantieni la posizione per circa 3 secondi), poi passa dalle punte al tallone (mantieni per 3 secondi la posizione). (Fig.14 F)

-Esercizi di recupero dell’equilibrio e coordinazione in ortostatismo sia sulle varie pedane propriocettive (Fig.15 A-B-C-D) sia attraverso una deambulazione più complessa che comporta il superamento di vari ostacoli (raccogliere oggetti dal pavimento, mantenere la stazione eretta con occhi aperti echiusi).

-Utilizzo di cyclette con la sella alta. (Fig.15 E-F)

Dopo una buona cicatrizzazione della ferita (Fig.15 G) sono consigliate attività in piscina (ginnastica contro resistenza in acqua).

  • Le passeggiate libere vanno effettuate alzando bene le ginocchia e continuando ad eseguire alzate antero-posteriori della gamba, sia in estensione che lateralità, in posizione supina. In ortostasi eseguire movimenti in alto e basso a gamba tesa. Il movimento deve iniziare sempre dall’articolazione dell’anca e finire con il piede in flessione plantare (posizione da ballerina).
  • Secondo Crawl nei primi quattro mesi il nuoto riveste un ruolo fondamentale (stile dorso e stile libero); dal 4° mese si inizierà lo stile a rana.

Fase III – (3° – 6° mese)

In questa fase la maggior parte dei pazienti raggiunge il carico completo ed elimina completamente l’uso delle stampelle. Se il paziente mostra difficoltà a caricare completamente l’arto operato il motivo potrebbe essere un ritardo di consolidazione della frattura. In questo caso il chirurgo potrebbe proporre la dinamizzazione del chiodo asportando la vite distale di blocco, aumentando l’effetto compressivo sulla rima di frattura.

In questa fase si prosegue con gli esercizi in catena cinematica chiusa fino a quando il paziente non avrà una articolarità completa del ginocchio e dell’anca. Gli esercizi da seguire sono gli accosciamenti, la salita e discesa delle scale senza ausilio.

La sospensione del trattamento fisioterapico avviene in associazione al recupero muscolare completo tramite misurazione circonferenziale della coscia.

Fase IV  (oltre 6 mesi)

La maggior parte dei pazienti in questa fase riprende a svolgere attività sportive, escludendo quelle di contatto per ulteriori 6-12 mesi.

Solving problems:

Una scarsa o viziata consolidazione della frattura (pseudoartrosi), una rottura delle viti di bloccaggio, la mobilizzazione dei mezzi sintesi sono le problematiche che a volte si possono verificare, bloccando o annullando tutto il protocollo rieducativo.

Un nuovo intervento chirurgico di revisione del chiodo o una osteosintesi a cielo aperto possono risolvere il problema.

Bibliografia:

Brent Brotzman, Robert C. Manske: LA RIABILITAZIONE IN ORTOPEDIA.

Brent Brotzman: RIABILITAZIONE IN ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA. Claudio Lazzarone e Pietro Maniscalco: IL TIMING DELLE FRATTURE DEL FEMORE PROSSIMALE NELL’ANZIANO.

Luigi Fantasia e Fabio M. Donelli: La patologia metabolica traumatica e degenerativa della colonna vertebrale nell’anziano.

Rinaldo Giancola e Luca Pietrogrande: L’osso dell’anziano: presente e futuro

Marco Baccini, Roberto Bernabei, Niccolò Marchionni, Matteo Paci: RIABILITARE LA PERSONA ANZIANA, CAPITOLO 11.

Marks R.: Hip fractureepidemiological trends, outcomes, and riskfactors, 1970- 2009. Int J GenMed 2020; 3:1-17

Handoll HH, Sherrington C, Mak JC. INTERVENTIONS FOR IMPROVING MOBILITY AFTER HIP FRACTURE SURGERY IN ADULTS. Cochrane Database SysRev 2011 16, (3):CD001704.

Cwanek J., Trybuchowicz A., Ciećkiewicz A., Bać D., Leczeniezłamańszyjkikościudowej, ProblemyNaukStosowanych, 6/2017.

Gaździk T., Ortopedia i Traumatologia, WydawnictwoLekarskie PZWL, Warszawa 2006.

Smektala R, Endres HG, Dasch B, Maier C, Trampisch HJ, Bonnaire F, Pientka L. The effect of time-to surgery on outcome in elderlypatients with proximalfemoralfractures. BMC MuscolosceletDisord. 2008, 9: 171

Amici F., Cavallini M., Cigada A.: Aspetti biomeccanici e sperimentali dei mezzi di osteosintesi. Le fratture laterali. Relazione al LXXIV congresso SIOT, Roma1989.

Diritto Sanitario Medical News News del giorno

Sempre crescente attenzione solleva la delicatissima questione dell’obbligatorietà della vaccinazione anti COVID-19, prevista e disciplinata dall’art. 4 del Decreto Legge n. 44/2021 per tutte le professioni e gli operatori del comparto sanitario, per la variegata compresenza di valori etici e giuridici.

Autore

Avv. Angelo Russo – Avvocato Cassazionista, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario, Catania.

Premesso che la disposizione vede la sua operatività temporalmente limitata sino al 31 dicembre 2021 e, comunque, riferita al solo settore della sanità, essa determina rilevanti conseguenze sul rapporto di lavoro per coloro che volessero rifiutare la vaccinazione.

L’art. 4 comma 6 prevede, specificamente, che l’inosservanza dell’obbligo vaccinale da parte di coloro che “svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie o parafarmacie e negli studi professionali” determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

Il successivo comma 8 prevede che “il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse […], con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione […], non è dovuta la retribuzione, emolumento, comunque denominato”.

L’obbligatorietà dei vaccini e la correlata questione della legittimità dell’art. 4 del D.L. 44/2021 va, pertanto, scrutinata, in relazione all’art. 32 della Costituzione che sancisce:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Evidente è la duplicità della tutela prevista dalla norma costituzionale: da un lato, il diritto del cittadino alla salute e alla libertà di scegliere le cure e, dall’altro, l’interesse pubblico alla salute, che può comportare, naturalmente, l’imposizione di obblighi a carico dei singoli di sottostare a trattamenti disposti, peraltro, solo in forza di legge e nei limiti imposti dal rispetto della persona umana.

La Corte Costituzionale, in più occasioni, ha chiarito i presupposti in presenza dei quali l’obbligo vaccinale è rispettoso dei principi dell’art. 32 della Costituzione.

In particolare:

Se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.” (cfr. sentenza n. 307 del 1990);

Se vi è la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili“;

Se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – sia prevista comunque la corresponsione di una “equa indennità” in favore del danneggiato.

In altri termini, la legittimità dell’obbligo vaccinale presuppone e richiede un corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettiva, entrambe costituzionalmente garantite.

La disamina della legislazione degli altri Paesi consente di affermare che, allo stato, nessuna nazione ha previsto l’obbligatorietà del vaccino anti COVID-19.

La Risoluzione n. 2361 del Consiglio d’Europa, peraltro, ha espressamente escluso che gli Stati possano rendere obbligatoria la vaccinazione anti COVID (punto 7.3.1) e ha, inoltre, vietato di usarla per discriminare lavoratori o chiunque decida di non avvalersene (punto 7.3.2).

Dal canto suo l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali italiana ha dichiarato che non è pensabile di poter effettuale un passaporto vaccinale sanitario stante la delicatezza dei dati che vi sarebbe contenuti, la variabilità e temporaneità della certificazione stessa in assenza di presupposti scientifici accertati e certi.

Infine, il recentissimo Rapporto pubblicato il 13.3.2021 dall’I.S.S. e redatto insieme a Ministero, A.I.FA. e I.N.A.I.L. precisa che:

Una persona vaccinata con una o due dosi deve continuare a osservare tutte le misure di prevenzione quali il distanziamento fisico, l’uso delle mascherine e l’igiene delle mani, poiché, come sopra riportato, non è ancora noto se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell’acquisizione dell’infezione e/o della sua trasmissione ad altre persone. … non è ancora noto se le persone vaccinate possano comunque acquisire l’infezione da SARS-CoV-2 ed eventualmente trasmetterla ad altri soggetti.…

Infine, è verosimile che alcune varianti possano eludere la risposta immunitaria evocata dalla vaccinazione, e, quindi, infettare i soggetti vaccinati.

Segnalazioni preliminari suggeriscono una ridotta attività neutralizzante degli anticorpi di campioni biologici ottenuti da soggetti vaccinati con i vaccini a mRNA nei confronti di alcune VOC, come quella Sudafricana, e un livello di efficacia basso del vaccino di AstraZeneca nel prevenire la malattia di grado lieve o moderato nel contesto epidemico sud-africano. … a persona vaccinata considerata “contatto stretto” deve osservare, purché sempre asintomatica, un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato in decima giornata.

Non è, pertanto, revocabile in dubbio che, allo stato attuale, siano carenti i presupposti di certezza scientifica per imporre l’obbligatorietà del vaccino, il quale dovrebbe rispondere al duplice obiettivo di tutela della salute pubblica, impedendo il contagio dei pazienti da parte del personale sanitario vaccinato, e di tutela immunitaria del personale sanitario dal virus, nonché dalla complicanze vaccinali.

La situazione di inevitabile sperimentalità dei vaccini anti COVID-19 non garantisce nessuno di questi due obiettivi: non vi è certezza di non trasmissibilità del virus da parte delle persone vaccinate e non vi è certezza di immunità dal virus.

Al contrario si registrano evidenze – seppur statisticamente poco rilevanti – di complicanze vaccinali talvolta anche fatali.

La conferma dei dubbi e delle incertezze che connotano i vaccini anti COVID-19 è significativamente manifestata dall’art. 3 D.L. 44/2021 che, come noto, introduce un’esimente penale a favore dei sanitari per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose conseguenti a reazioni fatali in soggetti sottoposti a vaccinazione.

In questa situazione di obiettiva incertezza scientifica e di inevitabile sperimentalità è, pertanto, non solo eticamente doveroso che i vaccini restino una libera scelta del singolo individuo ma è anche giuridicamente dovuto nel rispetto dei massimi principi posti a tutela della persona.

Da un punto di vista prettamente giuridico, e prescindendo da ogni considerazione in materia sanitaria e scientifica, l’incostituzionalità dell’obbligo vaccinale introdotto dall’art. 4 del DL 44/2021 sembra più che fondata.

E’ ipotizzabile, peraltro, che i professionisti e gli operatori sanitari dissenzienti dall’obbligo di vaccinazione non potranno agevolmente tutelare il loro diritto di scelta essendo verosimile che gli Ordini professionali e i datori di lavoro applicheranno, infatti, il citato disposto dell’art. 4 del D.L. 44/2021.

I lavoratori (che si riterranno penalizzati) non potranno percorrere altra strada che il contenzioso giudiziale innanzi al Giudice del lavoro.

Questi, a sua volta, se riterrà non manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità della norma, sospenderà il giudizio di merito in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, che dovrà, a sua volta, accertare il contrasto della più volte citata disposizione con la Costituzione.

In conclusione non può non ribadirsi che l’emergenza COVID-19, ormai perdurante da oltre 18 mesi, sta mettendo a dura prova i delicatissimi rapporti fra la tutela della salute pubblica e i valori fondamentali della libertà umana.

Il pensiero non può non andare, in disparte l’obbligo vaccinale, alle misure di contenimento del contagio che vedono contrapposti, anche in modo serrato, i fautori della libertà “a ogni costo” contro la “dittatura sanitaria” dell’Esecutivo e i fautori della inevitabilità di misure fortemente coercitive quale unico baluardo contro la diffusione del coronavirus.

Medical News Psicologia

Il nuovo paradigma epigenetico e quella che viene definita “microbiota revolution” per il forte impatto nelle conoscenze biomediche, convergono nel ridimensionare significativamente l’attribuzione della componente genetica finora largamente accettata.


English abstract 

The scientific sector dealing with human epigenetic studies the role of extra genetic factors in influencing the fitness of the body as a whole.

In this context, it has only recently been understood that the microbiota, that is the complex ecosystem made up of bacteria, viruses and fungi that live in our bodies but which do not share our DNA, is also of fundamental importance for our survival.

Up to now, many researchers have adopted the comparative methodology existing between homozygous and heterozygous twins to measure the genetic contribution (DNA) with respect to the extragenetic component, thus greatly underestimating both the fundamental role of hereditary epigenetic memory now documented by the literature and the equally solid relative literature about the massive interactions of the microbiota in our organism.

This conceptual and methodological error indicates, on the one hand, a significant overestimation of the genetic component in the understanding of all complex phenotypic structures (including behaviors), on the other hand, an equally significant general underestimation of extragenetic factors in explaining these human complex phenomena.

Italian abstract 

Il settore scientifico che si occupa di epigenetica umana, studia il ruolo dei fattori extra genetici nell’influenzare la fitness dell’organismo nella sua globalità.

In questo contesto solo recentemente si è capita l’importanza fondamentale, anche per la nostra sopravvivenza, del microbiota ossia il complesso ecosistema formato da batteri, virus e funghi che vivono nel nostro organismo ma che non condividono il nostro DNA.

Fino ad oggi molte ricerche hanno adottato la metodologia comparativa esistente tra gemelli omozigoti ed eterozigoti per misurare il contributo genetico (DNA) rispetto la componente extragenetica, sottostimando considerevolmente sia il ruolo fondamentale della memoria epigenetica ereditaria, ormai documentata dalla letteratura, sia l’altrettanto solida letteratura relativa le massicce interazioni del microbiota nel nostro organismo.

Questo errore concettuale e metodologico indica da una parte una rilevante sovrastima della componente genetica nella comprensione di tutte le strutture complesse fenotipiche (comportamenti compresi), dall’altra una altrettanto rilevante sottostima generale dei fattori extragenetici nello spiegare questi fenomeni complessi.

Autore

Dott. Massimo Agnoletti – Psicologo, Dottore di ricerca esperto di Stress, Psicologia Positiva e Epigenetica. Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto, Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE).


[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L’[/dropcap]

Lo studio del microbiota ha rivoluzionato molte conoscenze pregresse delle scienze biomediche e psicologiche perché evidenzia il ruolo fondamentale di questo altamente complesso ecosistema di batteri, funghi e virus all’interno di quella che generalmente consideriamo la “nostra” fitness, riferendoci all’insieme delle cellule che condividono il nostro DNA umano, ma che dobbiamo pensare più come unità simbiotica (olobionte) costituita da cellule umane e non umane che interagiscono funzionalmente per raggiungere scopi (teleonomie) almeno in parte condivisi (Agnoletti 2021a,  Agnoletti 2021b).

Dalla produzione di neurotrasmettitori (ad esempio, più del 90% della serotonina viene prodotta a livello intestinale), alla funzione di elaborazione degli alimenti che ingeriamo, al ruolo fondamentale di apprendimento del nostro sistema immunitario, il microbiota si è già dimostrato essere un protagonista finora grandemente sottovalutato nell’eziologia di molte problematiche di natura sia organica (si veda ad esempio la celiachia, l’obesità o la colite ulcerosa) che psicologica (per esempio l’ansia, la depressione e molte psicopatologie quali l’autismo, la schizofrenia, etc.). (Caio et al., 2019; Cheunget al., 2019; Foster &McVey Neufeld; Sharon et al., 2019; 2013; Garrett et al. 2007; Li & Zhou, 2016; Mangiola et al., 2016; Rescigno, 2021; Rodrigues-Amorim et al., 2018; Simpson et al., 2021).

Risulta evidente da questo scenario particolarmente complesso che il concetto di Self viene ad essere travolto da una quasi disorientante nuova prospettiva dove le teleonomie biologiche del microbiota si intrecciano con quelle più riconducibili al nostro DNA e sono almeno in parte influenzate dai processi decisionali consapevoli e non espressi dalla nostra mente (si pensi banalmente alle scelte alimentari che attuiamo nella nostra quotidianità).

Se da una parte quello che possiamo concettualizzare come il “nostro” Self è influenzato dal cambiamento della composizione del “nostro” microbiota (ad esempio alterando la produzione di serotonina con tutte le sue implicazioni psico-esperienziali), è altrettanto vero che, ad esempio, anche solo attraverso una maggiore consapevolezza/conoscenza relativa questa stessa tematica (o banalmente cambiando scelte alimentari dovute ad un breve soggiorno in qualche località esotica), possiamo modificare il microbiota incidendo sul rapporto tra le varie popolazioni che costituiscono questo enorme ecosistema extraumano.

La connessione tra interazione tra cellule umane e microorganismi extraumani che chiamiamo Self ha quindi una natura assolutamente bidirezionale ed in gran parte integrata.

Anche l’epigenetica umana enfatizza il ruolo delle informazioni che non fanno parte del nostro genotipo (DNA) nella spiegazione delle strutture biologiche e dei comportamenti di una persona ed in questo senso ha già definito una transizione rispetto quello che ritenevamo il nostro Self (Agnoletti, 2020a) coerente e convergente con i dati che stanno emergendo dal settore del microbiota.

Questa prospettiva globalmente contrasta fortemente la visione focalizzata sull’importanza della genetica riconducibile al cosiddetto “dogma centrale della biologia molecolare” dove, invece, viene enfatizzato il ruolo dell’informazione genetica codificata nel DNA di ciascuna cellula.

In questo scenario il flusso di informazioni unidirezionale proveniente dal DNA verso il contesto esterno extragenetico, implica una forma di “impermeabilità” o di “incapsulamento” informazionale rispetto tutto ciò che non si trova all’interno della memoria genomica (Agnoletti, 2020a; Bottacioli & Bottacioli, 2017).

Fino ad oggi, la principale metodologia per stimare il contributo dell’informazione genetica dei fenotipi umani (e non) è stato fondamentalmente basato sull’assunto dicotomico genetico/extra-genetico e DNA/ambiente, dove il Self viene rappresentato a questo livello dai geni ed il non-Self viene rappresentato da tutto ciò che non è codificato nel DNA.

Si tratta chiaramente di un assunto che riflette la visione riduzionistica in cui vi è la  centralità e la priorità dell’informazione genetica rispetto quella non genetica (derivante dal cosiddetto dogma centrale della biologia)che non coglie la complessità del considerare altrettanto importanti (per la fitness globale dell’organismo) anche fattori extra-genetici, attribuibili all’interazione di altri organismi non umani quali il microbiota (o più tradizionalmente, anche strutture intracellulari come i mitocondri).

Il modo di declinare questo scenario teorico in termini metodologici ha cercato finora di identificare il contributo genetico del tratto fenotipico oggetto dello studio comparando gruppi di gemelli omozigoti (che condividono il medesimo DNA) con quelli eterozigoti (che condividono mediamente il 50% del DNA), analizzando la variabilità riscontrata in quel tratto fenotipico (colore degli occhi, altezza, tratto di personalità, felicità, etc.) e assumendo che questa sia attribuibile alla componente extra genetica derivante dall’esposizione di esperienze successive al parto.

Nella logica di questa metodologia, la variabilità riscontrata è attribuibile semplicemente (in maniera autoescludente) alla componente genetica o extragenetica, cioè se non è extra genetica, allora dev’essere necessariamente genetica e viceversa (si veda in proposito ad esempio Goldsmith, 1983; Nichols, 1978; Tellegen et al., 1988).

Così, ad esempio, per stimare il contributo genetico (o presunto tale) della percezione di felicità individuale o di caratteristiche personologiche quali l’estroversione o la timidezza, hanno comparato gruppi di gemelli omozigoti con gruppi di gemelli eterozigoti analizzandole variazioni relative esistenti tra i due gruppi ed attribuendo tale valore alla componente extra genetica.

La logica di questo ragionamento può essere riassunta approssimativamente così: “se la variabilità del tratto fenotipico in questione non è attribuibile alle esperienze vissute dalla persona da quando è stata partorita allora, di conseguenza, detta variabilità è attribuibile alla componente del DNA”.

Come già riportato, questa metodologia è coerente con il paradigma gene centrico dove vi è una separazione dicotomica tra il concetto ereditabilità dovuta all’informazione genetica e il concetto di ambiente come fattore esperienziale vissuto dall’organismo (sia a livello psicologico che fisiologico/cellulare) che non può essere né ereditato né può influenzare l’espressione del DNA.

Con l’affermarsi del paradigma epigenetico viene enfatizzato il valore ed il ruolo dei fattori che determinano l’espressione differenziale del DNA all’interno di un continuo dialogo bidirezionale, tra la memoria genetica con la memoria informazionale extra-genetica che è contemporaneamente non-Self (dal punto di vista del DNA) e Self (se consideriamo la prospettiva dell’organismo stesso). (Agnoletti, 2020a).

L’epigenetica implica un’abolizione della precedente dicotomia Self-ambiente coincidente con il paradigma genecentrico, per la massiccia e continua capacità dell’organismo di selezionare’ anche in modo reversibile (quindi potenzialmente transitorio), l’informazione genetica che viene espressa (Agnoletti, 2020).

La scienza dei telomeri è un esempio evidente di questo più recente paradigmache enfatizza i fattori non genetici che incidono profondamente sulla longevità degli organismi (Andrews & Cornell, 2017; Blackburn, 1991).

Infatti, ricerche molto recenti coerenti con questa visione hanno confermato che gemelli omozigoti condividono non solo lo stesso genoma, ma anche l’insieme dei meccanismi molecolari che regolano l’espressione dei geni proprio perché la loro duplicazione avviene dalla medesima cellula iniziale che già contiene una sua specifica memoria epigenetica precedente il parto (si veda in proposito Bell & Spector, 2011; Fraga et al., 2005; Tan, Christiansen, von Bornemann Hjelmborg & Christensen, 2015; Kaminsky et al., 2009; Van Baak et al., 2018; Wong, Gottesman & Petronis, 2005; Yet et al., 2016).

È stato dimostrato che questa condivisione di informazioni extra-genetica ha origine nelle prime fasi dello sviluppo embrionale ed è così importante da poter predire lo sviluppo di alcune malattie anche oncologiche.

Sul piano informazionale ciò che è comune a due gemelli omozigoti, non è quindi unicamente riconducibile al contenuto di DNA ma anche a dinamiche epigenetiche. Nella metodologia comparativa tra gemelli omozigoti ed eterozigoti che indaga il rapporto del contributo genetico rispetto quello non genetico, la differenza di variazione tra i due gruppi non è riconducibile esclusivamente al contenuto informazionale del DNA.

Durante la fase di sviluppo ontogenetico (che include naturalmente anche la fase fetale) non ci sono solo in atto le variazioni esistenti tra le memorie genetiche ma anche quelle derivanti dalle memorie epigenetiche, che nei gemelli omozigoti sono molto alte (sono infatti chiamate dagli esperti “supersimili”).

Assumendo quindi come esclusivamente “genetica” la parte costante dell’invarianza tra i due gruppi di gemelli, ne deriva un errore metodologico dovuto al fatto che suddetta invarianza è in realtà il risultato della somma della memoria del DNA e della memoria epigenetica “supersimile”(nel caso dei gemelli omozigoti).

Tutte le ricerche che hanno condiviso questa errata metodologia per studiare specifici tratti fenotipici (morfologici, psicologici o comportamentali)hanno quindi, finora, parecchio sottostimato le componenti extragenetiche sovrastimando quelle genetiche.

L’effetto quantitativo di questo errore concettuale e metodologico è presumibilmente molto alto considerando sia l’effetto della “supersimilarità” epigenetica dei gemelli omozigoti sia per l’effetto della probabile “supersimilarità” legata alla condivisione del microbiota comune acquisito nel periodo di gestazione.

La correttezza di molte affermazioni conseguenti la metodologia finora usata, quali ad esempio che il 50% della nostra felicità è dovuta al contributo genetico, sono profondamente da rivedere alla luce del paradigma epigenetico e di quello del microbiota.

Viste le conseguenze che tali comunicazioni hanno anche a livello di percezione di controllo e gestione della propria vita (si pensi solo ad esempio agli importanti effetti placebo e nocebo sulla salute e sul benessere individuale) con le notevoli implicazioni in termini di costi sociali e di qualità di vita, è auspicabile integrare queste nuove conoscenze prima possibile sia con interventi mirati ai cittadini che destinati ai professionisti del benessere psicofisico.

Bibliografia

Agnoletti, M. (2021a). L’epigenetica e l’olobionte umano-microbiota. Medicalive Magazine, 5, 19-26.

Agnoletti, M. (2021b). Perché lo studio del microbiota sta rivoluzionando le scienze psicologiche oltre che quelle biomediche. Medicalive Magazine, 2, 12-18.

Agnoletti, M. (2020a). L’epigenetica ridefinisce il concetto di Self nelle scienze biomediche e psicologiche. Medicalive Magazine, 1, 35-40.

Agnoletti, M. (2020b). L’epigenetica e la sovrastima della componente genetica negli studi gemellari. Medicalive Magazine, 2, 11-16.

Andrews, B. & Cornell, J. (2017). Telomere Lenghtening. Nevada, USA. Sierra Science.

Bell, J.T., Spector, T.D. (2011). A twin approach to unraveling epigenetics. Trends Genet, 27, 116–125.

Blackburn, E.H. (1991). Structure and function of telomeres. Nature, 350, 569-73.

Bottaccioli, F., Bottaccioli, A.G. (2017). Psiconeuroendocrinoimmunologia e scienza della cura integrata. Edra Editore.

Caio, G., Volta, U., Sapone, A., Leffler, D. A., De Giorgio, R., Catassi, C., & Fasano, A. (2019). Celiac disease: a comprehensive current review. BMC medicine, 17(1), 142. https://doi.org/10.1186/s12916-019-1380-z

Cheung, S. G., Goldenthal, A. R., Uhlemann, A. C., Mann, J. J., Miller, J. M., & Sublette, M. E. (2019). Systematic Review of Gut Microbiota and Major Depression. Frontiers in psychiatry, 10, 34. https://doi.org/10.3389/fpsyt.2019.00034

Foster, J. A., & McVey Neufeld, K. A. (2013). Gut-brain axis: how the microbiome influences anxiety and depression. Trends in neurosciences, 36(5), 305–312. https://doi.org/10.1016/j.tins.2013.01.005

Garrett, W. S., Lord, G. M., Punit, S., Lugo-Villarino, G., Mazmanian, S. K., Ito, S., Glickman, J. N., &Glimcher, L. H. (2007). Communicable ulcerative colitis induced by T-bet deficiency in the innate immune system. Cell, 131(1), 33–45. https://doi.org/10.1016/j.cell.2007.08.017

Fraga, M.F., Ballestar, E., Paz, M.F., Ropero, S., Setien, F., Ballestar, M.L., Heine-Suner, D., Cigudosa, J.C, Urioste, M., Benitez, J., et al. (2005). Epigenetic differences arise during the lifetime of monozygotic twins. Proc Natl Acad Sci U S A,  102, 10604–1069.

Goldsmith, H. H. (1983). Genetic influences on personality from infancy to adulthood. Child Development, 54(2), 331–355. https://doi.org/10.2307/1129695

Kaminsky, Z.A., Tang, T., Wang, S.C., Ptak, C., Oh, G.H., Wong, A.H., Feldcamp, L.A., Virtanen, C., Halfvarson, J., Tysk, C., et al. (2009). DNA methylation profiles in monozygotic and dizygotic twins, Nat. Genet., 41, 240–5.

Li, Q., & Zhou, J. M. (2016). The microbiota-gut-brain axis and its potential therapeutic role in autism spectrum disorder. Neuroscience, 324, 131–139. https://doi.org/10.1016/j.neuroscience.2016.03.013

Mangiola, F., Ianiro, G., Franceschi, F., Fagiuoli, S., Gasbarrini, G., &Gasbarrini, A. (2016). Gut microbiota in autism and mood disorders. World journal of gastroenterology, 22(1), 361–368. https://doi.org/10.3748/wjg.v22.i1.361

Nichols, R. C. (1978). Twin studies of ability, personality, and interests. Homo, 29, 158-173.

Rescigno, M. (2021). Microbiota, arma segreta del sistema immunitario: Conoscere e prendersi cura del migliore amico della nostra salute. Vallardi.

Rodrigues-Amorim, D., Rivera-Baltanás, T., Regueiro, B., Spuch, C., de Las Heras, M. E., Vázquez-NoguerolMéndez, R., Nieto-Araujo, M., Barreiro-Villar, C., Olivares, J. M., &Agís-Balboa, R. C. (2018). The role of the gut microbiota in schizophrenia: Current and future perspectives. The world journal of biological psychiatry : the official journal of the World Federation of Societies of Biological Psychiatry, 19(8), 571–585. https://doi.org/10.1080/15622975.2018.1433878

Tellegen, A., Lykken, D.T., Bouchard, T.J. Jr., Wilcox, K.J., Segal, N.L., Rich, S. (1988).Personality similarity in twins reared apart and together. J. Pers. Soc. Psychol., 54, 6,1031-1039.

Tan, Q., Christiansen, L., von BornemannHjelmborg, J., Christensen, K. (2015). Twin methodology in epigenetic studies. Journal of Experimental Biology. 218, 134-139; doi: 10.1242/jeb.107151

Sharon, G., Cruz, N. J., Kang, D. W., Gandal, M. J., Wang, B., Kim, Y. M., Zink, E. M., Casey, C. P., Taylor, B. C., Lane, C. J., Bramer, L. M., Isern, N. G., Hoyt, D. W., Noecker, C., Sweredoski, M. J., Moradian, A., Borenstein, E., Jansson, J. K., Knight, R., Metz, T. O., … Mazmanian, S. K. (2019). Human Gut Microbiota from Autism Spectrum Disorder Promote Behavioral Symptoms in Mice. Cell, 177(6), 1600–1618.e17. https://doi.org/10.1016/j.cell.2019.05.004

Simpson, C. A., Diaz-Arteche, C., Eliby, D., Schwartz, O. S., Simmons, J. G., & Cowan, C. (2021). The gut microbiota in anxiety and depression – A systematic review. Clinical psychology review, 83, 101943. https://doi.org/10.1016/j.cpr.2020.101943

Van Baak, T.E., Coarfa, C., Dugué, P. et al. (2018). Epigenetic supersimilarity of monozygotic twin pairs. Genome Biol., 192.Retrived from: https://doi.org/10.1186/s13059-017-1374-0

Wong, A.H., Gottesman, I.I., Petronis, A. (2005). Phenotypic differences in genetically identical organisms: the epigenetic perspective. Hum. Mol. Genet.,14, 11–18.

Yet, I., Tsai, P.C., Castillo-Fernandez, J.E., Carnero-Montoro, E., Bell, J.T. (2016). Genetic and environmental impacts on DNA methylation levels in twins. Epigenomics,8, 105–117.

Senza categoria

Campagna di sensibilizzazione della Fondazione Italiana per il Cuore. Le anomalie delle valvole cardiache sfuggono facilmente alla diagnosi. Nasce una coalizione europea (SHD Coalition) per sostenere un intervento precoce.


Autore

Salvo Falcone – Giornalista, Media Consultant, Direttore Responsabile Medic@live Magazine.

[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L'[/dropcap]urgenza di intervenire subito emerge anche dai risultati dell’indagine sui dati INPS che confermano una crescita allarmante in Italia delle Malattie Cardiache Strutturali, sostenuta anche dagli effetti post-pandemia, che ha colpito la fascia più fragile della popolazione costituita dagli over 65.

Per chi ancora non lo conosce, il nome di questa malattia (SHD – Structural Heart Diseases, in inglese) preoccupa meno di altre. Due le ragioni: intanto il riferimento alla “struttura” non riconduce a un immediato pericolo, poi perché, in effetti, se ne parla ancora poco rispetto alla portata della patologia legata al “cuore che invecchia”. Due attenuanti che non devono distrarre dalla gravità delle Malattie Cardiache Strutturali che colpiscono oltre il 12% della popolazione over 65 e che hanno incoraggiato lo sviluppo di una nuova coalizione europea (SHD Coalition) per evidenziare l’importanza di effettuare una diagnosi precoce e un trattamento appropriato.

È prioritario intervenire urgentemente – precisano Emanuela FOLCO, Presidente della Fondazione Italiana per il Cuore-FIPC, e Paolo MAGNI, Coordinatore del Comitato Scientifico, membri dello Steering Committee della SHD Coalition – per tracciare un percorso concreto, con la consapevolezza dettata dai dati condivisi dell’impatto delle Malattie Cardiache Strutturali nella realtà italiana”.

COSA SONO LE SHD – MALATTIE CARDIACHE STRUTTURALI

Le Malattie Cardiache Strutturali sono patologie cronico-degenerative e fra esse vi sono le malattie valvolari, quali la stenosi aortica e il rigurgito mitralico e tricuspidale. Esse sono sempre più spesso riconducibili a un declino funzionale e all’invecchiamento della popolazione. Richiedono la riparazione e/o la sostituzione delle valvole cardiache a seguito di un deterioramento della struttura delle stesse – da qui l’origine del nome – e dell’usura progressiva del muscolo cardiaco. Sono necessari interventi riparatori o sostitutivi delle valvole che, se non trattate, sono causa di morte del 90% dei casi a 5 anni dalla loro diagnosi.

SINTOMI ASPECIFICI, DIAGNOSI COMPLESSA

Le patologie valvolari possono facilmente sfuggire alla diagnosi e non aiuta il fatto che i sintomi siano piuttosto aspecifici tra cui il senso di affaticamento, l’affanno, la difficoltà a salire le scale, etc. Tanto difficile riconoscere i campanelli d’allarme (1/3 dei casi è asintomatico), quanto agevole raggiungere una diagnosi.

È sufficiente l’auscultazione del cuore da parte del medico per rilevare anomalie e procedere precocemente a controlli più semplici come un ecocardiogramma o più approfonditi esami specialistici capaci di condurre alla diagnosi.

OCCHIO ALLE VALVULOPATIE NEGLI OVER 65

Le ultime stime ISTAT per l’Italia confermano una percentuale di incidenza delle SHD del 12,5% sul totale della popolazione over 65, con una previsione di crescita considerando soprattutto la fascia anziana che raggiungerà la soglia del 25% nel 2030, fino a toccare il 33% nel 2040.

Se l’aspettativa di vita è cresciuta di 10 anni negli ultimi 4 decenni, molto del merito è da attribuirsi ai passi in avanti compiuti dalla cardiologia. Questo ha però aperto il varco all’emergere di molte malattie legate alla senescenza, come le Malattie Cardiache Strutturali e, in primis, le patologie degenerative delle valvole cardiache – afferma Alessandro BOCCANELLI, Presidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) – Nei Paesi occidentali, in particolare, il deciso incremento dell’aspettativa di vita non si è tradotto in un allungamento del tempo da trascorrere in buona salute: ciò a causa della sostanziale mancanza di prevenzione di tutte quelle malattie croniche che condizionano la qualità di vita degli anziani, come appunto le Malattie Cardiache Strutturali. Invece è fondamentale non solo continuare a guadagnare ulteriori anni di vita ma anche assicurare un miglioramento della qualità di vita, attraverso operazioni di screening che permettano di strutturare interventi mirati per fasce d’età (la cosiddetta “prevenzione di precisione”). Quel che occorre – osserva il professor Boccanelli – è un trattamento tempestivo della malattia che consenta ai pazienti di continuare a essere attivi nella società: in questa prospettiva, chiediamo alle Istituzioni di dare priorità alle SHD e assicurare fondi per la diagnosi precoce delle valvulopatie negli over 65″.

IMPATTO SOCIOPREVIDENZIALE +25% RICHIESTE INVALIDITA’ + 20% INDENNITA’

Il numero di interventi sulle valvole cardiache è cresciuto del 40% nell’ultimo decennio. Ogni anno sono circa 34.000 i pazienti che sono sottoposti a un intervento per una patologia cardiaca strutturale, con una spesa che supera gli 800 milioni di euro. La nota positiva per alcune di queste patologie è che nello stesso periodo i progressi della medicina e della tecnologia hanno consentito una riduzione del rischio e della mortalità associata a questi interventi di quasi il 50%. Tuttavia, per alcune di esse è ancora evidente il bisogno di un maggior focus sulla presa in carico e su nuovi percorsi di cura.

“Il nostro studio pone l’attenzione proprio sull’impatto socio-previdenziale. Nel quinquennio considerato dal 2015 al 2019,  è aumentato del 25% il numero di richieste di invalidità per diagnosi accertata di patologia valvolare – precisa Francesco Saverio MENNINI, Direttore del CEIS – Centre for Economic and International Studies, Facoltà di Economia, Università degli Studi Tor Vergata – e il 30% dei richiedenti ha un’età inferiore ai 65 anni (con evidenti ricadute economiche e sociali preoccupanti tanto per il SSN che per i costi legati alla perdita di produttività e fiscale). E’ cresciuto del 20% anche il numero di invalidi con indennità di accompagnamento per queste patologie: e, in questo caso, il 97% di questa spesa è destinata a soggetti con più di 65 anni (con un impatto importante con riferimento ai caregiver). E’ evidente che i pazienti over 65 vanno posti al centro di politiche sanitarie specifiche per le malattie cardiache strutturali”.

SHD COALITION: L’EUROPA SI “SCHIERA”

Una partita importante quella giocata dalla squadra “degli europei” che riunisce esperti, società scientifiche, scienziati, politici, pazienti con l’obiettivo di aumentare l’attenzione e la consapevolezza sulle Malattie Cardiache Strutturali per ridurre l’impatto della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Il suo nome è ‘SHD Coalition’ ed è stata lanciata a livello europeo ad aprile 2021.

Il calcio di inizio di questa partita risale al 2018, quando il Parlamentare Europeo Brando Benifei ha presentato il  HYPERLINK “http://www.brandobenifei.it/images/pdf/SHDManifestoIT.pdf”“Manifesto delle Malattie Cardiache Strutturali”. Si tratta di un importante impegno dell’europarlamentare italiano in qualità di membro del MEP Heart Group, che riunisce altri parlamentari “del cuore” coordinati dall’ European Heart Network, di cui la Fondazione Italiana per il Cuore-FIPC è membro italiano.

La Fondazione Italiana per il Cuore, FIPC, insieme ad altri esperti europei, è membro dello Steering Committee della EU STRUCTURAL HEART DISEASES COALITION (SHD), la Coalizione Europea sulle Malattie Cardiache Strutturali (SHD Coalition), presentata ufficialmente con un webinar tra esperti che si è tenuto il 6 Aprile 2021.

La Coalizione Europea sulle Malattie Cardiache Strutturali è una rete europea che riunisce esperti, società scientifiche, scienziati, politici, pazienti e l’industria, con l’obiettivo di aumentare l’attenzione e la consapevolezza sulle malattie cardiache strutturali, e di garantire che queste patologie abbiano una elevata priorità nelle politiche europee con l’obiettivo di ridurre l’impatto della malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti.

L’obiettivo principale della SHD Coalition – si legge nel sito web della FIPC – è quello di creare un’azione europea comune sulle malattie cardiache strutturali che evidenzi l’importanza di effettuare una diagnosi precoce e un trattamento appropriato. Questo richiederà una priorità politica a livello dell’Unione Europea (EU) e un forte sostegno nazionale da parte dei singoli Paesi.  Con una popolazione europea che sta invecchiando sempre di più, l’UE ha la responsabilità di sostenere l’azione sulle malattie cardiache strutturali-SHD e la Coalizione vuole sollecitare le istituzioni dell’UE e i responsabili politici nazionali ad impegnarsi su questo tema.

FONDAZIONE ITALIANA PER IL CUORE

La Associazione Fondazione italiana per il cuore (FIPC) nasce nel 1990 per volere dell’illustre scienziato Rodolfo Paoletti, ed è stata fondata dalla Fondazione Giovanni Lorenzini – Medical Science Foundation sulla spinta dell’enorme successo della prima campagna educazionale per la riduzione del colesterolo, svoltasi negli anni ’80 e successivamente di quella sui trigliceridi come fattore di rischio (v. sotto); L’Associazione FIPC è un ente senza scopo di lucro giuridicamente riconosciuto (nr. 14.12.649, 2/4/2004), che opera su più fronti, con particolare attenzione per le malattie cardiovascolari e la loro prevenzione. È membro effettivo per l’Italia della World Heart Federation di Ginevra, ed è membro attivo dello European Heart Network con sede a Bruxelles. Interagendo con Società Scientifiche nazionali ed internazionali svolge attività di diffusione dell’aggiornamento scientifico relativo alle malattie cardiovascolari e facilita l’interazione tra il mondo medico-scientifico, le istituzioni, le autorità ed il pubblico. La Associazione FIPC insieme alla World Heart Federation e ad altri enti nazionali e sovranazionali partecipa alle attività del “NCD Alliance” (un network di oltre 2000 organizzazioni rappresentanti la società civile presenti in oltre 170 paesi) che ha recentemente permesso il raggiungimento di un traguardo unico ed irripetibile: infatti, durante l’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, dal 20 al 22 settembre 2011, è stata discussa l’importanza e l’urgenza sanitaria, politica ed economica di dare priorità all’emergenza cardiovascolare nell’ambito della comune lotta alle malattie croniche non comunicabili (NCD). Nella veste di membro della NCD Alliance il 22 settembre 2011 la Associazione FIPC ha portato il messaggio delle Nazioni Unite al Senato italiano organizzando un importante dibattito sul tema.