Rivista del mese

Le teorie più importanti di Florence Nightingale, madre dell’infermieristica, applicate durante il Covid-19.

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ABSTRACT

È ben noto, ormai che Florence Nightingale sia una delle maggiori teoriche del nursing. Ella, con le sue teorie, ha posto le basi per la nascita della tanto discussa figura dell’infermiere. Infatti, con l’avvento della pandemia, questa professione è stata oggetto di svariate discussioni costruttive o distruttive. La domanda che ci si potrebbe porre è la seguente “in che modo la sua teoria trova applicazione in un’era in cui dilaga una pandemia che ha generato ingenti perdite?”. Sicuramente, numerosi studi condotti sul pz affetto da SARS-CoV-2 hanno portato ad una necessaria modifica dell’assistenza infermieristica, rispolverando e dando nuova luce a “vecchie” teorie. Tra queste ultime anche quella “Ambientalista” della Nightingale è stata aggiornata e attualizzata, rendendola nuovamente un punto di riferimento. L’obiettivo di questo lavoro è capire, mediante uno studio prettamente bibliografico, quanto le vecchie teorie siano tutt’ora attuali e utili a migliorare l’assistenza infermieristica. I veri professionisti sanitari dovrebbero sempre ricordare ed implementare le teorie miliari di questa professione, ma oggigiorno, si ha la tendenza ad avere una memoria labile e a sviluppare un comportamento superficiale.[1][2]Anche la Nightingale in un suo famoso aforisma esorta l’infermiere a migliorare e ad aggiornarsi: “L’assistenza infermieristica è un’arte; e se deve essere realizzata come un’arte, richiede una devozione totale e una dura preparazione, come per qualunque opera di pittore o scultore; con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano il tempio dello spirito di Dio. È una delle Belle Arti. Anzi, la più bella delle Arti Belle”. [3]

ABSTRACT

It is well noted that Florence Nightingale is one of the major nursing theorists. With her theories, she laid the foundation for the birth of the nurse figure. With the beginning of the pandemic, this professional role was the centre of various critics. The question we could think about is “in which way her theory find application in an era where a pandemic is killing thousand of people?” Surely, different studies conducted on SARS COVID 19 patients led to a modification in the nursing process, shedding new light on “old theories”. Between them, the “environment theory” is updated and actualised to fit these times.The purpose of this work is to understand, through a bibliographic research, how much the old theories can help to improve nursing care. Healthcare professionals should always keep in mind these theories and never forget them, but nowadays they tend to assume a rough behaviour and have short memory.Even Nightingale, in one of her famous quotes, encourage nurses to always improve themselves: “Nursing is an art: and if it is to be made an art, it requires an exclusive devotion as hard a preparation as any painter’s or sculptor’s work; for what is the having to do with dead canvas or dead marble, compared with having to do with the living body, the temple of God’s spirit? It is one of the Fine Arts: I had almost said, the finest of Fine Arts.”

 

INTRODUZIONE

Florence Nightingale, conosciuta anche con l’appellativo “The lady with the lamp”, nacque nel 1820 a Firenze da una famiglia britannica benestante. Fu un’importante infermiera che esercitò la professione anche in situazioni anguste, come la guerra di Crimea, grazie alla quale riuscì ad affinare le sue capacità organizzative e assistenziali. [4] Tutti i suoi studi, supportati dalle sue innate capacità, le permisero di affermarsi come la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, in quanto fu la prima ad applicare il metodo scientifico attraverso l’utilizzo della statistica. [5] La Nightingale, però, è ricordata soprattutto per la sua teoria ambientalista che si può estrapolare da alcuni dei suoi scritti. Tra questi ultimi ritroviamo ad esempio:

– Subsidiary Notes as to the Introduction of Female Nursing Into Military Hospitals in Peace and War (introduzione dell’assistenza infermieristica femminile negli ospedali militari in pace e guerra); pubblicato nel 1858. Il testo tratta l’introduzione del nursing negli ospedali civili e militari delle differenti nazioni coinvolte nella Guerra di Crimea (1853-1856), inoltre definisce i termini di contagio e infezione.

– Notes on Nursing: What it is and What it is not (note sull’assistenza infermieristica); pubblicato nel 1859. Il testo tratta le principali teorie del nursing che sono le basi dell’assistenza infermieristica; ad esempio, la ventilazione e il riscaldamento degli ambienti, l’igiene ambientale e personale, l’illuminazione, l’alimentazione, l’osservazione del malato.

– Notes on Hospitals (note sull’organizzazione degli ospedali); pubblicato nel 1859. Il testo tratta i seguenti argomenti: le condizioni sanitarie negli ospedali, i difetti nella progettazione e nella costruzione degli ospedali, i principi di costruzione degli ospedali, i miglioramenti dell’organizzazione ospedaliera.

– Introductory Notes in Lying-in Institutions, together with a proposal for Organising an Institution for training Midwifes and Midwifery Nurses (per la formazione di ostetriche e infermiere ostetriche); pubblicato nel 1871. Il testo è una raccolta di analisi statistiche prese da diverse fonti nelle principali città d’Europa ed esplora il mistero della febbre puerperale e le sue possibili cause. Sottolinea la necessità di una buona ventilazione negli ospedali e condanna i reparti sovraffollati, poiché vi è una correlazione con il numero di morti.

– Lettere alle infermiere (sette lettere che Florence Nightingale scrisse ogni anno per le studentesse infermiere della sua scuola); la prima lettera è stata scritta nel 1872 e l’ultima nel 1888. Le lettere venivano lette da Sir Harry Verney, presidente del Fondo Nightingale, in presenza delle studentesse infermiere. In ogni riga è evidente l’appassionato interesse per le infermiere e il desiderio della loro “perfezione” (Nightingale, 1915). [6] [7]

La Nightingale, inoltre, con le sue competenze analitiche e con i suoi scritti ha influenzato diverse discipline, oltre l’infermieristica, come la statistica, l’amministrazione delle politiche sanitarie, la sanità pubblica, la spiritualità e la fisioterapia. Ella quindi riuscì ad introdurre una visione della pratica infermieristica in relazione diretta con i pazienti, dell’ambiente e dell’organizzazione, riuscendo a completare la riforma ospedaliera e cambiando la realtà negli ospedali. [8] [9] [10]

Dopo aver velocemente inquadrato e compreso la personalità e l’operato della famosa teorica del nursing, ci si può concentrare sui 13 canoni della teoria ambientalista rapportandoli al concetto di assistenza pandemica odierna. Tra i canoni ritroviamo: la ventilazione, il riscaldamento, la luce, la pulizia delle stanze e dei muri, il rumore, la pulizia del letto e della biancheria e l’igiene personale, che, vengono racchiusi nel concetto di ambiente fisico, mentre le speranze e i consigli in materia sanitaria vengono collocati nell’ambiente psicologico; il controllo di assunzione del cibo oggi trova riscontro nello stato nutrizionale e l’osservazione dei malati si evolve nel concetto odierno di pianificazione e gestione delle cure infermieristiche. Tutti questi enunciati, però, a causa dell’arrivo del SARS-CoV-2, hanno subito delle revisioni volte a svecchiarle e a rivalutarle. Si tratta di un virus respiratorio appartenente alla grande famiglia del coronavirus, il quale può manifestarsi con sintomi lievi come raffreddore, mal di gola, tosse e febbre, o con sintomi più seri come polmonite e difficoltà respiratorie. Di seguito si può apprezzare, come questa nuova malattia aerea abbia rivoluzionato la teoria ambientalista della Nightingale.

Ventilation and warming (Ventilazione e riscaldamento)

“È importante mantenere l’aria pura all’interno delle stanze dei pazienti aprendo più volte al giorno le finestre per rendere l’atmosfera meno infetta” (Notes on Nursing: What it is and What it is not, 1859, Florence Nightingale).

L’affermazione precedentemente riportata dalla Nightingale, è stata fondamentale per evitare l’insorgenza e la diffusione di svariate malattie aeree. La ventilazione naturale, però, ha svariate criticità in quanto l’aria, muovendosi da ambienti sopravento verso quelli sottovento, trascina goccioline (mezzo con cui si propaga la maggior parte delle malattie che si trasmettono per via aerea) di maggiore dimensione. Pertanto, in caso di ventilazione naturale, è importante mantenere chiuse le porte della camera di degenza per limitare la diffusione di virus/batteri tra ambienti adiacenti. [11]

Come descritto sopra, tra le possibili vie di trasmissione del virus SARS-CoV-2 vi sono, le goccioline (droplet), il bioaerosol (droplet nuclei) di origine respiratoria e, potenzialmente, il bioaerosol originato dagli impianti di scarico fecali (Figura 1)

Per poter contenere la diffusione della malattia, inoltre, i pazienti positivi al covid-19 sono stati collocati all’interno di apposite stanze di isolamento. Tra le diverse tipologie di isolamento (classe S,P,N,Q), quelle idonee in questa circostanza sono le camere N e le camere Q. Entrambe sono stanze a pressione negativa, quindi la pressione all’interno della stanza è più bassa rispetto a quella esterna e ciò permette all’aria non contaminata di sfociare all’interno della stanza mentre impedirà a quella contaminata di uscire. [12] Le apparecchiature, inoltre gestiscono indirettamente anche riscaldamento e umidità dell’ambiente, entrambi i fattori, però, dovranno essere mantenuti bassi per evitare la diffusione del virus. Gli impianti di scarico dell’aria, inoltre, sono dotati di particolari filtri che purificano l’aria prima che sia espulsa dalla struttura ospedaliera. A differenza della camera N, però, quella Q è provvista di un’anticamera (utile soprattutto per vestizione e svestizione di personale sanitario che assiste pazienti in quarantena) e di allarmi che vengono attivati quando si presenta una pericolosa variazione della pressione all’interno della stanza. [13]

Noise (Rumore)

“[…] il rumore non necessario ferisce il paziente, non importa quanto sia alto o continuo; infatti i bisbigli intermittenti sono i rumori che infastidiscono di più il paziente.” (Notes on Nursing: What it is and What it is not, 1859, Florence Nightingale).

Ciò che afferma la Nightingale in uno dei suoi scritti è fondamentale, infatti anche la famosa teorica Marjory Gordon parla indirettamente del rumore inserendolo nel suo modello funzionale “sonno-riposo”. I pazienti hanno il diritto a riposare e se questo stato di quiete viene interrotto bruscamente dalla caoticità del reparto, la persona potrebbe riscontrare delle criticità a riprendere sonno (per il quale potrebbero essere prescritti dei farmaci evitabili). Una recente ricerca condotta da Hospital Consumer Assessment of Healthcare Providers and Systems (HCAHPS) rivela che il rumore in ambiente ospedaliero proviene da diverse fonti. Tra queste ultime ritroviamo per esempio: tono di voce alto, presidi per l’O2 terapia, pompe infusionali, disposizione poco funzionale della guardiola infermieristica, ma soprattutto, gli allarmi dei monitor multiparametrici. Questi ultimi si utilizzano per monitorare costantemente i parametri vitali del paziente e , nel momento in cui rilevano delle variazioni potenzialmente pericolose per lo stato di salute del paziente, attivano dei rumorosi allarmi.[14] [15] Non è possibile disattivarli ovviamente, ma i ricercatori americani fanno notare che spesso gli allarmi suonano anche per un difetto degli apparecchi o perché si stanno scaricando le batterie, quindi tutto questo inquinamento acustico potrebbe essere evitato. I pazienti malati di covid-19, in questo caso specifico, sono tenuti sotto stretto controllo attraverso i monitor multiparametrici e vengono spesso utilizzate anche diverse pompe infusionali per una scrupolosa somministrazione della terapia; si può intuire, quindi, a quanto rumore e di conseguenza stress sono sottoposti questi pazienti.

In alcuni ospedali, per ridurre il livello di rumore, si sono adottate già delle misure di tipo ingegneristico (insonorizzare pareti e soffitti) e amministrativo (cambiamento dei comportamenti adottati dal personale). Si sente già parlare di apposite ‘ore di riposo’ durante le quali si tengono le porte chiuse e un tono di voce basso. Un’altra proposta (già presente in alcune strutture) è quella di rimuovere gli allarmi dal letto del paziente e inviarli ad un monitor centrale in medicheria, cosicché il personale possa immediatamente identificare e rispondere ad un allarme a basso volume. [16] [17]

3. Light (Illuminazione):

Anche se può sembrare strano, la luce ha effetti sul corpo umano, infatti per Florence Nightingale è fondamentale l’uso di essa nel trattamento delle malattie. All’epoca molti erano anche convinti del fatto che esporre al sole la biancheria da letto e i vestiti favorisse la salute e ancora oggi è viva la teoria secondo la quale la luce solare sia di fondamentale importanza. Riguardo quest’ultima affermazione Stefano Capolongo, del Politecnico di Milano, ha puntualizzato: «I luoghi della salute devono privilegiare la luce naturale e quella artificiale deve essere il più possibile uguale alla luce del sole», quindi la teoria della Nightingale è nuovamente confermata. [18] Con l’avvento della pandemia, in vari ospedali, è stato applicato il cosiddetto “progetto lighting” nel quale si è cercato di rivedere la disposizione di luci e finestre per favorire un’illuminazione dei locali adeguata e funzionale. Nelle nuove camere di degenza, oltre a implementare la grandezza delle finestre per aiutare i pazienti a sentirsi meno “ingabbiati”, sono state inserite delle luci con 4 diverse modalità di utilizzo. Si ha, infatti, la possibilità di scegliere tra: luce indiretta con gestione intensità (100%-80%-60%-40%), commutazione notturna con gestione intensità (10% -5% -2%-1%), lettura con gestione pre-impostabile di 4 valori d’intensità, luce Visita (con intensità maggiore rispetto alle altre). Tutte queste opzione permettono sia ai pazienti di riposare che al personale sanitario di lavorare in maniere rapida e precisa, abbassando così il rischio di contagio per errori dovuti ad una cattiva illuminazione (DPI indossati in modo scorretto, dubbi sulla somministrazione della terapia e identificazione del paziente, trascuratezza di lesioni o ferite apparentemente impercettibili, scorretta somministrazione di O2 terapia, ecc…). [19]

4.Taking food (Alimentazione): Migliaia di pazienti muoiono di fame in mezzo all’abbondanza per mancanza di attenzione e ai modi di assunzione del cibo. Come sostiene anche la Nightingale, la malnutrizione era un problema abbastanza grave che causava ingenti perdite, la cosa agghiacciante è che questo avvenga tuttora. A distanza di più di 200 anni, nonostante i grandi passi avanti che si sono riscontrati nell’ambito assistenziale, si è ripresentato il problema della malnutrizione con l’arrivo del virus SARS-CoV-2. Vanno perciò considerati ad alto rischio nutrizionale tutti i pazienti affetti da questa feroce malattia aerea e, per questo motivo, bisogna effettuare una precoce valutazione per l’avvio di un adeguato supporto nutrizionale.[20] Nei pazienti non ventilati meccanicamente, ma sintomatici, la nutrizione è pressoché normale anche se la patologia e le terapie farmacologiche correlate spesso provocano sintomatologie che possono ostacolare l’alimentazione orale (inappetenza, desaturazione/dispnea correlata alla masticazione, disfagia, disosmia, ageusia, xerostomia e sintomi gastrointestinali come nausea, vomito, alterazioni dell’alvo). Considerato anche il fatto che l’interruzione della ventilazione assistita o dell’ossigenoterapia durante il pasto può comportare un calo della saturazione, può essere utile che la somministrazione di eventuali alimenti liquidi avvenga tramite una cannuccia (da valutare caso per caso in relazione al sistema NIV utilizzato). [21] In qualunque caso sia possibile l’alimentazione per os, la dieta dovrà essere personalizzata, in relazione allo stato nutrizionale e alle capacità di masticazione e/o deglutizione. Nei pazienti, invece, che sono sottoposti ad una ventilazione meccanica invasiva, la scelta ricade sulla nutrizione parenterale o enterale. Quest’ultima non è consigliata in pazienti ad alto rischio, infatti per questa tipologia di pazienti si predilige la via parenterale. I vantaggi della nutrizione parenterale sono innumerevoli (tra questi: facile somministrazione, calcolo dei nutrienti molto preciso) ma rimane comunque l’ultima opzione in quanto presenta anche molti difetti (vasculiti, atrofia apparato gastrointestinale, ecc…). La perdita di peso nei pazienti malati di covid-19, però, non è solo indice di cattiva assistenza, infatti uno studio condotto da un gruppo di specialisti dell’ospedale San Raffaele di Milano su un campione di 213 pazienti dimostra una “involontaria perdita di peso”. Come sostiene anche Alessio Molfino (ex ricercatore di Fondazione Umberto Veronesi): «L’infiammazione colpisce diverse vie metaboliche e ipotalamiche che contribuiscono all’anoressia e alla diminuzione dell’assunzione di cibo, nonché all’aumento del dispendio energetico e del catabolismo muscolare. A questi, si aggiungono risposte infiammatorie a livello neurologico, che possono provocare un deperimento anche dopo la fase acuta della malattia». La Nightingale sosteneva, inoltre, che la dieta doveva essere personalizzata per ogni paziente, proprio per questo anche per la nuova tipologia di pazienti covid-19 , gli studi riportano che è necessario utilizzare diete speciali ad alta densità energetica e facile digeribilità: diete di consistenza morbida, frullata o semiliquida, in maniera che i pazienti possano assumerle con facilità senza particolari complicazioni, anche per l’impossibilità di essere assistiti ai pasti per motivi di sicurezza. Si consiglia l’assunzione di integratori a base di siero di latte (azione antinfiammatoria). [22]

 

  1. Bed and bedding (Letto e biancheria da letto)

Secondo le teorie di Florence Nightingale bisogna cambiare spesso le lenzuola e le coperte poiché ogni giorno una persona malata esala dai polmoni e dalla cute più umidità rispetto a una persona sana. Tale umidità si deposita nella biancheria da letto, quindi cambiarla ed igienizzarla è un dovere dell’infermiere per prevenire infezioni. Oggigiorno, questo compito è stato affidato ad una nuova figura professionale riconosciuta come OSS, il quale oltre alle innumerevoli prestazioni erogate, si occupa della gestione della biancheria. Questo compito ha un doppio scopo, cioè mantenere pulita la biancheria pulita in arrivo e impedire che la biancheria sporca contamini i pazienti, il personale, l’ambiente o altra biancheria. Deve esserci una chiara separazione tra la biancheria pulita e sporca. Con il rapido aumento dei pazienti malati di covid-19, in modo analogo è aumentata anche la cosiddetta “biancheria infetta”. Quest’ultima è usata nei malati oggetto di precauzioni basate sulla trasmissione (cioè malati affetti da malattie trasmissibili, colonizzati o infettati da microorganismi multiresistenti). Sono stati, inoltre, nuovamente chiariti e puntualizzati i cicli di lavanderia per poter rispettare e riaffermare i giusti principi di igiene e di assistenza.

Con il tempo sono cambiati anche i concetti di sterilizzazione e decontaminazione, infatti non si usa più bollire la biancheria con aromi naturali o rimedi casalinghi. Oggi la durata del ciclo di lavaggio deve essere almeno di 71° C (160° F) per un minimo di 25 minuti. I capi d’abbigliamento dei malati e le uniformi che potrebbero essere rovinati dal calore devono essere lavati a una temperatura non superiore a 40° C. Se l’acqua calda non è disponibile, si può procedere al bucato con acqua alla una temperatura di 22° C – 25° C. In questo caso si raccomanda l’aggiunta al ciclo di lavaggio di un disinfettante come il cloro (candeggina, ad es., ipoclorito di sodio) o il perossido di idrogeno. [14] I detergenti e altre sostanze aggiunte al ciclo di lavaggio devono essere approvati dalla struttura sanitaria e utilizzati rispettando le istruzioni del produttore. [23] [24]

 

 

  1. Cleanliness of rooms and walls (Igiene delle camere e delle mura)

Non può essere necessario dire a un infermiere che dovrebbe essere pulito o che dovrebbe mantenere igienizzato il suo paziente, dato che la maggior parte dell’assistenza infermieristica consiste nel preservare l’igiene. La ventilazione delle camere o del reparto non è l’unica forma di igiene. Senza igiene non si può avere un effetto completo della ventilazione; senza ventilazione non si può avere un’igiene completa. [25] Queste sono le parole che la Nightingale esprime circa il rapporto infermiere-sanificazione. Negli ospedali del nuovo secolo, è la figura dell’ausiliario a occuparsi di tutto ciò, infatti oggigiorno l’assistenza e il benessere del paziente si basa su una sinergica collaborazione multiprofessionale. [26] Sono due i tipi di disinfezioni che vengono applicate negli ambienti ospedalieri ed è importante farlo in maniera accurata per andare a rimuovere eventuali fonti di infezione. Per “disinfezione degli ambienti”, si intende la disinfezione delle superfici e nello specifico l’abbattimento della carica microbica su pareti, soffitti, pavimenti, superfici esterne dell’arredamento/macchinari presenti in locali dove un disinfettante/sanitizzante è applicato per via aerea (airborne) tramite diffusione per aerosolizzazione, fumigazione, vaporizzazione o in forma di gas, escluso il gas plasma. Il termine “disinfezione delle superfici”, invece, è appropriato per prodotti applicati manualmente (spray, salviette imbibite, straccio, ecc.). [27]

  1. Personal cleanliness (Igiene personale)

Il paziente che è stato igienizzato proverà una sensazione di sollievo e comfort. L’infermiere, quindi, non deve mai rimandare la cura dell’igiene personale del suo paziente. Quest’anno, nel pieno della pandemia COVID-19, l’OMS ha riaffermato l’importanza di igienizzare le mani per arginare la diffusione del virus. L’igiene delle mani rappresenta infatti, insieme al distanziamento fisico e all’etiquette respiratoria (coprirsi naso e bocca in caso di starnuti o colpi di tosse), una delle principali misure di prevenzione e mitigazione del rischio di infezione. [28] [29] Si tratta quindi di un fattore di protezione “chiave” sia nel contesto sanitario che in comunità. A questa procedura così importante è stata anche dedicata un’intera giornata il 5 maggio, però le mani non sono l’unica parte del corpo da salvaguardare. Bisogna ricordarsi, infatti, che l’igiene del corpo è importante per il benessere psicofisico de paziente. Da un punto di vista fisico, ovviamente, l’igiene previene la diffusione di infezioni, ma è importante anche l’immagine che il paziente ha di sé. [30] Numerosi studi, infatti, hanno dimostrato che l’ospedalizzazione, l’isolamento e una cattiva assistenza hanno un peso letale sul paziente affetto da covid-19 (ma questo discorso è applicabile su ogni tipologia di paziente). La cura igienica del paziente è affidata alla figura dell’OSS (sent.n.1078 RG.n.9518/80, Cron.2210 del 9 febbraio 1985) mentre l’infermiere deve comunque verificare che i bisogni del paziente siano soddisfatti e, attraverso la somministrazione di apposite scale di valutazione, verificare il grado di autonomia del malato ed eventuali miglioramenti.

Conclusioni

“L’infermiere può favorire la guarigione della malattia modificando i fattori ambientali: ricambi d’aria, calore, odore, luce nonché rumore”. L’affermazione della Nightingale trova applicazione nel processo di nursing del ventunesimo secolo, l’ambiente influisce sul pz e sul patogeno che lo occupa in modo significativo in quanto può intaccare lo stato di salute dell’utente soprattutto se secondario a uno stato di immunodepressione di base. C’è inoltre da ricordare quando fondamentale sia l’assetto ambientale nelle Unità Operative Complesse, quali rianimazione e malattie infettive in stato di pandemia, in cui un ruolo fondamentale è svolto dalla pressione negativa ambientale. Per giunta l’ambiente può favorire, se mal gestito, l’insorgenza delle infezioni nosocomiali. La Nightingale, inoltre, sosteneva che l’Infermiere ha un ruolo attivo nei confronti dell’assistito, che viene chiamato a riposare e fare pochi sforzi. L’enunciato riportato risulta perfettamente adattabile ai giorni nostri, soprattutto in questo stato di emergenza secondario a pandemia, poiché il ruolo maggiore è svolto dal personale sanitario. Il paziente si trova in condizioni non adeguate a una compliance attiva. L’iter terapeutico prevede la movimentazione dell’utente tramite manovre fisiche quali la pronosupinazione e la terapia farmacologica continua tramite l’infusione di farmaci salvavita in drip, in continuo monitoraggio dei parametri vitali in maniera cruenta. Il ruolo attivo degli infermieri risulta evidenziabile anche nella gestione di fattori di rischio presenti e potenziali (es. continua movimentazione a letto e utilizzo di presidi per evitare l’insorgenza di lesioni da decubito). Le teorie di Florence Nightingale, quindi, non sono solo mere teorie, ma sono tutt’ora vive e se ben utilizzate possono supportare l’assistenza del paziente, soprattutto in un periodo storico difficile come questo.

Rivista del mese

Roberto Urso
Dirigente Medico
U.O. di Ortopedia e Traumatologia
Ospedale Maggiore, Bologna

[divide]Fu Ippocrate, nel 460 a.c., il primo a citare la frattura dell’omero prossimale descrivendo una metodica di trattamento che era basato sulla trazione con dei pesi che permettesse la guarigione dell’osso. Questo diede inizio a quella che, secondo Louis Bigliani, Evan Flatow e Roger Pollock, era una vera e propria sfida sia per la diagnosi, sia per il trattamento.

L’argomento frattura dell’omero è sempre stato ostico. Infatti, fino alla fine del 19° secolo, al riguardo fu scritto poco. Il 20° secolo e gli ultimi due decenni hanno incrementato lo studio di tale tipologia fratturativa e i suoi relativi trattamenti.

omeroMolte sono state le importanti classificazioni di tale frattura; in primis la classificazione che Kocher elaborò nel 1896, destinata a tentare un miglioramento nel trattamento della stessa frattura. Lo stesso Codman formulò la sua indicazione classificativa nel 1934, ma fu nel 1970 che Neer creò la classificazione comprendente anatomia, scomposizione e biomeccanica della frattura, diventando il sistema di classificazione più appropriato nell’uso comune dei chirurghi ortopedici.

Classificazione di Kocher: 1) collo anatomico, 2) regione epifisaria, 3) collo chirurgico

Classificazione di Codman: 1) trochite, 2) trochine, 3) testa, 4) diafisi

Classificazione di Neer: sistema omnicomprensivo che tiene in considerazione l’anatomia e le forze biomeccaniche responsabili dell’entità della scomposizione.

In questa sessione si vuole dare spazio sia all’importanza della chirurgia che del trattamento incruento, validando l’altrettanto importante percorso riabilitativo sia post-chirurgico che post trattamento conservativo.

Prima di dare una indicazione chirurgica o un trattamento conservativo alla frattura, si  deve valutare quello che è il rapporto costo-benefico di tale trattamento: l’età del paziente, il lato colpito, la tipologia di frattura, le complicanze future, la possibilità di recupero totale o parziale, l’eventuale infausto futuro della testa dell’omero che molto spesso può sfociare in un intervento di protesizzazione.

Le fratture dell’omero prossimale sono frequenti, soprattutto in età avanzata. Rappresentano circa il 5% di tutte le fratture.

La valutazione radiografica di queste fratture è fondamentale per fare una corretta diagnosi e per decidere il tipo di trattamento. Oggi abbiamo l’apporto della tomografia computerizzata che ci permette una ricostruzione in 3D della lesione, portando ad un più approfondito planning terapeutico, se di tipo chirurgico o conservativo.

Queste fratture, nella loro complessità, sono estremamente debilitanti, sia che vengano operate o non operate. Spesso il paziente spera che al primo controllo ambulatoriale nel post-dimissione il medico dica che la guarigione è buona e che potrà riprendere le comuni attività, ma in realtà il paziente si troverà con un arto funzionalmente debilitato e ad avere di fronte a sè la grande sfida della ripresa funzionale.

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La fisioterapia è l’elemento essenziale nel momento in cui si rimuovono i presidi e ancor di più nell’immediato post-operatorio.

Report 1

Donna, neo-pensionata; caduta accidentale con trauma diretto alla spalla dx. Ricorre al pronto soccorso dove, dopo esame radiografico, si evidenzia frattura del collo chirurgico e della testa dell’omero. Si richiede esame Tac per evidenziare in 3D l’entità della lesione. (Tav.1)

Trattasi di frattura del collo chirurgico e della testa omerale secondo la classificazione di Neer. L’indicazione è chirurgica in considerazione dell’età della paziente, delle non controindicazioni dal punto di vista generale, del lato destro dominante e per le aspettative di vita.

L’intervento chirurgico eseguito fu una riduzione a cielo aperto e osteosintesi con placca. La via di accesso chirurgica fu la classica incisione arcuata partente da 1 cm dalla coracoide allungata di circa 12-14 centimetri distalmente.

Nel post-chirurgico fu adoperato un tutore reggi-braccio tipo acti-move che la paziente portò per circa 4 settimane. La desutura fu eseguita a 15 giorni e in quella stessa sede fu fatto planning riabilitativo.

omero
Dalla 5° settimana la paziente iniziò il recupero funzionale, purtroppo rallentato da una consolidazione più lenta del previsto (vedi Rx controllo a 4 mesi su Tav.1). La paziente, nonostante il ritardo di consolidazione della frattura, non ha mai interrotto la fisiokinesiterapia.

Dopo circa 9 mesi la paziente si considerò soddisfatta della sua guarigione, ma al tempo stesso non smise mai di fare step fisioterapici a date fisse mensili per altri 5 anni. Nelle ultime immagini della Tav.2 si può vedere la radiografica eseguita a 5 anni dall’intervento e mostrante una iniziale deformità artrosica della testa omerale compatibile con l’avanzare dell’età, ma nelle immagini a fianco si nota la valida motilità della articolazione scapolo-omerale destra mantenuta da un costante esercizio riabilitativo.

Report 2

Paziente di anni 74, caduta accidentale in strada, trauma spalla sinistra con frattura gravemente scomposta collo chirurgico dell’omero sinistro e frammentazione della testa con distacco del trochite. Il paziente, dopo valutazione anestesiologica non viene considerato idoneo al trattamento chirurgico in quanto i rischi di vita, causa problematiche internistico-cardiologiche, furono ritenuti troppo elevati.

La frattura verrà trattata con un tutore reggi-braccio con fascia anti-rotativa e mantenuto per circa 30 giorni.

I controlli radiografici non mostrarono miglioramenti nei successivi controlli facendo pensare che il destino della articolazione scapolo-omerale fosse segnato da futura rigidità funzionale con associati dolori di tipo artrosico.

A circa 4 settimane il piano terapeutico fu stabilito e, in considerazione della incredibile compliance del paziente e severe, ma decise sedute di fisioterapia portarono ad un risultato che nessuno avrebbe sperato.

Nella Tav.4 si può vedere quello che era il callo osseo riparativo in quella frattura scomposta che, riabilitata con costanza e attenzione da parte del fisioterapista, ha portato ad un risultato clinico strepitoso.

Come detto ad inizio sessione, le fratture dell’omero prossimale sono difficili da trattare in quanto la loro frequente complessità deve portarci ad un attento planning di trattamento.

I casi riportati sono a dimostrare non solo che la chirurgia o un buon trattamento conservativo portano sovente alla guarigione di una frattura complessa della testa omerale, ma per chiarire con la union terapeutica fra chirurgo ortopedico e fisioterapista risulta decisiva per raggiungere dei risultati eccellenti.

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Rivista del mese

Dalla letteratura scientifica attualmente disponibile emerge la necessità concettuale di considerare anche il fattore qualitativo relativo il significato nella comprensione dello Stress.

 

Massimo Agnoletti, Ph.D.

 

[divide]English abstract:

Above all in the human species there is the need to distinguish negative Stress (distress) from positive one (eustress) also from an operational point of view, but the current paradigm generally accepted both in the biomedical and psychological sciences holds that this distinction is exclusively of quantitative nature.

The present paper argues instead that, in addition to the quantitative dimension, it is necessary to add the dimension linked to the informational meaning attributed to Stress.

Only by associating this value dimension to Stress is it possible to grasp some fundamental recent scientific research, understand the individual subjective component of Stress and understand the difference between eustress and distress with the logical psychophysiological consequences that impact on human health.

Psycho-physical wellness professionals, as well as citizens themselves, should be aware of this new aspect of Stress that determines the quality of life and human health.

stress[divide]Italian abstract:

Soprattutto nella specie umana vi è l’esigenza di distinguere, dal punto di vista operativo, lo Stress negativo (distress) da quello positivo (eustress) ma l’attuale paradigma, generalmente accettato nelle scienze biomediche e in quelle psicologiche, sostiene che questa distinzione è esclusivamente di natura quantitativa.

Il presente scritto sostiene invece che, oltre alla dimensione quantitativa, occorre aggiungere la dimensione legata al significato informazionale attribuito allo Stress. Solo associando anche questa dimensione valoriale allo Stress è infatti possibile cogliere alcune fondamentalirecenti ricerche scientifiche, capire la componente soggettiva individuale di esso cogliendola differenza tra eustress e distress con le logiche conseguenze psicofisiologiche che impattano sulla salute umana.

Le istituzioni sanitariee professionisti del benessere psicofisico, oltre che i cittadini in prima persona, dovrebbero essere maggiormente consapevoli di questo nuovo aspetto dello Stress che determina la qualità di vita e la salute umana.

[divide]Comprendere anche dal punto di vista operativo la differenza tra stress positivo (eustress) e stress negativo (distress) risulta essere fondamentale sia come individui, per orientare le nostre scelte legate alla gestione dello Stress per promuovere comportamenti favorevoli il benessere e la salute, sia come professionisti del benessere psicofisico al fine di deciderele strategie più opportune ed efficaci finalizzate ad ottimizzare la qualità di vita e la salute dei propri assistiti.

 

In questo contesto,adottare il corretto paradigma legato allo Stress risulta quindi cruciale per tutte le conseguenze che esso comporta anche dal punto di vista applicativo e strategico.

Per tutti i professionisti del settore del benessere psicofisico questa affermazione si traduce in specifiche scelte che impattano la sfera clinica del loro lavoro perché, a sua volta, si declina in cambiamenti indotti nella qualità di vita e nella salute dei loro clienti/pazienti.

 

All’interno del paradigma attualmente condiviso relativo loStress (applicatoalla specie umana) risulta difficile,se non concettualmente impossibile,individuare precisi criteri operativi per distinguere cosa caratterizza l’eustress e cosa invecedistress dal momento che questa differenza viene considerata puramente quantitativa.

 

In altri termini se la differenza tra distress e eustress rimane puramente quantitativa, allora l’unico modo di distinguere i due domini rimane la durata e l’intensità della reazione psicofisiologica prodotta dall’organismo.

 

Questa seducente quantoriduzionistica visionesi traduce operativamente in un semplicistico schema che prevede che, se la reazione psicofisica dell’organismo èbreve ma intensa (si parla infatti di reazione “acuta” dello Stress) allora viene considerato come positivo(eustress) per il valore positivo in termini di sopravvivenza biologica (il cosiddetto meccanismo“attacco o fuga”), mentre se la reazione ha una dimensione quantitativa più prolungata nel tempo(chiamato infatti Stress “cronico”), anche nel caso in cui sia meno intensa,è sempre e comunque negativa (distress) per il valore disadattivo in termini di salute.

 

Risulta interessante notare che in questa visione riduzionistica viene considerato unicamente il piano biologico della complessità ormai riconosciuta bio-psico-sociale relativa la specie umana, infatti, le dimensioni emotive/psicologiche ed ancor meno quelle socioculturali non vengono minimamente prese in considerazione.

 

Il paradigma attualmente dominante di Stress largamente condiviso all’interno della comunità scientifica è storicamente derivato dalle scienze biomediche del secolo scorso dove venivano enfatizzatiin maniera dominante gli aspetti patologizzanti dei processi biologici studiati egli aspetti che potevano essere studiati in maniera comparata con altri animali per oggettivare i meccanismi comuni.

 

In genere il paradigma dello Stress normalmente inteso prevede, nella specie umanacosì come fondamentalmente tutti i vertebrati, l’attivazione di una specifica configurazione psico-neuro-endocrina finalizzata a risolvere una situazione potenzialmente pericolosa per la sopravvivenzadell’organismo.

 

Fu il fisiologo Walter Cannon nel 1915 che inizialmente definì lo Stress nei termini di specifica reazione fisiologica dell’organismo di fronte ad una minaccia percepita.

Questa reazione prevedeva la percezione di uno scostamento rispetto il precedente stato fisiologico di equilibrio ed il conseguente tentativo di ripristinarlo attraverso la caratteristica specifica attivazione fisiologica condivisa da varie specie animali (chiamata anche “fight or flight” response).

 

Vari autori più recenti quali Selye, Lazarus, McEwen, Chrousos, Sapolsky, hanno arricchito di dettagli lo stesso concetto di Stress (che deriva dalla parola “stringere”, “premere”) sottolineandone alcuni dettagli più di altri (per esempio la sua natura a-specifica rispetto lo stimolo che induce lo Stress o la natura biochimica della reazione psicofisica, l’attivazione delle aree del cervello,etc.) ma la logica relativa la prioritàconservativa biologica dello Stress è sempre rimasta inalterata.

 

A mio avviso non c’è stato finora uno sforzo concettuale altrettanto importante per sintetizzarne il ruolodello Stress sia in situazioni non omeostatiche che all’interno della particolarecomplessità ed eterogeneitàpresente e caratterizzantela specie umana.

Questo probabilmente è uno dei motivi per cui è così difficile riuscire a definire lo Stress, misurarlo (estrapolandone valori oggettivi) e valutarlo (positivo o negativo) nelle persone (Agnoletti, 2019; Agnoletti, 2020; Agnoletti, 2021b).

 

Nel contesto tradizionalmente inteso di Stress, il meccanismo adattativo che sottende la particolare attivazione psico-neuro-endocrina ha una finalità puramente biologica e per questo motivo le definizioni di eustress (stress positivo) e distress (stress negativo) trovano il loro spazio logico unicamente in funzione del risultato ottenuto in riferimento alla fitness biologica dell’organismo.

 

Quando però si analizzano comportamenti specie specifici umaniche non sembrano avere uno specifico significato biologico, gli stessi esperti di fama mondiale dello Stress che promuovono il paradigma classico hanno posizioni diverse, e spesso contrastanti, riguardo la distinzione eustress/distress perché se da una parte ammettono concettualmente l’esistenza di uno Stress positivo (lo stesso Selye riconobbe il suo ruolo chiave per la vita stessa) non riescono poi ad operazionalizzarlo in termini precisi all’interno dello stesso paradigma per la spiegazione di comportamenti utili per la sopravvivenza.

 

Questa lacuna concettuale nasce dal fatto che, almeno per quanto riguarda la specie umana, la definizione di Stress non può prescindere dalle altre due teleonomie caratterizzanti le persone: lateleonomia psicologica relativa il significato attribuito all’evento stressante (cosa per altro già in parte sottolineata indirettamente da lavoro sull’elaborazione cognitiva “coping” degli eventi stressanti formulata da Lazarus e Folkman) e quellasocioculturale.

 

Il gap concettuale del paradigma classico dello Stress, non solo rende molto limitato il potere esplicativo dei comportamenti caratterizzati dalla rilevanza psico-sociale, della valenza positiva dello Stress, delle differenze interindividuali  ed intra individuale,ma è anche molto incoerente con la letteratura scientifica attualmente disponibile.

 

Solo a titolo di esempio mi riferisco quanto è stato già dimostrato riguardo l’influenza del concetto medesimo di Stress sulla nostra fisiologia determinando sia la nostra longevità che la probabilità di sviluppare problematiche di varia natura (Crum,Salovey, & Achor,2013; Epel et al. 2004; Jamieson, Nock, & Mendes, 2012; Keller et al., 2012).

 

Forse, a questo proposito, uno degli studi più emblematici è quello di Keller e colleghi (Keller et al., 2012) condotto su quasi trentamila persone dove si è visto che gli alti livelli quantitativi di Stress (in termini di misurazioni biometriche) aumentano il rischio di morte del 43% unicamente in coloro chedichiaravano di possedere un concetto di Stress esclusivamente negativo quindi dove la sua valenza cognitiva era unicamente negativa ed associata al danneggiamentodella salute ed il benessere.

 

Le persone che avevano riportato elevati livelli diStress (quindi che dal punto di vista quantitativo erano identici al gruppo di persone precedentemente citate), ma che psicologicamente non lo consideravano unicamente dannoso, non avevano probabilità maggiori di morire, anzi, la loro condizione si associava ad un rischio di morte più basso rispetto qualunque altro individuo coinvolto nell’indagine, persino più basso rispetto coloro che avevano riferito di aver sperimentato unoStress molto meno intenso ma che abbracciavano un concetto di Stress esclusivamente negativo.

 

Chiaramente questi risultati sono paradossali se analizzati alla luce del modello classico di Stress perché essendo focalizzato nell’identificare ed enfatizzare solo i fattori quantitativi relativi l’attività fisiologica ed i fattori comuni a molte altre specie animali, ha fortemente sottovalutato le componenti specie specifiche che per quanto riguarda le persone sono rappresentate dalla loro componente soggettiva.

 

Anche se risulta molto attraente rappresentare in un grafico l’andamento della misura quantitativa dello Stress rispetto, ad esempio,la performance distinguendo le aree sottese alla curva come distress ed eustress in funzione della performance stessa, detta distinzione dello Stress risulta fittizia perché non coglie lanatura integrata bio-psico-sociale caratteristica delle persone.

 

Così come nella semiotica vi è distinzione tra l’informazione ed il suo significato, per quanto riguarda lo Stress dobbiamo considerare l’attribuzione stessa del significato all’attivazione fisiologica che stiamo analizzando.

Similmente alla semioticadove vi è la rappresentazione del segno e del significato, nello studio scientifico dello Stress occorre distinguere tra componenti oggettive (attivazioni neurofisiologiche, metaboliche, immunologiche, etc.) nel contesto di quelle soggettive che consistono nell’attribuzione del significato e quindi della valenza dell’attivazione stessa.

 

Come l’insieme della configurazione grafica necessariaper comporre la parola “APE” non ne determina il significato (infatti la stessa configurazione grafica è associata al significato “grandi scimmie antropomorfe” nel caso della lingua inglese ed invece a quella di “insetti sociali” in quella italiana), similmente la descrizione dello Stress solo in termini quantitativi non ne coglie la complessità ne la sua valenza positiva o negativa tranne che nel contesto della teleonomia squisitamente biologica.

 

Se è vero che la persona è un complesso contesto integrato delle tre teleonomie bio-psico-sociali allora il paradigma dello Stress classico non riuscirà a cogliere la valenza dei comportamenti dove le componenti psicologiche o sociali sono predominanti.

In effetti questa affermazione coglie lo stato attuale in cui viene condiviso un concetto di Stress dove le componenti patologiche e comuni a molte specie animali sono enfatizzate.

stressL’attribuzione del significato soprattutto in termini di dinamiche psicosociali è assolutamente fondamentale per comprendere la complessità dei comportamenti umani ma, diversamente dalla teleonomia strettamente biologica, le tipologie di significati caratteristici di questi due domini sono meno esplicite e meno evidenti attraverso lo studio comparato animale.

 

Come nello studio della semiotica, solo l’effetto contesto determinato dall’interazione di segni e significati, di componenti oggettive e soggettive e convenzionali, può ambire a spiegare la complessità del linguaggio, ugualmente solo un concetto di Stress che include l’interazione tra gli aspetti quantitativi e qualitativi, oggettivi e soggettivi può ambire a gettare luce sulla natura umana.

 

Questa sfida scientifica è un qualcosa di molto piùcomplesso rispetto ciò che si è finora pensato relativamente lo Stress ma rappresenta l’unica strada che ci permetterà di progredire, comprendere e distinguere operativamente ciò che ci danneggia da ciò che invece promuove il nostro benessere psicofisico.

 

Personalmente ritengo che cogliere questa distinzione (eustress vs distress)rappresenti una vera e propria rivoluzione concettuale con importanti ricadute pratiche siaper i processi decisionali ed i comportamenti messi in atto da parte di ciascun individuo sia perle istituzioni edi professionisti del settore che promuovono la salute ed il benessere all’interno della comunità.