Criminologia

Dott. Fabrizio Fratoni, Tenente Colonnello dei Carabinieri
Tecniche Investigative Applicate Scienze criminologiche per l’investigazione e la sicurezza Alma Mater Studiorum Università di Bologna

 
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L’intervento del personale del servizio 118 sul luogo di un crimine per prestare i primi soccorsi, pur essendo orientato a soddisfare le prioritarie esigenze e i doveri di soccorso, deve comunque tener conto delle esigenze di conservazione dei luoghi per l’accertamento giudiziario dei fatti. Tale aspetto è fondamentale per la polizia giudiziaria, per un corretto svolgi- mento del sopralluogo (come dimostra l’esperienza operativa) al fine assicurare che tutte le tracce materiali, morfologiche e di situazione siano efficacemente individuate, repertate e conservate, quali potenziali fonti di prova, che possono essere individuate in questa prima fase d’indagine1.
 
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Ciò anche in considerazione del fatto che il sopralluogo della polizia giudiziaria sul luogo del reato, non solo è un atto tecnicamente irripetibile come la relativa documentazione, ma è anche essenziale per il positivo sviluppo del procedimento solo se viene assicurata la preservazione dei luoghi da ogni forma di modificazione per potere efficacemente procedere alla corretta acquisizione di tracce e cose, comunque pertinenti al reato, che debbono essere ricercate con una metodologia standardizzata per individuare e raccogliere utilmente le fonti di prova. L’esecuzione dei rilievi e del repertamento della polizia giudiziaria, infatti, ha come scopo fondamentale quello di acquisire con metodologie atte a garantire la loro genuinità le cose e le tracce pertinenti al reato individuate nel corso del sopralluogo al termine di un’accurata ricerca, individuazione e descrizione delle stesse, tenuto conto delle peculiari indicazioni che ne possono derivare per la ricostruzione della dinamica dell’evento, e per la definizione delle circostanze in cui il reato è stato compiuto nonché per l’identificazione dell’autore. Ciò anche inconsiderazione degli elementi che si possono trarre dallo studio della conformazione delle macchie di sangue definita più comunemente BPA- Blood-stain Pattern Analysis che sta sempre più assurgendo, nell’esperienza operativa, a metodologia di analisi forense molto utile per l’individuazione della modalità d’azione dell’autore del reato e in definitiva di evidenziare ulteriori elementi di prova per portare sua identificazione.2
 
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La BPA consiste nello studio delle caratteristiche qualitative e quantitative (morfologia, numero, distribuzione e modalità di composizione) delle tracce di sangue presenti sulla scena di un crimine, in considerazione del fatto, che tali caratteristiche dipendono dalla sorgente e dalle modalità con cui sono generate: si distinguono, infatti, macchie per contatto, per proiezione a bassa, media e alta velocità, per gocciolamento.
Dal loro studio è possibile risalire al punto di origine, alla causa e al numero di eventi che le hanno prodotte, all’eventuale posizione di aggressore e vittima e quindi procedere a formulare ipotesi circa la dina- mica delittuosa”.3
Questa nuova metodologia può essere particolarmente utile nella ricostruzione della dinamica degli eventi in presenza di sangue sulla scena del crimine, qualora sia possibile stabilire la distribuzione, la forma e la dimensione delle tracce ematiche, nonché il loro andamento e la posizione nello spazio. Uno studio che chiama in campo la biologia, perché il sangue è traccia biologica, la fisica, perché il disegno lasciato dalla goccia dipende dalla gravità, dalla viscosità e da altre caratteristiche del liquido ematico, la matematica, perché l’angolo d’impatto può essere calcolato grazie a una formula, ma anche geometria, logica, statistica e chimica. Le tracce di sangue assumono quindi valenza medico-legale e criminalistica poiché le indicazioni che forniscono sono utili sia per stabilire la dinamica del delitto, sia per l’identificazione del DNA, è intuibile quanto esse siano rilevanti ai fini investigativi, possono dirci l’origine e il punto d’impatto delle gocce di sangue, la loro direzione e la posizione del corpo colpito, il numero di colpi inferti, la cronologia dell’evento, i movimenti della vittima e dell’autore, le loro posizioni e numerosi altri dati. Per capire meglio come sfruttare la BPA è indispensabile conoscere quali sono le proprietà del sangue.4
Le proprietà della superficie di un liquido tendono a farla con- trarre a causa delle forze d’attrazione tra le molecole del liquido stesso, queste forze coesive tendono a resistere sia alla penetra- zione sia alla separazione. La dinamica delle gocce viene influenzata dalla forza di gravità (direzione verticale verso il suolo), dall’attrito (direzione e verso della velocità) e dalla coesione mole- colare. Il moto di una goccia al volo si sviluppa in base all’accelerazione di gravità e velocità iniziale, tendendo ad assumere una forma sferica con stiramento lungo la direzione del moto. In ogni caso, prima di sottoporre le tracce di sangue a BPA, occorre procedere sempre con un “protocollo” preliminare, volto a stabilire: se la macchia è effettivamente costituita da sangue, se si tratta di sangue umano, ovvero se il sangue appartiene a un determinato soggetto, ed inoltre l’epoca della macchia e da quale parte del corpo proviene. La presenza di globuli rossi ed emoglobina fornisce l’indicazione che si tratta di sangue, ma questi componenti sono rilevabili facilmente al microscopio quando la macchia è fresca, se è vecchia possono scaturire dei dubbi poiché l’essiccamento o il loro raggrinzimento comporta la loro deformazione e la perdita della forma originaria. In questi casi può essere utile un’analisi chimica con benzidina, fenolftaleina, malachite e tintura di guaiaco5, anche se altre tracce organiche (muco, latte, pus, ecc.) con questi test possono reagire come il sangue. Si può ricorrere, inoltre, alla spettroscopia o alla cristallografia o, ancora, alla cromatografia. In ogni caso la diagnosi specifica serve a stabilire se la macchia è umana o no, rilevando le differenze morfologiche tra globuli rossi umani e quelli di altre specie animali. Nell’uomo le emazie, composti da globuli rossi, sono sferiche e prive di nucleo mentre in altre specie sono a forma d’ellisse e nucleate, ma in presenza di altro mammifero è necessario ricorrere all’immunodiffusione o alla immunoelettroforesi. La diagnosi individuale, tramite l’analisi del DNA, consente di attribuire quel determinato campione di sangue a un solo soggetto. Mentre la cosiddetta analisi regionale serve a stabilire da quale parte del corpo proviene il campione di sangue mentre quella cronologica serve a stabilire quanto la macchia è vecchia. Bisogna sottolineare come la morfologia delle macchie ematiche varia secondo la velocità, la natura (schizzo o caduta), l’altezza, l’inclinazione del piano, la quantità, la qualità, l’origine, la dimensione della lesione in profondità e longitudine, lo spazio durante la sua caduta, ed infine caratteristiche del supporto che la riceve. Se una traccia ematica è rinvenuta su substrato assorbente, si definisce macchia, se non assorbente incrostazione, da ciò discendono le diverse modalità di prelievo della stessa, è essenziale: filmare, fotografare e descrivere accuratamente, la sede dell’imbrattamento ematico, la natura di questo sul cadavere, il mezzo lesivo se presente e l’ambiente, compreso quello limitrofo; effettuare la descrizione metrica (prestando attenzione a collocare dei punti di riferimento fissi con misure ortogonali) e quella concernente la sede di rinvenimento, la forma e le caratteristiche dei margini, l’orientamento, le dimensioni con la quantità, il colore e lo stato fisico delle tracce, infine va riportata sia la distribuzione totale nello spazio, sia quella riguardante ogni singola traccia. Al fine di desumere indicazioni per la comprensione e la ricostruzione della dinamica dell’evento, particolare importanza assume la forma delle tracce di sangue in termini di dinamica di produzione, infatti, la morfologia delle macchie è determinata dalla velocità di caduta o di traiettoria, dalla quantità, dalla composizione e dal substrato su cui si deposita. In merito possiamo distinguere: la sgocciolatura che è una piccola quantità di sangue caduta su una superficie per esclusiva forza di gravità di colatura, dalla traccia che è invece conseguente alla caduta e al successivo scorrimento del sangue su un substrato dotato di una certa inclinazione. Si parla invece di gora e pozza quando la traccia di sangue è abbastanza estesa e può trovarsi completamente o parzialmente al di sotto del punto del corpo da cui è originata per deflusso: le dimensioni e la forma sono condizionate dalla quantità di sangue fuoriuscito e dalle caratteristiche del substrato; nel caso questo sia inclinato avremo la formazione della gora,
 
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Vista laterale di una goccia che impatta su un piano orizzontale
 
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Vista dall’alto di una goccia che impatta su un piano orizzontale
 
in altre parole una striscia lunga ed irregolare in parte omogenea. Mentre gli spruzzi e schizzi che hanno forma di piccole clave o punti esclamativi o di macchioline rotondeggianti, si producono quando il liquido ematico è proiettato con forza su un substrato. Sono importanti da analizzare per capire come può aver agito l’aggressore anche le tracce secondarie da strisciamento e figurate, le quali sono originate non per provenienza diretta del sangue dal punto d’origine, ma per successivo trasporto sul substrato su cui si rinvengono. Le dimensioni, la forma e le caratteristiche dei margini di queste tracce sono particolarmente importanti ai fini medico-legali, perché il loro diametro aumenta con regolarità ed evidenzia il rapporto con l’altezza di caduta, fino a un metro; l’intensità della colorazione diminuisce, in quanto a parità di quantità, il sangue si distribuisce su una superficie più grande. La distanza che intercorre fra il punto d’origine e quello d’arrivo del sangue, nonché l’angolo d’incidenza al momento dell’impatto sul substrato, determinano modificazioni morfologiche della traccia. Infatti, se una goccia cade perpendicolarmente su una superficie orizzontale la sua forma sarà tondeggiante con margi- ni netti fino ad un’altezza di caduta pari a 50 cm; per altezze comprese tra i 50 e i 100 cm. i margini saranno irregolari con la comparsa di festonature o punte che divengono ancora più evidenti e numerose tra i 100 e i 150 cm di caduta; oltre tale limite si posso- no produrre attorno alla traccia primaria piccolissime macchioline satelliti.6 Per gocce cadute su una superficie inclinata, si possono osservare tracce a forma di stria, con aspetto e colore disomogeneo più rappresentate nella parte inferiore laddove il sangue viene a distribuirsi maggiormente sia per effetto della forza viva da cui è mosso nella caduta sia per la gravità dovuta all’inclinazione del piano. La più recente classificazione delle tracce ematiche è stata proposta da JAMES ed ECKERT 7 che distinguono, secondo le forze esterne applicate alla fonte di sanguinamento, tre principali categorie: quando l’impatto a bassa velocità: si realizza per forze esterne applicate con velocità fino a un massimo di 1,5 m/s, in le tracce ematiche che ne derivano presentano ampiezza pari o superiore a 3 mm. La seconda categoria è quella delle tracce caratterizzate dall’impatto a media velocità che si realizza per forze esterne applicate con velocità comprese tra i 1,5 m/s e 7,6 m/s, l’ampiezza di tali tracce è compresa tra 1 e 3 mm. Sono queste le tracce più comuni conseguenti a traumi contusivi o a lesioni da taglio e punta e taglio. Ultima categoria è quella dell’impatto ad alta velocità, che si realizza per forze esterne applicate con velocità fino a 30 m/s e l’ampiezza che ne deriva, di regola, è di 1 mm. In definitiva la prevalenza di una determinata categoria di tracce consentirà di risalire alle relative modalità di produzione.
La goccia di sangue è, secondo un calcolo probabilistico, di forma sferica perciò nel momento in cui viene a impattare con un piano rilascia una macchia a forma di ellissi il cui asse minore è uguale al diametro della sfera e il cui asse maggiore ha lo stesso orientamento della proiezione della traiettoria sulla superficie col- pita. Nella realtà la macchia non è lineare ma presenta dei cosiddetti schizzi secondari che consentono comunque l’individuazione dell’angolo di impatto. In tal caso gli schizzi secondari definiscono il verso del moto, mentre sulla base dell’asse maggiore dell’ellissi è possibile individuare il piano sul quale si è sviluppata la traiettoria. Ferma restando la possibilità di individuare il punto di origine dello schizzo di sangue anche in presenza di una sola macchia, questa determinazione è facilitata dalla circostanza per cui sulla scena del crimine non si trova una sola macchia ematica. In presenza di più macchie, che presumibilmente hanno la stessa fonte, l’individuazione del punto di origine è data dall’intersezione delle traiettorie paraboliche delle varie macchie, così come è visibile nel disegno qui di lato. Fondamentale è infine la analisi dei fattori ambientali che possono influire sulla morfologia della macchia e in particolare: l’altezza della caduta, la velocità di proiezione, la con- formazione, le caratteristiche della superficie di impatto ed le caratteristiche del sangue quali la viscosità e la densità. Un ulteriore metodo di determinazione del punto di origine, applicabile in caso di macchie su piano verticale, prevede l’individuazione della zona impattata in cui vi è una maggiore concentrazione di tracce ematiche, presumendo che in tale punto l’andamento della traiettoria del sangue sia perpendicolare alla parete. Pertanto se in una determinata area si individua una maggiore concentrazione di macchie, possiamo logicamente dedurre come il punto di origine delle tracce ematiche e quindi dell’azione violenta, con l’utilizzo del corpo contundente o tagliente che le ha provocate, si trovi di fatto imposizione perpendicolare e a quest’area. Pertanto è consigliabile che il personale di soccorso sanitario,8 ove possibile, si limiti ad applicare i seguenti accorgimenti: far evacuare i luoghi, diretta- mente interessati dalla presenza di feriti da soccorrere, cercando al contempo di impedire l’accesso a chiunque, non toccare nulla se non limitatamente all’esigenza di effettuare le manovre assistenziali, o per evitare pericoli a terzi, e procedere ad una utile, anche se iniziale, delimitazione e sorveglianza dei luoghi, recintando se possibile, anche sommariamente, la zona con nastro bicolore o paletti per isolare l’area disponibile, preoccupandosi di lasciare disponibile un unico accesso ai locali. Sarà utile anche procedere all’osservazione dell’ambiente, se possibile, anche l’effettuazione di foto e filmati, anche con normali dispositivi tipo smartphone, sia al fine di contribuire a descrivere al meglio la situazione per redigere con più precisione la propria relazione di servizio, che per consegnarli qualora rilevanti agli organi di polizia giudiziaria procedenti. Fondamentale sarà, inoltre stabilire, qualora possibile, un unico percorso di accesso alla scena del reato per evitare il completo inquinamento probatorio dell’area interessata, procedendo alla salvaguardia e protezione delle tracce o cose individuabili come connesse all’episodio delittuoso (coltelli, oggetti contundenti, copiose formazioni biologiche), oltre a registrare tutte le persone presenti, compresi gli operatori, che entrano o escono dall’area, ridurre al minimo il numero di persone che possono accedere alla scena del crimine.
 
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1) Più diffusamente descritto in Scena del crimine e indagini difensive.
Metodologia degli accertamenti tecnici. Di Angioni M., Fratoni F., Franco Angeli Milano 2015.
 
2) Così in Appunti di criminologia e criminalistica, note ed approfondimenti su vecchie tecniche e nuove scienze dell’investigazione di Angioni M. Fratoni F. e Straccamore I.
Ed. Libreria Universitaria Benedetti L’Aquila 2008.
 
3) Da “Delitti imperfetti Atto I e Atto II” di Luciano GAROFANO.
 
4) Ad esempio il suo volume rappresenta l’8% del peso totale del corpo (circa 5/6 lt per l’uomo, 4/5 lt per la donna) e la perdita del 40% del suo volume, internamente o esternamente, causa uno shock irreversibile fino alla morte per emorragia.
 
5) La benzidina è una base organica dal carattere cancerogeno utilizzata per la preparazione di alcuni coloranti, simile all’anilina. La fenolftalina è un composto organico
derivato dagli idrocarburi usato come indicatore e lassativo mentre la malachite è un minerale microcristallino il cui ambiente genetico è quello dei solfuri primari di rame.
 
6) Dai 50 cm. si ha un incremento di circa 2/3 punte ogni 10 cm. di altezza, in ogni caso tali valori risentono del tipo di materiale sul quale cade la goccia, quando il piano è inclinato la traccia che ne deriva sembra un punto esclamativo.
 
7) Stuart H. JAMES (1941), chimico e biologo statunitense considerato fra i più grandi esperti di BPA, membro della American Academy of Forensic Science. William G. ECKERT (?1926), medico legale statunitense, ha lavorato ai maggiori casi di omicidio compreso l’assassinio del senatore Robert F. KENNEDY (1925-1968) e, insieme a JAMES, è considerato uno dei massimi esperti di BPA.
 
8) Compreso l’autista soccorritore, che è l’operatore tecnico che, in seguito a specifica formazione, provvede alla conduzione dei mezzi di soccorso di cui al DPR 27 marzo 1992 “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza”, collabora al mantenimento della loro efficienza e di quella delle apparecchiature in essi installate, collabora all’intervento di soccorso sul territorio, nelle varie fasi del suo svolgimento preoccupandosi di fornire il necessario supporto a tutti gli interventi sanitari anche sotto il profilo organizzativo e formativo.

Psicologia

Dott. Massimo Agnoletti Psicologo, Dottore di ricerca Esperto di Stress, Psicologia Positiva e Epigenetica Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto, Direttore del Centro di Benessere Psicologico – Favaro Veneto (VE)
 
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Il modello biopsicosociale acquista ulteriore significato visto attraverso la recente prospettiva offerta dalla scienza dei telomeri.

Abstract
 
ENGLISH VERSION
 
Bio-psycho-social model, born as in contrast to biomedical model focused on the pathology where the etiology of the unbalancing factors was limited to the physical-chemical interaction of some elements involved, acquires a new more explanatory meaning in light of the recent telomere’sscience because it shows the essential role of communication between different organic codes (cultural, social, psychological, neural, metabolic, cellular) where the meaning of information has a fundamental function to understand dynamics that occur between these codes.
 
VERSIONE ITALIANA
 
Il modello bio-psico-sociale, nato come contrapposizione del modello biomedico focalizzato sulla patologia dove l’eziologia dei fattori disturbanti era limitata all’interazione fisico-chimica di alcuni elementi coinvolti, acquista un nuovo significato maggiormente esplicativo alla luce della recente scienza dei telomeri perché essa dimostra il ruolo imprescindibile della comunicazione tra diversi codici organici (culturali, sociali, psicologici, neurali, metabolici, cellulari) dove il significato dell’informazione ha una funzione fondamentale per comprenderne le dinamiche che avvengono tra questi codici.
 
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Il modello bio-psico-sociale (d’ora in poi BPS) afferma che ogni condizione di salute o di malattia sia la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali/culturali (Engels, 1977; Scwartz, 1982). Esso attribuisce il risultato della malattia e della salute, all’interazione complessa e non lineare di fattori fisico chimici organici o biologici (genetici, interazioni chimiche, ecc.), fattori psicologici (cognitivi, emotivi e motivazionali) e fattori sociali (culturali, familiari, economici, ecc.).
Il modello BPS si contrappone al modello biomedico tradizionalmente inteso, che attribuisce la malattia quasi esclusivamente a fattori di natura causale lineare fisico-chimica.
Un esempio estremo di questa diversità di approcci si può comprendere facendo riferimento alla depressione intesa dal modello biomedico tradizionale come locale sbilanciamento di alcuni neurotrasmettitori e delle loro interazioni biochimiche presenti a livello cerebrale (prevedendo quindi come soluzione l’intervento localmente focalizzato per ristabilire l’equilibrio molecolare) quando invece il modello BPS considera ad esempio anche le dinamiche psicosociali rappresentate dai fattori placebo/nocebo presenti anche solo nel momento in cui il paziente riceve l’intervento previsto della somministrazione di sostanza psicoattive “compensatorie” la depressione stessa.
 
Tra i documenti chiave che fanno riferimento all’approccio BPSvi è la definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che prevede un concetto di salute dell’essere umano non esclusivamente limitata alla mancanza di patologie/malattie ma come più complessa e piena espressione psicosociale delle individuali potenzialità e risorse.
Il paradigma biomedico tradizionale è stato storicamente messo in discussione perché essenzialmentenon èpiù stato considerato soddisfacente per la comprensione della natura delle complesse interazioni che avvengono nel tempo tra i livelli micro e macro degli organismi e/o dagli aspetti multifattoriali non riconducibili alla logica lineare dei modelli matematici tradizionali.
 
Il modello bio-psico-sociale aggiunge al modello tradizionale vari elementi tra i quali l’aspetto olistico derivante dalla consapevolezza che la globalità del sistema non è riconducibile alla somma delle parti del sistema stesso e la teleonomia cioè la presenza di uno scopo che identifica sia la globalità del sistema preso in considerazione che i sottosistemi che lo compongono.
Una degli approcci più interessanti derivanti dal modello BPS è attualmente rappresentato dalla psico-neuro-endocrino-immunologia, ambito della scienza che si occupa dei rapporti altamente integrati e vicendevolmente interagenti tra i suddetti piani teleonomici (Bottaccioli F. & A.G., 2017).
Più precisamente la definizione di approccio BPS è la seguente: strumento d’analisi del comportamento che considera il livello biologico, psicologico e sociale come sistemi in continua e reciproca interazione (Massimini, Inghilleri, Delle Fave, 1996).
L’approccio BPS è quindi il tentativo di tener conto delle informazioni, spesso eterogenee, che emergono da una sistematica analisi parallela di queste tre aree.
Ciascuno dei sistemi considerati dall’approccio BPSrappresenta un sistema di informazioni che si modificano nel tempo, seguendo le regolarità caratteristiche dei sistemi evolutivi (Miller, 1970; Monod, 1970; Morin, 1985; Prigogine, 1976). In altri termini, sia il livello biologico, che sociale che psicologico soddisfano la definizione di sistema informazionale che evolve nel tempo.
Negli ultimi quarant’anni è stato effettuato un massiccio sforzo teorico da parte di diverse discipline, quali la biologia teoretica e la fisica, nel cercare di cogliere i principi comuni a tutti i sistemi viventi e a quei sistemi che più in generale sono capaci di aumentare la complessità evolvendo nel tempo (Barbieri, 2003; Miller, 1970; Monod 1970; Morin, 1985; Prigogine, 1976).
Ai fini di questo scritto possiamo limitarci nel dire che i tre livelli d’analisi peculiari dell’approccio BPSrappresentano un sistema evolutivo cioè un insieme di informazioni che si trasmette nel tempo in maniera sostanzialmente conservativa e che prevede un tasso di variazione oggetto di un processo selettivo.
Questa definizione è di natura generale poiché non fa alcun riferimento né al substrato nel quale si realizza né precisa parametri specifici, come ad esempio l’arco temporale evolutivo o il meccanismo di trasmissione delle informazioni, ma coglie la natura complessa e condivisa dai tre sistemi integrati nell’approccio BPS.
Il fatto che tale definizione non necessiti di un riferimento relativo la sua realizzazione permette di cogliere gli elementi comuni alle tre aree d’analisi, rivelando delle regolarità che trascendono le numerose differenze distintive di ciascun livello.
Un altro modo di esprimere il concetto appena esposto è che le dinamiche informazionali relative all’approccio BPS devono trasmettersi nel tempo, essere dotate di una definita variabilità oggetto di selezione e includere una serie di requisiti minimi legati alla natura delle entità replicative.
In passato numerosi autori si sono espressi riguardo alle caratteristiche che un’entità replicativa (detta anche “replicatore”) deve possedere per generare un processo evolutivo (Barbieri, 2003; Dawkins, 1976; Monod, 1970) ma per definire gli assunti concernenti l’approccio BPS, ritengo sia sufficiente trattare due caratteristiche: la teleonomia ed il codice memoria. La loro breve descrizione ci aiuterà a comprendere i criteri comuni dei piani d’analisi considerati.
 
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La teleonomia è la proprietà identificata da Jacques Monod per cui tutti gli esseri viventi sono enti “dotati di un progetto, rappresentato nelle loro strutture e al tempo stesso realizzato mediante le loro prestazioni” (Monod, 1970). Nel caso del piano biologico, l’informazione genetica contenuta nell’acido desossiribonucleico (DNA) dello zigote, insieme alle informazioni epigenetiche che determinano quale porzione di DNA è espressa e quale invece è silenziata, rappresentano il progetto che sarà espresso nella struttura del futuro organismo durante le varie fasi di sviluppo. Parlare di DNA è particolarmente utile anche per introdurre il concetto di codice memoria (genetico). In questo caso, infatti, è più intuibile comprendere cosa si intende con codice memoria a livello biologico.
Nella comunicazione tra diversi codici organici (culturali, sociali, psicologici, neurali, metabolici, cellulari) esiste quindi un ruolo imprescindibile del significato dell’informazione che va oltre la sola interazione causale lineare determinata unicamente dalla combinazione fisico chimica tra i fattori in gioco. Il ruolo fondamentale del concetto di codici organici è proprio necessario, perché trascende la dinamica causale prevedibile dalla sola interazione funzionale chimico-fisica tradizionalmente intesa.
Proprio per questo motivo più 60 anni fa si è dovuti ricorrere al concetto di codice per descrivere le dinamiche del DNA. Non c’è nulla di strettamente imprescindibile dal punto di vista chimico-fisico nella scelta delle basi azotate per definire la memoria genetica; il DNA sarebbe potuto essere espresso utilizzando moltissime altre molecole ugualmente funzionali allo scopo di “codificare” la medesima informazione.
Qualsiasi dinamica evolutiva prevede delle entità replicative e qualsiasi entità replicativa prevede uno spazio memoria, o memoria, attraverso la quale un codice organico convenzionale traduce le informazioni ereditate selezionate, quelle che i biologi chiamano informazioni “genotipiche”, in informazioni oggetto di selezione naturale, il “fenotipo”.
Evitando dettagli tecnici non funzionali all’oggetto di questo scritto, questo significa che per qualsiasi sistema evolutivo esiste un “piano memoria” dove le informazioni ereditate processate dagli eventi selettivi sono depositate e si accumulano nel tempo.
Che si tratti del sistema biologico, del sistema psicologico o di quello sociale/culturale, abbiamo a che fare con dinamiche evolutive che non possono prescindere dalla logica delle entità replicative e dagli spazi memoria che ne caratterizzano le complesse dinamiche temporali.
 
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Vediamo adesso qual’ è il contributo che la scienza dei telomeri apporta all’approccio BPS e perché rafforza questa visione complessa quanto articolata da applicare a livello clinico.
Durante gli anni 80 del Novecento il premio Nobel Elisabeth Blackburn identificò particolari strutture biologiche fondamentali per la longevità delle cellule (i telomeri).
Nel settore strettamente biologico molecolare i telomeri hanno rivoluzionato il concetto di invecchiamento cellulare perché le ricerche hanno identificato che queste strutture, che si trovano alle estremità dei cromosomi (i “contenitori” del DNA), rappresentano il nostro “orologio” biologico cellulare.
In altre parole, i telomeri sono l’indicatore di longevità e d’invecchiamento cellulare più affidabile e attualmente conosciuto.
Sovente, per far comprendere il ruolo dei telomeri, si utilizza la metafora dei terminali di plastica dei lacci delle scarpe che, se integri, garantiscono a tutto il laccio di essere usato propriamente ma, se i lacci si rovinano, determinano lo sfilacciamento progressivo del tessuto che costituisce il laccio stesso.
Il laccio rappresenta quindi i nostri cromosomi, lo sfilacciamento dei lacci raffigura il progressivo processo di senilità e di morte cellulare mentre naturalmente la lunghezza dei terminali di plastica rappresenta lo stato di salute dei nostri telomeri.
La cosa interessante è che se è vero che nasciamo con una stabilita lunghezza di questi terminali che si accorciano progressivamente durante il processo di sviluppo e manutenzione cellulare, è altrettanto vero che la velocità relativa il “consumo” telomerico è estremamente variabile e dipendente da vari fattori.
Nei primi anni di questo secolo la Blackburn e la psicologa esperta di stress cronico Elissa Epel esplorarono l’impatto di alcuni aspetti psicologici sui telomeri dimostrando qualcosa di rivoluzionario, sia nel settore biomedico che di quello psicologico, dando avvio a quel settore scientifico che attualmente viene chiamata Psicologia Epigenetica (Agnoletti, 2018c).
Sappiamo oggi che grazie alla recente scienza dei telomeri gli aspetti psicologici (cognitivo, emotivo e motivazionale) influenzano epigeneticamente e continuamente il livello cellulare (Agnoletti, 2018a; Agnoletti, 2018b) modificando il funzionamento degli enzimi chiamati telomerasi fondamentali per definire la nostra longevità e la probabilità di sviluppare problematiche legate all’invecchiamento ed alle malattie attualmente considerate connesse con la senilità (Andrews & Cornell, 2014; Andrews & Cornell, 2017).
Al di là del messaggio molto forte rappresentato dal fatto che le nostre esperienze psicologiche e sociali hanno un impatto molto significativo sulla dinamica cellulare che determina quanto e come viviamo, è importante qui sottolineare che la scienza dei telomeri ha già identificato anche altri fattori che alterano le dinamiche del codice dei telomeri.
Attività motoria, qualità del sonno, alimentazione sono gli altri fattori che condizionano il codice organico dei telomeri influenzandone la lunghezza assoluta e, di conseguenza, la longevità residua oltre alla probabilità connessa di sviluppare problematiche degenerative tipiche dell’avanzato invecchiamento cellulare.
Quindi il personale modo di gestire lo stress, l’atteggiamento ottimistico/pessimistico che possediamo, il supporto sociale che percepiamo, oltre all’alimentazione, l’attività motoria e la qualità del sonno sono alcuni esempi delle differenti modalità che determinano in modo specifico e molto significativo l’accelerazione o il rallentamento dell’invecchiamento cellulare, definendone la longevità residua.
All’interno del contesto dell’approccio BPS, questo quadro epistemologico dimostra che esistono dei codici organici (intesi nel senso semiotico descritto dal biologo evoluzionista Marcello Barbieri) che comunicano ed interagiscono reciprocamente nei diversi piani memoria evolutivi e che non possono essere estromessi nel momento in cui interveniamo durante l’attività clinica.
La scoperta dei telomeri e le dinamiche che influenzano il funzionamento dei telomeri nel “ricostruire” quasi efficacemente le basi azotate che determinano la lunghezza assoluta dei telomeri stessi, dimostra che i vari piani memoria dei differenti percorsi causali interagiscono in modo complesso ed almeno in parte convergente attraverso i vari codici organici.
I Telomeri ci dimostrano che non solo esiste un processo bottom-up rappresentato da una stratificazione di codici organici che dal codice genetico arrivano ai codici linguistici culturali (si veda Barbieri, 2003) ma anche che l’interazione ha una dinamica top-down attraverso la quale gli aspetti psicologici-sociali e culturali vengono tradotti in variazioni epigenetiche dello spazio memoria genetico che possediamo. In altri termini la scienza dei telomeri rafforza il concetto “assoluta integrazione e causalità non lineare all’interno del modello BPS” vista le vicendevoli interazioni tra i distinti codici organici presenti.
Dal punto di vista pratico, come già esposto parlando dell’effetto imbuto dei codici telomerici (Agnoletti, 2018c; Agnoletti, 2018d), ha poco senso intervenire unicamente a livello psicologico o esclusivamente a livello di fisiologico nel momento in cui l’impatto dei fattori esposti poco sopra è in parte autonomo ed in parte interagente con gli altri codici organici.
La trasversalità dell’intervento clinico BPS è quindi l’unica garanzia di rispettare la complessità che caratterizza l’essere umano, anche se questo rappresenta una sfida a livello clinico e conoscitivo.
 
Bibliografia
 
Agnoletti, M. (2018a). “L’Asse psiche-telomeri ecco come la mente influenza l’invecchiamento”, PNEINEWS, 5-2018, Italy.
 
Agnoletti, M. (2018b). “La Scienza dei Telomeri. Come sta cambiando radicalmente il concetto d’invecchiamento con importanti conseguenze sul piano della salute e del benessere psicofisico umano”, Medicalive Magazine, n 8, Italy.
 
Agnoletti, M. (2018c). “la nuova frontiera della psicologia: la Psicologia Epigenetica”, State of Mind,10-2018, Italy.
 
Agnoletti, M. (2018d). “La Scienza dei Telomeri e il modello integrato di salute psicofisica”, Medicalive Magazine, n 11-2018, Italy.
 
Andrews, B. & Cornell, J. (2014). “Telomere Basics: Curing Aging”. Nevada, USA. Sierra Science.
 
Andrews, B. & Cornell, J. (2017). “Telomere Lenghtening”. Nevada, USA. Sierra Science.
 
Barbieri, M. (1985). La teoria semantica dell’evoluzione. Torino: Boringhieri.
 
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Sociologia

Dott.ssa Annamaria Venere Sociologa Sanitaria
Amministratore Unico AV Eventi e Formazione
Direttore editoriale Medic@live Magazine

 
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Nell’ambito delle professioni sanitarie, il tatto merita assolutamente un discorso a parte per l’importanza che assume nella pratica professionale. Il tatto rappresenta un modello remoto di comunicazione affettiva e sociale vissuto e sperimentato da ciascuno di noi sin da bambini che riveste un ruolo di rilevante importanza per una crescita armonica sia negli uomini che negli animali. Sfortunatamente da adulti questa modalità comunicativa tanto profonda quanto intuitiva viene esperita con piena coscienza solo di rado benché la necessità del contatto fisico con un’altra persona sia un bisogno primario in qualsiasi stagione della vita. Basti pensare quanto piacere provochi una pacca sulla spalla per esprimere le congratulazioni, anche se a farla è solo un conoscente, o il valore di comunicazione profonda che riveste l’abbracciare forte un amico per esprimergli il cordoglio per un caro venuto a mancare, senza dimenticare quanto sia ricca di baci e carezza la dimensione amorosa. Esempi di comunicazione che toccano corde profonde dell’animo umano senza dovere necessariamente verbalizzare. Il tatto non è un senso circoscritto ad un solo organo ma si estende su tutta la superficie del corpo. Può essere utilizzato anche come forma di richiamo quando, ad esempio, tocchiamo il braccio o la spalla di qualcuno per richiamarne l’attenzione. A differenza della vista non è un senso che usiamo in modo immediato ed automatico ma, ciononostante, è in grado di cogliere analiticamente l’informazione. Nel contesto di cura, il contatto fisico ha un potenziale comunicativo straordinario. Le sensazioni trasmesse attraverso il tocco che rappresenta alleviamento e che aiuta, è valutato come necessario nella cura del malato. Il tocco rappresenta uno strumento d’indispensabile rilevanza per andare incontro alle necessità conoscitive e affettive dei pazienti. Una relazione basata dalla corporeità, a quale concreta forma di assistenza è relativa e che caratteristiche possiede? È principalmente per mezzo del corpo che impostiamo e ampliamo le nostre relazioni: se esiste un corpo che comunica, necessitiamo obbligatoriamente di un altro che sappia e voglia ricevere i nostri segnali, che ci permetta di “raggiungerlo” anche quando questi sembra essere difficilmente accessibile. Nel momento in cui una persona si ammala la capacità relazionale del suo corpo, si altera, diviene difficoltosa, confusa. In una situazione patologica fatta di sofferenza, di riduzione delle capacità neuro-motorie, il corpo si trasfigura e la recettività relazionale si basa su canali differenti. Con tempi e modi diversi il paziente accetta e sopporta quella che considera una specie di attacco esterno al proprio corpo (come nel caso di esami diagnostici invasivi e cruente manovre terapeutiche) pur continuando a stabilire delle relazioni. Molte di queste relazioni sono costrette, qualche volta non volute o non richieste. Sono queste le ragioni che dovrebbero far riflettere chi esercita una professione sanitaria sull’impiego cosciente del contatto corporeo. Le mani dell’operatore sanitario, infermiere, fisioterapista, neuro psicomotricista dell’età evolutiva o altro ancora racchiudono in se gesti non solo di carattere funzionale, ma rappresentano anche sollievo, fortificando la relazione d’aiuto e predispongono il malato ad un aumento delle risposte positive, rafforzando la sua sensibilità fisica ed emozionale. Con il tocco si possono comunicare distinti livelli di empatia, confermandoli in base al bisogno della persona di cui ci si sta prendendo cura di lei. E bene che l’operatore sappia che l’altro “sposta” su di lui figure che sono
 
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appartenute al suo vissuto, e che in passato si presero cura del suo corpo. Stranamente, il primo che favorì lo studio del contatto fisico col paziente fu proprio Cochrane, creatore del movimento che portò all’EBM, (medicina basata sulle prove di efficacia e non sulle idee) mentre Veldman studiò a lungo la “scienza dell’affettività” espressa attraverso il contatto. Studio che fu ripreso successivamente da Marie de Hennezel che definì aptonomia (dal greco hapsis, “tocco” e nomos, “regola”). Fondamentalmente utilizzata alla nascita e nel primo periodo di vita, la sua applicazione fu successivamente estesa allo stadio ultimo della vita in quanto chi si avvicina alla morte ha necessità di comunicare, di percepire amore e accudimento con la dolcezza che si dedica ad un bambino. L’aptonomia non fonda i suoi concetti esclusivamente sul tatto, ma invece valuta l’importanza della partecipazione di chi cura in quanto l’atto di toccare trasmette la volontà di voler accogliere, e ricevere consapevolmente, vuol dire identificare e incontrare non un corpo, ma un individuo. Un contatto psico- tattile rappresenta un contatto consolante, tranquillizzante e rafforzante che ha la forza di offrire attenzioni alla persona malata, la possibilità di ridargli la stima, la dignità, il senso di sé come integro, e la percezione di sé come unico. Un tocco-massaggio può sciogliere la sensazione di blocco, di costrizione, può riorganizzare, riparare l’immagine del proprio corpo, distinguendone le parti sane e funzionali da quelle malate e non rispondenti.
Molti operatori sanitari per le loro pratiche professionali sono autorizzati a toccare il corpo del malato, tocco che può giungere fino alla sua anima esponendoci anche a una relazione profonda e intensa, essendo padroni della capacità di comunicare vicinanza o distacco, apertura o chiusura, incoraggiamento o sfiducia. (Marsaglia C, Galizio M. I gesti della cura. Oltre le mani. Da: WorkShop presso Hospice Casa Madonna dell’Uliveto, Aprile 2002). Studi comprovati dalla letteratura ci confermano che l’aptonomia (caring touch) è in grado di determinare:
 
– l’ottimizzazione del servizio
– la forza interiore nelle proprie capacità
– l’aumento della percezione del proprio valore
– il miglioramento della relazione empatica col paziente
– la presa in carico e la considerazione del paziente come persona unica.

 
A volte, purtroppo, un atteggiamento veloce, manovre frettolose e superficiali, la mobilizzazione del corpo del paziente come fosse un oggetto rischiano di offenderlo se non addirittura di umiliarlo procurandogli forse altra sofferenza. Sarebbe auspicabile che le strutture sanitarie non oberassero gli operatori sanitari con smisurati carichi di lavoro che sfiniscono ed esauriscono il professionista impossibilitato così ad “avere tempo” sufficiente da dedicare alla persona da curare. Un tempo sufficiente consente di capire che può essere necessario correggere un atteggiamento scorretto che si concentra solo nel toccare un corpo ma non comprende che si entra sempre in comunicazione con una persona con la quale si instaura una relazione fatta di ascolto, cura e assistenza ma anche di stima e rispetto reciproco. Una relazione che diventa ancora più importante valorizzare quando la persona da curare è fragile come può esserlo un bambino.
 

Diritto Sanitario

Avv. Angelo Russo, Avvocato Cassazionista, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario, Catania
 
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Con l’ordinanza 16 aprile 2018 – 26 febbraio 2019, n. 5487 la Corte di Cassazione fornisce alcuni chiarimenti sui criteri relativi alla distribuzione dell’onere della prova in materia di responsabilità medica.
 
IL FATTO
 
In data (OMISSIS), alle ore 18.30, G.G.R. decedeva a seguito di un malore occorsogli, pochi minuti prima, mentre era in auto con la moglie B.M.A. e la figlia S.
 
Lo stesso, lamentando “dolore al fianco sinistro” anche da “digitocompressione dell’emicostato sinistro”, era stato appena visitato, alle 17.45 dello stesso giorno, da un medico del Presidio della Guardia Medica di (OMISSIS) (struttura alla quale si era rivolto, per la stessa ragione, già i precedenti (OMISSIS), essendogli in entrambe tali occasioni somministrato, in via intramuscolare, un antidolorifico, con prescrizione di un controllo dal medico curante), essendo, anche in quel caso, “rinviato a domicilio”.
 
A seguito di denuncia – querela contro ignoti, il procedimento penale si chiudeva con un provvedimento di archiviazione, che recepiva le conclusioni dal consulente nominato dalla Procura della Repubblica di Venezia nella propria relazione.
 
Tale elaborato pur rilevando che “l’invio del G., il (OMISSIS), presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS) (struttura ubicata nello stesso edificio del Presidio di Guardia Medica) avrebbe quantomeno permesso di defibrillare il paziente e quindi di consentire al Sig. G. maggiori probabilità di sopravvivenza”, concludeva che “la grandezza statistica di tale probabilità, da un punto di vista penalistico, non assurge(va) però ai richiesti parametri della “ragionevole certezza”” dell’esito salvifico, potendo, nondimeno, trovare ampia dignità in responsabilità civile, a fronte dell’assunto giuridico del cosiddetto più probabile che non”.
 
La moglie e i figli del defunto, quindi, convenivano in giudizio civile la AULSS n. (OMISSIS), affinchè la stessa, riconosciuta responsabile del decesso del loro congiunto, per fatto del personale operante presso il suddetto Presidio di Guardia Medica, fosse condannata a risarcire i danni ad essi cagionati.
 
In primo grado la domanda veniva accolta.
 
La Corte di Appello di Venezia riformava la sentenza, escludendo la responsabilità della struttura.
 
Rilevava il Giudice di appello che il Tribunale aveva attribuito rilevanza causale “al fatto della mancata presenza del G. presso il PS al momento dell’episodio, presumibilmente ischemico, che lo condusse al decesso e, quindi, al fatto del mancato utilizzo tempestivo del defibrillatore.”
 
L’omissione imputata ai sanitari del Presidio di Guardia Medica, quindi, “non si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, ma si configura come una sorta di occasione mancata, riferita al luogo di soccorso in collegamento con il mancato utilizzo del defibrillatore, ovvero una circostanza priva di efficacia causale o concausale.”
 
Precisa la Corte di appello che “non vi è riscontro probatorio circa la presenza di personale di PS pronto ad intervenire immediatamente con il defibrillatore e, soprattutto, non è dato sapere (essendo impossibile dirlo, secondo la stessa valutazione fatta dal consulente del Pubblico Ministero in sede penale) se il suo utilizzo sarebbe stato salvifico, e ciò anche in ragione del fatto che il decesso è stato quanto mai improvviso e repentino”.
 
Su tali premesse la Corte di appello ha rigettato la domanda risarcitoria, rilevando che nè il Tribunale né il consulente del Pubblico Ministero avevano spiegato “in base a quali regole o dati scientifici si poteva sostenere che le possibilità di sopravvivenza del G. certamente sussistevano”, senza neppure esplicitare quale fosse tanto “la grandezza statistica delle asserite maggiori probabilità di sopravvivenza, quanto i dati scientifici di supporto di detto assunto.”
 
Contro la decisione della Corte di Appello è proposto ricorso per cassazione con il quale si lamenta che la sentenza impugnata non si sarebbe curata di accertare “se la diligenza dei sanitari della Guardia Medica fosse stata provata (come era suo onere) dalla convenuta, così realizzando una prima violazione del principio della vicinanza della prova, e ciò, oltretutto, avendo parte attrice evidenziato quali fossero i profili di negligenza imputati ad essi.”
 
I sanitari, invero, si sarebbero limitati “chi a consigliare un controllo del medico curante (eventualmente anche per un’impegnativa di elettrocardiogramma) chi invece a somministrare una terapia con antinfiammatori non steroidei, senza disporre essi stessi l’elettrocardiogramma, o un rilievo per la Tropomina 1, oppure l’emo-gasanalisi, mostrando così di reputare non grave nè urgente la situazione clinica del paziente.”
 
I familiari del paziente deceduto, invero, dopo aver provato il contatto sociale tra il paziente e la struttura precisano che “la prescrizione – da parte di uno dei sanitari che ebbero in cura il paziente – di accertamenti più approfonditi, al fine di scongiurare la presenza di una patologia cardiaca, avrebbe evitato la morte del G. per attacco ischemico” e che la struttura sanitaria non aveva fornito la prova che all’esito della loro esecuzione “nulla sarebbe stato riscontrato sotto il profilo cardiologico.”
 
La sentenza della Corte di Appello, inoltre, sarebbe errata laddove afferma (in assenza di riscontri in tal senso) che “i sanitari si sarebbero addirittura comportati con diligenza, giacchè senza le risultanze degli esami che furono, invece, omessi non può in alcun modo essere provato che i sintomi di un’ischemia non vi fossero.”
 
In conclusione, secondo i ricorrenti, “poichè la morte del G. fu causata da un problema cardiaco e l’esecuzione degli esami omessi avrebbe consentito una diagnosi tempestiva e permesso di monitorare la situazione, evitando la morte per ischemia”, sarebbe spettato alla struttura sanitaria “provare che la morte sarebbe egualmente avvenuta oppure che la sua causa andava rinvenuta in altro evento imprevisto e/o imprevedibile.
 
E ciò, a maggior ragione, a fronte delle risultanze di una consulenza secondo cui gli accertamenti diagnostici omessi e l’utilizzo del defibrillatore il giorno della morte avrebbero consentito la sopravvivenza del paziente, secondo la regola del più probabile che non.
 
Si contesta, infine, l’affermazione della Corte di appello secondo cui “non vi è riscontro probatorio circa la presenza di personale di PS pronto ad intervenire immediatamente con il defibrillatore e, soprattutto, non è dato sapere se il suo utilizzo sarebbe stato salvifico, atteso che l’incertezza sulla sussistenza del nesso causale grava sul presunto danneggiante (struttura/medico) e non sul paziente.”
 
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
 
La Suprema Corte accoglie il ricorso con alcune precisazioni.
 
La Corte, preliminarmente, ribadisce i principi in tema di responsabilità per attività medico – chirurgica, precisando che “nei giudizi risarcitori da responsabilità sanitaria, si delinea un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle.
 
Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante.
 
Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto).”
 
Ne consegue, dunque, che “la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell’istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell’impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull’attore o sul convenuto. Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile.”
 
Nel caso di specie, prosegue la Suprema Corte, gli eredi del paziente deceduto dovevano dimostrare che l’omissione addebitata ai sanitari era stata “più probabilmente che non” la causa del decesso, ovvero, che l’intervento omesso avrebbe “più probabilmente che non” scongiurato l’evento letale.
 
Seppur errano i ricorrenti nel sostenere che “nei giudizi per malptractice sanitaria, l’incertezza sulla sussistenza del nesso causale tra evento dannoso e condotta dei sanitari grava sul presunto danneggiante (struttura/medico) e non sul paziente”, sottolinea la Corte che la sentenza impugnata è egualmente incorsa in una falsa applicazione delle norme in tema di accertamento del nesso causale “avendo operato – erratamente – una segmentazione della complessiva condotta omissiva della struttura sanitaria, indicata dagli attori come potenzialmente idonea a cagionare il decesso del G.”
 
La Corte di appello, invero, avrebbe incentrato la propria valutazione esclusivamente sull’ultimo episodio (in cui l’uomo ebbe a rivolgersi ai medici del Presidio della Guardia Medica di (OMISSIS), limitando la propria indagine alla verifica se, prontamente inviato lo stesso presso il Pronto Soccorso, sarebbe stato possibile sottoporlo ad un intervento salvifico, mediante defibrillazione.
 
L’attenzione del giudice di appello, tuttavia, si è concentrata su un singolo episodio, inserito in una sequenza più ampia, considerato che il G., già il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), ebbe a rivolgersi ai sanitari di quella stessa struttura, per lamentare, anche in quei casi, dolore al fianco sinistro anche da digitocompressione dell’emicostato sinistro.
 
In entrambe tali occasioni, tuttavia, il solo intervento praticato consistette nella somministrazione, in via intramuscolare, di un antidolorifico, con prescrizione di un controllo dal medico curante, senza che si fosse reputato necessario disporre ulteriori accertamenti di natura cardiologica.
 
Errato è, dunque, considerare – come ha fatto la decisione impugnata – la mancata presenza del G. presso la struttura di Pronto Soccorso come una mera “occasione mancata”, per giunta affermando che essa “non si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno.”
 
Quello indicato è stato, infatti, solo l’ultimo anello di una catena di omissioni che andavano tutte adeguatamente indagate, specie di fronte delle risultanze della consulenza tecnica disposta in sede penale, ritenuta, peraltro, sufficiente dal primo giudice per l’accoglimento della domanda risarcitoria.
 
La Corte di Appello di Venezia, precisa la Suprema Corte, avrebbe operato un’indebita “parcellizzazione” dei singoli episodi in cui si articolava l’unitario contegno omissivo addebitato alla struttura sanitaria “ignorando del tutto i due che hanno preceduto quello del (OMISSIS), sul quale ha concentrato la propria attenzione, disattendo, per giunta, le risultanze di un elaborato (quello predisposto in sede penale) che offriva elementi idonei a riscontrare positivamente l’ipotesi della sussistenza del nesso causale, senza fare neppure ricorso ad un’ulteriore indagine tecnica che potesse affiancare, integrandola, la prima.”