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Romina Fasciani:”Cheratocono? I ragazzi vivono un vero e proprio dramma legato a questa patologia, perché ad essere inficiata è tutta la loro vita adolescenziale.”

Il cheratocono è una patologia degenerativa dell’occhio che si manifesta tipicamente nell’adolescenza e progredisce fino ai 35-40 anni.

Ogni anno in Italia circa mille ragazzi si sottopongono ad un intervento per il cheratocono. Si tratta di una malattia ereditaria e genetica conseguente ad una minore rigidità strutturale della cornea, che consiste in un progressivo sfiancamento del tessuto. Quando si assottiglia e si deforma assumendo la forma assimilabile ad un cono compromette la vista. In genere colpisce entrambi gli occhi, anche se spesso in misura diversa.

Con il progredire della malattia la visione diventa progressivamente più sfocata e non sempre è migliorabile con gli occhiali. Negli stadi più avanzati, invece, è necessario ricorrere ad un intervento chirurgico perché il deficit visivo è fortemente invalidante e difficilmente correggibile con le lenti a contatto.

Dati alla mano…

Si stima che ne sia affetto 1 abitante ogni 1.500. Per questo è considerato una malattia rara, ma i casi di alterazioni riconducibili al cheratocono sono almeno il doppio.

Si è parlato anche di questo oggi a Roma in occasione dell’XI Congresso nazionale dell’Associazione Italiana dei Medici Oculisti, in programma fino a domani presso l’Hotel NH Collection Roma Vittorio Veneto (in Corso d’Italia, 1), durante una sessione dal titolo ‘Cosa c’è di nuovo sul cross-linking?’.

Responsabile del corso, la dottoressa Romina Fasciani, dell’Unità operativa complessa di Oculistica della Fondazione Policlinico universitario IRCCS Agostino Gemelli di Roma e membro del consiglio direttivo di AIMO.

“Il cheratocono è una patologia degenerativa della cornea che si manifesta prevalentemente nei giovani, ma può colpire anche i bambini – ha spiegato la dottoressa Fasciani – L’età media di insorgenza è intorno ai 15/16 anni e la malattia evolve fino ai 35-40 anni, quando per fortuna si arresta perché la cornea va incontro ad un cross-linking fisiologico legato all’invecchiamento del tessuto.

Ma i ragazzi nel frattempo vivono un vero e proprio dramma legato a questa patologia, perché ad essere inficiata è tutta la loro vita adolescenziale. Chi ne è affetto deve spesso necessariamente ricorrere all’uso di lenti a contatto rigide oppure ad occhiali, ma nei casi più gravi si è costretti a sottoporsi ad un trapianto di cornea per tornare a vedere in maniera efficace”.

Per fortuna, però, il trapianto è considerato dagli esperti l’”ultima spiaggia” ed esistono altre modalità di approccio . Esse “vanno appunto dalle lenti a contatto all’utilizzo di occhiali, oppure alcuni interventi meno invasivi come quello dell’impianto di segmenti intracorneali” ha spiegato Fasciani. La procedura consiste nell’inserimento di anelli capaci di regolarizzare la cornea, permettendo così ai ragazzi di vedere meglio”.

Tecnologicamente preventivi per il cheratocono

Grazie all’introduzione (ad inizio degli anni Duemila) della procedura di cross-linking corneale, oggi si riesce ad impedire che il cheratocono evolva in maniera tale da rendere complessa la ‘vita visiva’, ma anche di normale relazione e scolarizzazione, di questi ragazzi e poi giovani adulti che ne sono colpiti.

“Se riusciamo ad intervenire presto, prima che le alterazioni legate alla patologia, che sono una deformazione o un assottigliamento della cornea (che genericamente è debole)- ha proseguito l’oculista del Gemelli- riusciamo ad evitare il progredire della malattia.

Per cui è fondamentale fare una diagnosi precoce di questa patologia, che è definita ‘rara’ ma in realtà solo perché è sottodiagnosticata, nel senso che spesso nelle fasi iniziali solo alcuni esami strumentali (come la topografia corneale o meglio ancora la tomografia corneale) riescono a permettere di fare la diagnosi.

Se questi ragazzi vengono sottoposti ad un trattamento molto semplice e poco invasivo si riesce a bloccare l’evoluzione della malattia. La patologia purtroppo non migliora, ma si riesce a far conservare ai più giovani una migliore qualità visiva. Insomma: prima si interviene e meglio è”.

Miglioramenti nelle procedure di cross-linking

Negli anni, intanto, le procedure di cross-linking si sono evolute e sono “migliorate moltissimo”. Così afferma la dottoressa Fasciani, per rendere il cross-linking sempre più rapido. All’inizio l’intervento durava circa un’ora, mentre ora le attuali procedure sono diventate molto più rapide e snelle.

Allo stesso tempo si cerca di capire meglio come migliorare e potenziare questa reazione. Nello specifico: come renderla più standardizzabile ed effettuabile, magari anche in condizioni in cui la procedura originariamente non era applicabile. Tempo fa, per esempio, cornee molto sottili non potevano essere trattate. Adesso, invece, si stanno affacciando nuovi normogrammi sia per la diagnosi precoce del cheratocono sia per il trattamento del cross-linking”, ha concluso.

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Oculisti AIMO: Post Covid-19

Gli oculisti AIMO ci spiegano cosa fare per tornare a una tempestiva ed efficace presa in carico delle grandi cronicità e a prepararsi a resistere ad una eventuale seconda ondata di Covid. Una serie di proposte vengono dall’Advisory Board costituito da Senior Italia FederAnziani con il coinvolgimento delle principali società scientifiche e organizzazioni sindacali dei medici che le hanno presentate in un incontro istituzionale con il vicepresidente del Parlamento Europeo, Fabio Massimo Castaldo. “In questo periodo a livello ambulatoriale abbiamo sospeso 11 milioni di prestazioni specialistiche che ora vanno recuperate – ha detto Antonio Magi, segretario generale del sindacato Sumai Assoprof – Se dovessimo fare un conteggio, tenendo conto del distanziamento necessario, arriveremmo a 16 milioni. A queste vanno aggiunte quelle che erano già in lista d’attesa. Per far fronte a tutto ciò occorre aumentare il numero degli specialisti ma anche inserire giovani e specializzandi che possano ridare vigore al Servizio sanitario nazionale, risolvendo i danni creati da questo blocco delle visite. Non solo bisogna rafforzare la specialistica, ma anche fare in modo che specialistica territoriale e ospedaliera e medicina generale si parlino”.

E per l’oftalmologia? “Dalla visione generale appena esposta si può scendere nel particolare, cioè nell’ambito della nostra specialità – ha fatto sapere il presidente dell’Associazione Italiana dei Medici Oculisti, Luca Menabuoni – per affermare che le criticità sono le stesse. Il motore si è fermato e così tutte le attività ambulatoriali e chirurgiche non urgenti, in particolare si sono fermati gli interventi di cataratta per ben 3 mesi. Se si pensa che in un anno ne facevamo circa 600.000 in Italia, si fa presto a fare i conti. E la ripartenza sarà molto rallentata, per rispettare le nuove procedure di accettazione, sanificazione e dimissione, non sarà possibile effettuare più di un intervento per ora. Anche operando ininterrottamente non sarà possibile fare i numeri di prima, quando facevamo 3-4 interventi l’ora”. Altra criticità sono le prestazioni ambulatoriali, perché gli spazi all’interno degli ospedali “sono angusti, a volte le sale di attesa sono poco più che corridoi- ha aggiunto- e far rispettare il distanziamento sociale determinerà un enorme allungamento delle liste di attesa”.

Quindi per Menabuoni sarà necessario “non solo incrementare il numero degli specialisti, ma anche trovare spazi adeguati per farli lavorare. Altro key point sarebbe quello di dotare tutti gli ambulatori Asl di strumenti diagnostici adeguati per evitare l’imbuto delle visite ospedaliere, penso all’OCT per la diagnosi delle maculopatie. Molte i altri punti sarebbero da evidenziare, ma tra questi uno dei principali dovrebbe essere quello di onorare col dovuto rispetto economico i professionisti. Altrimenti sarà inutile formare tanti nuovi giovani perché, per forza di cose, andranno a lavorare negli altri Paesi comunitari dove gli stipendi sono più adeguati”.
Infine, secondo il presidente di AIMO, c’è bisogno di “fare chiarezza affinché le varie figure professionali non vengano confuse. I medici da sempre sono chiamati ‘camici bianchi’, ecco basterebbe limitare l’uso di questo ai soli medici e tanti equivoci sarebbero evitati”, ha concluso.

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