Dott. ssa Annamaria Venere
Sociologa Sanitaria;
Criminologa Forense;
Socio AICIS (Associazione Criminologi per l’Investigazione e la Sicurezza);
Amministratore Unico: AV eventi e formazione, Catania;
Direttore editoriale: Medicalive Magazine;
annamariavenere.it
La vendetta può essere definita come un comportamento intenzionale che mira a infliggere una punizione, fisica o psicologica, a qualcuno che ha causato, a sua volta, un danno o un’offesa. Sotto un profilo psicologico, pertanto, la vendetta è spesso motivata dalla rabbia, dalla frustrazione o dal desiderio di ripristinare la propria reputazione contro chi l’ha indebolita. Prima di analizzare il comportamento vendicativo e ciò a cui può portare, occorre tuttavia esaminarne il sentimento che ne è alla base: il rancore.
Il sentimento alla base della vendetta: il rancore
Il rancore è un forte e persistente risentimento verso qualcuno che ci ha fatto del male o ci ha in qualche modo deluso. Spesso, è alimentato da un senso di iniquità o di offesa subita, che a sua volta conduce alla percezione di essere stati trattati male o di essere stati vittime di un’ingiustizia. Riguarda vari campi della vita, da quello lavorativo a quello amoroso, ma in ognuno di essi la persona che lo prova ha difficoltà a superare l’evento che l’ha scatenato: un individuo, infatti, è rancoroso nel momento in cui prova difficoltà nel perdonare chi lo ha ferito. Sotto un profilo sociale, di conseguenza, il rancore ha effetti negativi sulla capacità di mantenere relazioni sane e positive, anche perché chi nutre rancore èin genere emotivamente distante dagli altri (Socarides, 1996).
Il sentimento del rancore, a causa del suo insinuarsi in modo ossessivo nella mente di chi lo prova, conduce, se non elaborato o superato, alla creazione di quello che potremmo definire un vero e proprio circolo vizioso. Ci si illude, in altre parole, che soltanto perpetuando un’azione concreta, che possa in qualche modo restituire all’altro ciò che ci ha fatto, esso si possa quietare. In questi casi, quando ovvero non si è in grado di superare il proprio rancore, ecco che compare il già accennato comportamento vendicativo.
La dinamica comportamentale vendicativa
In linea generale, la dinamica comportamentale della vendetta si compone di tre fasi. La prima fase è l’esperienza di una perdita o di un’offesa subitache, come accennato, può essere causata da un’azione o da un comportamento che viene percepito come ingiusto o lesivo dei propri interessi o bisogni. Questa fase può scatenare una serie di reazioni emotive, tra cui tristezza, frustrazione, rabbia e senso di ingiustizia, amplificando quelle provate con il nascente sentimento rancoroso. La seconda fase del processo di vendetta è invece la mancata gratificazione dei bisogni personali. In questa fase, il soggetto si sente ferito nell’orgoglio e nella dignità: il senso di frustrazione può portare a comportamenti aggressivi e distruttivi, volte a ripristinare l’equilibrio (emotivo) precedentemente infranto. Infine, la terza fase, prevede una liberazione di aggressività verso la presunta causa della perdita subita. Tale ultima fase comportail danneggiamento o la distruzione di ciò che viene considerato di proprietà o di valore per il colpevole, come le sue proprietà, il suo status o le sue ricchezze. La motivazione principale di questa fase è ripristinare l’equilibrio psicosociale attraverso il diritto e il dovere del soggetto leso di vendicarsi contro chi ha arrecato danno (Grillo, 2018).
Più in particolare, l’obiettivo principale della vendetta è preservare la reputazione, comunicando all’offensore e agli osservatori un messaggio che affermi il proprio valore. A tal proposito, si è ha notato che le persone che subiscono atti aggressivi attribuiscono all’offensore la credenza che esse non meritino un trattamento migliore di quello ricevuto. La vendetta mira quindi a influire sul sistema di credenze dell’aggressore, cercando di modificare l’immagine che egli ha della vittima, da individuo insignificante a persona degna di rispetto. Un altro motivo, che giustificherebbe la vendetta è il desiderio di “dar lezione” all’offensore: la vendetta assume cioè un valore simbolico che ha lo scopo di convincere l’offensore che un certo comportamento non sarà più tollerato. La punizione inflitta dalla vittima ha, in definitiva, una funzione educativa e morale, insegnando che un certo comportamento non rimarrà impunito. In questo senso, la vendetta è simile alle punizioni impartite ai bambini per scoraggiare comportamenti socialmente riprovevoli, ma differisce dal “pareggiare i conti” perché il suo obiettivo è quello di insegnare una lezione morale, non di ottenere un risarcimento per l’offesa subita (Grillo, 2018; Socarides, 1996).
Quali conseguenze psicosociali: c’è la possibilità di perdonare?
Come abbiamo visto, il rancore e la vendetta portano solitamente a una escalation di violenza e conflitti, in cui gli interessi dei soggetti coinvolti diventano contrapposti, a qualsiasi livello li si vogliano analizzare: amore, lavoro, militare, politico. Vengono meno la percezione dell’individuo sulle relazioni interpersonali e sulla fiducia negli altri. In generale, la vendetta non è dunque un meccanismo sano per risolvere le dispute o le ingiustizie, ma piuttosto un modo per perpetuare lo scontro e la sofferenza.
Se ne deriva che un simile comportamento vendicativo, può avere delle conseguenze sia psicologiche che sociali nella persona che lo attua e in quella che lo subisce, a volte anche gravi. Dal punto di vista psicologico, quando una persona non riesce a soddisfare i propri bisogni e subisce una perdita, può reagire in diversi modi in base al proprio livello di maturità. Chi è immaturo emotivamente potrebbe manifestare la frustrazione attraverso scatti di rabbia, comportamenti di isolamento, sentimenti di risentimento o una rigida chiusura emotiva. In particolare, la ferita all’orgoglio, in questi casi, può scatenare il desiderio di vendetta.Al contrario, una persona psicologicamente sana potrebbe affrontare la frustrazione per la perdita subita in modo diverso, ad esempio attraverso il perdono. In questo modo, si eviterebbe di cadere nel circolo vizioso dell’odio e del desiderio di rivalsa. È importante notare che l’eccesso patologico della vendicatività si verifica quando si passa dalla giusta punizione alla rappresaglia, ovvero quando si cerca di fare del male in modo eccessivo e ingiustificato alla persona che ha causato la perdita o il danno (Searles, 1996).
Sotto un profilo sociale, invece, quando le persone si vendicano,formano una spirale di violenza, intensificando, laddove presenti, anche stereotipi e pregiudizi nei confronti di gruppi sociali specifici, comportamenti discriminatori o conflitti inter-gruppo.La vendetta, non a caso, è protagonista, peraltro, di molti femminicidi, figli più che altri di sentimenti rancorosi negli uomini, tradimenti innescati e mai perdonati. Se ne deriva, dunque, che della vendetta, e quindi dal rancore, si nutrono anche atti criminali, nonché tutte quelle logiche che confluiscono nel voler far male a una persona (Fadda, 2012).
Eppure, al di là di problematiche psicologiche personali da elaborare in apposite sedi cliniche, una soluzione al rancore e alla vendetta, prima che scivolino in strade penali, ci sarebbe: il perdono. Il desiderio di vendetta, infatti, può portare soltanto a un’apparente soddisfazione, poiché diversi studi dimostrano che è il perdonare che porta a un maggiore appagamento rispetto alla vendetta. Le persone che scelgono di perdonare sono più consapevoli della fallibilità umana e sono quindi in grado di comprendere le emozioni altrui, mentre la vendetta alimenta, al contrario, emozioni negative difficili da superare. Perdonare richiede da un lato una liberazione dal dolore che si prova per il danno subito, dall’altro è un processo interiore che richiede tempo e rispetto per i propri sentimenti, ma che alla fine può condurre anche a un riavvicinamento con la persona che ha causato il danno. In altre parole, è una gestione costruttiva del rancore e del comportamento vendicativo (Carella, 2018). Eppure, se fosse davvero così semplice innescare il processo psicologico del perdono, anziché farsi trasportare da logiche rancorose e vendicative, il mondo sarebbe tutt’altro da quello che le cronache quotidiane ci descrivono.
Bibliografia
Carella, V. (2018). Vendetta e psicologia: vendicarsi fa stare bene?, in https://www.centroclinicospp.it.
Fadda, M.L. (2012). Differenze di genere e criminalità, Diritto Penale Contemporaneo.
Grillo, A.A. (2018). Perché vogliamo vendicarci? Un approfondimento sul comportamento vendicativo, in www.fisppsicologia.it.
Searles, H. (1996). La psicodinamica della vendicatività. In Rabbia e vendicatività, Bollati e Boringhieri, Torino.
Socarides, W.C. (1996).La vendicatività: il desiderio di “pareggiare i conti”. In Rabbia e vendicatività, Bollati e Boringhieri, Torino.
Dr. Francesco Pisani
Medico Chirurgo; Specialista in Medicina Generale e di Famiglia.
Specialista in Dietologia e Nutrizione clinica.
Specializzando in Anestesia e Rianimazione,
Terapia Intensiva e del Dolore,
Potenza
Abstract
Una gran quantità di evidenze scientifiche sta gettando nuova luce sulla relazione tra corpo umano ed il super-organismo simbionte ospitato nel suo intestino, sia in condizioni di salute che di patologia esistente. Esso gioca un ruolo centrale nel complesso meccanismo di funzionamento dell’organismo umano: contribuisce allo sviluppo del sistema immunitario, al ricavo energetico supplementare a partire da carboidrati complessi indigeribili, così come ha un ruolo sempre più emergente in diverse patologie, come insufficienza renale cronica (CKD), obesità, diabete e malattie cardiovascolari (CVD), che mostrano una disbiosi, ossia una disregolazione morfologica e funzionale del microbiota. Il legame molecolare di tutto questo è il metabolismo microbiotale: prevalentemente suddiviso in via proteolitica e saccarolitica, la salute si ha quando è maggiormente shiftato verso la seconda, infatti questa favorisce il rilascio di acidi grassi a catena corta (SCFA), con azione immunomodulante, antinfiammatoria e genericamente benefica. Viceversa la via proteolitica è associata al rilascio di metaboliti tossici, p-cresilsolfato (p-CS) e inndossilsolfato (IS), normalmente escreti dai reni, emergenti come principali tossine uremiche, accumulate nel sangue quando la funzionalità renale si riduce, come in CKD (dove sono riconosciuti come promotori flogistici), complicanze cardiovascolari e patologie progressive.
I β – glucani dell’orzo riducono il p-cresilsolfato, promuovono uno shift saccarolitico nel metabolismo del microbiota intestinale, migliorando la funzionalità cardiovascolare e renale in soggetti in salute.
Le strade della salute passano sempre più dalla via dell’alimentazione, ma servono piani economici e finanziamenti per sviluppare un settore che può diventare strategico. La nutraceutica è la nuova frontiera della ricerca scientifica, nonché una scienza interdisciplinare, che fa dell’applicazione clinica e pre-clinica il suo punto di forza. Scopriamo di cosa si tratta…
I nutraceutici sono sostanze normalmente derivate da piante, alimenti e fonti microbiche, che possono essere assunte sia sotto forma di alimento “naturalmente nutraceutico” sia di alimento “arricchito” di uno specifico principio attivo. E’ possibile assumerli anche sotto forma di integratori alimentari in formulazioni liquide, compresse o capsule.
La sedentarietà tipica del Mondo Occidentale nei giorni nostri, l’evidenza scientifica circa il ruolo della dieta sull’incidenza di patologie cardine nella mortalità nei Paesi industrializzati (accidenti cardiovascolari e neurovascolari, malattia renale cronica, diabete, tumore), hanno contribuito a consentire lo sviluppo dei FunctionalFoods: essi hanno la capacità, scientificamente testata, di influire positivamente su una o più funzioni fisiologiche, preservando o migliorando lo stato di salute, e riducendo il rischio delle malattie suddette.
La Fibra Alimentare ha assunto un ruolo di rilievo nella dietoterapia; essa compone strutturalmente gli alimenti di origine vegetale, è priva di un valore energetico-nutrizionale significativo, perché costituita da carboidrati complessi, quindi non digeribili. Consiste principalmente in due tipologie: solubile ed insolubile. La prima è principalmente presente negli ortaggi a foglia verde, con effetto drenante e pro-cinetico, senza influenza alcuna sul metabolismo lipo-glucidico. La seconda, di particolare interesse per lo studio che sto per andare a spiegare, è presente principalmente in frutta e verdura, legumi, cereali, quindi nelle farine, alle quali oggi è rivolto grande interesse, come vettori di nutraceutici, per il loro uso plastico e diffuso in tutto il mondo.
Avena ed orzo soprattutto, sia naturalmente, che nella formulazione arricchita in β-glucano, presentano una spiccata azione ipocolesterolemizzante, ipoglicemizzante ed antinfiammatorio-antiedemigena.
Per queste sue proprietà, prestiamo attenzione a questa interessantissima fibra alimentare solubile, il β-glucanoche fa ben sperare nel presente e nel futuro nella ricerca medico-scientifica, per le sue applicazioni nella prevenzione e (forse) nella cura di aterosclerosi e malattia renale cronica.
Ma prima, analizziamo insieme come e dove si estrinseca la sua azione: concentrata essenzialmente sul sistema gastro-enterico, essa si sviluppa contemporaneamente su più livelli: nello stomaco e piccolo intestino (tenue), assorbe acqua, grazie alla sua elevata idratabilità, formando una sostanza gelatinosa che aumenta il volume del contenuto gastrico, con senso di sazietà più precoce e svuotamento gastrico più ritardato; conseguentemente, a livello del tenue, l’assorbimento dei macronutrienti viene dilazionato nel tempo, per effetto del rallentato svuotamento gastrico e della viscosità della fibra, quando a contatto con acqua, che “sequestra” nutrienti, rallentando l’azione digestiva degli enzimi litici del pancreas.
A livello gastro-endocrino (pancreas endocrino, esocrino, fegato, tessuto adiposo), il β-glucanocontiene il picco-insulinico post-prandiale e stimola la produzione di leptina (l’ormone della sazietà), a livello adipocitico, potenziando il senso di sazietà generato dalla maggiore volumizzazione gastrica post-prandiale e dal ritardato svuotamento. Inoltre lega gli acidi biliari (prodotti dal fegato, e deputati nell’emulsionamento, quindi assorbimento dei grassi) neutralizzandoli, ed inibendo così l’assorbimento di grassi, eliminati tramite le feci.
Infine, agisce a livello del grande intestino (crasso), tramite la sua tendenza alla fermentescibilità parziale o totale, da parte della flora batterica ivi presente; questo garantisce una selezione della popolazione batterica, in senso positivo, garantendo un microbiota qualitativamente migliore di chi non assume β-glucano (motivo per cui quest’ultimo è da considerarsi anche come pre-biotico).
Chiarito la sua azione a livello del nostro organismo, condividerò nella maniera più semplice e chiara possibile, i contenuti di uno studio, da me condotto insieme alle equipe della U.O.C. di Cardiologia e di Nefrologia del Policlinico di Bari, e portato come Tesi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, nel Dicembre del 2017.
E’ uno studio di coorte, in cui sono stati reclutati, 28 soggetti in salute e onnivori, tra i 30 e 70 anni, BMI tra il 18.5 e 24.9, ai quali veniva somministrata giornalmente, per 60 giorni, una quantità di 100 g di pasta, a base di farina d’orzo arricchita conβ-glucano, per un equivalente di 3 g/die.
Al tempo T0 (visita preliminare al trattamento) e T1 (visita a posteriori), sono stati rilevati parametri antropometrici (altezza, peso, BMI), entità della vasodilatazione (tramite la valutazione della vasodilatazione flusso-mediata nella arteria brachiale), analizzati campioni ematici per la valutazione dell’andamento di colesterolo totale, colesterolo – LDL, colesterolo – HDL, emoglobina glicata – HbA1C, glicemia, stress ossidativo (tramite l’analisi dei livelli sierici di 8 – ossi – D – glucosio) e pentrassina 3 (PTX 3), nonché di cresolo ed indolo, marcatori precoci di malattia renale cronica; sono stati analizzati anche campioni fecali, con lo scopo di individuare i livello di SCFA e MCFA (acidi grassi a catena corta e media)
Dalla correlazione dei parametri sopraelencati, tra T0 e T1, abbiamo rilevato:
riduzione di colesterolo totale e colesterolo – LDL, invariato il colesterolo – HDL;
aumentati SCFA e MCFA;
ridotti cresolo (p-CS) ed indolo (IS);
aumentata la vasodilatazione flusso-mediata (FMD);
aumentala pentrassina 3 (PTX 3);
aumentata la glicemia, HbA1c, e 8-ossi-D-glucosio.
Come abbiamo interpretato queste correlazioni?
In questo studio abbiamo dimostrato come un trattamento dietetico della durata di due mesi, fornendo un apporto quotidiano di 3 g di beta-glucano, presenta effetti ipercolesterolemizzanti, promuove un cambiamento saccarolitico nel metabolismo della flora batterica intestinale, migliora la funzione dell’endotelio vascolare, in una coorte di soggetti sani. L’intervento dietetico infatti, modula il pannello di marcatori metabolici microbiotali, diminuendo i livelli sierici di cresolo e indolo, aumentando la concentrazione fecale di SCFA, migliorando la funzionalità endoteliale vascolare, mediante un incremento della vasodilatazione flusso-mediata.
Partendo da una preliminare conoscenza sull’azione ipocolesterolemizzante del beta-glucano, abbiamo focalizzato l’attenzione sulla sua azione a livello del metabolismo microbiotale intestinale; il microbiota intestinale, la più grande comunità simbionte dell’organismo umano, sta emergendo come giocatore fondamentale nel rapporto tra lo stile di vita e la salute, facendo sì che possa essere considerato come il secondo cervello nel nostro organismo. Infatti presenta una complessità paragonabile alle reti neurali: più di 160 specie batteriche e virali diverse, 10 volte il bagaglio cellulare umano, 100 volte la quantità di DNA umano. Al di là di svolgere attività locali attraverso la digestione, esercita un ruolo fondamentale in molteplici funzioni metaboliche ed immunitarie. Si stanno accumulando sempre più evidenze secondo cui una sua disfunzione (disbiosi), correli con diverse patologie, quali malattia renale cronica, diabete, malattia cardiovascolare e neurovascolare, e malattie infiammatorie intestinali come Crohn e RCU.
Il lato interessante ed incoraggiante di queste evidenze è che è possibile agire sul microbiota semplicemente controllando il suo “carburante”, tramite la cura della alimentazione. Infatti, nonostante la composizione microbiotale sia individuo-specifica ed abbastanza costante nel corso della vita, essa è in possesso di una plasticità notevole, a seconda della composizione della dieta del singolo individuo; il cibo quindi sta emergendo come pressore selettivo del microbiota.
Come il microbiota agisce su organi e apparati dell’organismo umano, influenzandone lo stato di salute/malattia?
Dopo l’ingestione di cibo, una frazione di carboidrati, sia digeribile che le cosiddette indigeribili “fibre prebiotiche”, sfugge a digestione ed assorbimento nel piccolo intestino e raggiunge il grande, dove rappresenta un substrato per i microbi della flora che, dal catabolismo di tali sostanze indigeribili, rilasciano acidi grassi a catena corta e media (SCFA e MCFA). La quasi totalità dei SCFA sono rapidamente assorbiti dal colon, stimolando l’assorbimento di acqua e sodio, riducendo il carico osmotico e contribuendo ad un 5-10 % del fabbisogno energetico medio umano. Essi influenzano anche il metabolismo glucidico (inibendo la gluconeogenesi, aumentando la glicogenolisi), quello lipidico (riducendo la sintesi di colesterolo endogeno). Agiscono sul pHendoluminale a livello dei vili intestinali, aumentando l’assorbimento di sali minerali, esercitano azione anti-infiammatoria riducendo citochine pro-infiammatorie (interferone, TNF-α), inducono la produzione di i-NOS (con effetti pro-dilatatori ed antiaggreganti).
SCFA e MCFA agiscono anche limitando la proliferazione dei cosiddetti batteri proteolitici a livello microbiotale, inibendo lo shift del metabolismo microbiotale verso la via proteolitica e putrefattiva, riducendo così la produzione di cresolo ed indolo, considerate tossine uremiche, perché marker di predizione precoce di malattia renale cronica (sono i primi ad aumentare nella malattia renale cronica, quando ancora non ci sono effetti sulla funzionalità renale), oltre che correlati ad una peggiore prognosi (non eliminabili tramite dialisi).
Alla luce di queste evidenze, tali risultati indicano come una riduzione di tossine uremiche (cresolo e indolo) ed un miglioramento di vasodilatazione flusso-mediata (FMD), suggeriscano un comune meccanismo di base, degno di essere ulteriormente approfondito.
Inoltre, come già detto, si è osservato un aumento della pentrassina 3 (PTX 3), una proteina dell’immunità innata, di recente interesse come fattore protettivo cardiovascolare, in quanto anti-aterogena; questa evidenza va a potenziare la forza cardioprotettiva del β-glucano, già evidente con l’effetto pro-dilatatorio (si ricordi che lo shift dell’equilibrio vasodilatazione/vasocostrizione verso la seconda, è il primummovens di aterosclerosi).
L’intervento dietetico tuttavia, ha anche esercitato effetti inattesi: a differenza di quanto emerso in precedenti studi sul β-glucano, abbiamo osservato una tendenza verso l’induzione del metabolismo glicemico: infatti glicemia e HbA1c sono leggermente aumentati dopo il trattamento, pur restando nel range di normalità. Tale aumento ha coinvolto anche un marker di stress ossidativo, 8-ossi-D-glucosio. Recenti studi testimoniano, in parallelo alle succitate azioni benefiche degli SCFA, anche un ruolo sistemico come regolatori dell’omeostasi energetica umana, ed un ruolo presuntivo nell’indurre l’insulino-resistenza.
Tuttavia, tornando al nostro studio occorre precisare che: l’intervento dietetico è stato condotto in soggetti sani, non in presenza di uno stato di disbiosi intestinale che necessitava di essere riequilibrato con un trattamento pre-biotico; glicemia ed emoglobina glicata post-intervento, seppur al di sopra della norma, sono molto lontani da uno stato di pre-diabete. Per queste ragioni posso confermare che la dose raccomandata di 3 g/die di beta glucano per due mesi in soggetti sani, esercita un effetto totalmente salutare, senza implicazioni patologiche. Tuttavia non possiamo capire quale sia l’effetto del beta-glucano a dosi superiori, né di dedurre cosa accadrebbe, alla stessa dose in un soggetto affetto da diabete e/o obesità, ove uno stato di disbiosi è sempre presente.
Concludendo, questo rafforza la seguente considerazione: un eccesso alimentare di una singola componente non è sempre utile, anzi spesso risulta dannoso, anche se si tratta di un alimento promuovente la salute. Questo risultato deve essere sostenuto ed ulteriormente investigato da altri studi, possibilmente finalizzato alla definizione di una soglia, che definisca un approccio intelligente all’equilibrio tra effetti prebiotici/benefici ed una azione di promozione dell’insulino-resistenza.
Dott. Carmelo Giuffrida
Dottore in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate.
Docente incaricato all’insegnamento di “Attività Fisica Adattata” presso
il Master Universitario di I° Livello in “Posturologia Clinica e Scienze dell’Esercizio Fisico”,
Università degli Studi di Catania
Sintesi
La disfunzione del pavimento pelvico coinvolge l’attività o la funzione anomala esercitata dai muscoli che costituiscono la regione pelvica. Si riferisce a un’ampia costellazione di sintomi e cambiamenti anatomici correlati alla funzione anormale della muscolatura del pavimento pelvico.
L’Attività Fisica Adattata (A.F.A.) è fortemente efficace sulle disfunzioni pelvi-perineali poiché contrasta l’ipocinesia, consente di cambiare lo stile di vita correggendo le anomalie e i vizi, permette di migliorare la qualità della vita, incrementa l’autonomia personale. In realtà, assume tono di importante mezzo per la prevenzione di patologie e mantenere un buono stato di salute. Rappresenta il trattamento più idoneo nell’ambito delle disfunzioni perineali quando, ormai, è stata superata la fase acuta e non si necessita della prescrizione di un trattamento in specifico ambiente sanitario.
Abstract
Gli aspetti clinici della disfunzione del pavimento pelvico possono essere urologici, ginecologici o colorettali e, frequentemente, sono correlati.
Il pavimento pelvico è una combinazione mio-fasciale multipla con inserzioni legamentose che creano una cupola diaframmatica attraverso l’uscita pelvica ossea. Questo complesso si estende anteriormente, dal pube al sacro/coccige nella regione posteriore; bilateralmente si colloca in corrispondenza delle tuberosità ischiatiche.
La maggioranza della muscolatura pelvica è costituita dall’elevatore dell’ano.
I muscoli del pavimento pelvico svolgono diverse funzioni:
Supportano gli organi pelvici e il contenuto intra-addominale;
Coadiuvano la continenza di urina e feci;
Contribuiscono alle funzioni sessuali dell’eccitazione e dell’orgasmo.
Un’ampia varietà di condizioni è attribuibile alla disfunzione del pavimento pelvico a causa di ipertonicità, ipotonicità, perdita del supporto pelvico o preoccupazioni contrastanti.
Le emorroidi rappresentano una costituente considerevole dell’Anatomia e nella Fisiologia del canale anale.
Quando il tessuto emorroidario si manifesta attraverso varie sintomatologie che vanno dal sanguinamento, al prolasso e al dolore, si determina la malattia emorroidaria. Tale condizione gastro-intestinale patologica è mastodonticamente frequente e, la maggior quantità delle persone, ad un certo momento della propria vita, ne viene interessata.
I fattori che contribuiscono all’aumento dell’incidenza di emorroidi sintomatiche, nella multifattorialità, includono le predisposizioni individuali (familiarità), fattori alimentari, condizioni che indeboliscono il tessuto di supporto come l’incremento della pressione intra-addominale, condizioni ormonali connessi alla gravidanza e gli sforzi per sollevamenti di carichi meccanici, componenti psicologiche.
Sebbene il numero di persone che utilizza con regolarità l’attività fisica per ottenere benessere rimane troppo basso, il movimento svolge un ruolo determinante per la salute dell’essere umano tanto sull’efficienza del corpo quanto quello psicologico.
In pratica, quando il soggetto ha ormai stabilizzato la sua patologia, nella fase di mantenimento o come trattamento preventivo nei casi a maggiore rischio, o se si è instaurata una cronicità della patologia, l’Attività Fisica Adattata (A.F.A.) fornisce un valido aiuto.
La salute del pavimento pelvico è di fondamentale importanza per l’intera durata della vita!
Abstract
Clinicalaspects of pelvicfloordysfunction can be urological, gynecological, or colorectal, and are frequentlyrelated. The pelvicflooris a multiple myofascial combination with ligamentousinsertionsthat create a diaphragmatic dome through the pelvic bone exit.
This complex extendsanteriorly, from the pubis to the sacrum/coccyx in the posteriorregion; bilaterallyitisplaced in correspondence of the ischialtuberosities. The majority of the pelvicmusculatureconsists of the anus lift. Pelvicfloormusclesperformseveralfunctions:
They support the pelvicorgans and intra-abdominalcontent;
Assist in the continence of urine and faeces;
Theycontribute to the sexual functions of arousal and orgasm.
A wide variety of conditions isattributable to dysfunction of the pelvicfloor due to hypertonicity, hypotonicity, loss of pelvic support or conflictingconcerns. Hemorrhoidsrepresent a considerableconstituent of the Anatomy and Physiology of the anal canal. Whenhemorrhoidaltissuemanifestsitselfthroughvarioussymptomatologyranging from bleeding, to prolapse and pain, hemorrhoidal disease isdetermined.
Factors contributing to the increase in the incidence of symptomatichemorrhoids, in multifactoriality, include individualpredispositions (familiarity), dietary factors, conditions thatweaken the supporting tissuesuchasincreased intra-pressure abdominal, hormonal conditions related to pregnancy and efforts to lift mechanicalloads, psychologicalcomponents. Although the number of peoplewhoregularly use physical activity to achievewell-beingremainstoo low, movementplays a decisive role for the health of the human beingboth on the efficiency of the body and psychological.
Although the number of peoplewhoregularly use physical activity to achievewell-beingremainstoo low, movementplays a decisive role for the health of the human beingboth on the efficiency of the body and psychological.
In practice, when the subject hasnowstabilizedhispathology, in the maintenance phase or as apreventive treatment in casesatgreater risk, or if a chronicity of the pathologyhasestablished, the Adapted Physical Activity (A.F.A.) providesvaluable help.
The health of the pelvicflooris of paramountimportance for the entirelifespan!
La disfunzione del pavimento pelvico coinvolge l’attività o la funzione anomala esercitata dai muscoli che costituiscono la regione pelvica. Si riferisce a un’ampia costellazione di sintomi e cambiamenti anatomici correlati alla funzione anormale della muscolatura del pavimento pelvico.
Nel complesso, si evidenza il ruolo del team inter-multi-professionale e pluri-disciplinare, sia nella valutazione che nella gestione dei soggetti che mostrano disfunzionalità.
La funzione disordinata corrisponde all’aumento dell’attività (ipertonicità) o alla diminuzione dell’attività (ipotonicità) o alla coordinazione inappropriata dei muscoli del pavimento pelvico.
Le alterazioni relative al supporto degli organi pelvici sono note come “prolasso degli organi pelvici”.
Gli aspetti clinici della disfunzione del pavimento pelvico possono essere urologici, ginecologici o colorettali e, frequentemente, sono correlati.
Un altro metodo per compartimentalizzarne gli elementi è quello di localizzarne le regioni anatomiche:
– anteriore: uretra/vescica,
– media: vagina/utero,
– posteriore: ano/retto.
Anatomia
Il pavimento pelvico è una combinazione mio-fasciale multipla con inserzioni legamentose che creano una cupola diaframmatica attraverso l’uscita pelvica ossea. Questo complesso si estende anteriormente, dal pube al sacro/coccige nella regione posteriore; bilateralmente si colloca in corrispondenza delle tuberosità ischiatiche.
La maggioranza della muscolatura pelvica è costituita dall’elevatore dell’ano. Didatticamente, questo muscolo si suddivide in:
– pubo-rettale, avvolgendosi come un’imbragatura attorno alla giunzione anorettale, accentua l’angolo anorettale durante la contrazione e fornisce un contributo primario alla continenza fecale.
– pubo-coccigeo, rappresenta la componente più mediale che si separa; modella lo iato dell’elevatore con aperture per l’uretra, la vagina (femmine) e l’ano.
– ileo-coccigeo.
L’elevazione e il supporto degli organi pelvici sono associati a questi ultimi due fasci muscolari.
I muscoli bulbo-spongioso e ischiocavernoso sono i principali contributori alla porzione superficiale del pavimento pelvico anteriore.
La muscolatura più superficiale del pavimento pelvico posteriore costituisce lo sfintere anale esterno.
I muscoli perineali trasversali attraversano la porzione mediana dell’aspetto superficiale del pavimento pelvico e si fondono con i muscoli bulbo-spongiosi e lo sfintere anale esterno come corpo perineale.
L’apporto nervoso alle strutture del pavimento pelvico deriva essenzialmente dai nervi sacrali S3 e S4 come il nervo pudendo.
L’afflusso di sangue predominante è derivato dai rami parietali dell’arteria iliaca interna.
Funzioni
I muscoli del pavimento pelvico hanno diverse funzioni:
Supporto degli organi pelvici:
– vescica, uretra, prostata (maschi),
– vagina e utero (femmine),
– ano e retto (entrambi i sessi);
Supporto generale del contenuto intra-addominale;
Coadiuvare la continenza di urina e feci;
Contribuire alle funzioni sessuali dell’eccitazione e dell’orgasmo.
Condizioni
Un’ampia varietà di condizioni è attribuibile alla disfunzione del pavimento pelvico a causa di ipertonicità, ipotonicità, perdita del supporto pelvico o preoccupazioni contrastanti. I vari aspetti sono:
Urologico
Minzione difficile: esitazione, ritardo nel flusso urinario;
Cistocele: rigonfiamento o ernia della vescica nella vagina (anteriore);
Uretrocele (prolasso uretrale): rigonfiamento dell’uretra nella vagina (anteriore);
Incontinenza urinaria: fuoriuscita involontaria di urina.
Ginecologico
Dispareunia: dolore con o dopo un rapporto sessuale;
Prolasso uterino: ernia dell’utero attraverso la vagina oltre l’introito;
Prolasso vaginale: ernia dell’apice vaginale oltre l’introito;
Enterocele: rigonfiamento o ernia dell’intestino nella vagina (apicale/posteriore);
Rettocele: rigonfiamento o ernia del retto nella vagina (posteriore).
Colorettale
Costipazione: contrazione paradossale o inadeguato rilassamento dei muscoli del pavimento pelvico durante la tentata defecazione (defecazione dissinergica);
Incontinenza fecale: fuoriuscita involontaria di feci (non correlata alla rottura dello sfintere).
Prolasso rettale: invaginazione del retto oltre il margine anale (Procedentia) o prossimale all’ano (Occulto).
Generale
Dolore pelvico: dolore cronico che dura da tre a sei mesi, non correlato ad altre condizioni definite.
Spasmo dell’elevatore dell’ano: altro termine per il dolore pelvico cronico correlato alla muscolatura dell’elevatore dell’ano.
Proctalgia fugax: dolore spastico fugace, correlato alla muscolatura dell’elevatore dell’ano.
Discesa perineale: rigonfiamento del perineo al di sotto dell’uscita pelvica ossea.
Emorroidi e patologia emorroidaria
Le emorroidi rappresentano una costituente considerevole dell’Anatomia e nella Fisiologia del canale anale.Sono varicosità delle vene del plesso venoso emorroidario deputate alle funzioni di continenza e di evacuazione. Vengono definite come ectasie di uno o più rami dei plessi venosi emorroidari o, piuttosto, come un tessuto spugnoso altamente vascolarizzato, sostenuto da connettivo elastico e fibre della muscolatura liscia in cui una fitta rete di capillari arteriosi contrae anastomosi con i plessi venosi tributari delle vene emorroidarie.
L’etiopatogenesi delle emorroidi prevede, essenzialmente, un’alterazione dello strato di supporto fibro-muscolare della sub-mucosa rettale che, degenerando, provoca una dislocazione dei cuscinetti emorroidari dalla loro posizione anatomica normale fino a prolassarsi, con l’aumentare della pressione endoaddominale, durante la defecazione. Il concetto dell’ipertono del canale anale supporta la teoria dello scivolamento della struttura fibro-muscolare anale e giustifica l’uso dei dilatatori anali crio-termici (Dilatan).
Quando il tessuto emorroidario si manifesta attraverso varie sintomatologie che vanno dal sanguinamento, al prolasso e al dolore, si determina la malattia emorroidaria. Tale condizione gastro-intestinale patologica è enormemente frequente e, la maggior quantità delle persone, ad un certo momento della propria vita, ne viene interessata. I fattori che contribuiscono all’aumento dell’incidenza di emorroidi sintomatiche, nella multifattorialità, includono le predisposizioni individuali (familiarità), fattori alimentari, condizioni che indeboliscono il tessuto di supporto come l’incremento della pressione intra-addominale, condizioni ormonali connessi alla gravidanza e gli sforzi per sollevamenti di carichi meccanici, componenti psicologiche. Entrambi i sessi riportano il picco di incidenza dall’età di 45 a 65 anni. In particolare, i caucasici sono colpiti più frequentemente degli afroamericani e uno status socioeconomico più elevato è associato a una maggiore prevalenza[1]. Pertanto, la malattia emorroidaria sintomatica, nonostante la sua prevalenza e bassa morbilità, è uno dei disturbi più diffusi associati a un impatto significativo sulla qualità della vita. Le opzioni di gestione per tale patologia vanno dalle misure conservative a una varietà di procedure ambulatoriali e chirurgiche.
Chi accede all’ambulatorio proctologico, il più delle volte, è convinto che i disturbi anali siano dovuti alle emorroidi e non si considerano molte altre malattie, sia benigne che maligne, riguardanti l’ano, il retto e il colon con sintomi del tutto sovrapponibili.
Tra l’altro, non sempre viene rispettata la gerarchia che, dalla prevenzione in poi, dovrebbe interessare:
una visita da parte del Medico di Medicina Generale (1° livello);
la visita dello Specialista – Chirurgo generale o Gastroenterologo (2° livello),
la visita dello Specialista Chirurgo coloproctologo, colo-rettale, o di un Esperto di patologie pelvi-perineali (3° livello);
l’eventuale intervento per il recupero funzionale in ambiente specializzato se ricorre uno stato di patologia acuta (ambulatorio di Fisiokinesiterapia) o, se presente una stabilità o cronicità della patologia, il ricorso allo Specialista Chinesiologo Clinico per la somministrazione di uno specifico piano di trattamento con Attività Fisica Adattata (A.F.A.).
Fermo restando che la cultura personale dovrebbe essere in grado di fare abbattere i falsi pudori, l’argomento dovrebbe essere affrontato con serenità.
Il dolore non è il principale sintomo della malattia emorroidaria, poiché, contrariamente all’opinione diffusa, la principale sintomatologia è fornita dal sanguinamento (“emo-reo”, sangue che scorre). Le cause maggiormente frequenti di ematochezia sono benigne e, nella maggioranza dei casi, il trattamento è possibile tramite terapia farmacologica o ambulatoriale. L’ematochezia, sebbene sia un fenomeno isolato, non va sottostimato, soprattutto nei soggetti a rischio, per escludere il cancro colorettale.
L’esclusione di neoplasie è l’elemento imprescindibile e fondamentale nella gestione di sintomatologie anali.
Anatomia e Fisiopatologia delle emorroidi
Le emorroidi sono gruppi di tessuti vascolari, muscoli lisci e tessuti connettivi, che si trovano lungo il canale anale in tre colonne:
posizione laterale sinistra;
posizione anteriore destra;
posizione posteriore destra.
Le emorroidi sono universalmente presenti negli individui sani come cuscini che circondano le anastomosi tra l’arteria rettale superiore e le vene rettali superiore, media e inferiore. Tuttavia, il termine “emorroide” viene comunemente utilizzato per indicare il processo patologico della malattia emorroidaria sintomatica invece di denotare la normale struttura anatomica.
La classificazione di un’emorroide corrisponde alla sua posizione rispetto alla linea dentata.Le emorroidi esterne si localizzano distalmente alla linea pettinea; la componente interna è prossimale.[2][3][4]
Le emorroidi esterne si trovano al di sotto della linea dentata e si sviluppano dall’ectoderma a livello embrionale. Sono ricoperti da anoderma, composto da epitelio squamoso, e sono innervati da nervi somatici che forniscono la pelle perianale in grado di produrre dolore. I deflussi vascolari delle emorroidi esterne avvengono attraverso le vene rettali inferiori nei vasi pudendo e, perciò, nelle vene iliache interne.
Tipicamente, i sintomi correlati alle emorroidi esterne includono discomfort con senso di pesantezza anale, dolore quando è presente trombosi e prurito legato alla difficoltà ad ottenere una adeguata igiene perianale per la concomitante presenza di marische.
Le emorroidi interne, al contrario, si trovano sopra la linea dentata e derivano dall’endoderma. Sono ricoperti da epitelio colonnare innervato da fibre nervose viscerali e, quindi, non possono causare dolore. I deflussi vascolari delle emorroidi interne comprendono le vene rettali medie e superiori che, successivamente, drenano nei vasi iliaci interni.
Le emorroidi interne si presentano con rettorragia in assenza di dolore, prolasso, perdite di mucose e senso di evacuazione incompleta.
Le emorroidi interne vengono stratificate in base alla gravità del prolasso in 4 gradi (schema classificativo di Parks):
le emorroidi interne di primo grado, sono ubicate all’interno del canale anale e, conseguentemente, sono visibili solo tramite esame anoscopico. Quindi, non sono prolassate fuori dal canale, caratterizzate da una vascolarizzazione prominente, generalmente indolori al punto che il soggetto si rende conto della patologia solo per effetto del sanguinamento.
le emorroidi di secondo grado, prolassate al di fuori del canale durante i movimenti intestinali o lo sforzo dell’atto defecatorio per rientrare spontaneamente; si associano a sanguinamento e a fastidio anale.
le emorroidi di terzo grado,prolassano persistentemente all’esterno del canale analee richiedono una riduzione manuale per il riposizionamento all’interno del canale.
le emorroidi di quarto grado sono irriducibili e, nonessendo riposizionabili all’interno del canale, lamucosa anale permane costantemente al di fuori della rima anale nonostante i tentativi di normalizzazione con la manipolazione.
L’esatta fisiopatologia della malattia emorroidaria sintomatica è poco conosciuta. Le teorie sulle emorroidi come varici anorettali sono obsolete, poiché, i soggetti con ipertensione portale e varici non presentano una maggiore incidenza di emorroidi[5]. Attualmente è più accreditata la teoria del rivestimento scorrevole del canale anale; questa teoria propone che le emorroidi si manifestino quando i tessuti di supporto dei cuscinetti anali si deteriorano. Si ritiene che l’incremento dell’età, un’attività di intensi sollevamenti di carichi meccanici, lo sforzo derivante dalla defecazione associato a una prolungata seduta nel water, contribuiscano alla manifestazione del processo.
Le emorroidi rappresentano, pertanto, il termine patologico per descrivere l’anormale spostamento verso il basso dei cuscini anali che causano la dilatazione venosa[6].
All’esame istopatologico, i cambiamenti osservati nei cuscinetti anali includono dilatazione venosa anormale, trombosi vascolare, processo degenerativo nelle fibre di collagene e nei tessuti fibroelastici, distorsione e rottura del muscolo sotto-epiteliale anale. Nei casi più gravi, una reazione infiammatoria prominente che coinvolge la parete vascolare e il tessuto connettivo circostante è stata associata a ulcerazione della mucosa, ischemia e trombosi[7].
Attività Fisica Adattata e disfunzioni pelvi-perineali
Sebbene il numero di persone che utilizza con regolarità l’attività fisica per ottenere benessere rimane troppo basso, il movimento svolge un ruolo determinante per la salute dell’essere umano tanto sull’efficienza del corpo quanto quello psicologico.
L’Attività Fisica Adattata (A.F.A.) dimostra una forte efficacia sulle disfunzioni pelvi-perineali poiché contrasta l’ipocinesia, consente di cambiare lo stile della propria vita correggendo le anomalie e i vizi, permette di migliorare la qualità della vita, incrementa l’autonomia personale. In realtà, diventa un importante mezzo per la prevenzione di patologie consentendo il mantenimento di un buono stato di salute.
In particolare, rappresenta il trattamento più idoneo nell’ambito delle disfunzioni perineali quando, ormai, si è risolta la fase acuta e non si necessita della prescrizione di un trattamento in ambiente sanitario specifico.
In pratica, quando il soggetto ha ormai stabilizzato la sua patologia, nella fase di mantenimento o come trattamento preventivo nei casi a maggiore rischio, o se si è instaurata una cronicità della patologia, l’Attività Fisica Adattata (A.F.A.) fornisce un valido aiuto.
La salute del pavimento pelvico è di fondamentale importanza per l’intera durata della vita!
Piano di trattamentodi “Chinesiologia rieducativa pelvi-perineale per il ri-apprendimento propriocettivo e posturo-cinetico volto al miglioramento dell’endurance muscolare e del corretto coordinamento dell’attività muscolare”[8].
Fattori di inclusione
Stato patologico stabile;
Attività fisica inserita in “INDICAZIONI”;
Considerazione dei processi involutivi dell’età e stato residuo delle capacità fisiche di base;
Capacità di apprendimento di Esercizi Adattati per il miglioramento della compliance specifica e generale;
Capacità di recupero e di controllo, per quanto possibile, del pavimento pelvico e dei muscoli peri-anali.
Disponibilità a lavorare sui parametri metabolici attraverso l’Esercizio Fisico Adattato per migliorare le aspettative della qualità di vita, prevenire gli stati di deficienza funzionale e motoria, migliorare le capacità fisiche di base e, essenzialmente, la resistenza e la forza mio-fasciale generale e, in particolare, il potenziamento del pavimento pelvico, del power house e del corestability addominale.
La “Pianificazione Specialistica per Attività Motoria Preventiva e Adattata (A.M.P.A.) ed Esercizio Fisico Adattato (E.F.A.)”:
– viene indirizzata al piano perineale con ginnastica pelvica,
– generalizzato al recupero delle qualità fisiche di base e delle grandi funzioni organiche,
– utilizza una protezione ergonomica con specifico training del pavimento pelvico associato a presa di coscienza del perineo,
– prevede l’assegnazione di esercizi domiciliari atti a stimolare la componente tonica muscolare e l’endurance, dopo averne appresi i contenuti.
Al fine di raggiungere l’obiettivo primario del recupero della disfunzione pelvi-perineale si consiglia:
la rettificazione delle disfunzioni pelvi-rachidea attraverso la riprogrammazione degli specifici engrammi percettivo-sensoriali e motori,
il riapprendimento propriocettivo e posturo-cinetico,
la rieducazione pelvi-perineale,
l’utilizzo delle tecniche di Attività Fisica Adattata ritenute più idonee.
Una corretta programmazione, la gestione e la somministrazione di protocolli di A.F.A. – Attività Fisica Adattata, condotta in ambiente altamente specializzato, garantisce i soggetti in salute e/o con patologie croniche clinicamente stabilizzate e che presentano una co-morbilità con altre patologie non trasmissibili, impone delle scelte tecniche e tattiche.
Per effetto dei disordini bio-meccanici e per migliorare lo stato di efficienza fisica dell’apparato locomotore, in genere, si consiglia:
tipologia di esercizio: regime aerobico adattato;
intensità: al 70÷80% Fcmax;
durata min/die: Da 35’ a 60’;
frequenza n° sessioni/settimana: 1÷2 esclusivamente in ambiente specializzato (per quanto è possibile); + 3÷4 a domicilio secondo indicazioni personalizzate fornite.
Monitorare con cardiofrequenzimetro in fascia verde: HRmax 80% Fcmax
Per quanto attiene alla regione pelvica -peri-anale:
tipologia di esercizio: Esercizio fisico a carico naturale, contro-resistenza, in regime isotonico, isometrico, auxotonico, per il potenziamento dei principali distretti muscolari del bacino e, con particolare riguardo ai muscoli pelvici e perianali, per lo sviluppo della resistenza e della forza muscolare;
intensità: al 50÷70% Fcmax – 1 RM
durata min/die: 1 ÷ 3 serie da 20÷30 ripet. senza sforzo, pause da 15” a 2’
frequenza n° sessioni/settimana: 1÷2 esclusivamente in ambiente specializzato; + 2÷3 a domicilio secondo indicazioni personalizzate fornite.
Monitorare con cardiofrequenzimetro in fascia verde: HRmax 70% Fcmax
Gli obiettivi da raggiungere devono essere orientati a:
Training Muscolare:
esercizi isotonici per le fibre fasiche (tipo II – fibre bianche – fast twitchfibres): rapide contrazioni massimali del muscolo Pubo-coccigeo per 1÷2 sec., seguite da un periodo di riposo doppio 2÷4 sec. (10÷15 ripetizioni);
esercizi isometrici per le fibre toniche (tipo I – fibre rosse – slow twitchfibres): contrazioni sub-massimali per 4÷5 sec., e riposo doppio 8÷10 sec. prima di eseguire la contrazione successiva (10÷15 ripetizioni). L’intera serie di esercizi va effettuata 3÷5 volte al giorno anche a domicilio.
Ginnastica addominale ipopressiva associata ad esercizi isometrici del pavimento pelvico:
acquisizione della consapevolezza del pavimento pelvico e della capacità di compiere contrazioni e decontrazioni miofasciali (corticalizzazione): si verifica l’interferenza di pattern disfunzionali quali glutei ed adduttori (muscoli agonisti) e addominali e diaframma (muscoli antagonisti), che devono essere inibiti durante l’attività perineale.
Potenziamento dei distretti mio-fasciali del Power house e del Core Stability al fine di realizzare un corsetto muscolare capace di difendere la colonna vertebrale in occasione di sollevamenti (salvaguardando il pavimento pelvico ed evitando sovraccarichi endo-perineali);
Apprendimento della retroversione di bacinoe applicazione ergonomica di corretti schemi motori a situazioni posturali quotidiane;
Apprendimento del tetraritmo respiratorio e distinzione tra respirazione toracica e respirazione diaframmatica;
Svolgimento di specifici esercizi di Attività Fisica Adattata effettuati in retroversione di bacino e con scarico completo dei carichi meccanici, interessanti i muscoli dell’intero sistema pelvico e del piano perineale, finalizzati al recupero della funzionalità;
Esercizi di propriocezione e di equilibrio su piani instabili e pedane elastiche con idonee stimolazioni retro-attive telencefaliche e corticalizzanti per il controllo degli schemi motori;
Prevenire o attenuare i momenti di stimolazione algica utilizzando scarichi meccanici localizzati al pavimento pelvico;
Mantenere una condizione di benessere psico-fisico, svolgendo un serio impatto positivo sulla sfera psichica ed emotiva.
Automatizzazione:
Integrare la contrazione del pavimento pelvico agli sforzi compiuti durante le attività quotidiane: nel tossire, nel sollevare o spostare un peso, scendendo le scale, nel valicare un ostacolo, etc…
Normalizzazione della disfunzione osteoarticolare:
Normalizzazione della disfunzione meccanico-strutturale delle componenti pelviche (la variazione dell’esatto orientamento spaziale delle strutture ossee modifica la tensione mio-fasciale e legamentosa del pavimento pelvico);
Restituire una corretta informazione meccanica normalizzando la disfunzione osteoarticolare senza agire sulla perdita di tono del muscolo elevatore dell’ano, che sarà recuperata (per quanto possibile) tramite la ginnastica perineale;
Rinforzare il pavimento pelvico in forma tonica per mezzo di una sequenza di posture mantenute per 10÷25 sec. in “apnea espiratoria” associata ad una “falsa inspirazione” (contrazione volontaria m. elevatori gabbia toracica);
Generare un’ipopressione con una “falsa inspirazione” o “aspirazione diaframmatica”, ossia, una pressione intraddominale negativa che indurrà una contrazione riflessa (involontaria) della muscolatura perineale, responsabile di incrementare il tono di base.
PREVENZIONE:
Sorveglianza perineale preventiva;
Abbattimento rischi per il pavimento pelvico;
Evitare i sovraccarichi articolari;
Evitare uno stile di vita sedentario e agevolare il ritorno al “lavoro” con un progressivo controllo del pavimento pelvico e del piano perineale (allenamento allo sforzo);
Modificare il proprio stile di vita;
Miglioramento del gesto motorio con ricerca della eliminazione dei momenti lesivi e disfunzionali per ricavarne una migliore economicità ergonomica;
Prevenire o attenuare i momenti di stimolazione algica utilizzando scarichi meccanici localizzati al pavimento pelvico;
Riorganizzazione delle abitudini di vita con adeguato uso di misure protettive ergonomiche in riferimento all’attività quotidiana (work hardening) secondo corretti schemi ergonomici bio-meccanici e biodinamici ed evitando generosi e lunghi periodi di inattività e di astensione dalla regolare attività motoria (aumento del rischio di decondizionamento muscolare);
Esercizi da svolgere a domicilio (insistendo sulla regolarità esecutiva per mantenere nel tempo il benessere raggiunto);
Indicazioni:
Lavoro in ambiente specializzato per la somministrazione di Attività Fisica Adattata (A.F.A.): una÷due volte per settimana individualmente con rapporto One to One (in seguito è possibile inserimento in un mini-gruppo di lavoro).
Lavoro a domicilio: tutti i giorni, come da programmazione e secondo le indicazioni che saranno appositamente fornite, si seguiranno corrette norme motorie ed ergonomiche;
Rivalutazione in follow up facendosi seguire dagli Specialisti che, in équipe, ruotano intorno alla problematica: Chirurgo-Proctologogo, Urologo, Ginecologo, Gastro-Enterologo, … Terapista della Riabilitazione (se ricorre una fase acuta), Chinesiologo Clinico o Dottore in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate (in seno alla cronicità e stabilità), Psicologo, …
Si effettuerà un follow up a circa 12÷16 settimane di distanza dall’inizio del piano di trattamento per verificare se il lavoro somministrato è adeguato secondo gli indicatori di efficacia del protocollo concordato; si creerà un confronto costante con il Chirurgo-Proctologogo, Urologo, Ginecologo, Gastro-Enterologo, … ricercando un costante coordinamento per una prospettiva in team.
La Chinesiologia Rieducativa distrettuale e il percorso chinesiologico è sequenziale.
Ha l’obiettivo di facilitare la presa di coscienza dell’attività muscolare perineale tramite una “corticalizzazione”degli eventi motori di un’area corporea poco rappresentata delle aree primarie corticali, sia motoria che sensitiva.
La PRESA DI COSCIENZA è la fase più delicata dell’intero programma chinesiologico. Perciò, da essa dipende il buon esito del risultato complessivo nel recupero del Pavimento Pelvico e perineale.
La postura di lavoro ideale per lo stretch reflex perineale (riflesso di stiramento del perineo) deve produrre consapevolezza della funzione fisiologica non rilevata coscientemente. È uno strumento percettivo che consente di percepire le attività fisiologiche non apprezzabili a livello cosciente in condizioni normali. Aiuta ad evidenziare l’informazione recettoriale interferendo e migliorando il controllo dell’area con ridotta capacità sensitiva e motoria o di una funzione.
Quando la coscienza zonale migliora e la percezione mio-fasciale è più intensa, l’intervento di tipo chinesiologico permette il mantenimento di una adeguata capacità propriocettiva che riporta allo stato fisiologico.
L’ELIMINAZIONE DELLE SINERGIE AGONISTE ED ANTAGONISTE è indissociabile dalla fase precedente.
Dopo aver preso coscienza dell’esistenza anatomica del perineo e della possibilità di provocare movimenti volontari dei muscoli pelvici (corticalizzazione), si verifica l’interferenza di pattern disfunzionali con i muscoli agonisti quali i glutei e i muscoli adduttori, con i muscoli antagonisti quali gli addominali e il diaframma. Questi complessi muscolari, di fatto, durante l’attività perineale devono essere inibiti.
Nei casi più complessi di inversione del comando è utile ricorrere all’utilizzo di apparecchiature di Biofeedback (ma la competenza spetta ad altre figure professionali).
Se il soggetto è in grado di effettuare una contrazione isolata del muscolo Pubo-Coccigeo si avvia il TRAINING MUSCOLARE del Pavimento Pelvico e perineale individualmente e, successivamente, in mini-gruppi di lavoro.
Questa fase, in realtà, diventa il cardine del trattamento educativo.
Il training agisce sull’elevatore dell’ano, incrementando la forza, la resistenza allo sforzo e la velocità di accorciamento del muscolo. Modificando la sua capacità elastica e di estensibilità si agisce sia sulle fibre slow-toniche che sulle fibre fast-fasiche. Pertanto, il protocollo prevede sia esercizi isotonici che esercizi isometrici.
Gli ESERCIZI ISOTONICI, nella realtà, consistono in rapide contrazioni del muscolo Pubo-Coccigeo, seguite da un periodo di riposo doppio rispetto al periodo di contrazione.
Generalmente, il lavoro si facilita con lo stretch reflex (riflesso miotatico) e la massima resistenza opposta dall’Operatore, poiché, l’attivazione dei motoneuroni fasici richiede il massimo sforzo (massima tensione-massima velocità). L’aumento della contrazione fasica dell’elevatore dell’ano, pertanto, assume importanza nei casi di aumenti della pressione endo-addominale.
Quando i muscoli del pavimento pelvico sono contratti, a seguito di contrattura muscolare per effetto di compressione strutturale mio-fasciale e/o neurologica zonale con conseguente flogosi localizzata, si usa il Reverse Kegel. Cioè, si aumentano i tempi di rilassamento muscolare rispetto alla contrazione (il contrario del tradizionale metodo di Kegel). In pratica, si incrementa la presa di coscienza dei muscoli da contrarre escludendo l’interferenza dei muscoli accessori: glutei, addominali, diaframma e adduttori, per evitare di peggiorare la situazione.
Gli ESERCIZI ISOMETRICI, invece, migliorano la performance delle fibre toniche. Per esattezza, si basano su carichi medi e numerose ripetizioni di ciascuna contrazione intervallata da adeguati periodi di riposo (durata doppia del tempo di contrazione). Si caratterizzano per il mantenimento della contrazione muscolare per almeno 6 secondi, sviluppando una forza compresa tra il 50% e il 75% della forza massimale. Questi esercizi, aumentando il tono di base dell’elevatore dell’ano ne riducono l’affaticabilità migliorandone l’endurance e, di conseguenza, la continenza a riposo.
L’INTEGRAZIONE DELL’ATTIVITÀ MUSCOLARE CON L’ATTIVITÀ DELLA VITA QUOTIDIANA consiste in attività motorie del Pavimento Pelvico e perineale. Vengono usati esercizi che si integrano con la contemporanea attivazione della muscolatura agonista ed antagonista.
In pratica, mimano situazioni tipiche della vita quotidiana sfruttando un alto grado di integrazione corticale per associare o dissociare l’attività dei gruppi muscolari dedicati.
Di fatto, la contrazione perineale deve essere elaborata per poi essere utilizzata sotto forma di impulsi sensoriali o visivi.
Dato che facilita la dissociazione del perineo da altri muscoli (agonisti-antagonisti) assume importanza primaria sia nella presa di coscienza che nel training di rinforzo muscolare.
Questa fase finale non sempre viene raggiunta dall’utenza. In ogni caso, però, deve rappresentare il traguardo del training perineale.
Conclusione
A seguito di un’accurata anamnesi e un’attenta valutazione funzionale, sì programma l’attività da effettuare considerando le capacità fisiche-metaboliche residue, si calibrano i parametri da utilizzare durante l’esecuzione degli esercizi e vengono spiegate le norme comportamentali da intraprendere e mantenere per tutto il periodo di attività. Questi elementi sono basilari per raggiungere gli obiettivi pre-fissati e per mantenere i risultati perseguiti e raggiunti con il proprio percorso individualizzato.
Un’attività fisica improvvisata, non attentamente calibrata e non adeguatamente programmata, può determinare disturbi al pavimento pelvico e restituire risposte anomali come la perdita di feci o di urine, diastasi addominali o prolassi. Tale esito si riscontra, soprattutto, quando si opera con frequenti sollevamenti di pesi, in occasione di salti o di balzi, in improvvise attività in cui si crea un brusco aumento della pressione endo-addominale.
È indispensabile eseguire una corretta meccanica della respirazione coordinando il ritmo dell’atto respiratorio e la ventilazione polmonare durante l’esecuzione degli esercizi.
Per tutelare il pavimento pelvico in tutte le situazioni potenzialmente a rischio, assume importanza fondamentale la presa di coscienza che consente di selezionare la percezione dei muscoli pelvici rispetto ai glutei e alle cosce.
Lo svolgimento di alcuni esercizi interessanti la contrazione e il rilassamento dei muscoli del pavimento pelvico, consente di ottenere il potenziamento dell’intero sistema di sostegno degli organi pelvici.
Una corretta programmazione, la gestione e la somministrazione di protocolli di A.F.A. – Attività Fisica Adattata, condotta in ambiente altamente specializzato, garantisce i soggetti in salute e/o con patologie croniche clinicamente stabilizzate e che presentano una co-morbilità con altre patologie non trasmissibili, impone delle scelte tecniche e tattiche.
Gli obiettivi da raggiungere devono essere orientati a:
Training muscolare, ginnastica addominale ipopressiva associata ad esercizi isometrici del pavimento pelvico, potenziamento dei distretti mio-fasciali del power house e del Core Stability, apprendimento della retroversione di bacino e del tetraritmo respiratorio, propriocezione, benessere psico-fisico, normalizzazione della disfunzione osteoarticolare, prevenzione.
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[8] Protocollo del Prof. Carmelo Giuffrida 2022 studiato secondo parametri e principi della “Chinesiologia Sinergetica” e della “Tensintegrità”.
Nella BPCO è presente una componente psicologica importante ed è compito del supporto psicologico fornire un aiuto al paziente e ai familiari per accettare la diagnosi e conviverci nel miglior modo possibile. Gli interventi prevedono: psicoeducazione per creare la compliance, gruppi di sostegno rivolti ai caregiver e terapia individuale per la gestione dello stress, derivante dalle difficoltà che la malattia comporta.
Abstract
Scopo del presente articolo è quello di valutare l’importanza dell’intervento psicologico nei pazienti affetti da BPCO. L’impatto della malattia sulla sfera psicologica si manifesta con una riduzione della QdV. L’attenzione deve essere posta ai pazienti e ai loro caregiver attraverso interventi che agiscono sull’adattamento alla malattia e sulla ricerca delle risorse personali e sociali per individuare tecniche di risoluzione dei problemi efficaci. La migliore aderenza terapeutica può essere ottenuta grazie a modelli di relazione empatica in uno scambio reciproco che consente al paziente di essere protagonista attivo nella cura.
La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una malattia infiammatoria cronica caratterizzata da persistenti sintomi respiratori e limitazioni al flusso aereo, che è dovuta ad anomalie delle vie aeree e/o alveolari solitamente causate da una significativa esposizione a particelle nocive o gas. I sintomi respiratori più comuni comprendono la dispnea, la tosse e/o produzione di espettorato. Può essere caratterizzata da periodi acuti con peggioramenti dei sintomi respiratori. Il principale fattore di rischio è il fumo di sigaretta inalato, ma contribuiscono anche altre esposizioni ambientali, anomalie genetiche, anomalo sviluppo polmonare e invecchiamento precoce. Può associarsi nella maggior parte dei pazienti a malattie croniche concomitanti, che ne aumentano la mortalità e morbidità. Sulla base delle più recenti Linee Guida Gold, sono disponibili alcuni sistemi di classificazione della gravità della BPCO (Gold, 2019).
La BPCO è un grave problema sanitario in tutto il mondo. La crescita del numero di fumatori e l’aumento del numero degli anziani sono i principali fattori responsabili della maggiore prevalenza della malattia a livello mondiale. Secondo i risultati del terzo National Health and NutritionExamination Survey, l’aspettativa di vita si riduce di 5,8 anni negli uomini di 65 anni con BPCO in stadio GOLD 4 e di altri 3,5 anni se si continua a fumare (Nhanes III, 2009).
La pandemia di Covid-19, inoltre, ha comportato un rischio particolare per le persone affette da BPCO, accentuando alcune criticità e provocando un malessere psicologico generale, generato da paura e vissuti di solitudine.
Essendo una patologia cronica, interferisce negativamente sul benessere mentale dei pazienti che ne sono affetti, determinando l’aumento dei disturbi d’ansia e dell’umore.
Nel 2006 l’American Thoracic Society e l’EuropeanRespiratory Society hanno definito la riabilitazione polmonare come un intervento multidisciplinare rivolto a pazienti affetti da patologie respiratorie croniche per ridurre i sintomi e ottimizzare lo stato funzionale. Il programma è multidisciplinare e include la funzione fisica e psicosociale (ATS/ERS, 2006).
La riabilitazione polmonare è l’insieme degli interventi che si basano sulla valutazione del paziente con terapie personalizzate in grado di migliorare la condizione fisica e psicologica delle persone affette da malattie respiratorie croniche e promuovere l’aderenza a programmi per il benessere del paziente (McCarthy et al.2015).
Questi pazienti sperimentano difficoltà psicologiche, sociali, disfunzione cognitiva e neuropsicologica; di solito diventano ansiosi e spaventati, manifestando ritiro sociale, rabbia, maggiore dipendenza nelle Adl/ Iadl e la paura e l’ansia a loro volta causano più dispnea.
I pazienti non hanno in questo caso solo bisogni fisici ma anche relazionali, richiedendo ascolto, chiarezza, contatto fisico ed emotivo, condivisione e comprensione dei loro stati d’animo. Il supporto psicologico si configura come una risorsa durante l’intero processo della malattia con un approccio centrato sulla persona (Rogers, 1951).
Lo psicologo interviene riconoscendo i bisogni del paziente, aiutandolo nel grande percorso di cambiamento fisico e psicologico che dovrà gestire inevitabilmente con la malattia. L’attività psicologica offre uno spazio protetto, importante per il paziente, in cui riconoscere le difficoltà esistenti e promuovere il processo di adattamento. In questo modo diventa possibile acquisire gli strumenti necessari per affrontare il disagio indotto dalla malattia ed in particolare, permette di apprendere, riconoscere e trattare emozioni negative, pensieri disfunzionali, comportamenti disadattivi e interiorizzare modalità efficaci di problem solving.
Lo stress della gestione della patologia agisce anche sui caregiver, infatti il carico di chi cura può portare la famiglia ad avere livelli elevati di Emotività Espressa che rappresenta un’elevata e intensa risposta emotiva alla situazione (Vaughn, 1988). Alcuni interventi possono aiutare le famiglie a ridare un senso a quello che stanno vivendo e a non sentirsi soli, come ad esempio interventi psicoeducativi per accrescere le conoscenze in merito alla malattiae gruppi di sostegno con l’obiettivo di supportare psicologicamente chi cura, evitando l’isolamento e sostenendo la rimotivazione. Il sostegno psicologico appare particolarmente importante per le famiglie, al fine di mantenere un atteggiamento di fiducia, prendere contatto con le proprie emozioni e dedicarsi del tempo per sestessi.
Per i pazienti con disturbi psicologici gravi è possibile intervenire, con una terapia individuale breve strategica che permette di costruire interventi basati su obiettivi prestabiliti e sulle caratteristiche specifiche del problema utilizzando tecniche flessibili molto efficienti ed efficaci (Watzlawick, Nardone, 1997).
Un importante contributo che consente al paziente di essere messo al centro della cura deriva dal progressivo sviluppo della Medicina Narrativa. La Consensus Conference, promossa dall’Istituto Superiore di Sanità, ha segnato una tappa fondamentale con lo scopo di produrre delle raccomandazioni per lo sviluppo futuro e l’implementazione della NBM. Questa metodologia focalizza l’attenzione sulla persona malata, intesa come soggetto portatore di bisogni psicologici, sociali, esistenziali, documentabili attraverso lo strumento della narrazione (Conferenza di consenso, 2015).
Il miglioramento dello stato di salute, dei sintomi fisici e psicologici e della QdV deriva da un aiuto multidisciplinare che combina interventi medici, psicologici, sociali e la rieducazione dello stile di vita.
Una relazione empatica con il paziente affetto da BPCO in un setting di fiducia e comprensione è un passo in avanti in grado di massimizzare l’efficacia del trattamento terapeutico.
Bibliografia
American Thoracic Society, EuropeanRespiratory. ATS/ERS statement on pulmonaryrehabilitation. Am J RespirCrit Care Med. 2006;173:1390-1413.
Global Strategy for the Diagnosis, Management and Prevention of COPD, Global Iniative for Chronic Obstructive Lung Disease (GOLD) 2019. http://www.goldcopd.org/.
Istituto Superiore di Sanità, CNMR- Centro Nazionale Malattie Rare, Conferenza di Consenso. Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative. I Quaderni di Medicina, Il Sole24Ore Sanità, Allegato al n.7, Milano, 2015.
McCarthy B, Casey D, Devane D, Murphy K, Murphy E, LacasseY. Pulmonaryrehabilitation for chronicobstructivepulmonarydisease. Cochrane DatabaseSyst Rev2015;2(2): CD003793
Rogers,Carl. (1951). Client-CenteredTherapy:ItsCurrent Practice, Implications and Theory. London: Constable.
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Vaughn, C.E. (1988). Introduzione al concetto di emotività espressa, in Atti del Convegno internazionale “Schizofrenia e famiglia: modelli a confronto”. Notizie ARS, 2(3), 6-11.
Watzlawick P., Nardone G. (1997), Terapia breve strategica, Cortina Raffaello, Milano.
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