Rivista del mese

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Che si preferisca l’inverno o l’estate non ha importanza, a nessuno piacciono gli acciacchi e le malattie stagionali.

Le temperature che calano portano inevitabilmente ad alcuni disturbi, dovuti a un abbassamento delle difese immunitarie e una maggiore aggressività di virus e batteri.
Inoltre temperature più basse significano il più delle volte anche una minore aerazione dei locali e una più alta concentrazione di persone in una stessa stanza, e questo comporta che per i virus è molto più semplice viaggiare da un ospite a un altro.

Esistono diversi metodi che permettono la cura, ma anche la prevenzione, tra cui la possibilità di acquistare integratori per il sostegno alle difese immunitarie su alcuni siti come https://www.dulacfarmaceutici.com/it/integratori-difese-immunitarie. Ma vediamo nello specifico quali sono i malanni di stagione più frequenti e in che modo è possibile difendersi.

Malanni di stagione: quali sono i più frequenti

La maggior parte dei malanni di stagione sono quelli che prendono in considerazione le vie respiratorie e che possono più facilmente diffondersi proprio per via aerea.

Questo spiega perché sono malanni tipici di questo periodo, quando più difficilmente si procede con un aerazione dei locali e le persone preferiscono concentrarsi tutte in uno stesso posto, nel loro tempo libero.
I più frequenti, quindi, sono:

Raffreddore, spesso causato da Rhinovirus.
Mal di gola, solitamente causato dallo stesso virus del raffreddore o dallo Streptococcus, un batterio.
Laringite, che colpisce principalmente i bambini.
Bronchite, con tosse, sibili e difficoltà respiratorie.
Influenza, caratterizzata da tosse, febbre, dolori muscolari, mal di gola, naso chiuso e cefalee.

Come proteggersi da questi malanni

La maggior parte delle persone non si preoccupa di proteggersi troppo da questo tipo di malanni, se non coprendosi maggiormente e cercando di restare al caldo.

Il più delle volte, infatti, il loro trattamento consiste nell’assumere farmaci necessari all’attenuazione dei sintomi, una volta che questi compaiono, e nei casi più gravi l’uso di antibiotici.

Ma il trattamento di alcuni malanni dovrebbe passare dalla prevenzione, evitando posti affollati, preoccupandosi della propria igiene (e quindi lavandosi spesso le mani), portando mascherine quando necessario e arieggiando spesso i locali.

Uno dei metodi più efficaci di prevenzione, inoltre, risulta essere l’assunzione di vitamina C tramite alimentazione o, ancora più efficace, integratori.

L’uso di integratori risulta più efficace in quanto permette l’assunzione della giusta quantità di vitamina C, senza rischio di andare in calo, e spesso in associazione ad altre sostanze benefiche che ne facilitano l’assorbimento.

Perché la vitamina C funziona?

La vitamina C è una sostanza che si trova in abbondanza in alcuni alimenti come ad esempio kiwi, carote, agrumi, uva, cavolfiori, verdura a foglia, pomodori, patate e molti altri.

Il vero nome della vitamina C è acido ascorbico ed è stato visto essere un potente antiossidante, in grado perciò di combattere i radicali liberi, sostanze che facilitano il deterioramento cellulare.

Questo comporta che la vitamina C risulta essere estremamente efficace contro l’invecchiamento ma è anche un forte alleato del nostro sistema immunitario, innalzando le sue difese.

Ciò che nello specifico è in grado di fare è:

• Contrastare i danni dei radicali liberi.
• Aiuta a far assorbire il ferro dal corpo.
• Aiuta la produzione di collagene.
• Aiuta il metabolismo di proteine.
• Sostiene il processo di guarigione dalle ferite e riparazione dei tessuti.
• Mantiene in salute ossa, cartilagini e denti.
• Aumenta le difese immunitarie.

In conclusione

Anche chi ama questa stagione sicuramente non apprezza i malanni di stagione, che puntualmente si ripresentano tutti gli anni.

L’arma migliore contro questi è e sarà sempre la prevenzione, applicando alcuni accorgimenti nel quotidiano o assumendo integratori utili al sostegno delle difese immunitarie, come la vitamina C.

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Dott.ssa Annamaria Venere
Sociologa Sanitaria;
Criminologa Forense;
Socio AICIS (Associazione Criminologi per l’Investigazione e la Sicurezza);
Amministratore Unico: AV eventi e formazione, Catania;
Direttore editoriale: Medicalive Magazine;
annamariavenere.it


La detenzione rappresenta, per qualsiasi persona ne venga coinvolta, un evento traumatico, al di là della meritevolezza o meno della pena subita. Questo perché il detenuto, al momento dell’ingresso in carcere, deve per forza di cose abbandonare la quotidianità, il lavoro e le relazioni sociali fino ad allora vissute. La detenzione, però, non comporta un alienamento soltanto dal mondo esterno, ma anche da tutto ciò che ha a che fare con la sfera affettiva, dalle relazioni familiari a quelle sessuali e sentimentali (Ceraudo, 1999).

Poiché, dunque, l’affettività rappresenta un fattore determinante per il benessere psicologico e la riabilitazione dei detenuti, la privazione e la mancanza di contatti con la famiglia o gli amici possono avere un impatto negativo sulla salute mentale e sulla capacità di adattamento a un ambiente spesso ostile e isolante (Maslow, 1997). In Italia, in particolare, la realtà carceraria, nella maggior parte dei casi, è caratterizzata da sovraffollamento, condizioni di vita precarie e una carenza di programmi riabilitativi e di supporto psicologico: questo rende ancora più cruciale l’attenzione alle tematiche affettive e relazionali, al fine di integrarle nel processo di detenzione e riabilitazione del detenuto. Ciò però si scontra con criteri normativi e applicativi spesso di difficile coniugazione con le necessità psicosociali (Manca, 2019).

carcereLa dimensione affettiva: legalità costituzionali e difficoltà applicative In base agli artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione, lo Stato ha il dovere di “assicurare la dignità della persona” anche all’interno dell’istituzione carceraria. Per tale motivo, se con “affetto” intendiamo l’insieme delle componenti relazionali, familiari e sessuali, ne deriva che la tutela della dimensione affettiva è parte integrante della dignità umana (Manca, 2019). Se da un lato, però, tale dimensione è rimarcata all’interno dell’ordinamento penitenziario, ci sono degli ostacoli che impediscono, specie nel contesto italiano, una completa fruizione della sfera affettiva da parte del detenuto, tanto da farne per molti un problema di legalità costituzionale.

Ne emergerebbero, infatti, i presupposti di violazione del principio di legalità delle pene (art. 25 Cost.), della libertà di disporre il proprio corpo (art. 13 Cost.), della violazione del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e, per l’appunto, della dignità personale (art. 2 Cost.) (Purgiotto, 2019). In realtà, integrare la dimensione affettiva, nei canoni sopra espressi, all’interno del carcere non è semplice, sia per la difficile situazione delle carceri italiane, che spesso non permettono la fruizione di adeguati programmi di riabilitazione sociale, che in relazione ad alcuni regimi di detenzione.

Per fare un esempio, si pensi al 41-bis: appare chiaro che in determinate situazioni, la capacità di includere la dimensione affettiva si scontra con con difficoltà oggettive dovute all’isolamento del detenuto (Nestola, 2019). Eppure, le conseguenze, almeno sotto il profilo sociale e psicologico, e quindi non giuridico, sono rilevanti, come dimostrato da numerose ricerche (Maslow, 1947). Effetti negativi della privazione affettiva La privazione delle relazioni affettive nei detenuti (intese sia quelle familiari che quelle sessuali) può essere causa di una serie di difficoltà, tra cui la limitazione degli spazi e delle opportunità di socializzazione, la stigmatizzazione sociale e la solitudine. Ciò induce a una riduzione della qualità della vita e a un aumento dei disturbi psicologici, come ansia, depressione e alterazioni in un contesto già molto instabile e caratterizzato da estraniazione e distacco. In Italia, la situazione è particolarmente critica a causa del sovraffollamento delle carceri, che limita ancora di più gli spazi di socializzazione e di svago, ma anche di intimità sessuale, nonché per programmi di recupero spesso deficitari sotto il profilo dell’efficienza psicosociale (Ceraudo, 1999).

carcereGli effetti della privazione affettiva nei detenuti sono stati affrontati da più autori, come ad esempio Clemmer (1941), che ha individuato tre livelli generali di adeguamento: il livello normale, il quasi-normale e l’anormale. Il livello normale riunisce gli individui che hanno avuto uno sviluppo normale della sfera amorosa e che, una volta inseriti all’interno del carcere, risentono maggiormente della privazione cui sono sottomessi. Per questo, in loro, fa spesso largo un senso di solitudine diffuso che porta a problematiche relazionali. Il quasi-normale e l’anormale, invece, rappresentano quei gruppi di detenuti che hanno pochi o nessuna relazione significativa presente all’esterno del carcere e, pertanto, hanno più capacità di adattarsi, rispetto ai primi, al nuovo contesto di detenzione. In estrema sintesi, tra gli effetti dovuti alla privazione della dimensione affettiva ritroviamo senso di solitudine, accresciuta asocialità, disturbi sessuali, regressione infantile e adolescenziale, nonché presenza di problematiche relazionali.

Per quanto riguarda le famiglie, ad esempio, le modalità con cui esse reagiscono all’arresto di un familiare dipendono essenzialmente da tre componenti: la situazione o l’evento in sé; le risorse della famiglia, la struttura e la flessibilità rispetto ai ruoli; la definizione che la famiglia dà all’evento, se lo ritengono una minaccia o meno per i loro status sociale e i loro obiettivi. Dal momento della detenzione, in altre parole, sia nel detenuto che nei familiari si innesca un processo di riadattamento dei ruoli. Da un lato, questo porta il detenuto ad adattarsi all’esperienza carceraria, dall’altro la famiglia a una redistribuzione dei compiti che, spesso, tendono a escludere lo stesso detenuto, il quale, a sua volta, espiata la pena, avrà considerevole difficoltà per reinserirsi all’interno di quel contesto familiare e sociale di cui faceva parte (Hill, 1949).

Quali possibili miglioramenti? Per affrontare queste difficoltà, riferendoci al contesto italiano, è importante che le istituzioni carcerarie adottino politiche e programmi che favoriscano lo sviluppo e il mantenimento delle relazioni affettive durante il periodo di detenzione. Ad esempio, la promozione di incontri regolari con i familiari, l’organizzazione di attività che favoriscano la socializzazione tra i detenuti, la possibilità di condividere spazi comuni, come biblioteche o palestre e l’offerta di servizi di sostegno psicologico. Tale miglioramento si può ottenere, tuttavia, soltanto con una globale riforma del sistema penitenziario, ancora lontana dal realizzarsi. In Italia, d’altronde, la situazione è carente e la mancanza di programmi a sostegno dell’affettività rappresenta una sfida importante da affrontare, magari implementando i parametri di socializzazione da un lato e, dall’altro, migliorando la privacy dei detenuti per quanto riguarda la componente sessuale (Manca, 2019).

La promozione dell’affettività, in definitiva, può contribuire non solo a migliorare la qualità della vita dei detenuti, ma anche a supportare il loro percorso di riabilitazione e reinserimento nella società e nella propria famiglia, per ritrovarle, magari, come le avevano lasciate prima di entrare in carcere.


Bibliografia

Ceraudo, F. (1999). La sessualità in carcere: aspetti psicologici, comportamentali ed ambientali, in Sofri, A., Ceraudo, F., Ferri battuti, Archimedia, Pisa. Clemmer, D. (1941).

The prison community, The Christopher Publishing House, Boston. Hill, R. (1949).

Families Under Stress, Harper Bros, New York. Manca, V. (2019). Perché occuparsi della questione “affettività” in carcere?,Giurisprudenza Penale, 2, 7-12.

Maslow, A.H. (1947). Deprivation, Threat, and Frustration, in Newcomble, T.M., Hartley, E.L., Reading in Social Psychology, Henry Holt & Co., New York, 1997. Nestola, M. (2019).

Il diritto all’affettività per i detenuti al 41-bis, Giurisprudenza Penale, 2, 159-182. Purgiotto, A. (2019).

La castrazione di un diritto. La negazione della sessualità in carcere come problema di legalità costituzionale, Giurisprudenza Penale, 2, 15-45.

Rivista del mese

 

Dott. Mauro Pavone
UOC Pneumologia –
Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale
e di Alta Specializzazione Garibaldi, Catania

 

 


Abstract

L’ecografia polmonare è una metodica non invasiva ed economicala cui diffusione è cresciuta esponenzialmente nel corso degli ultimi anni, soprattutto nei reparti di emergenze e nei reparti di terapia intensiva. Latecnica ecografica POCUS, acronimo di “Point of Care Ultrasound”, viene eseguita direttamente al letto del paziente consentendo l’interpretazione in tempo reale di dati di imaging ottenuti attraverso lo studio e la ricerca di specifici reperti patologici ricercati sulla base di un quesito clinico. L’ecografia polmonare POCUSconsente di gestire la diagnostica differenziale dell’insufficienza respiratoria acutaattraverso la ricerca e l’identificazione di determinati quadri patologici quali polmonite, edema polmonare acutoe pneumotorace. Altre applicazioni sono rappresentate dalla gestione del versamento pleurico e dal ruolo di guida durante le procedure interventistiche quali toracentesi e biopsie. Nonostante le caratteristiche e le qualità operative, l’ecografia polmonare risulta caratterizzata da limiti tipici legati alla metodica ecografica stessa (operatore-dipendente, qualità della finestra acustica legata alle caratteristiche del paziente).


Introduzione

Le malattie polmonari sono tra le patologie più comuni e più diffuse al mondo. Le metodiche di imaging più comunemente utilizzate per la diagnosi e per il monitoraggio delle patologie polmonari sono la radiografia del torace (RX) e la tomografia assiale computerizzata (TC) del torace, entrambe basate sull’utilizzo di radiazioni ionizzanti.

L’ecografia polmonare (Lung Ultrasound – LUS), è una metodica non invasiva, economica, applicabile al letto del paziente, riproducibile e non gravata dall’utilizzo di radiazioni ionizzanti la cui diffusione è cresciuta esponenzialmente nel corso degli ultimi anni, soprattutto nei reparti di emergenze e nei reparti di terapia intensiva [1-3].

Le prime descrizioni in letteratura dello studio dei versamenti pleurici attraverso la metodica dell’ecografia polmonare risalgono agli anni ‘60 [4]. Per diverso tempo, le applicazioni dell’ecografia polmonare non sono state esplorate per via dell’errata convinzione che la LUS fosse limitata a causa delle proprietà altamente riflettenti dell’aria contenuta nel polmone e pertanto della ritenuta “impossibilità” a studiare il parenchima polmonare.

Negli anni ‘90, con degli studi innovativi, Daniel Lichtenstein ed i suoi collaboratori dimostrarono che gli artefatti ecografici generati dall’incontro del fascio di ultrasuoni con la linea pleurica erano correlabili a patologie pleuriche e parenchimali presenti nei pazienti critici [5-10]. Nella fattispecie, gli artefatti studiati comprendevano la descrizione del fisiologico scivolamento della pleura parietale sulla viscerale (sliding pleurico) e la presenza di linee perpendicolari all’interfaccia pleurica (Linee B) che erano espressione di processi patologici caratterizzati dall’ispessimento dei setti interlobulari e intralobulari. [3,7]. Basandosi su questi risultati Lichtenstein dimostrò che il parenchima polmonare consolidato (privo di aria) era facilmente esplorabile attraverso la LUS, estendendo di fatto le potenziali applicazioni della metodica [11].

Il chiarimento di questi aspetti, determinò negli anni successivi un incremento della diffusione e della pratica della metodica dell’ecografia polmonare  fino ai nostri giorni, dove la LUS rappresenta una metodica routinariamente utilizzata ed indispensabile per la comune pratica clinica degli operatori sanitari.

POCUS, è un acronimo che sta per “Point of Care Ultrasound” una pratica ecografica che viene eseguita direttamente al letto del paziente. Tale approccio consente con estrema immediatezza, ed in real-time, l’interpretazione e l’integrazione clinica dei risultati di imaging ottenuti attraverso lo studio e la ricerca di specifici reperti patologici di interesse. Tale esame risulta complementare all’esame obiettivo del paziente, con la finalità di studiare ed integrare elementi diagnostici per l’interpretazione di eventuali reperti poco chiari.

L’applicazione della metodica POCUS al polmone, può essere utile per sospettare, diagnosticaree gestire diverse patologie polmonari, soprattutto nella patologia respiratoria acuta e nel setting intensivo, in attesa di eseguire eventuali metodiche radiologiche di secondo livello, se necessarie.

Indicazioni ed applicazioni

La LUS è una metodica rapida, ripetibile, eseguibile a letto del paziente, priva di radiazioni che consente di gestire la diagnostica differenziale dell’insufficienza respiratoria acuta, attraverso la ricerca e l’identificazione di determinati quadri patologici quali polmonite, edema polmonare acuto, versamento pleurico e pneumotorace. Inoltre, l’utilizzo del protocollo BLUE (bedside LUS in emergenza) descritto da Lichtenstein, consente di discriminare, oltre i quadri patologici già menzionati, tra la presenza di malattia polmonare ostruttiva ed embolia polmonare.

Tale protocollo, utilizzato per standardizzare l’utilizzo della LUS in terapia intensiva, è facilmente applicabile al letto del paziente e richiede meno di 3 minuti per poter eseguire una valutazione ecografica completa del paziente con insufficienza respiratoria acuta, con un’accuratezza diagnostica superiore al 90% nel caso di asma/BPCO, pneumotorace, edema polmonare acuto, polmonite ed embolia polmonare [1,12].

Un’altra delle applicazioni della LUS è rappresentata dalla gestione del versamento pleurico (VPL). Nella fattispecie, la LUS può essere utilizzata per definire l’ecogenicità ed il volume del VPL, oltre che rappresentare un ausilio fondamentale per la sua gestione [13-15].

Le caratteristiche ecografiche del VPL, come ad esempio il grado di ipo-anaecogenicità o la presenza di setti di fibrina o di caratteristiche complesse, possono essere utili nel discriminare rispettivamente un versamento pleurico semplice da uno complesso e di conseguenza la presenza di un trasudato da un essudato. L’analisi di questi aspetti risulta quindi determinante per la gestione del versamento, come ad esempio l’esecuzione di una toracentesi, l’apposizione di un drenaggio toracico o la decisione tra toracoscopia o intervento chirurgico.

Un altro ruolo ormai consolidato della LUS è quello legato alla guida delle procedure interventistiche.  Nello specifico, la guida ecografica trova spazio nelle procedure diagnostiche e/o terapeutiche quali toracentesi e biopsie, dimostrando di migliorare gli outcome riducendo le complicanze (es. pneumotorace) [16-17].

Limitazioni

Nonostante le caratteristiche e le qualità operative della LUS, la tecnica risulta caratterizzata da limiti tipici legati alla metodica ecografica stessa.

Nella fattispecie, oltre ad essere una metodica operatore-dipendente, talvolta l’acquisizione dell’immagine ecografica risulta limitata dalla scarsità della finestra acustica legata alle caratteristiche del paziente. I pazienti enfisematosi, obesi, la presenza di ampio pneumotorace, di medicazioni, di ampie ferite chirurgiche ad esempio, limitano fortemente l’acquisizione delle immagini e la loro corretta interpretazione.

SEMEIOTICA ECOGRAFICA DEL POLMONE ED APPLICAZIONICLINICHE
Il polmone sano risulta fisiologicamente pieno di aria.

Il parenchima polmonare è rappresentato da una raffinata architettura che comprende la presenza di lobuli polmonari che circondano i bronchioli respiratori e di uno strato di surfattante che lubrifica e consente lo scivolamento tra i due foglietti pleurici.

L’aria presente all’interno del polmone sano rappresenta una barriera acustica per la conduzione degli ultrasuoni e questo elemento definisce la peculiarità della LUS, una metodica basata prevalentemente sullo studio degli artefatti ecografici generati dalla perdita di aerazione del polmone di variabile entità.

La progressiva perdita di aerazione che avviene nel polmone patologico infatti, che prevede la sostituzione dell’aria fisiologicamente contenuta nel polmone con elementi patologici quali ad es. il fluido interstiziale, consente la propagazione delle onde ultrasoniche nel polmone e la generazione di artefatti che rendono “visibile” ecograficamente il parenchima polmonare.

La presenza di fluido interstiziale a livello dei setti comporta la generazione di artefatti che vengono definiti come Linee B. Il progressivo accumulo di fluido nell’interstizio e negli alveoli, modifica il normale rapporto aria/fluido del polmone progredendo dalle Linee B fino al consolidamento alveolare. [4]

POLMONE SANO

PATTERN ECOGRAFICO POLMONARE NORMALE

Il pattern ecografico di un polmone normalmente aerato è definito dalla presenza di alcuni segni semeiologici quali Linee A, la presenza dello sliding pleurico (Lung Sliding) e dal segno della tendina a livello delle basi polmonari (Curtain Sign) [18].

Il riscontro di un pattern ecografico normale non esclude necessariamente un processo patologico del polmone in quanto quest’ultimo può essere riscontrato in quadri clinici quali l’asma bronchiale, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’embolia polmonare o consolidamenti parenchimali non periferici.

Linee A

ecografia polmonareLe linee A sono definite come linee orizzontali iper-ecogene che appaiono parallele alla linea pleurica, equidistanti tra loro. La loro profondità è pari a multipli della distanza tra la sonda e la linea pleurica. La distanza infatti tra 2 linee A è la stessa distanza presente tra la sonda e la linea pleurica (Figura 1).

Esse rappresentano un artefatto fisiologico che esprime il riverbero della linea pleurica e possono inoltre essere associate a fenomeni che si verificano a livello dello spazio compreso tra la sonda ecografica e la superficie polmonare [18].

Pertanto le linee A indicano che l’aria è presente al di sotto della linea pleurica e risultano visibili nel caso dello studio di un normale parenchima polmonare pieno d’aria.

 

Lung Sliding

Lo sliding pleurico (Lung Sliding) è un reperto dinamico osservato nel polmone sano quando i foglietti pleurici, parietale e viscerale, sono in opposizione e la superficie pleurica viscerale simuove liberamente durante gli atti respiratori. Lo scivolamento dinamico della linea pleurica ha un aspetto ecografico iper-riflettente.

Il movimento della linea pleurica può essere difficile da apprezzare nelle zone interessate daridotti movimenti della parete toracica come agli apici polmonari, nei pazienti BPCO iper-inflati o durante degli atti respiratori superficiali.

ecografia polmonareUno strumento utile per valutare lo sliding pleurico e confermare la presenza o meno di scivolamento della pleura, quando non risulta chiaro ed evidente in modalità bidimensionale (B-mode), è la modalità ecografica M (M-mode), una tecnica che rappresenta l’intensità degli echi provenienti da strutture in movimento, espresse in funzione del tempo in una linea di base che scorre a velocità uniforme.

L’uso dell’M-mode rappresenta in maniera esatta la correlazione tra lo sliding pleurico e l’assenza di movimento della parete. Tale modalità analizza il movimento (sliding) della pleura e dei tessuti circostanti rappresentati come singole lineedi scansione nel tempo.

In M-mode, il pattern fisiologico associato al Lung Sliding in cui è presente lo scivolamento della pleura viscerale viene definito “Seashore Sign” o “segno del bagnasciuga” (Figura 2). È possibile apprezzare come in questo caso l’area che rappresenta la parete toracica, meno mobile, appare come una serie di linee orizzontali (mare), mentre il parenchima polmonare al di sotto di essa, dotato di maggiore mobilità e muovendosi avanti e indietro genera un pattern granulare (sabbia) [19].

 

Curtain Sign (Segno della tendina)

Il Curtain Sign è espressione di normale aerazione a livello delle basi polmonari. Tale segno va ricercato a livello della zona di passaggio tra base polmonare normalmente areata e le strutture sottodiaframmatiche, fegato e milza (Figura 3). In condizioni fisiologiche, durante gli atti respiratori, il polmone sano si muove sulle strutture sottodiaframmatiche “oscurando” il campo durante la fase inspiratoria e “liberandolo” durante la fase espiratoria. Questo movimento a tendina appunto, viene definito “Curtain Sign” e rappresenta un segno di polmone fisiologicamente areato insieme alle Linee A e al Lung Sliding.

POLMONE PATOLOGICO

La presenza di quadri polmonari patologici che interessano le zone periferiche del polmone può essere studiata in ecografia polmonare attraverso l’analisi di specifici elementi associati a condizioni patologiche come: l’assenza dello sliding pleurico, le linee B, i consolidamenti polmonari e la presenza di versamento pleurico.

Assenza di sliding pleurico

L’assenza di sliding pleurico è un segno patologico e suggerisce la possibilità di uno pneumotorace.  L’accumulo di aria tra la pleura viscerale e la parietale separa i due foglietti pleurici determinando la mancata visualizzazione ecografica. Tuttavia, lo pneumotorace non è l’unica causa di assenza di sliding pleurico. Tra le condizioni patologiche che possono esprimersi ecograficamente con l’assenza di sliding pleurico ricordiamo la perdita di volume (atelettasia completa), la pleurodesi chimica, i processi infettivi, le malattie polmonari interstiziali fibrosanti e la ridotta o assente ventilazione polmonare (apnea, iper-inflazione) [20].

Pertanto l’assenza di sliding pleurico non è specifico di pneumotorace, ma la sua presenza lo esclude con una specificità del 100% [21].

Lung point e Pneumotorace

ecografia polmonareUn segno specifico per lo pneumotorace è il “Lung Point”. Il Lung Point rappresenta la zona di transizione tra lo pneumotorace e il polmone normalmente aerato. È un segno dinamico caratterizzato dalla presenza del bordo del polmone normalmente aerato che scivola all’interno di un’intercapedine in cui si vedono l’assenza di sliding pleurico e le linee A.

Lo pneumotorace può anche essere identificato utilizzando la metodica ecografica M-mode. Nello specifico, le linee orizzontali precedentemente descritte nel pattern di Lung Sliding fisiologico in M mode (mare) sono ininterrotte dall’alto verso il basso dello schermo. Allo stesso modo della parete toracica anche l’aria fino in fondo alla pleura risulta essere stazionaria e priva di movimento, generando un aspetto ecografico uguale ed in continuità alle linee orizzontali della parete toracica [1].

Questo aspetto ecografico all’ M-mode è stato soprannominato “segno del codice a barre” (Barcode Sign) o “segno della stratosfera” (Stratosphere Sign).

Sebbene l’identificazione del Lung Point abbia una specificità del 100% per lo pneumotorace [22], la contemporanea presenza di una serie di reperti ecografici come lo sliding pleurico, le linee B e il Lung Pulse (pulsazioni pleuriche ecografiche ritmiche, dovute alla trasmissione delle contrazioni cardiache alla pleura), può escludere lo pneumotorace [21].

ARTEFATTI VERTICALI E SINDROME INTERSTIZIALE

ecografia polmonareNormalmente, i setti interlobulari subpleurici non riescono ad essere evidenziati dagli ultrasuoni. La presenza di stati patologici quali l’accumulo di fluido interstiziale da edema polmonare, la presenza di una polmonite, di linfangite carcinomatosa, l’ispessimento dell’interstizio a causa del deposito di fibre collagene come nelle interstiziopatie polmonari fibrosanti o la presenza di altre malattie infiammatorie determinano l’ispessimento dei setti e la loro conseguente visualizzazione al passaggio del fascio di ultrasuoni.

Linee B

Le linee B vengono definite come degli artefatti verticali, associati all’ispessimento dei setti interlobulari che si verifica in diverse condizioni patologiche. In queste condizioni i setti interlobulari ispessiti generano degli artefatti ecografici verticali simili ad una coda di cometa, ad un fascio verticale, definiti Linee B (Figure 4-5).

In generale le Linee B originano dalla linea pleurica, hanno aspetto iperecogeno, si estendono fino alla periferia dello schermo e sono sincrone con lo sliding pleurico.

La loro presenza determina la scomparsa delle Linee A in quanto espressione di perdita del normale stato di aerazione polmonare. Con l’aumento e l’accumulo progressivo di fluido, diventerà sempre più difficile distinguere tra le singole linee B. Pertanto, man mano che aumenta il numero di linee B che convergono, verrà a definirsi una condizione chiamata “Linee B confluenti”.

Il riscontro di linee B a livello delle basi polmonari può essere fisiologico a causa di fenomeni di stasi che dilatano i setti, per poter definire le Linee B come “patologiche” devono essere presenti in numero uguale o maggiore di 3 a livello di un singolo spazio intercostale in scansione longitudinale [21].

La distribuzione e la quantità di linee B possono aiutare quindi a restringere le diagnosi differenziali:

  • Linee B bilaterali: spesso associate a quadri patologici come edema polmonare, polmonite interstiziale diffusa, interstiziopatie polmonari e ARDS
  • Linee B focali o unilaterali: associate a quadri come neoplasie polmonari, consolidamenti flogistici, atelettasia, polmonite focale o infarto polmonare

Alcuni autori hanno suggerito la definizione di determinate caratteristiche ecografiche utili alla diagnosi differenziale tra il pattern interstiziale cardiogenico (associato all’edema polmonare acuto) da quello di origine polmonare (associato all’ARDS) [23]:

  • Sindrome interstiziale cardiogena: presenza di normale sliding pleurico, presenza di Linee B “laser-like” con distribuzione diffusa e omogenea, associate ad una linea pleurica liscia e non ispessita
  • Sindrome interstiziale di origine polmonare: sliding pleurico ridotto, distribuzione degli artefatti verticali diffusa ma disomogenea con presenza di aree risparmiate dalla malattia, Linee B “ruvide” associate ad una linea pleurica ispessita, grossolana, irregolare e acciottolata, presenza di consolidamenti polmonari

Infine, esistono altri artefatti verticali che non devono essere confusi con le LineeB:

Linee E

ecografia polmonareSono artefatti verticali generati dalla presenza di aria a livello del tessuto sottocutaneo. Il loro aspetto è molto simile a quello delle Linee B tranne per il fatto che non originano dalla linea pleurica ma dal sottocute al di sopra di essa (Figura 6). Sono spesso espressione di enfisema sottocutaneo [20].

Linee Z

Rappresentano artefatti verticali che non hanno un significato patologico, spesso riscontrate nel soggetto sano. Ecograficamente sono simili alle Linee B ma sono meno iperecogene, non si estendono fino alla periferia dello schermo (generalmente scompaiono dopo 2-4 cm) e non sono sincrone con lo sliding pleurico [24].

 

 

CONSOLIDAMENTO POLMONARE (SINDROME ALVEOLARE)

L’accumulo progressivo di fluido interstiziale a livello del polmone porta alla formazione di un consolidamento polmonare. Il consolidamento polmonare è tipicamente espressione di un processo flogistico (es. polmonite) anche se può essere dovuto al collasso delle vie aeree distali per via della presenza di un’atelettasia da riassorbimento/da ostruzione delle vie aeree (secrezioni, lesioni endobronchiali) o da compressione estrinseca come nel caso di un ampio versamento pleurico.

L’accumulo di liquido a livello dei setti interlobulari porta ad una progressiva perdita di aerazione del polmone passando dalla formazione di linee B dapprima focali, poi linee B confluenti fino al consolidamento. La completa perdita di aerazione del polmone genera a livello del parenchima polmonare una struttura di aspetto ecogeno, ben definita, esplorabile attraverso gli ultrasuoni, con ecogenicità simile a quella del parenchima epatico, motivo per il quale tale condizione viene definita “epatizzazione” del polmone.

È importante comunque tenere in considerazione che il pattern di “consolidamento alveolare” è descrittivo e non diagnostico, a causa delle sue molteplici e possibili eziologie. La diagnosi definitiva tra consolidamento flogistico e atelettasia deve sempre essere eseguita correlando le immagini ecografiche ai dati clinici.

Polmonite

ecografia polmonareIl consolidamento flogistico, tipicamente associato alla presenza di una polmonite, presenta dei reperti ecografici che lo caratterizzano e che aiutano nella diagnosi differenziale.

Nella fattispecie, nei consolidamenti non trans-lobari, può essere presente un segno caratteristico definito “Shred Sign” (Figura 7), tipicamente rappresentato dalla presenza di un bordofrastagliato all’interno del lobo consolidato. Tale segno è espressione ecografica della zona di transizione tra gli alveoli parzialmente areati e gli alveoli completamente privi di aria o ripieni di fluido dapolmonite [25].

Altre caratteristiche ecografiche associate al consolidamento da polmonite sono l’ispessimento e l’irregolarità della linea pleurica e la presenza del segno del broncogramma aereo dinamico [26].

Il broncogramma aereo dinamico è espressione della presenza di particelle di aria mobili, iperecogene, puntiformi, all’interno dei bronchioli che si spostano verso la periferia polmonare durante la respirazione.

Atelettasia

L’atelettasia polmonare può determinarsi a seguito di diverse cause. L’atelettasia da riassorbimento è un reperto comunemente riscontrato a livello delle basi nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica a causa dell’ipoventilazione polmonare o nei pazienti con ostruzione bronchiale delle vie aeree prossimali.

Anche nel caso del consolidamento polmonare da atelettasia il polmone va incontro ad una perdita di aerazione completa ma una delle differenze è il riscontro frequente del broncogramma aereo “statico”.  Il segno del broncogramma aereo statico è segno di ostruzione delle vie aeree ed è l’espressione ecografica della presenza di bolle d’aria intrappolate all’interno dei bronchioli. Purtuttavia tale reperto non è specifico di atelettasia in quanto può essere riscontrato nei pazienti con polmonite.

Altri tipi di broncogramma aerei statici sono [18]:

Tree-like (o arboriforme): associato alla presenza di un addensamento con volume polmonare conservato

Paralleli e orizzontali: indicativi di perdita di volume con consensuale collasso polmonare

VERSAMENTO PLEURICO

ecografia polmonareGli ultrasuoni sono in grado di visualizzare direttamente il versamento pleurico. Il versamento pleurico è definito come uno spazio ipo-anecogeno compreso tra pleura parietale, pleura viscerale e diaframma.

I versamenti semplici si presentano comunemente come la raccolta di un fluido anecogeno a livello delle zone declivi del polmone posteriormente [1,28-30]. I versamenti pleurici complessi, inclusi i versamenti cronici, neoplastici, l’emotorace e l’empiema, hanno un aspetto ecografico più eterogeneo a seconda della presenza e dell’estensione dei setti di fibrina, di coaguli e dell’ispessimento pleurico. Quando il versamento pleurico è abbondante, viene a crearsi una finestra acustica che consente divisualizzare ecograficamente i corpi vertebrali, tale segno ecografico è noto come “Spine Sign” [Figura 8].

Grazie all’elevata precisione e ai dettagli forniti dalla LUS, tale metodica trova spazio come guida alle procedure interventistiche da effettuare sul polmone quali toracentesi, posizionamento di drenaggio pleurico e biopsie transtoraciche di lesioni subpleuriche.

Quantificazione del versamento pleurico

In letteratura sono descritte diverse metodiche ecografiche per la quantificazione del versamento pleurico ma ad oggi nessuna di queste è stata identificata come gold standard.
Oltre alla tradizionale misurazione ecografica semi-quantitativa del versamento pleurico che prevede la classificazione dell’entità in minimo,lieve,moderato o severo su base ispettiva, sono state proposte diverse formule per quantificare direttamente il volume del VPL.

Tra quelle più comunemente utilizzate nella pratica clinica ricordiamo la formula proposta da Balik [30]:

  • Mantenendo il paziente in posizione supina con una lieve elevazione del tronco a 15°, la sonda viene spostata dalla base polmonare verso l’alto, lungo la linea ascellare posteriore, mediante una scansione trasversale perpendicolare all’asse del torace, ottenendo così la separazione tra la pleura parietale e quella viscerale. Il volume di liquido pleurico può essere stimato misurando la distanza massima tra pleura parietale e viscerale (Sep) a fine espirazione e moltiplicando questa distanza per 20 con la seguente formula semplificata: V (ml) = 20 × Sep (mm).

Bibliografia

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Rivista del mese


Dott. Massimo Agnoletti

Psicologo,
Dottore di ricerca Esperto di Stress,
Psicologia Positiva e Epigenetica.
Formatore/consulente aziendale,
Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto.
Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE)

 


Dott.ssa Francesca Stecchi

Psicologa dello Sport;
Presidente Comitato Regionale Veneto della Federazione Italiana Psicologi dello Sport;
fondatrice di Insynergy psicologia dello sport;
membro della consulta “Psicologia dello Sport, dell’esercizio fisico e del benessere”
dell’Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi del Veneto.

 

 


Abstract

Lo Psicologo dello Sport, in Italia, è l’unica figura professionale riconosciuta e regolamentata per legge che applica a livello sportivo le conoscenze e gli strumenti specifici delle scienze psicologiche.


La Psicologia dello Sport è quel settore della psicologia scientifica che indaga le cause e gli effetti dei processi psichici che avvengono nell’essere umano prima, durante e dopo un’attività sportiva (Jarvis, 2006; Thomas, 2010).  In particolare, la Psicologia dello Sport si occupa di spiegare scientificamente quanto e come i fattori psicologici influenzano l’attività fisica di una persona oltre a comprendere come e quanto l’esercizio fisico influenza lo sviluppo psicologico di chi pratica sport (Gramaccioni, 2021).

La Psicologia dello Sport è una disciplina relativamente recente nel senso che è stata formalizzata nel 1965 a Roma, grazie al contributo di Ferruccio Antonelli, lo psicologo italiano che organizzò il primo convegno Mondiale di Psicologia dello Sport e che, sempre nello stesso anno, fondò l’International Society of Sport Psychology (ISSP) di cui fu anche il primo presidente. (Issp, 1965). Dott.ssa Francesca Stecchi Psicologa dello Sport; Presidente Comitato Regionale Veneto della Federazione Italiana Psicologi dello Sport; fondatrice di Insynergy psicologia dello sport; membro della consulta “Psicologia dello Sport, dell’esercizio fisico e del benessere” dell’Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi del Veneto 9 PSICOLOGIA La Psicologia dello Sport promuove l’allenamento dell’aspetto mentale che è un fattore fondamentale non solo per gli atleti d’élite o i professionisti ma anche per tutte le persone che praticano sport, a qualsiasi livello venga svolto e in qualsiasi fascia di età lo si pratica, in quanto aiuta efficacemente a migliorare il benessere psicofisico e le performance delle persone (Cox, 2012; Weinberg & Gould, 2011).

La figura professionale che per eccellenza propone ed applica le conoscenze della Psicologia dello Sport è chiaramente lo Psicologo dello Sport. Per capire con chiarezza chi è lo Psicologo dello Sport e quali sono le competenze distintive che lo caratterizzano e lo differenziano da altre figure professionali, risulta utile specificare prima chi è lo psicologo. In Italia lo Psicologo è l’unica figura professionale riconosciuta e regolamentata per legge che promuove la salute ed il benessere psicologico attraverso conoscenze e strumenti specifici delle scienze psicologiche.  Lo Psicologo dello Sport è uno psicologo che ha ulteriormente approfondito la sua formazione specifica e la sua esperienza sul campo in ambito sportivo. Ne consegue che lo Psicologo dello Sport, in Italia, è l’unica figura professionale riconosciuta e regolamentata per legge che applica a livello sportivo le conoscenze e gli strumenti specifici delle scienze psicologiche.

Attualmente non vi è una normativa formalmente condivisa relativa il percorso specifico che deve avere uno Psicologo dello Sport ma l’articolo 5 del codice deontologico degli psicologi  afferma che lo psicologo è tenuto per legge a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, 1989) quindi, se uno psicologo vuole operare anche a livello sportivo, è formalmente obbligato ad approfondire la propria formazione in questo campo specialistico. Lo Psicologo dello Sport deve quindi operare in ambito sportivo a seguito di una formazione specifica nella materia scientifica della Psicologia dello Sport. È importante quindi conseguire un master in psicologia dello sport, fare un tirocinio e avvalersi della supervisione da parte di colleghi già esperti in materia. Attraverso la solida formazione che ha ricevuto, lo Psicologo dello Sport non opera sull’atleta unicamente con la finalità di trattare un disagio o un disturbo psicologico, ma si occupa soprattutto di migliorare le sue performance ottimizzando i fattori psicologici che incidono sulle performance stesse.

Lo Psicologo dello Sport non si occupa quindi “solo” di ridurre i danni e la sofferenza derivante dallo Stress Negativo ma promuove la salute, il benessere e le performance umane attraverso l’incremento dello Stress Positivo (Agnoletti, 2021; Agnoletti, 2022) nel contesto sportivo. Per essere vincenti, a qualsiasi livello, non basta imparare il “come” vincere ma anche, e soprattutto, il “come” gestire le sconfitte. Lo Psicologo dello Sport è l’unico professionista 10 PSICOLOGIA qualificato con specifiche competenze scientificamente provate, che supporta coloro che praticano lo sport in entrambi questi aspetti. L’unicità dello Psicologo dello Sport si declina nel modo specifico di supportare tutti i protagonisti coinvolti nel mondo sportivo quindi sia tutti coloro che praticano lo sport a qualsiasi livello (da quello amatoriale a quello professionale) che gli allenatori e le istituzioni sportive (dirigenti, ecc.).

L’unicità che caratterizza lo Psicologo dello Sport ha conseguenze rilevanti sia per quanto riguarda il benessere e le performance sportive vere e proprie di chi pratica lo sport, che per gli importanti aspetti relativi la responsabilità legale e risarcitoria dei dirigenti e delle istituzioni sportive. Relativamente il benessere e le performance sportive (individuali e di squadra), è chiaro che intervenire su temi strettamente psicologici (si pensi ad esempio, alla motivazione, la gestione dello stress, la gestione delle emozioni, le relazioni tra gli atleti o i rapporti con i genitori degli eventuali minori, ecc.) da parte di persone che non possiedono una solida competenza specifica basata sulle scienze psicologiche, rischia di essere poco efficace se non addirittura dannoso sia per il benessere psicologico che per le performance ed i risultati degli atleti.   Un esempio concreto di quanto appena descritto è la superficialità con la quale i cosiddetti “mental coach” (o figure simili) trattano i temi della motivazione (che quasi sempre confondono con il concetto generico di “energizzazione” dell’atleta o della squadra) o della gestione dello stress (che spesso confondono con il concetto di semplice “rilassamento”) così come pressoché tutti i temi di natura psicologica che incidono sulle performance sportive. È chiaro che intervenire su questi temi senza possedere una competenza specifica derivante dalla complessa letteratura scientifica significa utilizzare conoscenze aneddotiche o tratte da fonti poco attendibili che risultano essere inaffidabili e inefficaci.

Per questo motivo, gli interventi che non si basano sulle evidenze scientifiche disponibili non solo non migliorano il benessere e la performance individuali e della squadra, ma spesso nel tempo le peggiorano diventando un problema ulteriore da gestire sia per gli atleti stessi che per gli allenatori e le istituzioni sportive. Per quanto riguarda l’aspetto relativo la responsabilità legale e risarcitoria dei dirigenti delle istituzioni sportive, lo Psicologo dello Sport, essendo l’unico professionista in Italia che tratta le tematiche psicologiche nell’ambito sportivo con le specifiche competenze derivanti dalla letteratura scientifica, si assume la piena responsabilità del lavoro che svolge proprio perché la sua professionalità è regolamentata e riconosciuta per legge.

Questo significa che, ad esempio, nel caso di una possibile azione legale risarcitoria relativa un danno riportato da un atleta, ai dirigenti non viene attribuita la responsabilità del lavoro svolto dallo psicologo. Diversamente, all’interno di un’eventuale azione legale risarcitoria che coinvolga l’intervento di figure quali “mental coach” o similari, figure quindi né riconosciute né regolamentate per legge e quindi senza la piena responsabilità legale del loro operato, i dirigenti sportivi che li hanno assunti verrebbero esposti alla responsabilità del danno causato con la conseguenza di dover risarcire il danneggiato. Una metafora può aiutare a comprendere facilmente l’importanza del ruolo dello Psicologo dello Sport.

psicologoIn Formula 1 tutti sanno che per vincere il campionato del mondo è necessario impegnarsi non solo per avere l’automobile più performante possibile ma anche un pilota che sappia gestire al meglio le situazioni che affronterà, lo stress della competizione e nel sostenere il grande impegno necessario per migliorare continuamente l’auto lavorando a stretto contatto con i tecnici.  Nessun team di Formula 1 si sognerebbe mai di dare esclusivamente attenzione alle caratteristiche tecniche dell’auto trascurando il ruolo del pilota, cioè la “testa” che guida la vettura, perché tutti sanno che ad essere vincente in termini di performance è la combinazione tra l’automobile ed il pilota. In maniera analoga, la performance di un atleta (professionista o meno) non è determinata esclusivamente dalle caratteristiche che possiede in termini di massa muscolare, capacità respiratoria, tecnica eseguita, ecc. ma anche (e soprattutto, nei contesti particolarmente competitivi) dalle caratteristiche psicologiche dell’atleta stesso. Similmente al rapporto intrecciato tra l’automobile e il pilota, se non diamo anche la giusta importanza all’aspetto psicologico dell’atleta insieme alle caratteristiche più “fisiche” che possiede, rischiamo di fare lo stesso errore di un team di Formula 1che investe tutte le proprie risorse ed attenzioni sulla realizzazione di un’automobile molto performante ma decide di farla guidare da un pilota inesperto. Nella Formula 1 le performance di successo nascono sempre dall’interazione tra questi due macro-fattori, automobile e pilota, così come le performance sportive umane hanno bisogno di coltivare sia l’aspetto fisico che quello psicologico delle persone. In questo contesto è chiaro il ruolo strategico, ed unico, dello Psicologo dello Sport nell’ottimizzare e migliorare il benessere e le performance degli atleti professionisti o, nel caso di contesti non competitivi, nel promuovere stili di vita più salubri e positivi. L’ambiente sportivo deve essere in primis un ambiente sano, sicuro e protetto. Un ambiente in cui vengono insegnate la disciplina e le regole, per far crescere ragazzi e ragazze che saranno poi degli adulti e dei cittadini migliori, dove si insegna l’anti-fragilità.

Per questo la formazione degli allenatori ed il supporto ai genitori come risorsa risultano estremamente importanti per migliorare e monitorare il sistema e per promuovere e tutelare il benessere delle atlete e degli atleti a partire dalla giovane età (Stecchi, 2022). Elenchiamo di seguito alcune delle abilità mentali (Mental Skills) che vengono promosse dall’intervento dello Psicologo dello Sport:

• La definizione e ottimizzazione degli obiettivi (Goal Setting).
• La capacità di concentrazione in quanto l’atleta deve imparare a selezionare gli stimoli utili che lo aiutino a mantenere l’attenzione su un determinato compito per perseguire uno specifico obiettivo.
• La gestione dello Stress, dell’ansia e delle emozioni pre-gara, durante la gara e in allenamento.
• Il senso di autoefficacia, ovvero la percezione che l’atleta ha di compiere con successo un dato compito (ad esempio un gesto tecnico). • La prevenzione di infortuni ed il recupero post-infortunio.
• Il self talk, cioè il dialogo interno, a livello psicologico, che l’atleta dice a sé stesso mentre è in partita o in allenamento (per esempio “il mio avversario è più forte di me, non ce la farò mai, sono troppo in svantaggio”, ecc.).
• Imagery, ossia la tecnica di visualizzazione che l’atleta può adottare per ricreare nella propria mente un gesto motorio, o un’esperienza, al fine di migliorare o ottimizzare la performance sportiva.
• La comunicazione come elemento fondamentale per la performance dell’atleta, del gruppo e per gestire i rapporti all’esterno del team (genitori, dirigenza, ecc.).

A seconda del tipo di obiettivo stabilito e delle esigenze emerse, lo Psicologo dello Sport lavora in campo a fianco degli atleti e degli allenatori ma può anche intervenire lavorando insieme al medico sportivo, al preparatore fisico, al fisioterapista così come gli arbitri, i dirigenti sportivi ed i genitori degli atleti. L’intervento dello Psicologo dello Sport è finalizzato a migliorare il benessere, la salute e la performance delle persone, sia a livello individuale o di gruppo, ma è sempre caratterizzato e guidato da specifiche metodologie derivanti dalla letteratura scientifica. In questo senso l’intervento dello Psicologo dello Sport è in piena sintonia con l’obiettivo stesso dell’Organizzazione Mondiale di Sanità che promuove la definizione di salute, intesa come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto di assenza di malattia o infermità.” (Organizzazione Mondiale di Sanità, 2001, 2007) nel contesto della complessità bio-psico-sociale umana.


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Inseguendo il mito della perfezione, ma a quale prezzo. Ordine Psicologhe e Psicologi del Veneto. https://www. ordinepsicologiveneto.it/inseguendo-il-mito-della-perfezione-ma-a-quale-prezzo/. Weinberg, R. & Gould, D. (2011). Foundations of sport and exercise psychology (5th ed.). Human Kinetics.