Rivista del mese


1.Inquadramento professionale.

1.1.Definizioni.

Per la migliore comprensione delle riflessioni che seguiranno, è utile definire le professioni sanitarie di Ostetrica e di Infermiere alla luce dei rispettivi Codici deontologici, nonché dell’Infermiere pediatrico. Di seguito sono delineate alcune delle principali responsabilità professionali.

L’Ostetrica/o:

  • è il professionista sanitario abilitato e responsabile dell’assistenza ostetrica, ginecologica e neonatale; la sua attività si fonda sulla libertà e l’indipendenza della professione;
  • tutela la dignità e promuove la salute femminile in ogni età, individuando situazioni di fragilità, disagio, privazione e violenza, fornendo adeguato supporto e garantendo la segnalazione alle autorità preposte, per quanto di sua competenza. L’ostetrica/o promuove e si impegna a garantire la continuità assistenziale accompagnando e prendendosi cura della donna, della coppia, del nascituro durante la gravidanza, il travaglio, il parto ed il puerperio, al fine di garantire una salute globale degli assistiti;
  • garantisce cure appropriate al neonato favorendo i processi fisiologici di adattamento alla vita post-natale. Con il consenso della persona interessata, l’ostetrica promuove le tecniche di contenimento del dolore nella donna e nel neonato per quanto di sua competenza attraverso una scelta clinicamente ed eticamente appropriata;
  • favorisce l’attaccamento precoce madre/padre e bambino, promuove l’allattamento al seno e supporta il ruolo genitoriale;
  • favorisce una informazione corretta e appropriata scientificamente validata sulla donazione/raccolta di materiale biologico ai fini terapeutici e di ricerca, per mettere la donna/coppia nelle condizioni di poter fare una scelta consapevole. L’ostetrica/o promuove e sostiene la raccolta e la conservazione allogenica del sangue cordonale per la donazione solidale;
  • prende parte alla pianificazione dei percorsi diagnostico-terapeutici dell’area ostetrico-ginecologica e neonatale ed attua i relativi programmi di prevenzione, assistenza/cura e riabilitazione.

 

L’Infermiere:

  • è il professionista sanitario, iscritto all’Ordine delle Professioni Infermieristiche, che agisce in modo consapevole, autonomo e responsabile. È sostenuto da un insieme di valori e di saperi scientifici. Si pone come agente attivo nel contesto sociale a cui appartiene e in cui esercita, promuovendo la cultura del prendersi cura e della sicurezza;
  • orienta il suo agire al bene della persona, della famiglia e della collettività. Le sue azioni si realizzano e si sviluppano nell’ambito della pratica clinica, dell’organizzazione, dell’educazione e della ricerca. Nell’agire professionale l’Infermiere stabilisce una relazione di cura, utilizzando anche l’ascolto e il dialogo. Si fa garante che la persona assistita non sia mai lasciata in abbandono coinvolgendo, con il consenso dell’interessato, le sue figure di riferimento, nonché le altre figure professionali e istituzionali. Il tempo di relazione è tempo di cura;
  • promuove la cultura della salute favorendo stili di vita sani e la tutela ambientale nell’ottica dei determinanti della salute, della riduzione delle disuguaglianze e progettando specifici interventi educativi e informativi a singoli, gruppi e collettività. Nel percorso di cura l’Infermiere valorizza e accoglie il contributo della persona, il suo punto di vista e le sue emozioni e facilita l’espressione della sofferenza;
  • informa, coinvolge, educa e supporta l’interessato e con il suo libero consenso, le persone di riferimento, per favorire l’adesione al percorso di cura e per valutare e attivare le risorse disponibili;
  • previene, rileva e documenta il dolore dell’assistito durante il percorso di cura. Si adopera, applicando le buone pratiche per la gestione del dolore e dei sintomi a esso correlati, nel rispetto delle volontà della persona;
  • presta assistenza infermieristica fino al termine della vita della persona assistita. Riconosce l’importanza del gesto assistenziale, della pianificazione condivisa delle cure, della palliazione, del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale;
  • sostiene i familiari e le persone di riferimento della persona assistita nell’evoluzione finale della malattia, nel momento della perdita e nella fase di elaborazione del lutto;
  • favorisce l’informazione sulla donazione di sangue, tessuti e organi quale atto di solidarietà; educa e sostiene le persone coinvolte nel donare e nel ricevere;
  • ai diversi livelli di responsabilità assistenziale, gestionale e formativa, partecipa e contribuisce alle scelte dell’organizzazione, alla definizione dei modelli assistenziali, formativi e organizzativi, all’equa allocazione delle risorse e alla valorizzazione della funzione infermieristica e del ruolo professionale;
  • partecipa al governo clinico, promuove le migliori condizioni di sicurezza della persona assistita, fa propri i percorsi di prevenzione e gestione del rischio, anche infettivo, e aderisce fattivamente alle procedure operative, alle metodologie di analisi degli eventi accaduti e alle modalità di informazione alle persone coinvolte.

 

L’infermiere pediatrico:

  • si pone in un piano di collaborazione con l’Ostetrica, durante la visita domiciliare, per l’ascolto dei genitori, la promozione ed il sostegno dell’empowerment, la cura e l’assistenza alla mamma e al neonato;
  • è la figura responsabile della gestione e della valutazione dei bisogni assistenziali del bambino ed è di fondamentale importanza per le attività di partecipazione ad iniziative di prevenzione e ad interventi di educazione sanitaria, (non solo di assistenza diretta al bambino e/o ai suoi genitori);
  • informa la madre circa le pratiche di cura del neonato (cambio pannolino, primo bagnetto, posizioni più idonee per tenere i neonati in braccio o durante il sonno, e sugli stimoli adeguati all’età) e condivide con la donna dubbi e preoccupazioni legati alla relazione con il nuovo nato (sonno, pianto, alimentazione);
  • facilita momenti di riposo per la mamma, nel rispetto delle scelte individuali e culturali del nucleo familiare che ne fa richiesta; informa e educa le famiglie sul piano vaccinale;
  • fornisce sostegno e assistenza al neonato al fine di promuovere la fisiologia dell’adattamento postnatale, l’allattamento al seno, la relazione e il benessere della famiglia;
  • salvaguarda la relazione tra genitori e bambino, ottenibile promuovendo l’interazione attraverso il baby massage; programma un piano di assistenza caratterizzato dalla personalizzazione e dalla continuità degli interventi in cui si tenga conto degli orientamenti e delle preferenze della donna e che sia effettuato da operatori integrati tra loro;
  • educa i genitori nella preparazione di latte artificiale per garantire che ciò avvenga nel modo più sicuro possibile in caso di mancato allattamento al seno; informa e consiglia i genitori per consentire loro di valutare le condizioni generali del loro bambino, identificare segni e sintomi di problemi di salute comuni osservati nei bambini e contattare un operatore sanitario e/o il Pediatra di libera scelta, se necessario;
  • presta attenzione ai fattori di rischio e ai segni e ai sintomi di violenza;
  • valuta, ad ogni controllo: la vitalità; l’attività motoria; la postura; la qualità dello stato di allerta; il ritmo sonno-veglia; il peso (calo ponderale); lo stato di idratazione; l’adeguatezza dell’apporto calorico; la capacità di alimentarsi; la tranquillità; il pianto e la consolabilità; l’ittero; le alterazioni cutanee; il colorito cutaneo; il respiro; l’ attività cardiaca; la temperatura; le condizioni ambientali; il comportamento (sguardo, ascolto, mimica globale dell’attenzione); la cura degli occhi; il cordone ombelicale (i genitori vanno informati su come mantenere il cordone ombelicale pulito e asciutto e che gli antisettici non vanno usati di routine);
  • informa circa l’igiene della cute e sugli agenti detergenti che non dovrebbero essere aggiunti all’acqua del bagno del bambino, né tantomeno usare lozioni o salviette medicate; favorisce il contatto pelle a pelle; valuta la poppata; garantisce la precoce presa in carico del neonato da parte del pediatra di libera scelta; informa su come prendersi cura del bambino e li aiuta a comprenderne il linguaggio; informa i genitori sui determinanti di salute: vaccinazioni, fumo, alcool, lettura, musica in culla, trasporto in auto in sicurezza, incidenti domestici, posizione in culla; favorire un primo esame completo del bambino dal Pediatra di libera scelta.

1.2 Brevi cenni sull’evoluzione della legislazione in materia di professioni sanitarie.

infermiereLa Legge n. 24 dell’8 marzo 2017, denominata anche Legge Gelli-Bianco dal nome dei relatori, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”,  modifica la normativa previgente in tema di “colpa sanitaria” attraverso una innovazione della materia della “sicurezza della cura” con specifico riferimento alle linee guida giacché dell’osservanza delle stesse, secondo la nuova disciplina legislativa, si terrà conto in sede di valutazione della condotta dei professionisti sanitari in ambito penale e in ambito civile.

Si è infatti statuito all’art. 5 della legge che “gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della Salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali”.

infermiereUna delle definizioni di linee guida più utilizzata è costituita da quella elaborata dall’Istitute of Medicine del 1992, secondo cui esse sono delle “raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni di esperti,con lo scopo di aiutare i medici e i pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche” (LohrK.N., 1992).

Alla luce dei chiarimenti ministeriali, la FNOPO ha posto celermente in essere una serie di iniziative con il precipuo scopo di non far escludere la professionalità ostetrica dal novero delle professioni sanitarie con una propria società iscritta nell’elenco ministeriale e abilitata quindi a poter elaborare linee guida.

In sostanza la FNOPO, in virtù della normativa di riferimento, fornisce ogni garanzia di affidabilità – la cui dimostrazione è invece espressamente richiesta alle società scientifiche – e ha i requisiti per emanare linee guida per la professione ostetrica in materia di buone pratiche clinico-assistenziali con la finalità di assicurare la più efficiente assistenza ostetrica e neonatale avendo quale oggetto istituzionale la promozione scientifico-culturale della professione sanitaria e, di riflesso, la tutela della sicurezza e della cura/assistenza alla persona.

TRIAGE IN PRONTO SOCCORSO OSTETRICO

Dopo quasi 20 anni dall’emanazione delle prime Linee Guida sul triage intraospedaliero, i Pronto Soccorso italiani si preparano a un nuovo epocale cambiamento, che mira a migliorare e uniformare sul territorio nazionale la funzione di triage.

Questo cambiamento ci vede coinvolte in prima linea, non solo per le modifiche di carattere generale che, come ovvio, avranno un risvolto anche nei Pronto Soccorso specialistici, come quelli Ostetrici, ma anche perché il documento in oggetto identifica nell’Ostetrica triagista la figura professionale idonea alla corretta valutazione e gestione della gestante che accede al Pronto Soccorso.

L’Ostetrica triagista ha le competenze per ridurre il rischio di errata valutazione. Alcuni studi hanno già evidenziato una maggiore specificità nell’attribuzione del codice di priorità in ambito ostetrico tenendo conto della gestante e del prodotto del concepimento, ma è la prima volta che un documento di carattere generale sul triage riconosce tale competenza alla Professione. (Moschettini L., 2015)

2. I percorsi formativi universitari – Peculiarità

Da un’analisi del piano di studi di due Università italiane, scelte casualmente, si evince che il percorso formativo della facoltà di ostetricia prevede solo pochissimi moduli MED/45 per le materie puramente assistenziali e per gli esami di tirocinio che, al contrario, rappresenta la base formativa per gli studenti di infermieristica.

Nella prima Università :

Settore MED/45 I anno: Educazione alla salute.

Settore MED/45 III anno: Medicina perinatale, patologia ostetrica e pediatrica, assistenza ostetrica; materia: Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche.

Nella seconda:

Settore MED/45 I anno: Scienze ostetrica; materia: Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche.

Settore MED/45 III anno: Farmacologia, anestesiologia e chirurgia di interesse ostetrico. Primo soccorso; materia: Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche.

3. Le prassi organizzative.

infermiereLe attuali possibilità di impiego della figura dell’ostetrica/o, per la piena valorizzazione delle funzioni di tutela della salute della donna e del bambino, prevedono tre aree: ostetrica, neonatale e ginecologica.

Tale modello organizzativo fatica a realizzarsi in concreto, sia per una certa resistenza delle strutture sanitarie alla sua attuazione, sia per la scarsa consapevolezza delle stesse ostetriche.

I profili di ostetrica esistenti in organico, spesso, sono coperti ricorrendo a personale assistenziale non specializzato, e questo in contraddizione con la “carenza infermieristica” lamentata nelle sedi istituzionali e nella comunicazione ai mass media.

Una recente indagine condotta su un campione rappresentativo di Ostetriche, mette in evidenza alcuni dati interessanti con riferimento all’inquadramento nelle tre distinte aree di competenza (ostetrica, neonatale e ginecologica). Infatti, lo studio dimostra che una percentuale vicina al 60% delle intervistate ne coglie il significato di “valorizzazione della professione ostetrica”, ma almeno il 30% lo interpreta soltanto come “un mezzo per contenere la carenza infermieristica”.

4. Il consolidato orientamento giurisprudenziale.

infermiereSi riportano le massime di alcune delle pronunce più significative, di primo e secondo grado, concernenti le mansioni specifiche dell’ostetrica, anche in rapporto alle diverse competenze dell’infermiere.

“L’art. 7, d.P.R. 7 marzo 1975 n. 163, consente all’ostetrica di svolgere le attività proprie degliinfermieri professionali in connessione alla sua attività per l’assistenza alle gestanti, allepartorienti e alle puerpere; pertanto, è illegittimo l’ordine di servizio che assegna all’ostetricaesclusivamente mansioni proprie dell’infermiere, quale è quella di somministrazione deivaccini.”

(T.A.R. L’Aquila, 20/01/1998, n.141)

“In base alla normativa vigente (art. 40 e 41, d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 e art. 20 e 21, d.P.R. 7settembre 1984 n. 821), illegittimamente l’unità sanitaria locale impone alle ostetricheospedaliere di svolgere in via ordinaria e continuativa le mansioni proprie della posizioneprofessionale degli infermieri professionali, in quanto le attività di assistenza diretta attinentialla competenza professionale dell’ostetrica sono differenziate da quelle dell’infermiereprofessionale.”

(T.A.R. Catanzaro,  sez. I, 20/06/2001, n.996)

“Le funzioni di infermiere professionale non possono essere legittimamente attribuite, inmodo continuativo e normale, ad un’ostetrica, al di fuori della connessione con i compiti aiquali essa è professionalmente chiamata.  “

(Consiglio di Stato sez. V, 27/03/2001, n.1729)

“Le qualifiche di ostetrica e di infermiere professionale si distinguono sia sotto il profilo dellostato giuridico che del trattamento economico. Pertanto è illegittimo il provvedimento di unaU.S.L. con il quale si ordina ad un gruppo di ostetriche di svolgere in via ordinaria econtinuativa le mansioni inerenti alla posizione funzionale di infermiere professionale.”

(Consiglio di Stato sez. V, 18/01/1989, n.29)

La Suprema Corte ha statuito che una ostetrica, sebbene assunta quale infermiera mentre era ancora in vigore il D.P.R. n. 163/1975 che consentiva all’ostetrica di “praticare tutto quanto è consentito dalle disposizioni in vigore agli infermieri professionali”, non possa fare l’infermiera.

( Suprema Corte di Cassazione, 6^ sezione penale, n. 37767 del 2018)

5. Osservazioni conclusive.

Le Ostetriche e gli Infermieri seguono percorsi formativi diversi ed hanno competenze e funzioni distinte, com’è stabilito dalle vigenti disposizioni normative e statuito dalla giurisprudenza amministrativa, di primo e secondo grado.

L’apparente confusione dei ruoli, oggi comunemente rilevabile nella prassi organizzativa delle strutture sanitarie, è il retaggio dell’assetto originario – ormai non più attuale – della disciplina professionale, secondo cui l’Ostetrica era una Infermiera con formazione supplementare.

Alla luce delle considerazioni svolte, si pongono alcuni interrogativi:

  1. a) E’ legittimo che l’Ostetrica esegua funzioni e procedure specifiche dell’Infermiere ?
  2. b) E’ legittimo assegnare studenti del corso di laurea in Ostetricia, durante il tirocinio, in reparti non attinenti e facendo loro svolgere funzioni diverse dal proprio ruolo?

L’esposizione dei fatti, supportati dall’analisi della disciplina di settore e dal richiamo alle pronunce giurisprudenziali più significative, entrambe orientate a sottolineare la netta differenza tra le due professioni sanitarie, suscita non pochi dubbi e dovrebbe indurre ad un serio ripensamento del ruolo dell’Ostetrica, per renderlo più aderente al dettato normativo, con l’unico fine di assicurare la valorizzazione delle professionalità e, al contempo, la massima efficienza nell’organizzazione del lavoro.


Bibliografia

  • Mongelli K., “L’ostetrica tra ieri, oggi e domani: dalla levatrice alla libera professionista”,2013;
  • Spina E., “La professione ostetrica: mutamenti e nuove prospettive”, 2014;
  • Miletta, M., Bogliatto F., Leidi, L., “Nuove prospettive di integrazione professionale della figura ostetrica.”, Working Paper of Public Health, 2016;
  • Del Vecchio R.A., “Ostetrica condannata per abuso professione Infermieristica”, AssoCareNews, 26/08/2018;
  • Cantoira S., “Ostetriche vs Infermieri: doverose precisazioni e opportune informazioni ”, quotidianosanità, 05/2012;
  • Vicario M.,“Analisi strutturale e sostanziale del percorso formativo universitario dell’Ostetrica-o”, Risveglio Ostetrico, n.1/2-2004;
  • Visconti S., “Professione ostetrica, l’evoluzione nel corso della storia”, Nurse24, 05/12/2018;
  • Asta M.L.,“L’Ostetrica che ha ottenuto il titolo prima della 42/1999 non può fare l’Infermeria. Condannata per abuso di professione.”, Infermieristicamente, 25/08/2018;
  • Legge n. 341 del 1990 “Riforma degli ordinamenti didattici universitari”.
  • DM 740/1994 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’Ostetrica/o”.
  • Legge n. 42 del 26 febbraio 1999 ”Disposizioni in materia di professioni sanitarie”.
  • Legge 251/2000 “Disciplina delle Professioni Sanitarie Infermieristiche, tecniche della Riabilitazione, della Prevenzione nonché della professione Ostetrica”.
  • Decreto del residente della repubblica 7 marzo 1975, n. 163. “Aggiornamento del regio decreto 26 maggio 1940, n. 1364, concernente il regolamento per l’esercizio professionale delle ostetriche. (GU n.147 del 6-6-1975)”;
  • De Francesco G., “Chi è l’ostetrica o ostetrico? Ecco il profilo professionale.”, 2020;
  • Spina, E., “La professione ostetrica: mutamenti e nuove prospettive.” Cambio. Rivista Sulle Trasformazioni Sociali , 4 (7), 53-63;
  • Miletta, M., Bogliatto, F., Leidi, L. “Nuove prospettive di integrazione professionale della figura ostetrica.” Working Paper of Public Health. 2016;
  • Camera M., Mascolo M. R. “Le competenze infermieristiche e ostetriche.” La Rivista Dell’Ostetrica/o. n.4-2012;
  • Gasparro N., “Il rinascimento delle ostetriche, tutto cominciò con le levatrici, portatrici di un sapere legato all’esperienza”. 24ore Sanità, 2011.
Rivista del mese


Dott. Massimo Agnoletti, 

Psicologo, Dottore di ricerca Esperto di Stress,
Psicologia Positiva e Epigenetica.
Formatore/consulente aziendale,
Presidente PLP-Psicologi
Liberi Professionisti-Veneto.
Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE)

 

Sintesi

Grazie al contributo delle scienze del microbiota e del paradigma epigenetico, si sta affermando sempre più il concetto di adattoma per descrivere la complessità e la fitness bio-psico-sociale umana.


English abstract:

Both the epigenetic paradigm and the recent discoveries relating to the microbiota are revolutionizing some important biomedical and psychological aspects concerning the general concept of well-being and bio-psycho-social health.
In this context, the concept of adaptome assumes fundamental importance because it underlines the holistic and integrated aspect of the human organism where the mind assumes the pivotal role of mediator of all the complex and different human and extra-human teleonomy that make up the human-microbiota holobiont.

Italian abstract:

Sia il paradigma epigenetico che le recenti scoperte relative il microbiota stanno rivoluzionando alcuni importanti aspetti biomedici e psicologici riguardanti il concetto generale di benessere e salute bio-psico-sociale.

In questo contesto, il concetto di adattoma assume un’importanza fondamentale perché sottolinea l’aspetto olistico ed integrato dell’organismo umano. Il concetto esplicita che la mente assume il ruolo cardine di mediatrice di tutte le complesse e differenti teleonomie umane ed extraumane che compongono l’olobionte umano-microbiota.


Nel concetto di adattoma, il microbioma (ossia la totalità del contenuto genetico dell’ecosistema di microorganismi che compongono il microbiota) può essere considerato la parte variabile del genoma umano. Questa, consente al nostro organismo di adattarsi con maggiore efficacia agli stimoli esterni quali la tipologia e la quantità di alimenti, gli inquinanti ambientali, gli antibiotici assunti, lo stress psicosociale vissuto, la tipologia e la quantità di esercizio motorio messo in atto, la qualità e la quantità di sonno, i farmaci assunti, ecc. (Gasbarrini, Dionisi& Gasbarrini, 2019).

I fattori estrinseci, come ad esempio l’attività lavorativa, le abitudini alimentari, lo status socioeconomico percepito, ecc., influenzano la composizione del microbiota intestinale del singolo individuo umano in misura assolutamente maggiore rispetto la genetica individuale umana che possediamo (Rothschildet al., 2018).

Il concetto di adattoma è un recente costrutto delle scienze biomediche che, prendendo sempre maggiore consapevolezza dell’importanza dell’impatto del Microbiota e la sua interazione con il nostro organismo, obbliga a riconsiderare (se nona confutare completamente) due assiomi della batteriologia classica.

Il primo, che assumeva la relazione che “ad una specifica malattia corrisponde sempre uno specifico agente patogeno” (si pensi ad esempio al caso dell’ulcera gastrica con il batterio helicobacter pylori), il secondo che dava per scontata la priorità clinica relativa la presenza o meno di un singolo agente patogeno piuttosto che la variazione del rapporto esistente tra differenti specie batteriche comunque presenti (Gasbarrini, Dionisi& Gasbarrini, 2019).

Il termine adattoma, in genere, si riferisce alla caratteristica adattativa, funzionale ed addizionale del contenuto informativo del genoma del microbiotarispetto il genoma umano.

Sappiamo da recenti lavori che la natura di questo contributo genetico extra-umano, viene determinata principalmente da fattori ambientali e solo in misura marginale dalla genetica umana dell’ospite (Rothschildet al., 2018).

Il patrimonio genetico interindividuale umano è infatti lo stesso al 99,9% mentre la diversità genetica a livello del microbiota tra due individui può arrivare anche all’80-90% (Gasbarrini, Dionisi& Gasbarrini, 2019).

È del tutto rilevante notare che quindi, quest’ultima variabilità, stimata essere almeno decine di volte maggiore rispetto quella legata all’informazione del DNA interindividuale umano, è dovuta a fattori ambientali e non genetici.

Dal punto di vista biologico evoluzionistico è chiaro che questa diversità genetica concessa dall’implementazione e l’interazione simbiotica del microbiota all’interno e all’esterno del nostro organismo umano ha rappresentato un vantaggio adattativo molto significativo impossibile da raggiungere considerando esclusivamente la potenzialità genetica umana.

Naturalmente il periodo particolarmente delicato dei primi 3-4 anni di vita in cui il nostro sistema immunitario apprende dal microbiota preziose informazioni assume un’importanza fondamentale per determinare un efficace gestione infiammatoria dell’organismo.

adattomaIn questo contesto, il concetto di adattoma, è prezioso anche per sottolineare la necessità di parlare di organismo, non solo come unità bio-psico-sociale in riferimento al genotipo umano, ma anche come unità costituita da differenti entità. Queste, pur non condividendo lo stesso DNA (pensiamo al caso delle cellule con DNA umano, al DNA mitocondriale, e quello dei microorganismi che compongono il microbioma), condividono almeno alcune teleonomie ossia degli scopi definiti dalla loro stessa struttura.

Ciascun singolo sistema teleonomico, sia umano che extra-umano, sia biologico che di natura psicosociale, può essere rappresentato come un sistema di informazioni che si modifica nel tempo, seguendo le regolarità caratteristiche dei sistemi evolutivi (Agnoletti, 2004; Barbieri, 2003; Miller, 1970; Monod, 1970; Morin, 1985; Prigogine, 1976; Volkenstein& Chernavskii, 1978).

In altri termini sia il livello biologico, socioculturale e psicologico soddisfano la definizione di sistema informazionale di adattoma che evolve nel tempo in maniera indipendente l’uno dall’altro. Ciò significa che, nella complessità dell’organismo “umano”, vi è la possibilità che queste teleonomie interagiscano in modalità talvolta convergenti, massimizzando la fitness globale, talaltre divergenti, diminuendo la fitness complessiva della persona.

In questa visione il concetto di eubiosi, ossia di “equilibrio” tra i vari microorganismi del microbiota, assume un significato nuovo perché va considerato in funzione delle teleonomie dell’organismo umano e non come se esistesse un concetto di “equilibrio” perfetto ed astratto avulso da un contesto e rappresentato dalle sue interazioni.

A confermare questa visione, il concetto di disbiosi rappresenta uno squilibrio, non tanto perché si è affermata un nuovo rapporto tra specie batteriche intestinali o gastriche, ma perché tale rapporto ha delle implicazioni che ostacolano le teleonomie bio-psico-sociali dell’ospite umano (in termini di diversa produzione di metaboliti, in termini di dolore percepito, rapporti sociali compromessi, ecc.).

Sia come numerosità assoluta (stimata essere superiore di almeno 10 volte rispetto le cellule con il DNA umano) che come quantità di geni (stimata essere superiore di almeno 150 volte rispetto il DNA umano), il microbiota che ospitiamo non può più essere considerato semplicemente un parassita che non ci comportava particolari spese metaboliche (come si pensava fino a pochi anni fa) ma deve essere ripensato come un vero  co-protagonsta del nostro percorso ontogenetico (pensiamo, solo a titolo d’esempio, all’impatto sul neurosviluppo), della nostra sopravvivenza e del nostro benessere psicofisico.

Per questa ragione sono sempre più convinto che sarebbe più corretto parlare di olobionte (Agnoletti, 2021) in cui la mente avrebbe un nuovo ruolo esclusivo di mediatrice di tutte le differenti e complesse teleonomie bio-psico-sociali di tutti gli agenti genetici umani ed extra-umani che compongono in maniera stabile il “nostro” organismo, la nostra persona.

Prendendo atto della definizione sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (1948) dove la salute è “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattie o infermità” e le recenti acquisizioni scientifiche relative il significativo impatto del microbiota nei confronti della nostra natura bio-psico-sociale, è chiaro che quanto esposto poco sopra rappresenti un cambio di paradigma. Il cambio viene inteso come una sfida concettuale e clinica rispetto quello finora adottato, promuovere il benessere e la salute umana.

Pur essendo, appunto, molto sfidanti, questi concetti ci obbligano ad affrontare la quasi disorientante complessità dell’organismo “umano” tracciata dalle scienze biomediche e psicologiche ma ci offrono anche una moltitudine di strumenti, conoscenze e strategie nuove per supportare e promuovere efficacemente la salute ed il benessere delle persone finora impensabili.


Bibliografia

Agnoletti, M. (2004). Il modello bio-psico-culturale. Dipav.11,11-34. Franco Angeli, Milano.

Agnoletti, M. (2021). L’olobionte umano-microbiota e l’effetto imbuto dei telomeri. State of Mind, 11.

Barbieri, M. (2003). The Organic Codes. Cambridge: Cambridge University Press.

Gasbarrini, A., Dionisi, T., & Gasbarrini, G. (2019). L’azione del Microbiota nel trapianto fecale. Atti della Accademia Lancisiana. Vol.LXIII, 1, 113-121.

Miller, J.G. (1970). Living Systems. New York: Mc-Graw-Hill. Trad. it. (1971), La teoria generale dei sistemi viventi. Milano: Franco Angeli.

Monod, J. (1970). Le hazard et la necessité. Parigi: Seuil.

Morin, E. (1985). La via della complessità. In G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di) (1985), La sfida della complessità. Milano: Feltrinelli site web.

Prigogine, I. (1976). Order Through Fluctations. Self-Organization and Social Systems. In E. Jantsch & L.H. Waddington, Evolution and Consciousness. Human Systems in Transition. Reading (Mass.): Addison-Wesley.

Rothschild, D., Weissbrod, O., Barkan, E., et al. (2018). Environment dominates over host geneticsin shaping human gut microbiota. Nature, 555: 210-5.

Volkenstein, M.C., &Chernavskii, D.S. (1978). Information and Biology. Jour-nal of Social and Biological Structures, 1,1, 69-86.

Rivista del mese

Dott. Giuseppe Cultrera
Fisioterapista.
Presidente associazione Approccio Variabile.
Autore tecnica approccio variabile.
Presidente Nazionale collegio probiviri dello SPIF, Sindacato Professionale
Italiano Fisioterapisti.
Libero professionista, Giarre.


Nella fisioterapia tradizionale tanto ortopedica quanto neurologica, l’approccio al recupero e al miglioramento funzionale implica quasi sempre attività che coinvolgono l’escursione di segmenti articolari, o attraverso esercizi aspecifici oppure attraverso esercizi finalizzati al raggiungimento di obiettivi funzionali (prendere un bicchiere, calciare una palla, allenare l’equilibrio etc.). In molti casi la parte di riabilitazione dedicata agli aspetti automatici del movimento viene presa poco in considerazione quando addirittura non considerata del tutto. Eppure l’automatismo rappresenta il substrato indispensabile al movimento volontario, per cui deve essere a mio avviso oggetto di (ri)apprendimento. Diventa necessario dunque intervenire con tecniche che possano “dialogare” più compiutamente con gli aspetti relativi all’organizzazione automatica del movimento.

Come sappiamo dalla fisiologia, l’automatismo, per quanto appreso, rappresenta il substrato indispensabile al movimento volontario. La complessa rete di interazioni dei sistemi corticali e sottocorticali permette l’integrazione di stimoli visivi, vestibolari, motori, sensitivi e propriocettivi, indispensabile per la gestione dei riflessi spinali, schemi di movimento già prestabiliti, ma adattabili al compito motorio secondo quel meccanismo che prende il nome di “atteggiamento funzionale” (Eric R. Kandel, James H. Schwartz, Thomas M. Jessell: Principi di Neuroscienze). L’unico recettore a possedere un’innervazione efferente motoria, oltre quella afferente sensitiva, è il fuso neuromuscolare, che oltre ad “informare” il SNC, viene da questo modulato durante la sua attività di “informatore”.

La Tecnica Approccio Variabile è un approccio (inteso come metodo o atteggiamento mentale o prospettiva particolare con cui si affronta lo studio di un problema) frutto di una più che trentennale esperienza di lavoro e di studio in ambito riabilitativo e prende l’avvio dalla considerazione che la funzione e la “disfunzione” sono sempre il risultato dell’interazione tra vari sistemi che devono essere tenuti in considerazione contemporaneamente nel trattamento riabilitativo. Ritengo che l’intuito sia elemento strutturale indispensabile nel ragionamento clinico tanto quanto lo sia il sapere scientifico. Sia in fase valutativa, quanto nel trattamento la Tecnica Approccio Variabile considera il paziente nel suo insieme, senza distinguerlo in paziente “ortopedico” e “neurologico”, e sottolinea la necessità di non tralasciare l’inevitabile e importante interrelazione tra le diverse componenti, che concorrono a determinare una disfunzione.

La tecnica “Approccio Variabile” (AV) sottende i concetti sopra esposti, proponendo un intervento manuale sul muscolo (direttamente ed indirettamente) con l’obiettivo di rivolgere “domande specifiche” che, attraverso la stimolazione dei sistemi fusimotorio e scheletromotorio, facilitino una risposta muscolare adeguata e significativa, sia su base volontaria che automatica. Il punto di forza della tecnica AV consiste nella possibilità di intervenire direttamente sul muscolo senza dover implicare necessariamente il movimento articolare e cominciare la stimolazione dei meccanismi automatici sopra riportati già nelle prime fasi dell’intervento riabilitativo, ad esempio all’inizio di una presentazione clinica acuta o di un percorso post-chirurgico, riducendo i tempi di recupero.

È questo il caso delle tante patologie e disfunzioni a carico del sistema movimento, a cui si rivolge la Tecnica Approccio Variabile: è possibile agire efficacemente negli esiti di lesioni centrali (ictus) o nelle patologie degenerative del Sistema Nervoso come la Sclerosi Multipla, si riducono i tempi di guarigione e di gestione della disabilità temporanea nella riabilitazione post chirurgica di anca, ginocchio, colonna, caviglia, spalla etc. Inoltre molto efficace risulta l’utilizzo della Tecnica nelle cervicalgie, lombalgie e nei traumi di grandi e piccole articolazioni che riguardano tutte le età e gli sportivi; infine altrettanto indicata è la Tecnica AV nel trattamento dei pazienti amputati che si apprestano alla verticalizzazione e all’utilizzo della protesi di arto inferiore. Questi sono alcuni esempi del campo di applicazione della Tecnica AV. Qualunque contatto manuale con il paziente obbliga il sistema nervoso a mettere in atto meccanismi di adattamento. Il Fisioterapista deve essere in grado tanto di cogliere questi adattamenti quanto di indurli e gestirli in maniera appropriata adeguandosi egli stesso alle mutevoli presentazioni cliniche, guidando il paziente verso il più efficace apprendimento motorio. É tutto questo un aspetto innovativo proprio della tecnica dell‘Approccio Variabile; per cui non cogliere gli aspetti di cui ho scritto spesso porta a ritardi nel processo di recupero così come ad insuccessi.

Rivista del mese

 

Dott. Roberto Urso
Dirigente Medico
U.O. di Ortopedia e Traumatologia
Ospedale Maggiore, Bologna

 


Il chiodo in carbonio: case report.

Abstract: Aneurysmal bone cyst is an expansive lesion that arises below the periosteum. The lesion tends to swell and create large cavities lined with histio-fibroblastic connective tissue and giant cells, filled with blood, but not vascularized. -Surgical treatment of the proximal metaphyseal fracture with the carbon locking nail.


Già in altra sessione si era parlato dell’encondroma nell’ambito delle neoplasie ossee benigne unifocali ad accrescimento autonomo, afinalistico, senza tempistica della sua evoluzione e molto lento rispetto alle forme maligne.

Oggi affrontiamo un argomento, quello della cisti ossea, che si mostra alla visione dell’ortopedico molto più spesso di quanto si possa credere, la cisti ossea.

La cisti ossea appartiene al gruppo delle lesioni pseudotumorali: un gruppo di lesioni ad eziologia quasi sempre sconosciuta e di natura displastica (alterazione cellulare) o iperplastica (aumento). In questo gruppo vengono inserite le cisti ossee, le cisti aneurismatiche e i granulomi eosinofili.

cisti ossea

Il motivo per cui devono essere tenute sotto controllo è dovuto al fatto che, essendo lesioni pseudotumorali, hanno spesso un aspetto clinico, anatomo-patologico e radiologico somigliante alle lesioni cancerose maligne.

Cisti ossea: è una lesione cistica espansiva dell’età infantile che colpisce la metafisi prossimale dell’omero o del femore ed è a contenuto sieroso, ma può diventare ematico nel caso che il segmento si fratturi.

Cisti ossea aneurismatica: si tratta di una lesione di tipo espansivo e insorge al di sotto del periostio. La lesione tende a gonfiarsi, a creare delle grosse cavità rivestite da connettivo istio-fibroblastico e di cellule giganti ripiene di sangue, ma non vascolarizzate.

Granuloma eosinofilo: è una lesione simil-granulomatosa che insorge in età giovanile e può colpire le ossa piatte, brevi e lunghe (cranio, bacino, vertebre), costituita da granulociti eosinofili ed istiociti. L’area di osteolisi si presenta a macchia d’olio e spesso, erodendo la porzione corticale, la radiografia fa sospettare a una neoplasia maligna.

cisti ossea

fig. 2 sede di insorgenza più frequente, la meta-epifisi prossimale dell’omero

 Case report

Paziente maschio, di anni 16. Nessuna patologia di rilievo. Buona salute, attività fisica regolare. Improvvisa frattura spontanea dell’omero destro; esegue radiografia di controllo e, alla visione della frattura della porzione più prossimale della diafisi, il responso appare molto inquietante, facendo passare la lesione di tipo osteolitico come una lesione tumorale di certa rilevanza.

Gestione clinica.

Clinicamente solo dolore, nessun deficit di tipo neurologico (spesso le fratture d’omero possono allarmare per il rischio di un danno a carico del nervo radiale). Al paziente venne data indicazione a trattamento di tipo incruento e fu immobilizzato con un bendaggio di tipo Desault (fig. 1A) da portarsi per 35- 40 giorni.

Giunto alla mia visione il paziente presentava notevole intolleranza a tale tipo di trattamento, ma ancor peggio era il dolore che provavain qualunque posizione stesse e, ancor peggio, durante la notte, in quanto non vi era posizione che non determinasse dolore.

cisti ossea

Si richiese TAC di controllo per visionare la dimensione e struttura della lesione e per fare valutazione sulla ricostruzione in 3D (fig.3C). Nella figura 3 appare ben evidente che la lesione non corrispondeva a quella visibile ai radiogrammi (fig.3A), ma era molto più estesa partendo dal 3° prossimale di omero fino alla porzione più esterna della testa dell’omero (fig.3B).

Le frattura diafisarie e meta-diafisarie di omero devono essere attentamente valutate e possono, molto frequentemente, essere gestite con una chirurgia mini-invasiva e stabilizzate con un chiodo bloccato (fig.1 e fig.2).

Ciò che tale approccio chirurgico ha di veramente positivo è determinato dalla possibilità di iniziare già dal giorno successivo all’intervento, una mobilizzazione precoce dell’arto superiore interessato. Questo permette una più veloce ripresa ai movimenti e di conseguenza una precoce guarigione.

Materiale e metodo

Nella figura 1A si vedono quelle che sono le sedi fratturative più frequenti a livello dell’omero in questi giovani pazienti e la figura 2 mostra l’approccio chirurgico per tale tipo di intervento. Una piccola incisione e, sotto controllo ampliscopico e previa riduzione della frattura, si inserisce un chiodo bloccato.

La scelta classica, nelle fratture non patologiche e traumatiche dell’adulto, cade pressoché sempre su un chiodo bloccato costruito in lega di titanio e con modulo di elasticità pari a quella dell’osso vivente. (fig.1B)

Nel caso specifico di cui stiamo parlando, si scelse un chiodo bloccato in carbonio e tale scelta fu determinata dal fatto che, a differenza del titanio, il carbonio è radiotrasparente e permette di seguire il processo di guarigione meglio che i chiodi classicamente usati.

Trattamento

In anestesia generale e con il paziente in decubito beach-chair, si eseguì piccola incisione di circa 2 centimetri con accesso tran-deltoideo; sotto scopia si inserì il filo guida e con l’apposita raspa si praticò il foro di ingresso. Si fece un prelievo per esame istologico e si inserì il chiodo bloccato in carbonio.

cisti ossea

Nella figura 4A. è visibile il controllo eseguito nell’immediato post-operatorio cisti ossea. Dopo circa 24 ore il paziente fu dimesso a domicilio e con solo il braccio al collo su tutore semplice. La desutura delle ferite avvenne a 2 settimane dall’intervento, ma la rieducazione funzionale assistita fu immediata. Nel primo mese con movimentazione graduale attiva e passiva fino ai gradi estremi e dal secondo mese più intensa e con rinforzo muscolare attivo.

I controlli furono a 1 mese e a 2 mesi e furono eseguiti i relativi radiogrammi che, per merito del chiodo al carbonio, mostrano l’evoluzione del processo di guarigione.

A 2 mesi il paziente eseguì nuovo radiogramma di controllo che mostrava un callo osseo riparativo molto valido (fig.4B) e la mobilizzazione dell’arto era totalmente libera e senza tutore. Un risultato che può essere definito ottimo.


Bibliografia

C.P. Adler, K. Kozlowsky: “Primary bome tumors and tumrous condition in children”, Springer Verlag, 1993, London

Klaus Buckup: “Ortopedia pediatrica”, 1° edizione 1987, Aulo Gaggi editore, Bologna

M. Campanacci: “Lezioni di Clinica Ortopedica”, 2° edizione, 1975, Patron Editore, Bologna

G. Canepa, G. Stella: “Tumori ad istogenesi cartilaginea”, vol.4, Trattato di Ortopedia Pediatrica, 2002, Piccin Editore

B.L. Coley, N.L. Higinbotham: “Tumors primary in the bones of hand and feet”, Surgery, 5,112, 1939

Frank Netter, William Enneking, Ernest U. Conrad III: “Tumori dell’apparato muscolo-scheletrico”, Apparato muscolo-scheletrico, parte 2, Ciba Collection, volume 8, 1998