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In Usa aumento temperatura di 1 grado in 5 anni, +2% depressioni

Ecco un altro temibile effetto collaterale del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sulla salute delle persone: una serie di disturbi mentali risultano in crescita proporzionalmente legata all’aumento della temperatura.
A osservarlo è un nuovo studio del Massachusetts Institute of technology, che ha seguito l’andamento psicologico e psichiatrico di oltre 2 milioni di cittadini statunitensi per 10 anni, mettendolo in relazione con i dati meteorologici sulle oscillazioni del clima nelle aree in cui vivevano. Le informazioni provengono dal “Sistema di Sorveglianza Usa per la prevenzione dei fattori di rischio comportamentali”: la più vasta banca dati al mondo in materia.
I ricercatori del MIT che hanno condotto l’indagine, hanno osservato come, a fronte del generale aumento di un grado Celsius, le patologie psicologiche di media entità sono salite del 2%. Le malattie rilevate includono: depressione, stati di ansia, insonnia, paure, malesseri psichici generalizzati. Ma non suicidi o ospedalizzazioni per depressioni gravi.
Il rapporto pubblicato su “PNAS”, ha anche studiato gli effetti di precipitazioni intense nel corso di 30 giorni sull’umore, rilevando che le piogge insieme ad un caldo più intenso del normale peggiorano gli stati depressivi e la salute mentale.
Il team guidato da Nick Obradovich ha voluto anche analizzare l’effetto dell’uragano Katrina – legato anch’esso al cambiamento climatico – sulle persone che vivevano nell’area: tra queste i disturbi mentali sono saliti del 4%. A confermare gli esiti dello studio e’ stato Jonathan Patz, direttore del “Global Health Institute” dell’universita’ dell’ Wisconsin. Una ricerca condotta per 17 anni dallo stesso Patz, ha verificato un incremento dei suicidi e dei tentativi di farsi del male a fronte di fasi di caldo piu’ intenso della norma.

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Crolla un altro mito sugli integratori a base di olio di pesce

Crolla un altro mito sugli integratori. L’assunzione degli acidi grassi Omega 3 a base di olio di pesce ritenuti dagli esperti un ‘salvacuore’, dati alla mano non fanno nulla per ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, morti da infarto, eventi di malattie coronarie, ictus o irregolarità cardiache. Lo rileva un’ampia ricerca appena diffusa dalla Cochrane Library, iniziativa internazionale no-profit che valuta e diffonde informazioni su efficacia e sicurezza degli interventi sanitari.
Ampi studi avevano già riportato simili conclusioni ma la Cochrane Library ha analizzato 79 sperimentazioni randomizzate che hanno coinvolto 112.059 persone, ricontrollando tutti i dati per verificare l’assenza di parzialità o di errori sistematici. “Non abbiamo osservato – afferma il responsabile della ricerca della Cochrane, Lee Hooper – effetti protettivi. I ricercatori non sono stati in grado di dimostrare un chiaro beneficio clinico nei disturbi cardiaci”.
Per ridurre il pesante carico delle malattie cardiache nei paesi occidentali i ricercatori hanno nutrito speranze molto alte nei grassi omega-3. Questi infatti svolgono un ruolo importante nel costruire le membrane delle nostre cellule, e i primi studi sembravano indicare la capacità di ridurre il colesterolo e di sanare le infiammazioni.

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Uno studio guidato da Maria Pia Abbracchio dell’Università Statale di Milano identifica una popolazione di cellule progenitrici ancora presenti nel cervello adulto, che, se attivate da un danno neurodegenerativo, possono contribuire alla riparazione del tessuto cerebrale. Tuttavia, la loro potenzialità riparativa è completamente abolita se il tessuto circostante è fortemente infiammatorio. La ricerca svolta in collaborazione con il Centro Cardiologico Monzino, l’Istituto Scientifico San Raffaele e l’Università di Ulm in Germania, è stata finanziata da AISM e la sua Fondazione, e dalla Fondazione Cariplo.
Nel cervello adulto sono ancora presenti cellule progenitrici (i precursori oligodendrocitari) capaci di differenziarsi ad oligodendrociti maturi che producono la guaina mielinica, la quale, avvolgendo strettamente i prolungamenti dei neuroni, permette di fatto la propagazione degli impulsi nervosi da una cellula all’altra “Nostri studi precedenti avevano dimostrato che una sottopopolazione di questi progenitori porta sulla superficie della membrana un recettore, GPR17, capace di promuovere la loro maturazione a cellule produttrici di mielina, permettendo così la ricostruzione della guaina in malattie neurodegenerative caratterizzate da disfunzioni della stessa e demielinizzazione, quali, ad esempio, la sclerosi multipla, ma non solo” “, raccontano Giusy Coppolino e Davide Marangon, co-primi autori dello studio.
In questo studio, si dimostra per la prima volta in maniera inequivocabile che i progenitori esprimenti GPR17 possono generare in vivo cellule mature mielinizzanti, e che questa loro capacità dipende dalla “permissività” dell’ambiente circostante. Se nel tessuto cerebrale sono presenti molecole proinfiammatorie in grande quantità, allora il processo di maturazione di queste cellule è completamente inibito.
Per dimostrare questo, gli autori hanno utilizzato due modelli diversi in vivo di sclerosi multipla nel roditore: il modello dell’EAE (encefalomielite autoimmune sperimentale) caratterizzato da potente demielinizzazione associata a forte infiammazione sia a carico del cervello che del midollo spinale, e il modello del cuprizone, dove la demielinizzazione viene indotta localmente all’interno del cervello con un agente tossico producendo un grado di infiammazione molto minore. In entrambi i casi, la demielinizzazione è stata indotta in una linea di roditore sviluppata nel laboratorio della professoressa Abbracchio, dove i progenitori esprimenti GPR17 sono fluorescenti, permettendo così di seguirne l’evoluzione all’interno del sistema nervoso centrale
In questo modo, i ricercatori hanno visto che, sia nel modello di EAE che in quello del cuprizone, i progenitori fluorescenti venivano reclutati al sito del danno, ma che solo nel modello caratterizzato da minore o assente infiammazione, questi progenitori riuscivano a maturare, diventando cellule mielinizzanti in grado di riparare le lesione.
“Questi risultati confermano nostri studi precedenti che dimostrano come i progenitori esprimenti GPR17 rappresentino un serbatoio di cellule deputate a riparare le lesioni cerebrali durante la vita adulta”, commenta Davide Lecca, co-ultimo autore dello studio. “Tuttavia, queste cellule non riescono a completare la loro maturazione in presenza di eccessiva infiammazione, come succede nel modello di EAE. La dimostrazione che, abbassando il livello di infiammazione (modello del cuprizone), questi progenitori diventano cellule mielinizzanti, apre la strada a terapie combinate, dove ligandi selettivi di GPR17 potranno essere impiegati insieme a molecole anti-infiammatorie per potenziarne le capacità riparative”, conclude Davide Lecca.
Negli ultimi vent’anni, sono stati sviluppati diversi farmaci immunomodulanti e anti-infiammatori che riescono a tenere sotto controllo i sintomi della sclerosi multipla, senza però riuscire a curare le lesioni della mielina. La combinazione di questi farmaci con molecole pro-mielinizzanti selettive per GPR17, attualmente già in sviluppo nel Laboratorio della prof.ssa Abbracchio grazie ad una partnership e ad un brevetto internazionale congiunto fra l’Università Statale e FISM – Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, permetterà di combattere in maniera più efficace non solo questa malattia ma anche altre sindromi neurodegenerative dove le disfunzioni della mielina giocano un ruolo fondamentale.