Medicalive

Uomini, rancore e vendetta: dov’è il perdono

Dott. ssa Annamaria Venere
Sociologa Sanitaria;
Criminologa Forense;
Socio AICIS (Associazione Criminologi per l’Investigazione e la Sicurezza);
Amministratore Unico: AV eventi e formazione, Catania;
Direttore editoriale: Medicalive Magazine;
annamariavenere.it

 

Relazione tra vendetta e rancore rispetto al perdono. La vendetta può essere definita come un comportamento intenzionale che mira a infliggere una punizione, fisica o psicologica, a qualcuno che ha causato, a sua volta, un danno o un’offesa. Sotto un profilo psicologico, pertanto, la vendetta è spesso motivata dalla rabbia, dalla frustrazione o dal desiderio di ripristinare la propria reputazione contro chi l’ha indebolita. Prima di esaminare la vendetta, però, è necessario analizzare il sentimento che ne sta alla base: il rancore. Per impedire che questi sentimenti possano comportare conseguenze penali, basterebbe allora il perdono.

Il sentimento alla base della vendetta: il rancore

Il rancore è un forte e persistente risentimento verso qualcuno che ci ha fatto del male o ci ha in qualche modo deluso. Spesso, è alimentato da un senso di iniquità o di offesa subita, che a sua volta conduce alla percezione di essere stati trattati male o di essere stati vittime di un’ingiustizia. Riguarda vari campi della vita, da quello lavorativo a quello amoroso, ma in ognuno di essi la persona che lo prova ha difficoltà a superare l’evento che l’ha scatenato: un individuo, infatti, è rancoroso nel momento in cui prova difficoltà nel perdonare chi lo ha ferito. Sotto un profilo sociale, di conseguenza, il rancore ha effetti negativi sulla capacità di mantenere relazioni sane e positive, anche perché chi nutre rancore èin genere emotivamente distante dagli altri (Socarides, 1996).

Il sentimento del rancore, a causa del suo insinuarsi in modo ossessivo nella mente di chi lo prova, conduce, se non elaborato o superato, alla creazione di quello che potremmo definire un vero e proprio circolo vizioso. Ci si illude, in altre parole, che soltanto perpetuando un’azione concreta, che possa in qualche modo restituire all’altro ciò che ci ha fatto, esso si possa quietare. In questi casi, quando ovvero non si è in grado di superare il proprio rancore, ecco che compare il già accennato comportamento vendicativo.

La dinamica comportamentale vendicativa

In linea generale, la dinamica comportamentale della vendetta si compone di tre fasi. La prima fase è l’esperienza di una perdita o di un’offesa subitache, come accennato, può essere causata da un’azione o da un comportamento che viene percepito come ingiusto o lesivo dei propri interessi o bisogni. Questa fase può scatenare una serie di reazioni emotive, tra cui tristezza, frustrazione, rabbia e senso di ingiustizia, amplificando quelle provate con il nascente sentimento rancoroso. La seconda fase del processo di vendetta è invece la mancata gratificazione dei bisogni personali. In questa fase, il soggetto si sente ferito nell’orgoglio e nella dignità: il senso di frustrazione può portare a comportamenti aggressivi e distruttivi, volte a ripristinare l’equilibrio (emotivo) precedentemente infranto. Infine, la terza fase, prevede una liberazione di aggressività verso la presunta causa della perdita subita. Tale ultima fase comportail danneggiamento o la distruzione di ciò che viene considerato di proprietà o di valore per il colpevole, come le sue proprietà, il suo status o le sue ricchezze. La motivazione principale di questa fase è ripristinare l’equilibrio psicosociale attraverso il diritto e il dovere del soggetto leso di vendicarsi contro chi ha arrecato danno (Grillo, 2018).

Più in particolare, l’obiettivo principale della vendetta è preservare la reputazione, comunicando all’offensore e agli osservatori un messaggio che affermi il proprio valore. A tal proposito, si è ha notato che le persone che subiscono atti aggressivi attribuiscono all’offensore la credenza che esse non meritino un trattamento migliore di quello ricevuto. La vendetta mira quindi a influire sul sistema di credenze dell’aggressore, cercando di modificare l’immagine che egli ha della vittima, da individuo insignificante a persona degna di rispetto. Un altro motivo, che giustificherebbe la vendetta è il desiderio di “dar lezione” all’offensore: la vendetta assume cioè un valore simbolico che ha lo scopo di convincere l’offensore che un certo comportamento non sarà più tollerato. La punizione inflitta dalla vittima ha, in definitiva, una funzione educativa e morale, insegnando che un certo comportamento non rimarrà impunito. In questo senso, la vendetta è simile alle punizioni impartite ai bambini per scoraggiare comportamenti socialmente riprovevoli, ma differisce dal “pareggiare i conti” perché il suo obiettivo è quello di insegnare una lezione morale, non di ottenere un risarcimento per l’offesa subita (Grillo, 2018; Socarides, 1996).

Quali conseguenze psicosociali: c’è la possibilità di perdonare?

Come abbiamo visto, il rancore e la vendetta portano solitamente a una escalation di violenza e conflitti, in cui gli interessi dei soggetti coinvolti diventano contrapposti, a qualsiasi livello li si vogliano analizzare: amore, lavoro, militare, politico. Vengono meno la percezione dell’individuo sulle relazioni interpersonali e sulla fiducia negli altri. In generale, la vendetta non è dunque un meccanismo sano per risolvere le dispute o le ingiustizie, ma piuttosto un modo per perpetuare lo scontro e la sofferenza.

Se ne deriva che un simile comportamento vendicativo, può avere delle conseguenze sia psicologiche che sociali nella persona che lo attua e in quella che lo subisce, a volte anche gravi. Dal punto di vista psicologico, quando una persona non riesce a soddisfare i propri bisogni e subisce una perdita, può reagire in diversi modi in base al proprio livello di maturità. Chi è immaturo emotivamente potrebbe manifestare la frustrazione attraverso scatti di rabbia, comportamenti di isolamento, sentimenti di risentimento o una rigida chiusura emotiva. In particolare, la ferita all’orgoglio, in questi casi, può scatenare il desiderio di vendetta.Al contrario, una persona psicologicamente sana potrebbe affrontare la frustrazione per la perdita subita in modo diverso, ad esempio attraverso il perdono. In questo modo, si eviterebbe di cadere nel circolo vizioso dell’odio e del desiderio di rivalsa. È importante notare che l’eccesso patologico della vendicatività si verifica quando si passa dalla giusta punizione alla rappresaglia, ovvero quando si cerca di fare del male in modo eccessivo e ingiustificato alla persona che ha causato la perdita o il danno (Searles, 1996).

Sotto un profilo sociale, invece, quando le persone si vendicano,formano una spirale di violenza, intensificando, laddove presenti, anche stereotipi e pregiudizi nei confronti di gruppi sociali specifici, comportamenti discriminatori o conflitti inter-gruppo.La vendetta, non a caso, è protagonista, peraltro, di molti femminicidi, figli più che altri di sentimenti rancorosi negli uomini, tradimenti innescati e mai perdonati. Se ne deriva, dunque, che della vendetta, e quindi dal rancore, si nutrono anche atti criminali, nonché tutte quelle logiche che confluiscono nel voler far male a una persona (Fadda, 2012).

Eppure, al di là di problematiche psicologiche personali da elaborare in apposite sedi cliniche, una soluzione al rancore e alla vendetta, prima che scivolino in strade penali, ci sarebbe: il perdono. Il desiderio di vendetta, infatti, può portare soltanto a un’apparente soddisfazione, poiché diversi studi dimostrano che è il perdono che porta a un maggiore appagamento rispetto alla vendetta. Le persone che scelgono il perdono sono più consapevoli della fallibilità umana e sono quindi in grado di comprendere le emozioni altrui, mentre la vendetta alimenta, al contrario, emozioni negative difficili da superare. Perdonare richiede da un lato una liberazione dal dolore che si prova per il danno subito, dall’altro è un processo interiore che richiede tempo e rispetto per i propri sentimenti, ma che alla fine può condurre anche a un riavvicinamento con la persona che ha causato il danno. In altre parole, è una gestione costruttiva del rancore e del comportamento vendicativo (Carella, 2018). Eppure, se fosse davvero così semplice innescare il processo psicologico del perdono, anziché farsi trasportare da logiche rancorose e vendicative, il mondo sarebbe tutt’altro da quello che le cronache quotidiane ci descrivono.


Bibliografia

Carella, V. (2018). Vendetta e psicologia: vendicarsi fa stare bene?, in https://www.centroclinicospp.it.

Fadda, M.L. (2012). Differenze di genere e criminalità, Diritto Penale Contemporaneo.

Grillo, A.A. (2018). Perché vogliamo vendicarci? Un approfondimento sul comportamento vendicativo, in www.fisppsicologia.it.

Searles, H. (1996). La psicodinamica della vendicatività. In Rabbia e vendicatività, Bollati e Boringhieri, Torino.

Socarides, W.C. (1996).La vendicatività: il desiderio di “pareggiare i conti”. In Rabbia e vendicatività, Bollati e Boringhieri, Torino.

Condividi il post

Gli altri articoli della rivista del mese