La funzione difensiva legata alla sopravvivenza biologica dell’organismo non è che una delle funzioni dello Stress che invece include, nella specie umana, tutti i contesti in cui occorre fornire energia e risorse finalizzate alle teleonomie bio-psico-sociali.
English abstract
The currently widespread paradigm linked to Stressprovides that, in the context in which a biological threat is perceived(consciously or not) by the organism, there is a specificpsycho-neuro-endocrine activation aimed at resolving the situation to ensure thesurvival of the organism.
This paper aims to criticize this paradigm in whichthe concept of stress is limited exclusively to biological teleonomy, trying tolay the foundations for a new, more complex paradigm of stress where, inaddition to biological purposes, there are also the psychological andsocio-cultural ones characteristics of the human species.
Italian abstract
Il paradigma attualmente diffuso legato allo Stress prevede che, nel contesto in cui viene percepita una minaccia biologica (coscientemente o meno) dall’organismo, vi sia una specifica attivazione psico-neuro-endocrina finalizzata a risolvere la situazione per garantire la sopravvivenza dell’organismo stesso. Il presente scritto ha come obiettivo la critica di questo paradigma in cui il concetto di stress viene limitato in via esclusiva alla teleonomia biologica cercando di porre le basi per un nuovo paradigma più complesso di stress dove, oltre alle finalità biologiche, trovano posto anche quelle psicologiche e socio-culturali caratteristiche della specie umana.
Autore
Dott. Massimo Agnoletti – Psicologo, Dottore di ricerca esperto di Stress, Psicologia Positiva e Epigenetica. Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto, Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE).
[dropcap color=”#008185″ font=”0″]A[/dropcap]ttualmente il modello classico di stress condiviso all’interno della comunità scientifica è quello che prevede, anche nella specie umana, l’attivazione di una specifica configurazione psico-neuro-endocrina per risolvere una situazione potenzialmente pericolosa per l’organismo.
Lo scienziato Cannon definì lo stress inizialmente nei termini di reazione fisiologica dell’organismo di fronte ad una minaccia percepita.
Questa reazione prevedeva la percezione di uno scostamento rispetto il precedente stato fisiologico di equilibrio ed il conseguente tentativo di ripristinarlo attraverso una caratteristica attivazione fisiologica condivisa da varie specie animali.
Vari autori tra i quali Selye, Lazarus, McEwen, Chrousos, Sapolsky, in quasi un secolo di ricerche hanno arricchito di dettagli lo stesso concetto di stress (che deriva dalla parola “stringere”, “premere”) sottolineandone alcuni aspetti più di altri (per esempio l’aspetto di a-specificità rispetto l’agente stressante di alcune caratteristiche neuroendocrine attivate come risposta, la natura delle molecole implicate, etc.).
Probabilmente non c’è stato finora uno sforzo concettuale altrettanto importante per sintetizzarne il suo ruolo esplicativo spettacolarmente complesso presente nella specie umana e questo è uno dei motivi per cui è anche oggigiorno così difficile contestualizzarlo, misurarlo (estrapolando valori oggettivi) e valutarlo (positivo o negativo) nelle persone (Agnoletti, 2019; Agnoletti, 2020).
Nella visione tradizionale, il meccanismo adattativo dello stress che sottende la particolare attivazione psico-neuro-endocrina ha una finalità puramente biologica e per questo motivo le definizioni di eustress (stress positivo) e distress (stress negativo) trovano il loro spazio logico unicamente in funzione del risultato ottenuto in riferimento alla fitness biologica dell’organismo.
In altri termini, nella versione “standard” o “classica” dello stress, la differenza tra eustress e distress viene definita in base all’efficacia nel garantire la sopravvivenza stessa dell’organismo.
Se la sopravvivenza viene garantita ristabilendo l’equilibrio precedente l’esposizione alla minaccia (di natura batterica, virale o, ad esempio, da parte di un possibile predatore) si parlerà di stress positivo, se invece la reazione comporta una diminuzione della fitness biologica (la morte, nel caso estremo) si parlerà di stress negativo.
Il paradigma standard dello stress ha naturalmente la sua declinazione “acuta”, se caratterizzata da una particolare intensa ma breve attivazione del sistema nervoso (centrale ed autonomo; rispettivamente con il possibile coinvolgimento di aree come la corteccia prefrontale, l’ippocampo e l’amigdala, e il sistema autonomo simpatico e parasimpatico) e del sistema endocrino (il cosiddetto asse ipotalamo-ipofisi-surrene), o “cronica”, se connotata da una particolare dinamica psico-neuro-endocrino-immunologica prolungata nel tempo (medio o lungo termine).
Faccio notare che in questo concetto standard di stress viene assunta implicitamente una visione puramente quantitativa dello stress nel senso che esso può essere positivo solo nel contesto “acuto” (perché l’attivazione psico-neuro-endocrina ha una durata molto limitata, infatti lo stress cronico è considerato esclusivamente come negativo, distress) e solo all’interno della finalità strettamente biologica legata alla sopravvivenza (Agnoletti, 2020).
Altrettanto interessante è notare che in questa versione dello stress non vi è alcun riferimento significativo o funzionale agli altri livelli di complessità che caratterizzano la specie umana ossia gli aspetti psicologici e socio-culturali.
In altre parole, ad esempio, che un evento stressante sia vissuto emotivamente come estremamente negativo o intensamente positivo non ha nessun rapporto funzionale con l’attribuzione del valore positivo (eustress) e negativo dello stress (distress).
Un evento dove una persona vive uno stress acuto evitando di farsi investire da un’auto generalmente viene vissuto come un intenso spavento (quindi con una connotazione estremamente negativa dal punto di vista emozionale) ma, nel paradigma classico, lo stress è considerato ugualmente come positivo perché tale connotato emotivo è comunque finalizzato a preservare la vita dell’organismo stesso.
Giusto a titolo di esempio, un attacco di panico, caratterizzato da un’attivazione psico-neuro-endocrina paragonabile a quella di uno stress acuto, non si sa bene come contestualizzarlo perché pur essendo connotato da uno stato emotivo particolarmente negativo non è riconducibile ad alcuna priorità biologica legata alla sopravvivenza per l’assenza di una minaccia oggettive presente nel “qui ed ora” del soggetto.
Una conseguenza concreta di questa visione riduzionistica dello stress è che, ad esempio, anche gli operatori sanitari del pronto soccorso non sapendo bene trattare questa tipologia di problematiche, non fanno altro che ristabilire farmacologicamente e solo temporaneamente lo stato psico-neuro-endocrino pre-panico dei pazienti non fornendo generalmente ulteriori indicazioni a coloro che vivono questi eventi particolarmente drammatici e destabilizzanti.
Se l’unico livello di analisi dello stress rimane quello strettamente biologico, un attacco di panico non è particolarmente pericoloso o lesivo perché non è connotato da una vera e propria minaccia oggettiva per la sopravvivenza della persona malgrado il livello di benessere psicologico e qualità di vita della persona che ne fa esperienza possa essere notevolmente compromesso.
Contestualizziamo ora, in maniera critica, la visione tradizionale dello stress che ammette in via esclusiva la sua funzione biologica difensiva.
Ormai la letteratura scientifica già disponibile ha ampiamente dimostrato quanto l’aspetto psicologico e sociale possa influenzare la fitness biologica dell’organismo fino a comprometterne anche strutture quali i cromosomi, si veda ad esempio la scienza della Psicologia Epigenetica (Agnoletti, 2018,Epel et al., 2004, Kim et al., 2020), quindi già questa constatazione evidenzia quanto miope sia considerare lo stress solo limitatamente la sua teleonomia biologica immediata.
Riguardo l’orizzonte temporale considerato dalla versione classica dello stress sono infatti convinto che, almeno in parte, il grande successo dell’attuale concetto di stress sia anche dovuto al fatto che ben si sposa con il modello biomedico fortemente focalizzato a risolvere efficacemente problematiche legate alla sopravvivenza (quindi dando la priorità alla teleonomia biologica) soprattutto nel contesto “acuto” del breve termine (pensiamo ai grandi progressi ad esempio del settore traumatologico o dei trapianti) ma molto meno adeguato nel trattare dinamiche di medio/lungo termine (si pensi ad esempio al diabete, l’obesità, etc.).
In sintesi, a mio parere, il fatto che il modello biomedico fosse già precedentemente focalizzato sullo studio della patologia e che fosse molto efficace nel trattare problematiche del breve termine, ha fornito un contesto molto coerente con il paradigma dello stress come meccanismo di difesa biologica favorendone la sua diffusione culturale.
In passato vi è stato un apprezzabile sforzo concettuale soprattutto da parte di Lazarus e Folkman (Lazarus&Folkman, 1984) nel cercare di definire la differenza tra distress ed eustress coinvolgendo la dimensione psicologica (elaborazione cognitiva) a livello di significato attribuito all’evento stressante ma si tratta sempre di una modalità che prevede un’attribuzione che avviene a posteriori rispetto un meccanismo fisiologicamente determinato, fisicamente/chimicamente connotato e che possiede di per se unicamente una funzione esclusivamente biologica.
Il “plus valore” attribuito dall’elaborazione cognitiva proposta da Lazarus e Folkmanha la possibilità di rendere positivo uno stress negativo ma possiede una connotazione limitatamente psicologica quasi indipendente dalle dinamiche fisiologiche caratteristiche dello stress.
Non si tratta quindi di una natura diversa di stress rispetto quella condivisa all’interno del modello biomedico per questo motivo l’eustress proposto da Lazarus assume più il valore di “riduzione” delle implicazioni negative dello stress cronico che di proposta di un modello alternativo di stress caratterizzato dal promuovere attivamente la salute ed il benessere psicofisico umano all’interno di un modello integrato bio-psico-sociale.
Già il grande studioso di stress Hans Selye (Selye, 1976) aveva sottolineato il fatto di considerare lo stress come un elemento imprescindibile della vita di molte specie animali (inclusa la specie umana) ma non perché non si può considerare realistico pensare ad una vita priva di stress negativo (quindi di potenziali pericoli) ma per il fatto che probabilmente considerava indispensabile per la vita la sua componente positiva (il cosiddetto stress positivo o eustress).
Personalmente sospetto che dopo aver studiato approfonditamente e per molti anni il concetto di stress, Selye si fosse accorto che il suo paradigma iniziale, basato sullo studio della reazione fisiologica conseguente l’induzione di stress di natura puramente negativa in animali quali i ratti, avvertisse la necessità concettuale di espandere l’ipotesi originaria inglobando anche altri fenomeni non riconducibili ad una visione focalizzata sulla patologia (vedi sindrome generale di adattamento)ma comprendendo invece anche gli aspetti positivi dello stress.
A mio avviso, purtroppo Selye non riuscì mai precisamente a definire concettualmente questo complesso quadro teorico che incorpora sia gli aspetti positivi che negativi dello stress con la conseguenza che tutt’oggi vi è una grande confusione concettuale, anche a livello accademico (per non parlare di quello applicativo/clinico), riguardo cosa viene considerato stress ed in particolare a cosa ci si riferisce quando si parla di eustress.
In sintesi ritengo che la versione classica dello stress come meccanismo di difesa biologica sia corretta esclusivamente nel ristretto contesto di riferimento caratterizzato dai seguenti fattori:
- Esposizione ad una minaccia per la sopravvivenza da parte di agenti biologici (batteri, virus, predatori, etc.) presenti (o potenzialmente presenti) nel “qui ed ora” della persona;
- Per valutare il significato dello stress (positivo o negativo) si prenda in considerazione esclusivamente il breve termine (immediatezza) e non dinamiche temporali del medio/lungo termine;
- L’organismo, nel momento in cui attiva la risposta di stress, si trova in una situazione in cui non sta aumentando la propria complessità informazionale(nel caso della specie umana detta complessità riguarda gli aspetti bio-psico-sociali/culturali). Sappiamo da diversi anni che i sistemi biologici sono sistemi informazionali che si modificano nel tempo aumentando la loro complessità(Barbieri, 2003; Chernavskii, 1978; Miller, 1970; Monod, 1970; Morin, 1985; Prigogine, 1976; Volkenstein). Un esempio paradigmatico di questo aumento di complessitàè lo sviluppo ontogenetico di una persona che da una cellula totipotente arriva a costituire un organismo di trilioni di cellule differenziate o, sempre nel caso della specie umana, un processo di apprendimento che per esempio conduce ad imparare una lingua straniera o una nuova attività sportiva.
In seguito a quanto appena affermato la versione classica dello stress come meccanismo di difesa biologica non è adatta a descrivere situazioni che prevedono:
- L’assenza di una minaccia imminente (o potenzialmente tale) per la sopravvivenza rappresentata da agenti biologici (batteri, virus, predatori, etc.);
- La valutazione del significato dello stress (positivo o negativo) in considerazione degliaspetti psicologici o socio-culturali;
- La valutazione del significato dello stress (positivo o negativo) in considerazione di dinamiche temporali di medio/lungo termine;
- Che l’organismo, nel momento in cui stia attivando la risposta di stress, si trovi in una situazione in cui sta aumentando la propria complessità informazionale (nella specie umana la natura di questa complessità è bio-psico-sociale).
Sebbene le implicazioni di questa nuova prospettiva dello stress siano complesse quanto apparentemente disorientanti e manchi ancora la realizzazione di un modello esaustivo, la critica costruttiva del modello classico dello stress offre potenzialmente una possibilità esplicativa molto maggiore nello spiegare comportamenti caratteristici della specie umana in particolare dove vi è una contrapposizione funzionale tra i diversi aspetti evolutivi bio-psico-sociali (Agnoletti 2004).
In riferimento alle persone, questa visione più complessa di stress prevede che il suo ruolo difensivo non è che una delle declinazioni di questo meccanismo di adattamento evoluzionistico che mobilita energie e risorse finalizzate a soddisfare tutte e tre le teleonomie caratterizzanti la specie umana: quella biologica, quella psicologica e quella socio-culturale in tutte le interazioni logiche tra di esse.
Solo in questo scenario può esserci la possibilità esplicativa di valutare, ad esempio, un comportamento come caratterizzato da stress positivo dal punto di vista psicologico (emotivo-cognitivo) anche in assenza di minacce biologiche ma nel contesto di uno sviluppo di complessità particolarmente intenso (come può essere l’esperienza del Flow) o il ruolo di stress negativo psicologico determinato da una malattia autoimmune che continuamente alimenta uno stato infiammatorio che con il passare del tempo debilita sempre più la disponibilità dopaminergica fondamentale a livello motivazionale.
BIBLIOGRAFIA
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