Ortopedia

Dr. Roberto Urso
Medico Chirurgo, Specialista in Ortopedia e Traumatologia, Dirigente Medico U.O. di Ortopedia e Traumatologia Ospedale Maggiore di Bologna

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INTRODUZIONE

Le fratture di polso nei bambini rappresentano un evento frequente; il cambiamento dello stile di vita e il conseguente aumento delle varie tipologie di pratiche sportive che si è avuto dagli anni 80 fino ad oggi, quali il gioco del basket, della pallavolo, le arti marziali e numerose altre attività, hanno notevolmente incrementato queste lesioni dell’arto superiore. (1) Anche l’aumento del traffico veicolare degli ultimi anni ha, poi, accresciuto il rischio di traumi “ad alta energia” nella popolazione adulta e non.

Sappiamo che l’osso dei bambini, rispetto a quello degli adulti, è dotato di maggior elasticità, ma è importante ricordare che le ossa lunghe contengono almeno una cartilagine di tipo metafisario, quella che chiamiamo “fisi”, destinata a determinare l’accrescimento in lunghezza delle ossa.

Le lesioni della metafisi cartilaginea, quando presenti, rappresentano un elemento di pericolo per la futura crescita longitudinale dell’osso del bambino; così come lo possono essere le fratture definite “a legno verde”.

Spesso tali lesioni non vengono riconosciute nell’ambito della loro gravità, altre volte non sono sottoposte ad un trattamento idoneo per una loro completa guarigione.(3)

Può capitare, infatti, che una scarsa attenzione nel trattamento di alcuni di questi traumi, spesso definiti in modo semplicistico “minori”, porti il medico, nella cura del bambino, ad un’errata diagnosi o ad un errata terapia, tale da determinare ripercussioni future nella età adulta.

Si vuole parlare di quelle fratture definite “a legno verde”, che rappresentano una rilevante quota nell’ambito dei traumi di polso in una età variabile dai 4-5 ai 13-14 anni, spesso misconosciute o trattate in maniera, come dicevamo, inadeguata.

E’ cosa nota e sperimentata che le fratture del bambino abbiano un rimodellamento nel tempo che le fratture dell’adulto non hanno, soprattutto quelle para-articolari, ne consegue che alcune deviazioni minori residue verranno spontaneamente corrette durante il periodo della maturazione scheletrica.(3)

Molto spesso accade, però, che il medico ortopedico, conoscendo questo enorme potenziale di veloce guarigione e di rimodellamento delle fratture nel bambino e, considerando l’intervento con riduzione chirurgica non sempre necessario, possa sottostimare la reale gravità della lesione stessa e persistere nei trattamenti prevalentemente incruenti, a volte senza eseguire alcuna manovra di riduzione, anche quando essa potrebbe essere necessaria ai fini di un risultato finale ottimale.

Questo atteggiamento, pur essendo troppo spesso adottato, è sostanzialmente superato, in quanto le fratture a “legno verde”  più complesse, a volte tendono a conservare ugualmente nel tempo l’angolazione patologica che non è stata corretta in sede di ambulatorio di Pronto Soccorso.

I più recenti studi ed incontri congressuali hanno stabilito che siano da considerare delle vere “fratture” e che, quando si ha riscontro di una evidente alterazione degli angoli di inclinazione (22°) e altezza radiale (11°), vadano sempre  ridotte, con le opportune manovre correttive e da mani esperte.(9)

Se alla frattura è, poi, associato un distacco epifisario (completo o incompleto) diventa obbligatoria la riduzione, il più anatomica possibile; ricordando, poi, che il distacco epifisario nel bambino è sempre considerata una urgenza e come tale va trattata, a seconda dei casi, anche chirurgicamente.

Questo atteggiamento assicura al piccolo paziente la miglior cura possibile e mette anche il medico al riparo da eventuali rischi e contestazioni sul suo operato: non dimentichiamo che, in questo periodo di medicina difensiva, le richieste di risarcimento da parte di genitori, sovente aggressivi e non soddisfatti dalle pratiche mediche di Pronto Soccorso, si fanno sempre più frequenti.

OBIETTIVITA’ CLINICA

Le fratture di polso, complete o a “legno verde”, sono sempre molto dolorose. Le fratture “a pane di burro” sono spesso asintomatiche, tant’è che molte fratture non giungono alla visione del Medico di Pronto Soccorso Ortopedico, arrivando a guarigione spontaneamente e, comunque, quasi sempre senza esiti invalidanti.

Le fratture a “legno verde”con spostamento del radio distale in flessione o estensione provocano spesso una deformità, lieve o grave.(5)

Frequentemente  una delle corticali, superiore o inferiore, è piegata, ma indenne. L’altra presenta un segno più simile alla frattura dell’adulto.

Il bambino mantiene un atteggiamento di protezione al polso. Quelli più piccoli spesso sono motivo di maggiore difficoltà nella gestione, in quanto, causa il trauma, la paura e il dolore, sono ritrosi nel farsi visitare e trattare. Nella gestione delle fratture del bambino la fretta deve essere eliminata, l’approccio con il piccolo paziente deve essere sicuro e gentile; tutto ciò per creare tranquillità al bambino stesso e ai genitori allarmati per l’accaduto.

DIAGNOSI

La diagnosi raramente è solo clinica, in quanto spesso la frattura non presenta  segni di deformità, né di motilità preternaturale.

L’indagine radiografica è sempre necessaria e deve essere correttamente eseguita nelle 2 proiezioni ortogonali, antero-posteriore e latero-laterale, con assetto neutro del polso, proiezioni necessarie per valutare l’integrità delle corticali e importanti ancor di più nel bambino, in quanto si deve considerare  anche un possibile danno ai nuclei di accrescimento.

Se necessario si possono, anche eseguire proiezioni oblique, che spesso permettono di interpretare deformità spesso non visibili nelle proiezioni standard.(7)

TERAPIA

La terapia è quasi sempre conservativa con riduzione manuale appropriata e apparecchio gessato, spesso brachio-metacarpale. Se interrotte, le fisiologiche curve in flessione-ulnarizzazione o estensione-ulnarizzazione dell’epifisi distale del radio vanno sempre ripristinate.

L’approccio chirurgico è una evenienza rara, anche se nella mia esperienza clinica ho avuto occasione di vedere fratture definite a “legno verde” che, invece, nascondevano un distacco epifisario; questo, non trattato adeguatamente, per mal interpretazione del radiogramma, porta sempre a risultato insoddisfacente con relative conseguenze di danno di crescita.

L’uso dell’anestetico nell’ambito della riduzione di fratture di questo tipo è sconsigliato. A volte, in circostanze estreme, si ricorre ad una “sedazione” con l’ausilio del collega anestesista.

Come mia personale esperienza non ho mai fatto uso di anestetici locali, iniettati nel focolaio di frattura, in quanto fonte di ulteriore stress per il bambino e comunque causa determinante di aumento di edema peri-lesionale. In alcuni casi si può ricorrere all’aiuto dell’anestesista, applicando sedazione con maschera, per il trattamento di fratture molto scomposte, con deformità e con distacco epifisario associato.(2)

L’anestesia generale, la riduzione sotto scopia e la sintesi con fili di Kirshner non sono un over-treatment, ma costituiscono il trattamento di prima scelta nelle fratture definite “instabili”, spesso associate a distacco epifisario.

MATERIALE E METODO

Molte sono le classificazioni. Alcuni autori hanno apportato modifiche o nuove classificazioni, come quella di Rang, ma quella maggiormente usata in questo tipo di fratture è la classificazione  di Salter-Harris.(6)

Sono stati analizzati 5 casi di frattura a “legno verde” e 1 caso di frattura mista del radio distale del bambino. Sono stati eseguiti controlli radiografici della frattura, controlli post-riduzione, controlli evolutivi a circa 7-10 giorni e controlli a fine cura.

Caso 1: F.F di anni 12, trauma al polso Dx durante attività sportiva. Salter-Harris tipo II.

Il referto radiologico descriveva una “frattura a pane di burro” a livello meta-epifisario distale. (fig.1)

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In realtà si tratta di un distacco epifisario incompleto, con dislocamento dorsale della epifisi distale del radio, con piccolo distacco parcellare a livello del nucleo di accrescimento.

Trattamento con riduzione manuale, gesso brachio-metacarpale e controllo radiografico post-riduzione che mostra una ottimale riduzione. (fig.2)

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Controllo rx-evolutivo a 6 giorni dal trattamento: evidente risalita della epifisi distale del radio.(fig.3)

Dopo riflessione collegiale si decise di non procedere ad una nuova riduzione della frattura, che sarebbe stata comunque eseguita in narcosi ed eventualmente, dopo valutazione clinica sotto scopia, sintetizzata con un filo di Kirshner se fosse risultata instabile.

Il trattamento si rilevò il più corretto. Il gesso B.A.M fu asportato a 25 giorni dal trauma, con risultato clinico soddisfacente. Nell’Rx sembra apprezzarsi una iniziale fusione della cartilagine di accrescimento nella porzione ulnare (fig 4)

Ma il controllo radiografico eseguito a 14 mesi di distanza dimostra che la lesione si è comunque ben stabilizzata. (fig.5)

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Caso 2: L.G. anni 12, frattura meta-diafisaria distale radio Dx. Salter-harris tipo I

All’esame radiografico (fig.6) si evidenzia che le corticali superiore e inferiore sono entrambe lesionate. Può definirsi una frattura a cavaliere fra frattura pura e “legno verde”. Manovra di allineamento, gesso B.A.M., controllo radiografico che mostra riduzione anatomica (fig.7). Rimozione gesso a 25 gg e controllo radiografico.  Ottima guarigione (fig.8).

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Caso 3: N.S. anni 8

Frattura polso Dx, Salter-Harris tipo II. (fig.9)

Riduzione, gesso B.A.M. Controllo radiografico dopo riduzione (fig.10).

Riduzione non completamente soddisfacente. Dopo 28 giorni rimozione gesso e controllo radiografico (fig.11). Ottimo callo osseo riparativo, permane moderata deviazione.  Futuro rimodellamento osseo.

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Caso 4: B.C. anni 14 Frattura a “legno verde” meta-diafisaria distale di radio Sn (fig.12).

Non viene eseguita alcuna riduzione e posizionato gesso antibrachio-metacarpale. A 28 giorni dal trauma viene asportato il gesso ed eseguito controllo Rx. Risultato buono come callo osseo, ma non soddisfacente come angolazione in latero-laterale (fig.13).

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Caso 5: P.D. anni 6 Frattura a “legno verde” metadiafisaria distale di radio Sn (fig.14).

Proiezioni radiografiche non corrette, che non permettono una valutazione idonea della frattura.

Trattamento conservativo con gesso antibrachio-metacarpale. Nessuna riduzione. Controllo a 25 giorni. Callo osseo buono, allineamento in L.L. insoddisfacente.

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Caso 6: B.H. anni 4. Politrauma. Trauma toracico, trauma cranico non commotivo, frattura a “legno verde” dell’ulna distale e tipo Goyrand (Salter-Harris I-II) al radio distale.

In terapia intensiva viene posizionato gesso B.A.M, posizionando la radio-carpica in estensione-ulnarizzazione, senza eseguire un vero tentativo di riduzione. Il caso fu sottostimato, nell’ambito anche di una situazione di emergenza traumatologica pediatrica.

La riduzione era assolutamente insufficiente, con ulteriore peggioramento al controllo rx-evolutivo. Fu mantenuto il gesso per 30 giorni. Alla rimozione fu eseguito controllo radiografico che mostrava una consolidazione viziata con fisiologica flessione-estensione assolutamente non rispettata.

Una corretta indicazione sarebbe stata la riduzione sotto scopia, fissazione con fili di Kirshner da 0,8 e gesso antibrachio-metacarpale (2,5,8).

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CONCLUSIONI

Il bambino è un paziente non facile da trattare; spesso non sta fermo e piange per abitudine, per paura o perché ha veramente dolore ma, in ogni caso, va sempre attentamente e pazientemente visitato, indagando sulle modalità e la natura del trauma, informazioni, queste, che a volte neanche i genitori riescono a fornire adeguatamente.

Le fratture a “legno verde” del bambino sono lesioni che spesso vengono misconosciute o sottostimate.  Tali fratture, dopo attento inquadramento clinico e radiografico (5,6), vanno il più delle volte ridotte manualmente per consentire sempre un corretto ripristino della superficie radiale sia in senso mediale che volare. (3,4)

Una attenta osservazione dei radiogrammi eseguiti nelle proiezioni standard e una buona conoscenza della clinica possono permettere di evitare errori che, in passato erano più facilmente perdonati, in quanto la plasticità dei tessuti del bambino e il tempo stesso aiutavano la riparazione anche là dove l’ atto medico non fosse stato ben eseguito.(3,7)

Attualmente la moderna medicina e il variare degli atteggiamenti portano a considerare queste situazioni mal gestite come errori gravi che spesso portano a spiacevoli risvolti medico-legali.

Da qui se ne deduce che, quella che un tempo era una traumatologia, spesso interpretata con leggerezza, oggi deve essere guardata nello stesso modo della traumatologia maggiore

BIBLIOGRAFIA

  • Antabak A., Stanic L., Matkovic N., Papes D., Romic , Fuchs N., Luetic t. : Radius fracture in children – causes and mechanisms of injury. Lijec Vjesn, 2015 137(3-4):76-80
  • Kurien T., Price R.K., Pearson R.G., Dleppe C., Hunter J.B.: The Bone & Joint Journal, Jan. 2016: Manipulation and reduction of paediatric fractures of the distal radius and forearms using intranasal diamorphone and 50% oxygen and nitrous oxide in the emergency department
  • Netter F., Atlante di Anatomia Fisiopatologia e Clinica, vol.8. Apparato muscolo-scheletrico, parte 3. Traumatologia, valutazione clinica e trattamento: Fratture nel bambino
  • Papini Zorli I. SICM 2011. Le fratture di polso: monografie di chirurgia della mano: Anatomia funzionale e biomeccanica
  • Rockwood A., Fractures in children. O’Brien Eugenie, caphter 4: Fractures of the hand and wrist region. Part II
  • Sferopulos K. Nikolaus: Classification of distal radius physeal fractures not included in the salter-harris system. Orthop. J. 2014; 8: 219-224
  • Spina V. SICM 2011. Le fratture di polso: monografie di chirurgia della mano: L’esame radiografico del polso (cap.2)
  • Watson-Jones: Benjamin A. cap.23. Le fratture dell’estremità distale del radio. Fratture di Colles
  • XV Congresso S.I.T.O.P, 17/19 novembre 2011, Traumi del polso e loro esiti in età evolutiva.

 

 

Geriatria

Dr. Giuliani Gian Carlo
Medico, Specialista in Medicina Interna – Responsabile Reparto di Medicina Lungo Degenza Casa di Cura “Villa Iris” – Pianezza (To)

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“Il problema della gestione della qualità non è quello che le persone non sanno su questo argomento.  Il problema è quello che pensano di sapere”   –   Crosby Philip B.

 

Considerazioni Generali

Da quando è stata definita la Valutazione MultiDimensionale (VMD) ha radicalmente modificato l’approccio geriatrico al Paziente, sia in ambito sanitario che in quello assistenziale. Ormai la Letteratura Scientifica, i vari Documenti (Linee Guida, Protocolli ecc.) la citano come elemento fondamentale, vero linguaggio comune e cultura condivisa di tutti gli Operatori Geriatrici.

Per intenderci subito di cosa stiamo trattando cominciamo subito con una definizione, non senza aver prima ricordato come il termine “MultiDimensionale” sottenda anche quello di “MultiDisciplinare”, in quanto la realizzazione a più mani da parte delle varie professionalità che ruotano attorno al Paziente geriatrico (Medico, Infermiere, Psicologo, Oss, Fisioterapista ecc.) ne rappresenta una delle fondamentali caratteristiche.

Già nel 1987 il National Institute of Health (Usa) definiva la valutazione multidimensionale come … una valutazione nella quale i numerosi problemi della persona anziana vengono riconosciuti, descritti e spiegati e nella quale vengono inquadrate le risorse assistenziali e le potenzialità residue, definito il bisogno di servizi e messo a punto un piano coordinato di cura specifico ed orientato per problemi …”.

In pratica la Valutazione MultiDimensionale del Paziente Anziano consiste nell’utilizzo di varie Scale di Valutazione Validate, ognuna delle quali studia una apposita funzione del Paziente, ricordando come allorquando si debba valutare un Anziano non ci si possa limitare agli aspetti fisici, psichici e funzionali, ma anche quelli economici, sociali e relazionali.

Gli scopi e le caratteristiche della V.M.D. sono di arrivare ad una conoscenza dell’anziano sotto diversi punti di vista (o funzioni), nel determinare le sue necessità di tipo sanitario, assistenziale e sociale, nel consolidare un metodo di lavoro, nel misurare (soprattutto nel tempo) i risultati di un intervento, nell’offrire un linguaggio comune tra professionisti diversi, nell’individuare gruppi a rischio, nell’individuare il più appropriato luogo di cura e nel tradurre i bisogni assistenziali in organizzazione.

Le aree principali di interesse della Valutazione MultiDimensionale sono soprattutto: la salute fisica, la salute psichico-affettiva, lo stato cognitivo, le capacità funzionali, i fattori sociali e quelli ambientali, nonché la valutazione del rischio per cadute, lesioni da pressione, malnutrizione, depressione, non dimissibilità per motivi medici ecc. A tal modo i risultati ottenuti (specie se numerici) possono essere utilizzati come veri e propri Indicatori di Outcome.

Quali le Scale di Valutazione più utilizzate? Attualmente numerosissime sono le scale di valutazione: segnalo come nelle sole “Linee-Guida sull’utilizzazione della Valutazione Multidimensionale per l’anziano fragile nella rete dei servizi” (risalenti però all’anno 2001) siano riportate nella sezione bibliografica alcune centinaia tra scale validate ed articoli scientifici di valutazione delle stesse. Il buon senso ci indica, però, come l’ideale sia rappresentato dall’individuare quelle Scale che valutano le principali funzioni e che risultano più appropriate ai propri Pazienti. Attualmente, inoltre, è presente una Linea Guida (aggiornata il 2015) elaborata dalla Regione Toscana nell’ambito del SNLG che indica l’approccio al Paziente Anziano Fragile. Volendo fare un e breve elenco segnaliamo i seguenti dati:

  • Valutazione delle funzioni cognitive

Il deterioramento cognitivo rappresenta certamente uno dei principali sintomi che gli Anziani presentano allorquando ricorrono ai Servizi Sanitari od Assistenziali, e spesso l’unica motivazione che giustifica l’inserimento in una RSA. Tra le Scale più usate ricordiamo: Mini Mental State Examination (MMSE), Short Portable Mental State Questionnaire (SPMSQ), Severe Impairment Battery (SIB), Moda (Milan Overall Dementia Assessment), Batteria per il Deterioramento Mentale (BDM), GDS (Global deterioration scale) ecc.

 

  • Valutazione dei disturbi comportamentali

I disturbi comportamentali compaiono quasi inevitabilmente nel corso delle malattie degenerative cerebrali (demenze) e di alcune malattie organiche internistiche, generalmente nelle fasi avanzate di malattia, riguardando la sfera della personalità, l’affettività, l’ideazione e la percezione, le funzioni vegetative ed il comportamento. Tra le Scale più usate ricordiamo: UCLA Neuropsychiatric Inventory (NPI), Geriatric Depression Scale, Cornell Scale for Depression in Dementia, Ryden Aggression Scale (RAS), Scala clinica per la valutazione dell’insight (CIR), Delirium Rating Scale ecc.

 

  • Valutazione sia degli aspetti cognitivi che di quelli comportamentali

Si tratta di Scale cliniche di valutazione che si basano sia sugli aspetti cognitivi che su quelli comportamentali della demenza. Le più frequentemente utilizzate e disponibili in versione italiana sono: CDR (Clinical Dementia Rating Scale), ADAS-Cog (Alzheimer’s Disease Assessment Scale) ecc.

 

  • Valutazione del rischio per lesioni da decubito

Tali Scale risultano di particolare importanza in qualunque setting utilizzate per l’individuazione dei soggetti a rischio per lesioni, permettendo così l’avvio di provvedimenti preventivi e terapeutici. Tra le principali Scale ricordiamo: Scala Norton, Scala Norton Plus, Scala Braden, Scala Stotts, Scala Gosnee, Scala Waterlow, Scala Knoll ecc.

  • La valutazione delle condizioni cliniche

Si tratta di Scale di significato clinico in grado di valutare la quantità ed il peso della comorbilità, evenienza peculiare del soggetto anziano. Tra queste ricordiamo: C.I.R.S. (Cumulative Illness Rating Scale), Indice di Severità Clinica (Individual Disease Severità), Scale Apache (I, II, III e IV) ecc.

 

  • La valutazione dello stato funzionale

La valutazione dello stato funzionale indaga la capacità di compiere una serie di attività caratterizzate da un diverso grado di complessità e di conservare un ruolo sociale (Katz, 1989). Tra le principali scale di valutazione del livello di autonomia segnaliamo: Scala ADL (Index of Independence in Activities of Daily Living) o Scala di Katz, Scala IADL (Instrumental activites of daily living), Barthel Index, Scala F.I.M ecc.

 

  • La valutazione del rischio di caduta

Per la valutazione del rischio di cadute vale quanto segnalato relativamente alle scale di valutazione del rischio per lesioni. Tra le principali Scale di valutazione del rischio ricordiamo: Scala di Tinetti, Scala di Coonley, Scala Stratify, Scala Morse, Get up and go test ecc.

  • Scale di valutazione del livello di socializzazione

Si tratta di Scale che risultano in grado di quantificare le attività socializzanti svolte all’interno di strutture assistenziali dai singoli Ospiti. Segnaliamo, in particolare la Scala R.S. (Test di Kane).

 

  • Scale di valutazione della Qualità di Vita

La Qualità di Vita riguarda un concetto ad ampio spettro, che è modificabile in maniera complessa dalla percezione della propria salute fisica e psicologico-emotiva, dal livello di indipendenza, dalle relazioni sociali e dalla interazione con il proprio specifico contesto ambientale. Tra le principali Scale segnaliamo, in particolare: SF-12 e SF-36

Osservazioni Personali

In ambito sanitario presso il Reparto Medicina LungoDegenza della Casa di Cura “Villa Iris” in Pianezza (Torino) segnalo la personale esperienza nell’utilizzo delle Scale della Valutazione MultiDimensionale, ognuna delle quali rappresenta per noi uno specifico Indicatore di Qualità. Sulla base dei risultati da queste singolarmente ottenuti è stato, inoltre, possibile stabilire degli obiettivi sia per quel Paziente (es: ottenere un miglioramento quantificabile di una sua precisa problematica) che per il Reparto stesso (es: per valutare l’efficacia di intervento sulle singole problematiche medico-assistenziali). Tale VMD ci ha permesso inoltre non solo di meglio definire ogni singolo protocollo diagnostico-terapeutico sanitario, ma anche di prevedere e comunicare ai Caregivers gli eventuali interventi socio-assistenziali necessari nel post-ricovero. Ovviamente nel caso dei Pazienti dimessi la VMD è risultata in grado di quantificare il miglioramento ottenuto, definendone inoltre l’ambito nonché gli eventuali margini di ulteriore progressione, mentre per i Pazienti deceduti ci ha segnalato, in maniera quasi predittiva, la verosimile evoluzione (infausta) del caso, nonché monitorato il progressivo peggioramento.

Tali osservazioni personali sono relative a 4.500 Pazienti Geriatrici (di età compresa tra i 65 ed i 103 anni) ricoverati tra il Luglio 2007 ed il Giugno 2015 presso tale Reparto di Medicina, utilizzando solo 6 delle decine di Scale di Valutazione utilizzate, vale a dire:

  • Scala Norton: la più usata Scala di Valutazione del Rischio per Lesioni (Figura n° 1), idonea anche per valutare la complessità psico-fisica e di autonomia del Paziente. E’ composta di 5 Items (Condizioni Generali, Condizioni Psichiche, Deambulazione, Mobilità ed Incontinenza Sfinterica) tutti valutabili con un Punteggio variabile da 1 (condizione di minor autonomia) a 4 (condizione di massima autonomia), ottenendosi in tal modo un Punteggio compresso tra 5 (condizioni peggiori e di peggiore autonomia) e 20 (condizioni migliori e di migliore autonomia). Punteggi pari o inferiori a 12 indicano che quel Paziente è ad alto rischio di lesioni da pressione. In questo caso il Punteggio di gravità è inversamente proporzionale a quello ottenuto dalla Scala.

Figura n° 1: La Scala Norton

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  • S.P.M.S.Q.: la più utilizzata e rapida Scala per la valutazione del deterioramento cognitivo, versione ridotta del Mini Mental State Examination. La risposta (positiva o negativa) a 10 domande standard permette di individuare più livelli di deterioramento (assenza, lieve, lieve-medio, medio, moderato, moderato-grave e grave). Più è elevato il numero delle risposte sbagliate, maggiore è il deterioramento.
  • Scala A.D.L.: la più utilizzata Scala di Valutazione del Livello di Autonomia, almeno in ambito geriatrico, valutando 6 Items, relative a 6 Funzioni: fare il bagno, vestirsi, uso dei servizi, spostarsi, continenza sfinterica ed alimentazione. In questo caso il Punteggio di Valutazione è compreso tra 1 (massima autonomia) e 3 (minore autonomia), definendo un range compreso tra 6 (massima autonomia) e 18 (massima dipendenza nelle ADL).
  • Scala C.I.R.S.: la Scala di riferimento per la valutazione della quantità e della gravità della comorbilità. A tal fine la Scala è dotata di 14 Items, relativi a singoli apparati o sistemi, che possono essere valutati con un Punteggio da 0 a 4 sulla base della presenza e della gravità di malattie in tale ambito. Anche in questo caso il Punteggio Totale, privo però di range, è direttamente proporzionale alla comorbilità.
  • Scala Conley: la Scala tra le più appropriate per la valutazione del rischio per cadute. Consta di 6 domande che indicano un elemento di rischio (è caduto nelle ultime settimane? – ha mancanza del senso di pericolo? ecc.), a cui corrispondono singoli punteggi di gravità che determinano un Punteggio Totale compreso tra 0 (assenza di rischio) e 10 (massimo rischio). Anche in questo caso il Punteggio Totale è direttamente proporzionale al rischio.
  • Scala Infermieristica IRIS Lun: si tratta di una Scala di personale definizione e validata da una Progettazione Interna al Sistema Qualità, relativa alla quantificazione dei bisogni infermieristici dei Pazienti e, quindi, del carico di lavoro infermieristico. Il Punteggio risulta direttamente proporzionale alla quantità e qualità dei bisogni infermieristici.

Tali 4.500 Pazienti arruolati si caratterizzano per la loro presenza in un Database ove sono stati registrati tutti i risultati propri della VMD (dotata di una ventina di Scale Validate), gli Indicatori Clinici nonché i dati di natura clinica (Tabella n° 1).

Tabella n° 1: I Risultato della VMD relativa a 4.500 Pazienti (per l’interpretazione dei Punteggi vedere il Testo)

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L’osservazione dei dati (all’ingresso) relativi alle sole principali Scale di Valutazione qui riportate ci segnala come queste siano già da sole in grado di definire bene le caratteristiche epidemiologiche dei Gruppi di Pazienti volta per volta presi in considerazione.

Valutando, infatti, la Mortalità, apprendiamo come i Pazienti che decederanno saranno quelli che presentano, fin dall’Ingresso e con elevata significatività statistica, un minor livello di Autonomia nelle ADL, una maggiore comorbilità, un maggior deterioramento cognitivo e maggiori rischi per lesioni da pressione e cadute nonché un maggior carico di lavoro infermieristico.

Valutando, invece, la differenza tra i Sessi, rileviamo come i Maschi presentino minori rischi per lesioni e cadute, minori carichi infermieristici e deterioramento cognitivo, ma presentino una maggiore comorbilità. Qui le significatività statistica, seppur ben presente, sono minori rispetto alla considerazione precedente.

Relativamente all’Età, valutata per Gruppi di Pazienti inizialmente ai 65 anni e, successivamente per gruppi di 5 anni, man mano che l’età avanza aumentano sensibilmente il deterioramento cognitivo, il carico infermieristico, i rischi per lesioni e caduta mentre crolla il livello di autonomia. La comorbilità, invece, pur presentando un trend mediamente in crescita, presenta risultati alterni con il passare degli anni. Oltre a ciò il carico infermieristico, la cui crescita è sensibile con l’aumento dell’età, ci sottolinea come i “Pazienti più giovani” (i 65enni) abbiano sì tutte le caratteristiche appena segnalate, ma abbiano anche un carico infermieristico maggiore e pari ai Grandi Anziani, ricordandoci proprio come seppur meno compromessi i 65enni siano tra i più malati ed impegnativi.

Il numero di malattie attive condiziona anch’esso condizioni cliniche e bisogni sanitari, in quanto si osserva come, al crescere del numero di malattie attive, aumenti sensibilmente il deterioramento cognitivo, il rischio per lesioni e cadute, il carico infermieristico e la comorbilità, diminuendo, di conseguenza, il livello di autonomia.

I Pazienti che hanno o svilupperanno Lesioni da Pressione, rispetto a quelli che non le svilupperanno, risultano significativamente dotati di maggiore comorbilità, deterioramento cognitivo, maggior rischio per lesioni e cadute nonché minor livello di autonomia. Di conseguenza il carico infermieristico risulta sensibilmente più elevato in questi Pazienti, sia in termini di prevenzione che di assistenza e cura delle lesioni.

Riguardo ai singoli Gruppi di Malattie la VMD ci fornisce ulteriori risultati interessanti:

I Pazienti Anziani con Neoplasie presentano modesto deterioramento cognitivo, elevato carico infermieristico e comorbilità ma minor rischio per lesioni e cadute nonché ancora un buon livello di autonomia, almeno al momento dell’ingresso.

I Pazienti Geriatrici con Demenza Senile sono, tra tutti, quelli con maggior deterioramento cognitivo, maggior rischio per lesioni e cadute, minor autonomia nonché contenuta comorbilità ma elevato carico infermieristico.

I Pazienti Geriatrici con Patologie Ortopediche hanno, rispetto agli altri Pazienti, minore Deterioramento Cognitivo, medio rischio per cadute e lesioni, medio livello di autonomia, bassa comorbilità e medio-basso carico infermieristico.

Abbastanza simili a quelli Ortopedici i Pazienti con Vasculopatie (Acute o Croniche), i quali però si caratterizzano, nel confronto, per un maggior deterioramento cognitivo ed un maggior carico infermieristico.

I Pazienti Geriatrici con Patologie Cardiologiche hanno, rispetto agli altri Pazienti, un miglior livello di autonomia ma maggiori rischi per lesioni, minor deterioramento cognitivo, basso carico infermieristico e minor rischio per cadute ma maggiore comorbilità.

Rispetto ai Pazienti Cardiologici i Pazienti con Patologie Respiratorie risultano più deteriorati, a maggior rischio per lesioni e meno autonomi e con maggior carico infermieristico, risultando, inoltre i Pazienti con la maggiore comorbilità.

Circa l’evoluzione della degenza i Pazienti che fanno rientro al Domicilio, rispetto a quelli inseriti in RSA, risultano meno deteriorati cognitivamente, meno comorbidi, con minori rischi di lesione e cadute, più autonomi nelle ADL e con minori bisogni infermieristici. Coloro che, invece, necessitano di ulteriore degenza o nuovi trattamenti sanitari sono, rispetto ai precedenti, quelli con maggiore comorbilità e bisogni infermieristici, presentando invece dati intermedi rispetti alle altre Scale di Valutazione.

Pur ricordando come ogni Paziente sia, indipendentemente dai dati medi delle singole sottopopolazioni, una realtà unica od originale, non si può negare l’utilità e la predittività della Valutazione MultiDimensionale relativamente a condizioni cliniche, necessità di trattamenti sanitari ed assistenziali, nonché dell’evoluzione della degenza.

Senza categoria

Dottor Walter Beolchi
Medico Chirurgo Specialista In Sessuologia e Medicina Estetica, Lugano-Svizzera

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Il sesso e la sessualità sono aspetti importanti riconosciuti dall’OMS ed ormai comunemente accettati nella vita delle donne. La sessualità può essere intesa come la nostra esperienza e come ci definiamo in quanto esseri sessuali o sessuati. Questo nostro percorso inizia nell’infanzia e termina nella vecchiaia ed e influenzato dalle regole che ci sono imposte o trasmesse dalla nostra famiglia di origine e dalla società in generale, dall’educazione ricevuta da bambini da adolescenti e da adulti e dalle esperienze vissute nella vita. L’identità sessuale è una parte importante ed intrinseca della sessualità, per alcune donne  il sesso ha come unica espressione e priorità la procreazione e la riproduzione in funzione dell’educazione religiosa ricevuta, ancora oggi in certe parti del mondo non si parla assolutamente di sesso nelle famiglie , dell’educazione sessuale ricevuta o no oppure della educazione do it yourself tramite giornalini pornografici o riviste porno anche se oggi tutti questi canali di informazioni sono antiquati pensando alla pornografia su internet e la relativa facilità di accesso, dell’educazione culturale e da fattori etnici senpre più importanti oggi in ottica delle società sempre più multietniche. Per altre donne la sessualità ha anche una finalità godereccia e ludica questo soprattutto dopo l’introduzione degli anticoncezionali moderni.  La funzione sessuale o il funzionamento sessuale è tutto quello che noi facciamo in quanto essere sessuali, si può definire in vari modi come vita intima attività sessuale making love…L’importanza delle funzioni sessuali varia enormemente in funzione dell’età e della/e relazione: all’inizio di una storia o di un rapporto di coppia il sesso è molto importante, con il passare degli anni anche se una buona intesa sessuale è sempre desiderata ed auspicata subentrano altri fattori che mettono il sesso da parte come la complicità l’intimità oggi molto persa a favore dell’estimità la condivisione di momenti di qualità un rapporto molto più affettuoso e sentimentale più intellettuale con meno sesso..Molte coppie entrano in crisi proprio per una aspettativa diversa e sbilanciata dei partners rispetto al sesso, la menopausa con tutti i cambiamenti ormonali ha grosse ripercussioni sulle funzioni sessuali della donna con apparizione di deficit di lubrificazione secchezza vaginale rapporti dolorosi calo del desiderio associato spesso a sindromi depressive . Le malattie acute o croniche pongono alle coppia una sfida e in alcuni casi si preferisce ignorare la sessualità come una cosa di serie B dando assolutamente la precedenza al risolvimento del problema fisico per timore di provocare paura e dolore al partner. Se la sessualità è una espressione di noi stessi come esseri umani il tumore e le sue terapie non possono eliminare l’esperienza di un essere umano inteso come persona sessuale. Le terapie oncologiche possono avere un risultato importante e profondo a livello della qualità di vita in tutte le sue componenti fisica psicologica sociale e sessuale. La localizzazione del tumore può avere delle conseguenze pesanti si una donna come essere sessuale i tumori della zona ginecologica possono interessare gli organi di riproduzione e nello stesso tempo sessuali il tumore al seno ha enormi significati estetici cosmetici affettivi erotici nonché molto simbolici questa neoplasia può anche produrre gravi alterazioni dell’immagine corporea e della propria immagine con conseguente calo vertiginoso dell’autostima e scompensi depressivi o ansiosi-depressivi reattivi. Gli altri tumori sembrano avere un’azione minore sulle fasi della sessualità ma se consideriamo che la donna è anche cuore ed anima non solo corpo ogni neoplasia può produrre importanti cambiamenti sulla percezione di se stessa sulla sua sessualità sui suoi sentimenti e sulla relazione con il proprio partner. Anche se l’organo colpito dal tumore non ha un legame diretto maggiore con la sessualità la donna deve confrontarsi con diverse situazioni fonti di problemi produttrici di ansia e assolutamente destabilizzanti. Pensiamo al tempo che intercorre tra la diagnosi e l’inizio della/e terapie : visite mediche ripetute in breve tempo esami medico diagnostici e di stadiazione della malattia ripetuti e periodici difficoltà di spostamento se si deve recare da uno specialista oncologo o in un istituto oncologico magari non nella zona del proprio domicilio costi economici paura di non farcela e di morire ansia angoscia tristezza paura rabbia con logico calo della sessualità e importanti ripercussioni sulla qualità del rapporto di coppia. Una sessualità alterata è molto comune tra uomini e donne che intraprendono terapie oncologiche ed è molto più presente tra i sopravissuti. Rispetto agli uomini la stragrande maggioranza delle donne trattate per un tumore non riceve da parte degli operatori sanitari informazioni prima delle terapie su come poter conservare o poter riappropriarsi di una funzione sessuale adeguata dopo le cure. Per esempio la terapia con inibitori dell’aromatasi nel tumore del seno può causare grave atrofia vulvovaginale con apparizione logica di dispareunia quindi rapporti estremamente dolorosi che di conseguenza vengono assolutamente evitati. L’opportunità sessuale è anche degna di considerazione: donne e ragazze con anamnesi e terapie di tumore non avranno la stessa opportunità di intraprendere delle nuove relazioni. Una mastectomia una stenosi vaginale e una colostomia non aiutano sicuramente una paziente ad avere un’approccio positivo e disinvolto verso la possibilità di una nuova frequentazione. La grande maggioranza delle donne e giovani ragazze che sono colpite da tumori ginecologici ed al seno sono sessualmente attive nell’anno precedente alla diagnosi  comprese la maggioranza delle donne in menopausa e dai 60 agli 80 anni con un partner. Le ragazze giovani hanno spesso fantasie sessuali si masturbano con o senza sex toys e sviluppano un’identità di genere sessuale anche se non sono state sessualmente attive con i partners. Le donne sopravissute al tumore ed alle terapie sviluppano una menopausa precoce secondaria alla chirurgia ed alla radioterapia o in forma secondaria dopo trattamenti con cambiamenti ormonali. La donna che ha avuto o è stata trattata per una neoplasia sviluppa sovente uno scompenso ansioso depressivo secondario alla diagnosi ed allo svolgimento della chemioterapia e radioterapia questa depressione ê tanto più grave quanto la paziente vive sola ha difficoltà economiche o in caso di relazione precedente alla diagnosi già complicata e fonte di problematiche irrisolte prima dell’apparizione del tumore. Associata alla depressione la donna sviluppa specialmente dopo una diagnosi e terapia chirurgica parziale (quandrantectomia) o totale (mastectomia) di tumore alla mammella un cambiamento della immagine corporea non tralasciando il rischio di una recidiva con nuovo intervento il risultato cosmetico la possibilità di sviluppare cicatrici patologiche la perdita di capelli secondaria alla chemioterapia. Tutte queste situazioni associate alla perdita degli ormoni estrogeni ed androgeni testosterone in primis specialmente con terapie farmacologiche a base di Tamoxifene o inibitori dell’aromatasi ed alla apparizione di linfedema al braccio omolaterale dell’intervento chirurgico, producono un importante calo del desiderio sessuale. Una menopausa secondaria indotta dalla chemioterapia con conseguente calo degli ormoni porta ad una netta diminuzione della lubrificazione con rapporti dolorosi che la donna tende progressivamente ad evitare. Nei tumori dell’area ginecologica si osserva una difficoltà all’orgasmo in relazione alla chirurgia della vagina e della cervice. Una diagnosi di tumore nella donna specialmente in una coppia giovane può produrre una situazione stressante ancora di più se questa coppia non ha ancora figli, il partner può a sua volta sviluppare uno scompenso depressivo riduzione del desiderio sessuale fino all’evitamento dei rapporti disfunzione erettile o eiaculazione precoce con tradimenti che portano alla fine di rapporti anche di lunga durata. La riabilitazione della sessualità femminile in caso di neopalsia include l’uso di lubrificanti vaginali con acqua oli e derivati del silicone, idratanti vaginali dilatatori e vibratori terapia ormonale sostitutiva con estrogeni e testosterone soprattutto in caso di calo del desiderio e atrofia vulvovaginale, psicoterapia sessuale in caso di distress con perdita del desiderio paura sessuale dispareunia vaginismo secondario difficoltà orgasmiche perdita della femminilità soggettiva cambio della propria immagine corporea, distress nella coppia. La psicoterapia sarà prevalentemente di tipo cognitivo comportamentale con esercizi della muscolatura del perineo e del pavimento pelvico associati a mindfulness therapy. Lo scopo della riabilitazione sessuale è quello di aumentare l’accesso ai centri specializzati di riabilitazione sessuale insiti nei centri di terapia oncologica, ma il problema maggiore e che deve esserci una maggiore disponibilità dei medici soprattutto dei medici di famiglia a parlare di sessualità e dei problemi della sessualità con i loro pazienti di fronte specialmente negli ultimi anni ad una sempre maggiore richiesta da parte dei pazienti a cercare aiuto nel proprio medico di fiducia per risolvere se non totalmente almeno parzialmente i loro problemi sessuali.

 

Bibliografia:

Anne Katz  Woman cancer Sex Hygeia medica Oncology Nursing Society Pittsburgh Pennsylvania 2009

Standard Practice in Sexual Medicine  Hartmut Porst and Jacques Buvat Blackwell Publishing 2006

Emanuele Jannini Andrea Lenzi Mario Maggi  Sessuologia medica Elsevier Masson 2007

A Manifesto on the preservation of sexual function in women and girls with cancer  S.T. Lindau MD, E.M catalunyafarm.com. Abramsohn MPH and Amber C. Matthews Am J Obstet Gynecol. 2015 Aug : 213(2) : 166-174

Atti del diciottesimo congress della Società Europea di Sexual Medicine Madrid 4-6 febbraio 2016

 

Diritto Sanitario

Avv. Angelo Russo
Avvocato Cassazionista, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario, Catania

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La questione dell’osservanza della normativa in materia di dotazione delle strutture di emergenza da parte di un ospedale è stata interessata, recentemente, da una pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 21090 della Terza Sezione Civile, depositata il 19 ottobre 2015) con la quale si è confermato il principio dell’obbligo per l’ospedale di adottare condotte adeguate alle condizioni (seppur disperate) del paziente, finalizzate a scongiurare l’exitus, in rapporto alla limitata disponibilità di mezzi o risorse, seppur conformi alle dotazioni o alle istruzioni previste dalla normativa di settore.

Il fatto riguardava il decesso di un paziente ricoverato a seguito di un gravissimo infortunio sul lavoro.

Il Tribunale, in primo grado, e la Corte d’Appello (con parziale riforma) avevano condannato la ASL al risarcimento dei danni.

La fase istruttoria del processo aveva accertato che vi erano stati tempi eccessivi e ritardi non giustificabili nella fase temporale tra l’ingresso alla struttura di pronto soccorso e l’intervento  chirurgico, ritardi conseguenti al disposto trasferimento del paziente in altra divisione ed alla non celere comunicazione di fondamentali dati degli esami di laboratorio.

Si accertava, inoltre, che le (seppur disperate) condizioni iniziali erano state aggravate dalle modalità di manipolazione del paziente durante l’esecuzione degli esami radiografici, precisandosi che la morte “avrebbe potuto essere scongiurata o ritardata…se il paziente fosse stato immediatamente sottoposto ad esami dì laboratorio e strumentali negli stessi locali del PS, se l’ospedale avesse avuto in dotazione le necessarie sacche del sangue omologo, se egli non avesse dovuto sopportare i necessari sconvolgimenti connessi al passaggio in due diverse divisioni del nosocomio e se l’intervento fosse stato iniziato il più presto possibile rispetto al suo arrivo in ospedale“.

Irrilevante, peraltro, era ritenuta “l’osservanza delle previsioni normative in materia di gestione dell’emergenza”, e ciò in quanto era “onere della struttura assicurare all’utenza condizioni di massima sicurezza“.

La Corte di legittimità, premessa la responsabilità di carattere extracontrattuale insita nel “contratto di spedalità”, sottolinea la necessità di rispettare anche le regole comuni di diligenza e prudenza, in ipotesi anche “ulteriori e diverse rispetto a quelle sull’organizzazione minima o sui requisiti di sicurezza: e senza che tanto possa comportare un’ingerenza del giudice ordinario nelle scelte organizzative o di struttura” (Cassazione 20 gennaio 2010 n. 907); “non basta osservare le norme espressamente previste, dinanzi a regole generali e sussidiarie di obbligo di diligenza immanenti nell’ordinamento e soprattutto in ambito contrattuale; e, pertanto, non basta che una struttura ospedaliera – pubblica o meno – rispetti la dotazione o le istruzioni, anche manifestamente insufficienti rispetto alle emergenze maggiori, previste dalla normativa vigente per andare esente da responsabilità in caso di queste ultime”.

La Corte di Cassazione, quindi, dalla natura contrattuale della responsabilità fa discendere l’obbligo di erogare la prestazione richiesta con la massima diligenza e prudenza, con la decisiva considerazione che un ospedale, oltre ad osservare le normative di ogni rango in tema di dotazione e struttura delle organizzazioni di emergenza, deve osservare “condotte adeguate alle condizioni disperate del paziente ed in rapporto alle precarie o limitate disponibilità di mezzi o risorse, benché conformi alle dotazioni o alle istruzioni previste dalla normativa vigente, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare l’impossibilità del salvataggio del leso”.

La Corte, peraltro, precisa che il ritardo nell’invio dei dati degli esami di laboratorio e nell’inizio dell’intervento chirurgico, così come pure l’erronea manipolazione del bacino del paziente, l’inadeguata scorta di sangue, sono elementi certi per radicare la responsabilità contrattuale della struttura, atteso che: “non era compito dei danneggiati provare che l’esito letale sarebbe stato comunque inevitabile, nonostante i ritardi; ma tanto incombeva appunto sulla danneggiante, una volta provata la condotta colposa suddetta,  astrattamente idonea a comportare la morte in una situazione di partenza assai grave…in dipendenza di tanto, è la danneggiante onerata della prova di avere erogato tutte le prestazioni idonee in relazione alla fattispecie: ricadendo, in mancanza, su di essa debitrice le conseguenze dell’assenza o dell’incompletezza della prova stessa”.

In conclusione, la decisione in commento conferma e ribadisce che la carente o limitata disponibilità di mezzi e risorse (questione sempre attualissima e, quindi, ormai fisiologica in ambito sanitario) rende, ancor più incisivo, l’obbligo di prestare la massima diligenza e prudenza quasi come forma di supplenza ad una struttura spesso dotata del minimo indispensabile.

Biotecnologia

Giuseppe Navanteri
Ingegnere Medico specializzato in gestione ed elaborazione di progetti, piani e programmi di investimento finalizzati alla edilizia e tecnologia sanitaria

Alessia Tonnetti
Ingegnere clinico e biomedico con PhD,esperta nella progettazione degli ambienti ospedalieri con particolare attenzione ai requisiti di sicurezza contro le radiazioni ionizzanti e non ionizzanti.

La stampante 3D entra in sala operatoriaed in particolare nella sala operatoria degli Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma. L’Ortopedia Oncologica è una branca dell’ortopedia specializzata nella diagnosi e cura dei tumori muscolo scheletrici, molto diffusi soprattutto nei pazienti più giovani.Il trattamento di questi tumori inizia con l’intervento chirurgico finalizzato all’asportazione del tumore con margini ampi. Ciò implica spesso il sacrificio dei tendini, muscoli e legamenti con conseguenza diretta sulla stabilità e sulla funzione del segmento in questione. La successiva ricostruzione diviene quindi fondamentale. Per garantire una buona qualità della vita al paziente di normasi impiantano protesi sostitutive della parte asportata che, diversamente dalla ortopedia tradizionale, hanno una difficoltà in più: sono sempre differenti in forma e dimensione in quanto a sostituzione di una “forma tumorale” che chiaramente non è standard.

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Presso gli Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma, e precisamente presso la UOC Ortopedia Oncologica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, diretto dal Prof. Roberto Biagini, è iniziata l’attività di realizzazione e installazione di protesi custom made.

L’approccio alla ricostruzione custom made della protesi

Il tumore dell’osso è un tumore raro ma spesso estremamente aggressivo, sia localmente sia a distanza, a causa della sua rapida diffusione ematica. La sua cura richiede un approccio multidisciplinare con il coinvolgimento di diverse figure di specialisti che operano presso i centri di eccellenza oncologici come il reparto di Ortopedica Oncologica dell’Istituto Regina Elena in Roma che si occupa di ricerca, diagnosi e cura delle malattie tumorali, primitive e secondarie, dell’apparato muscolo-scheletrico sia del paziente adulto sia del bambino.

Presso l’istituto sono disponibili le più moderne tecniche chirurgiche sia per l’intervento di asportazione del tumore sia per la conseguente ricostruzione: tra queste, grazie all’applicazione di tecnologie innovative, è oggi possibile la produzione di protesi “su misura”, cioè costruite direttamente sulla specifica anatomia del paziente e sulla previsione di quella che sarà l’anatomia ossea stessa dopo l’asportazione del tumore.

Uno dei principali problemi nelle ricostruzioni complesse è adattare dei sistemi di ricostruzione standard all’anatomia del singolo caso. Questo fa si che molto spesso i risultati non siano all’altezza delle aspettative. Lo sviluppo delle tecniche di stampa 3D permette di ovviare a questo problema consentendo di stampare delle protesi in titanio, custom-made e quindi adattate al singolo paziente, teoricamente per tutti i segmenti corporei.

La tecnica

Il processo di realizzazione delle protesi ha inizio da un’immagine CT (Tomografia Assiale Computerizzata) del sito tumorale, dalla quale si ottiene una visualizzazione tomografica del sito anatomico. Grazie a particolari software di elaborazione delle immagini, è possibile isolare digitalmente il tumore osseo dai tessuti circostanti quali muscoli, pelle o grasso, ed ottenere delle immagini tridimensionali segmentate del volume tumorale che verrà reciso e sostituito con la protesi. Nel definire i margini di resezione viene considerato che, nel periodo di realizzazione della protesi, si potrebbe incorrere in un’espansione del tumore, per questo motivo i margini vengono sempre sovrastimati. Prima della stampa viene effettuata una simulazione virtuale dell’asportazione del tumore e del fissaggio della protesi nel sito tumorale.A partire dalle immagini segmentate vengono quindi realizzate le protesi in titanio, grazie alla progressiva sovrapposizione di strati stampati che vengono fusi tra di loro. È quindi possibile realizzare materiali a porosità controllata combinati con parti solide che forniscono alla protesi un’ottima capacità di osteointegrazione nelle fasi successive all’intervento.

L’installazione della protesi in seguito alla resezione

La tecnica di fissaggio della protesi deve essere studiata di volta in volta su ogni paziente. La difficoltà della tecnica sta nel riuscire a riprodurre perfettamente i margini progettati sulla CT preoperatoria e sulla base dei quali è progettata la protesi. A tal fine vengono utilizzate delle guide di taglio che, adattandosi perfettamente alla specifica anatomia del paziente, permettono di eseguire un taglio univoco. La protesi, una volta adagiata, viene fissata in maniera diversa, con viti, dadi, e fittoni di vario genere, all’osso del paziente che dovrebbe progressivamente aderire ad essa secondo un principio già sfruttato nelle protesi tradizionali che si usano comunemente nell’ortopedia tradizionale.

Ciò consenteimportanti vantaggi per il paziente tra cui un migliore ripristino dell’anatomia, non essendo più necessario adattare degli innesti ossei da donatore, una migliore ripresa funzionale e una maggiore resistenza al carico dovuta alla migliore distribuzione delle forze garantita dall’adattabilità dell’impianto.

I casi fino ad ora trattati agli IFO – Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma

L’Ortopedia Oncologica IRE ha finora eseguito tre casi di ricostruzione con protesi in titanio custom-made

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– Una ricostruzione di emibacino, dopo resezione di un voluminoso condrosarcoma che inglobava la metà prossimale del femore omolaterale e la porzione anteriore delle pelvi in una donna di 58 anni;

– Una ricostruzione di scapola, dopo resezione di un voluminoso condrosarcoma che comprendeva la porzione articolare, in una ragazza di 35 anni;

– Una ricostruzione del tarso del piede di un ragazzo di 13 anni, necessaria per ristabilire la continuità ossea dopo asportazione di una sarcoma di alto grado.

Altrettanti casi sono attualmente in progettazione e si prevede che nei prossimi anni questa tecnica verrà sempre più in aiuto del medico e del paziente.

I vantaggi delle stampanti 3D nel contesto biomedicale, sono dati dalla libertà di produrre prodotti realizzati su misura del paziente. Oltre alle protesi “personalizzate”, la stampa in Titanio 3D consente la realizzazione di strumenti dedicati alla sala operatoria per la risoluzione di casi più particolari e complessi. Sono state realizzate delle particolari frese tubulari che sono state utilizzate per la rimozione di un tumore nel ginocchio di una ragazza di 28 anni.

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Tale tecnologia, anche in funzione dei costi, è dedicata per ora solo aicasi più particolari come ad esempio la ricostruzione di segmenti complessi quali il bacino o la scapola, ovvero in quei casi in cui non sono disponibili le protesi modulari che normalmente si utilizzano in ortopedia oncologica, ma anche per la ricostruzione dopo resezione di più segmenti ossei complessi come ad esempio può accadere nel piede.

La possibile integrazione con la chirurgia robotica e la navigazione computerizzata, tecnologie disponibili all’IRE, per le quali esistono programmi di sviluppo e ricerca, renderà tale tecnologia sempre più affidabile e precisa con un diretto vantaggio per il paziente.

Il nostro istituto tuttavia non è l’unico dove è attualmente disponibile tale tecnologia; ricordiamo gli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna, l’Istituto Ortopedico Galeazzi e il Gaetano Pini di Milano e il CTO di Firenze e di Torino.

  • Rengier, Mehndiratta, von Tengg-Kobligk, Zechmann C. M., Unterhinninghofen R., Kauczor U., Giesel F.L., “3D printing based on imaging data: review of medical applications”,  International Journal of Computer Assisted Radiology and Surgery, Vol. 5, Issue 4 (335-341), July 2010
  • Foto gentile concessionedella UOC OrtopediaOncologicadegli IFO di Roma.