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Avvocato Russo

Condotta colposa del medico e fattore naturale indipendente. Quali i riflessi sulla ricostruzione del nesso di causalità?

Avv. Angelo Russo, Avvocato Cassazionista, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Sanitario, Catania
 
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Con una articolatissima pronunzia, la Corte di Cassazione (sez. III Civile, sentenza 19 aprile 2018 – 18 aprile 2019, n. 10812) torna a occuparsi del delicato rapporto tra condotta del medico e danno dipendente da fattori naturali.
 
IL FATTO
I sigg. V.G. e M.G. – in proprio e nella qualità di esercenti la potestà sulla figlia minore V.M. , agivano in giudizio per il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza dei danni neonatali subiti da V.M., in occasione della nascita avvenuta l’(…), presso la divisione di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale (omissis).
Sia il Tribunale che la Corte di Appello dichiaravano la responsabilità della C., medico quel giorno in servizio presso la suindicata divisione di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale (omissis) , “per non avere sottoposto la M. a tutti gli esami strumentali necessari ed imposti dai dati obbiettivi per accertare la grave sofferenza di un feto e le condizioni di un altro, in parto gemellare, al fine di assicurare un rapido trasferimento della puerpera per il parto presso altra struttura attrezzata con Unità di Terapia Intensiva Prenatale (UTIN)”.
Sulla base della CTU disposta ed espletata in sede di giudizio di appello, la Corte di secondo grado ha ritenuto non addebitabile “la sintomatologia dolorosa lamentata dalla M. al momento del ricovero… ad una minaccia di parto pre-termine, ma, piuttosto al distacco intempestivo di placenta, non diagnosticato e trattato con tocolitici, mentre sarebbe stato urgente il taglio cesareo, per scongiurare danni al feto”; ha per converso “accertato il nesso di causalità materiale tra la condotta omissiva colposa dei sanitari del (…) – consistita nel non praticare il parto cesareo all’insorgere della sofferenza fetale connessa alla crisi di bradicardia, che i predetti non hanno neppure diagnosticato – ed il danno, essendosi la suddetta condotta posta come antecedente idoneo a generarlo, in base al criterio di probabilità relativa del più probabile che non”.
Il Giudice di appello ha, per altro verso, riformato la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto nel caso non rilevante anche il “distress respiratorio da deficit di surfattante – e, quindi la esistenza di un fattore naturale non imputabile idoneo a generare l’evento dannoso”, pervenendo ad assegnare a quest’ultimo un’incidenza “in misura preponderante sul danno”, nella misura di due terzi.
Ha, pertanto, rideterminato l’ammontare a titolo di risarcimento dei danni liquidato in favore della minore M., calcolandolo sulla base delle Tabelle di Milano, aggiornate al 2014, con aumento del 15% dell’individuato punto tabellare d’invalidità a titolo di personalizzazione e successiva riduzione di due terzi.
 
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Suprema Corte assume che è stato accertato che la M., “non riuscendo ad avere figli, dopo un primo nato nel 1980 a seguito di gravidanza naturale a termine e dopo una successiva interruzione volontaria della seconda gravidanza, si è rivolta al Dott. Ci. Ca., che l’ha sottoposta ad inseminazione artificiale omologa intraperitoneale, dalla quale è derivata la gravidanza gemellare per cui è causa.
La M. era, ed è, affetta da talassemia minor, che ne determina l’anemia.
In occasione dell’ultimo controllo presso il suo studio professionale la sera del 7 settembre 1993, il Dott. Ci. … dopo l’esame dei feti, uno corrispondente alla trentesima settimana e l’altro alla trentunesima, mentre la gravidanza era giunta alla trentaduesima settimana e stante la riscontrata differenza di peso tra gli stessi, uno dei quali di kg 1,50 e l’altro di kg. 1,00… le
 
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consigliò di sottoporsi ad un esame specialistico di flussimetria doppler”.
Risulta, altresì, accertato che “il giorno successivo la M. , intorno alle 12,00, ha cominciato ad accusare forti dolori addominali, con contrazioni uterine ad intervalli regolari, delle quali ha riferito telefonicamente, alle 12,30, al predetto Dott. Ci.
Questi le ha consigliato di recarsi presso il più vicino ospedale.
Di qui la scelta di andare all’ospedale (omissis), dove è giunta alle ore 14,00 circa e dove è stata visitata dal Dott. F. , che ha riscontrato che il cerchiaggio era ben posizionato, prescrivendo un tracciato cardiotocografico, e terapia farmacologica cortisonica e tocolitica.
Il Dott. F. ha cessato il turno alle 14.30 circa.
La terapia è stata proseguita dalla Dott. C. , giunta in servizio nel turno successivo a quello del Dott. F.
La predetta ha, inoltre, sottoposto la M. a tracciato cardiotocografico (con apparecchio non di ultima generazione e, quindi, non in grado di verificare contemporaneamente due feti), dalle ore 15,23 alle ore 15,58 e, inoltre, prescritto alla paziente assoluto riposo a letto.
Intorno alle ore 19,00, in presenza di forti e dolorose contrazioni uterine, il primario, Dott. R., nel frattempo sopraggiunto, ha eseguito un esame ecografico, in sala operatoria, praticandole, dopo circa novanta minuti, il taglio cesareo, da cui è nata, alla ore 20,30 circa, la piccola M., nonché un secondo feto morto.
Risulta, altresì, che subito dopo la nascita M. ha subito una crisi di ipossia prolungata, superata a seguito di intervento di rianimazione, con massaggio cardiaco, ossigenoterapia e cortisone.
La neonata è stata trasferita in autoambulanza… all’ospedale Aiuto Materno di (…), Divisione di neonatologia e terapia intensiva.
Ivi è giunta poco dopo le ore 2.00 del giorno (…).
Durante il viaggio ha subito altre due crisi di ipossia, di cui una con arresto cardiaco, risolto con massaggio cardiaco e stimolazione.
Dal contenuto della cartella clinica redatta dai medici della divisione di neonatologia e terapia intensiva dell’ospedale Aiuto Materno di (…) si evince che la causa della grave encefalopatia della minore è stata individuata nelle crisi ipossiche subite dopo la nascita, a loro volta causate da deficit da surfactante, o malattia da distress (o delle membrane ialine)”
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Ciò premesso la Suprema Corte chiarisce che la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente:
a) per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura;
b) per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui essa si avvale.
La responsabilità contrattuale della casa di cura non rimane esclusa in ragione dell’insussistenza di un rapporto contrattuale che leghi il medico alla struttura sanitaria, in tale ipotesi operando il principio dell’appropriazione o dell’avvalimento dell’opera del terzo di cui all’art. 1228 c.c.
La Corte ribadisce che, in base alla regola di cui all’art. 1228 c.c. (come quella di cui all’art. 2049 c.c.), il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde, dunque, anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, ancorché non siano alle sue dipendenze.
La responsabilità per fatto dell’ausiliario (e del preposto) prescinde, infatti, dalla sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, irrilevante essendo la natura del rapporto tra i medesimi intercorrente ai fini considerati, fondamentale rilievo viceversa assumendo la circostanza che dell’opera del terzo il debitore comunque si sia avvalso nell’attuazione della propria obbligazione, ponendo la medesima a disposizione del creditore, sicché la stessa risulti a tale stregua inserita nel procedimento esecutivo del rapporto obbligatorio.
La responsabilità che dall’esplicazione dell’attività di tale terzo direttamente consegue in capo al soggetto che se ne avvale riposa, infatti, sul principio “cuius commoda eius et incommoda” o, più precisamente, come detto, dell’appropriazione dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino.
Né, prosegue la Corte, “al fine di considerare interrotto il rapporto in base al quale il debitore è chiamato a rispondere, vale distinguere tra comportamento colposo e comportamento doloso
 
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del soggetto agente (che della responsabilità del primo costituisce il presupposto), essendo al riguardo sufficiente (in base a principio che trova applicazione sia nella responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale) la mera occasionalità necessaria”, sicchè “la struttura sanitaria risponde direttamente di tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto (medico), della cui opera comunque si è avvalso, sono state rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioè dei danni che ha potuto arrecare in ragione di quel particolare contatto cui è risultato esposto nei suoi confronti il creditore (nel caso, la gestante/partoriente e il feto/neonato)”
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La struttura sanitaria è, quindi, direttamente responsabile allorquando l’evento dannoso risulti da ascriversi alla condotta colposa posta in essere dal medico, della cui attività essa si è comunque avvalsa per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale.
È, dunque, importante “delineare i criteri valevoli a delimitare la giuridica rilevanza delle conseguenze dannose eziologicamente derivanti dal danno evento costituenti integrazione del rischio specifico posto in essere dalla condotta (dolosa o) colposa del debitore/danneggiante, che a tale stregua solo a carico del medesimo, e non anche sul creditore/danneggiato, debbono conseguentemente gravare”.
In presenza di danni conseguenza (aggravamento/morte) costituenti effetto o delle eccezionali condizioni personali del danneggiato (es., emofilia, cardiopatia, rara allergia) o del fatto successivo del terzo, e in particolare del medico (cura errata, errato intervento medico), non può, secondo la Suprema Corte, pervenirsi a ridurre o escludere anche il relativo risarcimento in favore della vittima.
Il danneggiato rimane, infatti, agli stessi specificamente esposto in conseguenza dell’antecedente causale determinato dalla condotta colposa (o dolosa) del debitore/danneggiante, quest’ultimo dovendo pertanto risponderne (anche) sul piano risarcitorio.
Diverso è, viceversa, il caso in cui si sia in presenza di un pregresso fattore naturale non legato all’altrui condotta colposa da un nesso di interdipendenza causale.
Allorquando, come nella specie, “un pregresso fattore naturale non imputabile venga individuato quale antecedente che, pur privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa del sanitario, sia dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata, ad esso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione della struttura dell’illecito, e in particolare dell’elemento del nesso di causalità tra tale condotta e l’evento dannoso, appartenendo ad una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui quest’ultima si inserisce”.
In altri termini “confermata la validità del principio causale puro (c.d. all or nothing), non essendo ammissibile la comparazione tra causa umana imputabile e causa naturale non imputabile ma solo tra comportamenti umani colposi, deve ribadirsi che la valutazione equitativa attiene propriamente non già all’accertamento del fatto costitutivo del danno risarcibile, e in particolare ad uno degli elementi della struttura dell’illecito e dell’inadempimento qual è – unitamente alla condotta e all’evento – il nesso di causalità, bensì alla – logicamente successiva
 
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(all’accertamento dell’an dell’illecito o dell’inadempimento) – fase della determinazione del quantum (art. 1226 c.c.) del danno – conseguenza risarcibile”.

Unicamente all’esito dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità – sulla base del criterio del “più probabile che non” – tra condotta (dolosa o) colposa e danno evento lesivo, “la considerazione del pregresso stato patologico del creditore/danneggiato può invero valere a condurre ad una limitazione dell’ammontare dovuto dal debitore/danneggiante, in occasione del diverso e successivo momento della delimitazione dell’ambito del danno risarcibile e della determinazione del quantum di risarcimento”.
Sul punto, prosegue la Corte, si è affermato che sono a carico del debitore/danneggiante, costituendo integrazione del rischio specifico posto in essere dalla sua antecedente condotta (dolosa o) colposa, le conseguenze costituenti effetto:
a) delle eccezionali condizioni personali del danneggiato;
b) del fatto successivo del terzo.
Ove sia possibile pervenire ad attribuire a tale antecedente una concorrente – seppure autonoma – incidenza causale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica del paziente/danneggiato, trattandosi di ipotesi di concorso di più cause efficienti nella determinazione del danno, va invero “escluso che possa farsene derivare l’automatica riduzione dell’ammontare risarcitorio dovuto alla vittima/danneggiato in proporzione del corrispondente grado percentuale di incidenza causale”.
Essendo stata, nel caso di specie, “accertata la sussistenza di una (eccezionale) ipotesi di pregresso fattore naturale non ascrivibile a condotta umana imputabile, priva di incidenza causale sulla (successiva e autonoma) condotta colposa dei sanitari che hanno assistito al parto, al detto fattore naturale non imputabile (privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa del sanitario, ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata) non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l’evento dannoso, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno”.
Il principio sancito dalla Corte di Cassazione è, in conclusione, il seguente.
“Al fattore naturale non imputabile privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa del sanitario, ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata, non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l’evento dannoso (appartenendo a una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce la condotta del sanitario) bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, potendosi così pervenire – sulla base di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concrete – solamente a una delimitazione del quantum del risarcimento”.

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